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Full text of "Tra Mare e Terra"

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Antonio Montesanti 

TRA MARE 
E TERRA 



Il ruolo dei traffici marittimi nella storia 
del territorio costiero vibonese 







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Edizioni Fegica 






Antonio Montesanti 



TRA MARE E TERRA 



Il ruolo dei traffici marittimi 

nella storia del territorio costiero vibonese 

e dei centri urbani di Vibo Marina, Bivona e Portosalvo 



"La storia non è altro che una continua serie 

di interrogativi rivolti al passato in nome 

dei problemi e delle curiosità - nonché delle 

inquietudini e delle angoscie - del presente 

che ci circonda e ci assedia" 

Fernand Braudel 



Prima edizione 1999 



Edizioni Fegica 
Roma 

Finito di stampare 
Maggio 1999 



PREMESSA 



Questa ricerca sull'area costiera del comune di Vibo Valentia nasce dalla necessità 
di rispondere ad un quesito determinante per la nascita di una identità territoriale 
anche nei centri urbani posti lungo il litorale ed altrettanto importante per una 
corretta gestione e valorizzazione delle risorse del territorio: la storia 
dell'insediamento umano lungo la costa (oggi rappresentato dalle frazioni di Vibo 
Marina, Bivona, S. Pietro e Portosalvo) prende corpo alla fine del XIX secolo, con 
la costruzione del Porto di S. Venere, oppure ha origini insediative e produttive più 
antiche? 

Diversamente dalle altre comunità costiere della provincia di Vibo Valentia, dove 
la "memoria storica" si esplicita con tutta la sua forza in caratteristici centri storici, 
chiese, castelli e torri, nonché in tradizioni religiose e popolari, divenuti simboli 
visivi e rituali del senso d'appartenenza ad una comunità, lungo la costa vibonese, 
che pure presenta evidenti segni di una storia insediativa antica, è ormai radicata la 



Vivissima riconoscenza si esprime al Dott. Roberto di Vincenzo ed a Maurizio Antonico, Francesco 
Colloca, Roberto Timpani, nonché alla W.I.P. di Roma che, con la loro disponibilità ed il loro fattivo 
contributo, hanno reso possibile tale pubblicazione. Si ringrazia per la disponibilità e la cortesia 
dimostrata nel seguire la presente ricerca la Dott.ssa Maria Teresa Iannelli, Direttrice del Museo 
Archeologico di Vibo Valentia. Si ringraziano inoltre la Dott.ssa Vittoria Quarta, dell'Archivio di Stato 
di Napoli, la Dott.ssa Lucia Chinigò, dell'Archivio di Stato di Cosenza, la Dott.ssa Teresa Muscia, il 
Dott. Ferdinando Scaramozzino e Dott.ssa Maria Di Renzo dell'Archivio di Stato di Vibo Valentia, la 
Responsabile dell'Archivio Storico del Comune di Vibo Valentia Dott.ssa Luciana Carlizzi ed il 
personale tutto per la disponibilità garantita in ogni fase della ricerca documentaria. Si ringraziano 
altresì i comandanti della Capitaneria di Porto di Vibo Valentia Marina che dal 1995 hanno facilitato 
l'accesso ai documenti presenti nel loro archivio compartimentale nonché il personale civile degli uffici 
amministrativi marittimi. Un grazie particolare va al Dott. Vincenzo De Maria, per il costante e fattivo 
sostegno alla ricerca ed alla realizzazione di questa pubblicazione, a Clorinda Colosimo per la preziosa 
collaborazione fornita in questi anni, al Dott. Ferdinando Cammarota per l'attenzione e la pazienza con 
cui ha seguito questa ricerca. Si ringraziano inoltre Pietro Russo e Francesco Maduli per il materiale 
fotografico cortesemente fornitomi, nonché tutti gli anziani del mio paese che, con i loro racconti, 
hanno contribuito alla conoscenza e comprensione di usi, toponimi ed episodi difficilmente 
rintracciabili tra i documenti d'archivio. Infine, ma non per ordine d'importanza, un vivo ringraziamento 
va a mia moglie, Anna Maria Rotella che, sin dalle prime mosse, ha seguito e sostenuto l'impegno nella 
ricerca e l'entusiasmo della scoperta. 



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convinzione che il passato ed il tempo "partano" dalla posa della prima pietra 

dell'attuale impianto portuale di Vibo Marina. 

In nome di tale convinzione gli strumenti urbanistici e produttivi, ancor più che 

l'edilizia privata, hanno puntualmente trascurato, alterato o consentito la 

distruzione di molte delle testimonianze antiche esistenti, consolidando negli anni 

il senso d'appartenenza una comunità priva di storia e, ancor più, che ormai 

percepisce l'antico come ostacolo allo sviluppo. 

E' questo un sentimento consolidato e diffuso e, cosa ancor più grave, 

maggiormente nelle giovani generazioni, che vivono la loro ricerca di identità in 

una comunità che ha praticamente "espulso" dal suo tessuto urbano la storia dei 

luoghi. 

Il nostro percorso di "ricostruzione della memoria" parte proprio da tale errato 

preconcetto, seguendo le tracce evidenti e documentarie della presenza umana 

lungo il tratto costiero territorio vibonese, una sorta di "isola" mai per intero 

esplorata posta tra il mare e la collina, convinti che riscoprendo e valorizzando 

anche i piccoli segni del passato, possa essere in qualche modo ricucito il rapporto 

uomo-storia-territorio anche nella nostra comunità. 

Ogni contesto ambientale possiede caratteristiche geo-morfologiche e storiche 

peculiari che lo rendono unico ed incomparabile. Queste caratteristiche possono 

essere lette, per intero, nelle antiche costruzioni perchè è proprio la geo-morfologia 

di un territorio che ne condiziona nel tempo le fasi costruttive: le sue forme, le sue 

funzioni, le soluzioni strutturali, i materiali utilizzati, le modifiche, i riusi, le 

manomissioni e le spoliazioni 14 . 

Spesso la stretta relazione esistente tra territorio ed antiche costruzioni ha prodotto 

una "simbiosi strutturale" tale da trovarvi costruiti edifici con caratteristiche uniche 

ed incomparabili, che rendono altrettanto raro ed incomparabile il contesto 

ambientale in cui sono collocati. 

Questa osmosi tra antiche costruzioni e territorio, è ben rappresentata dall'area 

costiera vibonese, ed in particolar modo dal tratto che dall'antica Rada di Santa 

Venere conduce al Torrente Trainiti che, grazie anche ad un'attenta rilettura delle 

fonti storiche ed a nuove ricerche documentarie, consente di rivelarne la 

sorprendente trasformazione ambientale e l'inatteso, quanto originale, percorso 

storico, offrendoci l'opportunità di riscoprire per intero la sua peculiarità rispetto 



"E' fondamentale considerare la costruzione non come un insieme asettico, indipendente, analizzabile 
autonomamente, ma piuttosto come una realtà che, essendosi venuta a realizzare in quel sito e non in 
un altro, è un'entità unica per i suoi intrinseci rapporti con l'immediato intorno. Il circostante va inteso 
come pavimentazione, come andamento altimetrico, come realtà naturale o artificiale, come adiacenze, 
come spazio aperto o chiuso, come quinta d'ombra e così via". Polla E., // rilievo critico come 
ripercorso progettuale. L'osservazione incrociata, in Esperienze di Storia dell'Architettura e di 
Restauro, Firenze 1987, voi. IL 



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all'intero territorio calabrese e di apprezzarne il suo inestimabile valore storico ed 
ambientale. 

E' da premettere che negli ultimi due secoli fattori antropici e naturali devastanti, 
hanno completamente modificato l'assetto ambientale e morfologico della costa 
vibonese: il costante avanzamento della linea di costa, verificatosi dal 1760 in poi, 
ha completamente interrato i resti degli antichi porti costruiti tra il periodo greco e 
quello alto medievale; le bonifiche attuate dalla metà del XVIII secolo, hanno 
consentito il riutilizzo agricolo di gran parte della fascia costiera, dapprima 
paludosa, umida e malsana; i lavori per la costruzione della linea ferrata Napoli- 
Reggio, nonché quelli per la costruzione del Porto di Santa Venere (oggi Vibo 
Marina) ultimati nella seconda metà del XIX secolo, hanno ulteriormente 
modificato la linea di costa; ed infine la recente destinazione dell'area ad 
insediamento industriale, ne ha definitivamente stravolto la natura ed il paesaggio. 
Il Castello di Bivona, costruito proprio in tale fascia di territorio costiero, rimane 
oggi l'unica, quasi inspiegabile, testimonianza visiva di un diverso assetto del 
territorio che, grazie ai possenti resti della sua struttura, è oggi possibile riscoprire 
e rileggere in tutta la sua valenza storica, economica ed ambientale. 
Nell'Italia meridionale la costruzione dei castelli e delle torri sul mare o in luoghi 
ad esso vicini è legata essenzialmente alla necessità, nell'alto medioevo, di creare 
valide difese alle incursioni dei saraceni, che proprio in Calabria ed in Sicilia 
effettuarono una fortissima pressione penetrativa 15 . Il Castello di Bivona venne 
costruito proprio per tutelare il complesso impianto portuale esistente tra i torrenti 
S. Anna e Trainiti, dalle pericolose incursioni provenienti dal mare. 
La costruzione militare, per come oggi è visibile, in realtà rappresenta solo l'ultimo 
dei suoi stadi fortificativi, risalente al XV secolo 16 , e che successivamente 
mutarono per le nuove esigenze nella strategia di difesa costiera e per il suo 
utilizzo a fini produttivi . 

Sia il mutare delle dominazioni e di conseguenza delle valenze economiche 
attribuite all'area, che il progressivo mutare della linea di costa, sono state causa di 
continue variazioni delle linee ideali di difesa, di avvistamento e di segnalazione 
militare nell'area, sin dalle sue più antiche fasi insediative. 



1 Catalano A., // Castello di Olevano sul Tusciano. Considerazioni sulla valorizzazione delle rocca/orti 
dirute, in AA.VV., I sistemi difensivi del bacino del Mediterraneo, Rossano 1994, p.294 

" Marturano F., // Castello di Bivona, in Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico e 
Urbanistico, III, Reggio Calabria 1991 



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Recenti ricerche dimostrano come una forte e consolidata valenza commerciale 
dell'area sia riscontrabile già a partire dalla seconda metà del IV sec. a. C. 17 , e che 
andò sempre più ad accrescersi nei secoli successivi per i nuovi rapporti di scambio 
tra la costa e l'interno del territorio calabrese, oltre che per l'importazione e 
l'esportazione di manufatti ed alimenti. 

Per la sua valenza strategico-militare, sin dal I sec. a. C. l'approdo marittimo fu 
teatro di battaglie navali ed incursioni piratesche ed è probabile che già in 
quell'epoca il territorio costiero fosse dotato di strutture difensive e di 
avvistamento in grado di tutelare le diverse attività economiche che ruotavano 
intorno all'emporio portuale. 

I traffici commerciali e marittimi che si svolgevano lungo la costa intorno al VI 
sec. d.C, furono in seguito positivamente influenzati dalla presenza di una delle 
prime e più influenti sedi vescovili della Calabria, e che proprio del porto di 
Vibona-Bibona si serviva per i suoi rapporti con la Santa Sede e con le sedi 
vescovili di Calabria e Sicilia. 

Nel porto affluivano zucchero, sale, grano, ovini, bovini, suini, insieme a legname, 
pece e tutta una serie di altri prodotti provenienti dal Monte Poro e dalle Serre 
diretti verso i paesi che si affacciavano sul Mediterraneo. 

Tali rapporti di controllo e di scambio, come dimostreremo, hanno scandito tutte le 
fasi storiche dell'area costiera, rendendo necessario fondare la sua difesa su di un 
articolato sistema difensivo nel quale, dal XVI secolo in poi il castello di Bivona 
costituì spesso l'elemento centrale delle comunicazioni militari tra le torri costiere 
e la città collinare. Le torri ed il castello vennero così costruiti ampliati e riadattati 
nel tentativo di far fronte alle mutevoli necessità difensive e doganali. 

II valore dell'area di Bivona e del suo castello è dato proprio dalle continue 
sovrapposizioni insediative, che oggi è possibile rileggere grazie ad una gran mole 
di documenti inediti, di studi e di ricerche che spiegano le radicali trasformazioni 
geomorfologiche ed antropiche del territorio. 

Da tale ricerca sembra emergere un'importante lezione storica: più la città collinare 
di Hipponio-Valentia-Monteleone si dimostrò in grado di costruire uno stretto 
rapporto economico con il territorio costiero, più riuscì ad acquisire un ruolo 
politico e strategico nella storia della nostra regione. 

E' nel periodo di regenza dei Duchi Pignatelli che il territorio costiero dello Stato 
di Montelone inizia a divenire sempre più marginale e "dipendente" alla città, 
subendo scelte insediative subordinate alle nuove esperienze produttive feudali, 
impostate sul latifondo e sulla pesca, che di fatto impedirono la nascita di un vero e 
proprio nucleo urbano. 



17 cfr. Vandermersch C, Monnaìes et amphores commerciales d'Hipponion, A propos d'une famille de 
conteneurs Magno-Grecs du IV siede avant J.-C, in La parola del passato, fasc.CCXXI, Napoli 1985, 
pp. 110-145 



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La ripartizione del territorio costiero in aree appartenenti ad uno sparuto numero di 
notabili locali, tra i più influenti dello Stato di Monteleone 18 , per tutto il XVIII 
secolo trasformò cioè la costa in un'area legata ad attività di diversificazione del 
reddito feudale, con produzioni agricole ed ittiche caratterizzate dal periodico e 
precario utilizzo di manovalanza a basso costo, proveniente per lo più dai vicini 
centri urbani di Pizzo, Longobardi, S. Pietro di Bivona, Briatico e Parghelia. 
Lo stesso porto di Bivona, tra il XVII ed il XVIII secolo, venne estromesso dal 
circuito del fiorente commercio marittimo per l'eccessiva pressione fiscale attuata 
dal Duca di Monteleone, tanto che, privo di investimenti strutturali e di 
manutenzione, non riuscì a sottrarsi ad un destino di abbandono e di distruzione. 

Se vengono considerate assieme la costante marginalità economica dello 
scalo portuale, la presenza di estese proprietà feudali, il preponderante 
assoggettamento militare dell'area in nome della difesa costiera, le iniziative di 
controllo e di esazione doganale, nonché la gestione militare dell'attività di 
monopolio del sale marittimo, si comprendono in pieno le ragioni che, prima del 
XIX secolo, impedirono l'urbanizzazione di questa parte di territorio con tali e 
tante caratteristiche positive: la quasi assoluta mancanza di piccoli "fondi rustici" e 
di contro, la presenza di estese proprietà in mano di pochi ricchi notabili 
monteleonesi, si è rivelata determinante nel ritardare l'evolversi dei fenomeni 
economici e sociali che normalmente consentono la nascita ed il consolidamento di 
un tessuto urbano. 

La frequentazione umana della costa vibonese, sin dai tempi più remoti, 
ha comunque prodotto forme diverse di antropizzazione le cui dinamiche 
insediative, ruotando esclusivamente intorno allo scalo portuale, hanno 
condizionato i grandi spazi territoriali compresi tra la costa ed i primi terrazzi 
collinari, portando alla nascita ed alla scomparsa, in epoche differenti, di luoghi di 
culto, ville suburbane ed aree produttive. 

Probabilmente nell'epoca della romana Vibona esisteva una piccola 
comunità organizzata ma il reticolo strutturale su cui si fondava dovette dissolversi 
definitivamente nel 1078, con l'utilizzo dei suoi resti per la costruzione dei 
nascenti centri urbani di Mileto e MonsLeo (odierna Vibo Valentia) . 

Da allora l'area costiera venne suddivisa in aree di competenza vescovile, 
badiale, baronale, militare ed infine demaniale, comunque riconducibili allo stesso 
modello economico del latifondo ed in cui, nonostante vennero intraprese costanti 
e diversificate attività produttive, la ridistribuzione sul territorio delle ricchezze 



Oltre al palazzo Ducale appartenente ai Pignatelli, nella marina di Santa Venere e di Bivona, 
esistevano, nei rispettivi fondi, i palazzi delle famiglie Portolano Francia, Capialbi, Gagliardi, Marzano, 
Tomarchiello, solo per citare alcune delle famiglie più influenti nell'economia monteleonese dal 1500 
in poi. 



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prodotte, investendo in qualche modo nel suo sviluppo, era un principio economico 
sconosciuto alla ricca baronia d'origine feudale. 

La metà del '700 rappresenta forse il momento più drammatico nella storia 
insediativa costiera: le strutture portuali sono ormai completamente insabbiate, 
distrutta dalle frane e dalla vegetazione la strada che collegava Monteleone al 
porto, e lungo la costa si respira l'area malsana della malaria e dei sopprusi 
baronali. 

Per comprendere le condizioni di quegli anni è il caso di adoperare le parole 
utilizzate dai cittadini dell'Università di Monteleone in una supplica indirizzata ai 
regnanti, nel tentativo di rivendicare la demanialità dello stato monteleonese: "avea 
un Porto più grande che nel Regno si rattrovava, essendo di linea retta più di un 
miglio, ed ora rovinato da poicchè avea essa avuto l'infelice sorte di essere 
baronale..." e più avanti "...ed il castellano (di Bivona, ndrj tiene giurisdizione 
proibitiva di vendere commestibili per tutta la marina di Bivona, spettando ad esso 
solo tal preteso jusso; e si puniscono i controvenienti collo carcere e perdita della 
robba, esposta a vendita..." ed infine "...Tiene inoltre ... proibitiva della pesca nel 
mare che bagna il territorio di Monteleone e jusso di esigere passi dalle 
cavalcature di soma che passano per colà, e di qualunque altro animale che per 
negozio si passa per detto territorio 

Il terribile terremoto del 1784 segnò ulteriormente il destino dell'area costiera 
vibonese, mettendo in moto quel progressivo abbandono del litorale il cui culmine 
è ben espresso in alcuni versi ottocenteschi scritti da un noto poeta monteleonese: 
"E avanti ogni pagghjiaru, ogni caseja, Crisciu l'erba di ventu e l'ardicheja."" 
Tale tendenza subì un'inversione solo dopo la creazione del Regno d'Italia. 
Con lo stato unitario la realizzazione di un nuovo porto nella rada di Santa Venere, 
a poca distanza da quello interrato di Bivona, coincise con la complessiva crescita 
delle idee e delle regole democratiche: il porto, gestito dalla Regia Capitaneria, 
divenne un reale punto di riferimento per le nuove classi imprenditoriali, che ben 
presto favorirono il ripopolamento della rada e, con la vendita delle aree demaniali 
ed il godimento dei diritti di colonia di gran parte dei contadini, la nascita di un 
nuovo nucleo urbano. 

Vi fu in quegli anni una complessiva riscoperta delle attività legate al commercio 
marittimo, ed il benefico influsso dato dalla marineria della vicina città di Pizzo, 
non mancò di favorire un maggiore investimento di risorse economiche e strutturali 
sul territorio dell'antico Feudo di Santa Venere. 



" ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 67, fase. 1 n. 3 e 4 



20 Ammira V., Poesie Dialettali, Edizioni G. Froggio, 15 febbraio 1929, Prem. Off. Tipografica G. 
Froggio, Vibo Valentia. 



16 



La costruzione di due linee ferrate poi, che unirono la costa organicamente sia alla 
città collinare che al resto della nazione, portò in breve alla nascita di un nuovo 
centro urbano, che oggi conta quasi diecimila abitanti. 

Con questo nostro lavoro ripercorreremo a ritroso la storia dell'area costiera 
vibonese, con l'intento di spiegare non solo i perchè della presenza di un castello 
oggi inspiegabilmente assediato da strade ed industrie, ma anche la ricchezza di 
vicende storiche, economiche e religiose del territorio in cui esso è costruito: la 
storia del porto greco-romano; quella dell'antica Diocesi di Vibona; quella della 
marineria e della attività di pesca e di smercio del tonno; quella del Fondaco del 
sale, e quella, per finire, della fiorente produzione della canna da zucchero. 

Tale ricerca, tentando di rispondere al quesito da cui è partita ed evitando sterili 
campanilismi, intende rendere più corposa e legittima la ricerca dell'identità 
territoriale costiera ed altresì offrire ulteriori stimoli e spunti di documentazione 
alla ricerca storica sull'intera regione che, quasi sottostimando la valenza 
economica e sociale delle aree costiere e del commercio marittimo, è stata sino ad 
oggi caratterizzata da un'esclusiva attenzione ai centri collinari, alle loro storie e 
tradizioni, nonché alle loro produzioni agro -alimentari e manifatturiere, 
compromettendo un lettura d'insieme dei fatti economici della nostra regione. 
Convinti, al contrario, del ruolo svolto dalle attività marittime, commerciali, e 
fors' anche militari, nel favorire la complessiva crescita economica e culturale 
dell'intera regione, narreremo le vicende e le storie minime svoltesi nell'area 
costiera vibonese. 

Tutte storie e vicende ormai scomparse, ma che il Castello di Bivona, 
sopravvissuto alle aggressioni antiche e moderne dell'uomo, quasi divenendone un 
simbolo, testimonia e custodisce con i suoi ruderi, tra mare e terra. 



17 



I 



IL PORTO GRECO-ROMANO 
E L'AREA ARCHEOLOGICA DI BIVONA 



Il visitatore che oggi arrivi nell'area costiera vibonese, in realtà scorge ben poco di 

quello che anticamente fu uno tra i più importanti approdi marittimi sul Tirreno. 

Quello che era il suo bacino è oggi completamente interrato ed occupato da nuovi e 

dismessi capannoni industriali che ormai nascondono ai più anche i ruderi del 

castello di Bivona. 

Gli ultimi studi archeologici confermano che in tutta l'area costiera compresa tra 

l'Angitola, Vibo Valentia e Capo Zambrone esistevano sin dal Neolitico 

insediamenti umani che fondavano la loro economia sul traffico marittimo legato al 

trasporto ed alla commercializzazione dell'ossidiana proveniente dalle Isole 

Eolie 21 . 

La frequentazione dell'area del castello di Bivona è documentata da molte fonti 

storiche e bibliografiche che la fanno risalire alla fondazione della subcolonia 

locrese di Hipponion, intorno alla fine del VII sec. a. C, ed all'estensione della sua 

chora nei pianori sottostanti. 

Esistevano all'epoca piccoli insediamenti umani legati al controllo del territorio ed 

alle attività agricolo-marinare che gravitavano intorno all'area del porto ipponiate 

che Strabone indica costruito agli inizi del III sec. a. C. ad opera di Agatocle, 

Tiranno di Siracusa. 

L'antico geografo definisce il porto epineon della città ipponiate, e ciò porterebbe a 

supporre che l'insediamento greco posto lungo la costa, seppur legato 

"burocraticamente" alla città, fosse in realtà dotato di un'organizzazione 

amministrativa autonoma". 

Nel periodo in cui si consolidò la presenza greca nel territorio compreso tra la 

collina ed il litorale, l'asse distributivo che venne a crearsi tra V epineon e la polis 



21 Givigliano G.P., U organizzazione del Territorio, in AA.VV., Annali della Scuola Normale Superiore 
di Pisa, s. Ili, voi. XIX, 2, Pisa 1989, pp. 737-764. 

22 Strabone, VI, I, XV. 



18 



dovette rappresentare un grosso polo d'attrazione e di smercio per le produzioni 
agricole, peschereccie ed artigianali dell'intera comunità coloniale, oltre che 
divenire ben presto snodo commerciale con le poleis siciliane e calabresi e polo 
d'attrazione per ogni insediamento abitativo compreso tra le città greche di Terina 
e Medma. 

E' nell'antica area portuale che il tiranno siracusano Agatocle stabilì un primo 
avamposto militare ed il ricovero della sua flotta prima di sferrare il suo definitivo 
attacco alla città greca nel 294 a. C. 

Le fonti storiche in proposito sono un po' avare di notizie, tant'è che non è del 
tutto chiaro se Agatocle nel periodo in cui fu padrone d'Hipponion, abbia 
"ristrutturato" il pre-esistente approdo 23 utilizzato dai primi coloni ipponiati, 
oppure se ne abbia realizzato uno nuovo per sfruttare al meglio l'insenatura del 
torrente Trainiti. 

Comunque sia, negli anni del dominio siracusano, lo scalo marittimo doveva 
essere necessariamente in grado di rendere facile l'approdo alla flotta siracusana ed 
allo sbarco di fanti, cavalieri e delle numerose macchine da guerra utilizzate per 
l'assedio della polis. 

L'analisi sul ruolo dell'approdo costiero nella complessiva organizzazione del 
territorio, seppur le prime fonti storiche la legano alla presenza agatoclea, obbliga a 
compiere per un attimo un passo indietro nella storia. 

Nella città di Hipponion, intorno al IV sec. a. C, praticamente due secoli dopo la 
sua fondazione, venne coniata una serie monetale in bronzo con impresso sul dritto 
un particolare tipo di anfora vinaria da trasporto, nota agli esperti come "greco- 
italica", ed ampiamente diffusa in tutto il Mediterraneo per un ampio arco 
cronologico compreso tra il IV ed la fine del II sec.a.C. 

La simbologia adottata in quella che risulta essere una delle più tarde coniazioni 
della polis ipponiate rivela, non solo quanto fosse determinante nell'economia 
complessiva della città ipponiate la coltivazione della vite e la produzione del vino 
ma, ancor più, indica inconfutabilmente quanto il commercio marittimo fosse in 
quei secoli il vero tratto caratterizzante della sub-colonia locrese 24 rispetto alle altre 
poleis magnogreche. 

Considerando la valenza economica della produzione vinaria, attestata dalla serie 
monetale, nonché la produzione di quel particolare tipo di anfore utilizzate per il 
suo trasporto, è possibile ipotizzare che già nei primi anni dell'organizzazione 



23 Givigliano C, Iannelli M.T., Hìpponio-Vibo Valentia: la topografia, in Annali della Scuola Normale 
Superiore di Pisa, s.III, voi. XIX, 2, Pisa 1989, pp.627-681. 

24 Vandermersch C, Monnaies et amphores commerclales d'Hipponion, A propos d'une famille de 
conteneurs Magno-Grecs du IV siede avant J.-C, in La parola del passato, fasc.CCXXI, Napoli 1985, 
pp. 110-145. 



19 



territoriale della polis ipponiate, il ruolo del "borgo marittimo" sia stato tutt'altro 
che secondario nella crescita economica della città magno-greca. Le tante e ricche 
opportunità di scambio offerte dall' emporium, citato da Strabone solo in relazione 
alla conquista agatoclea, in realtà possono avere un'origine ben più antica, legate 
certamente ad un preesistente scalo portuale dove far confluire tutte quelle attività 
legate allo scambio ed alla compravendita delle mercanzie. 
Ma ritorniamo ad Agatocle ed alla sua conquista di Hipponion. 
Sbarcato senza grosse difficolta nello scalo ipponiate con navi sufficienti a 
contenere un numeroso esercito, il Tiranno siracusano cinse d'assedio la città, nel 
frattempo sotto il dominio dai Bretti, i quali come garanzia della loro definitiva 
resa consegnarono 600 ostaggi al presidio siracusano. Non sappiamo quanto durò 
l'occupazione siracusana, ma certo fu un periodo abbastanza lungo, se gli 
occupanti ebbero il tempo di realizzare l'impianto portuale e, ancor più, coniare 
monete della città con simboli agatoclei 25 . 

Non è da escludere che gli ostaggi ipponiati siano stati utilizzati nei pesanti lavori 
per la costruzione di quel porto che, secondo le mire di Agatocle, doveva 
contribuire a rendere più effettivo il suo dominio nel Bruzio e nel Mar Tirreno. 
Stando a Diodoro, qualche tempo dopo gli Ipponiati si ammutinarono, uccisero i 
soldati del presidio liberarando gli ostaggi ed affrancandosi definitivamente dal 
dominio siracusano" . 

Successivamente "ì romani cacciarono i Bretti che la occupavano e le diedero il 
nome di Vibona Valentia" 11 , episodio raccontato anche da Velleio Patercolo 21 che 



The Numismatic Chronicle and Journal of the Royal Numismatic Society — London. Vd. Evans A. J. 
(1889), Seltman C. T. (1912), Vlasto M. P. (1930). 

21 DIOD., XXI, 8. 

27 Strabone, VI, I, XV. 

VELL. PAT., I, 14, 8, "At initio primi belli Punici Firmum et Castrum colonis occupata, et post 
annum Aesernia postque septem et decem annos Aesulum et Alsium Fregenaeque post biennium 
proximoque anno Torquato Sempronioque consulibus Brundisium et post triennium Spoletium, quo 
anno Floralium ludorum factum est initium. Postque biennium deducta Valentìa et sub adventum in 
ltaliam Hannibalis Cremona atque Placentia". Negli ultimi anni la validità del racconto di Velleio è 
stata messa in discussione dalla ricerca storica che propende ad assegnare tale città alla colonia spagnola 
di Valencia oppure a Valenza Po, ritenendo più fondata la versione di Livio (che la data al 194-192, in 
XXXIV, 53 e XXXV, 40). Difatto par strano che Velleio inserisca una città spagnola mentre narra una 
dettagliata cronologia delle presenza romana nella penisola italiana, visto il suo escursus storico 
inserisce Valentia tra Brindisi a Cremona. E' da aggiungere che successivamente Livio denominerà la 
nuova colonia Vibonem , senza accennare ad alcun toponimo riferito a Valentia. Con tutta probabilità la 
testimonianza di Velleio è da intendersi come segnalazione di un piccolo avamposto romano non ancora 
in grado d'essere elevato a colonia, con la conseguente ripartizione del territorio coloniale tra i militari 
inviati da Roma . Tra le date testimoniate dai due storici romani, nel 218 a. C. la città ipponiate risulta 
occupata dai Cartaginesi, Vd. LIVIO, XXI, 51. 



20 



data la definitiva cacciata dei Bretti da parte dei romani al 237 a.C, epoca in cui 
fondarono un primo insediamento romano nell'area ipponiate. 
Che lo scalo di Vibona fosse ben inserito nelle principali rotte del commercio 
marittimo romano è dimostrato dal ruolo assunto dal porto nello smercio del 
legname e della pece proveniente dai boschi calabresi, che portarono negli anni alla 
creazione di un vero e proprio asse viario-distributivo tra la Sila e le Serre, aree per 
eccellenza destinate alla produzione di legname, tavolati e pece, ed il porto di 
Vibona, tramite il quale tali prodotti raggiungevano i principali porti dell'Impero. 
Difatti lo smercio del legname e della pece costituiva all'epoca una delle maggiori 
entrate per stato e per i privati che ne gestivano gli appalti 29 . 

Le vicende militari legate all'utilizzo del porto Vibona, che sembrano confermare 
la presenza romana precedente alla fondazione della colonia del 192 a.C, 
testimoniano come lo scalo divenne un'importante base strategica per la flotta 
navale romana sin dal 218 a.C. circa, epoca in cui la presenza di una flotta navale 
romana viene segnalata nelle acque del "Viboniesem agrum maritimanque" da Tito 
Livio 30 , in preparazione della guerra di Roma contro Filippo di Macedonia. 
Del resto, con il progressivo aumento delle sue conquiste, Roma dispose in quegli 
anni di un numero sempre maggiore di città marinare, che si rivelarono utilissime 
nell'impianto di cantieri per le costruzioni navali, per la fornitura degli equipaggi 
necessari alla sua flotta e per il controllo delle popolazioni del Bruzio 
Secondo quanto tramandatoci da Tito Livio è facile supporre come l'area costiera 
vibonese costituì, ancor prima della deduzione coloniale, un punto di riferimento 
navale per la flotta romana, ed in cui agiva Sesto Sempronio, legato del console 
romano Tito Sempronio, al comando di una spedizione navale che aveva lo scopo 
di difendere il territorio costiero brettio durante lo svolgimento delle guerre 
puniche, nel 201 a.C. 31 



Givigliano G.P., L'organizzazione..., Op. cit., pp. 737-764; Giardina A. (a cura di) AA.VV., L'uomo 
Romano, Ed. Laterza, Bari 1993. 

Tito Livio, XXI, 51, 4 — 6: "Iam forte transiserant ad vastandam Italie oram, depopulatoque 
Viboniensi agro urbem etiam terrebant. Repetenti Siciliani consuli exscensio hostium in agrum 
Viboniensem facta nuntiatur, litteraeque ab senatu de transita in Italiani Hannibalis, et ut primo 
quoque tempore collegae ferret auxilium, missae traduntur. Multis simili anxius curis exercitum 
extemplo in naves impositum Ariminus mari supero misit, Sexto Pomponio legato cum viginti quinque 
longis navibus Viboniensem agrum maritimamque oram Italiae tuendam attribuì, M. Aemilio praetori 
quinquaginta navium classem explevit." 

31 Tito Livio, XXI, 3, 3: "M. Valerius Laevinius propraetor missus circa Vibonem duodequdraginta 
navibus ab Cn. Octtavio acceptis in Macedoniuam trasmisit." Anche Dionigi di Alicarnasso (XX, 15) 
conferma la presenza di una postazione romana, prima della guerra annibalica, legata alla sottomissione 
dei Brettii ed alla cessione di metà del territorio Silano. 



21 



Nel 194 a. C. viene decretata la fondazione della colonia latina di Vibona, 

completasi nel 192 32 con la partecipazione di 3700 fanti e 300 cavalieri che si 

ridistribuirono 64.500 iugeri del territorio ipponiate 33 . 

Considerando le notizie ricavate dalle fonti e dalle monetazioni romane, che 

sembrano porre una precisa distinzione tra Valentia e Vibona, è ipotizzabile che, 

pur costituendo un'unica comunità coloniale, il borgo collinare e quello 

marittimo 34 mantennero tale loro specificità territoriale anche dopo l'elevazione a 

municipium. 

Per quanto riguarda l'attività commerciale, come già detto, il porto forniva un 

grosso contributo per lo smercio dei prodotti locali e per l'importazione delle merci 

provenienti dal resto dell'impero romano. Il materiale ceramico rinvenuto nei saggi 



32 Tito Livio, XXXIV, 53, 1-2 (a. 194); XXXV, 40, 5-6 (a. 192). "Eodem hoc anno Vìbone colonia 
deducta est ex senato consulto plebique scito. Tria milia et septingenti pedites ierunt, trecenti equites 
(...)Triunviri deduxerunt eos Q. Naevius M. Minucius M. Furius Crassipe; quina iugera agri data in 
singulos pedites sutnt, duplex equitibus. Bruttiorum proxime fuerat ager. Brutti ceperant de Graecis." 

" Tito Livio, ibidem: 3700 pedites con 15 iugeri a testa e 300 equites con 30 iugeri ciascuno. 

" Pareti L., Storia della regione Lucano-Bruzia nell'antichità, a cura di Angelo Russi, Edizioni di 
Storia e Letteratura, Roma 1997, p. 435; Taliercio Mensitieri M., Le emissioni monetali della Calabria 
dall'età di Dionigi II a quelle di Annibale, in S. Settis (a cura di) in AA.VV., Storia della Calabria 
Antica, Età italica e romana, Cangerai Editore, 1994, pp. 599/615 L'apparente discordanza tra Tito 
Livio e Velleio Patercolo è tutta da leggere nelle diverse tappe con cui la presenza romana è attestata 
nell'area ipponiate. L'ipotesi di una distinzione tra due centri abitati, oltre ad avere origine dalle diverse 
fasi cronologiche (sia di fondazione che di decadenza), dell'insediamento romano, presenta tutta una 
serie di ragioni strategiche ed economico-commerciali legate alla ridistribuzione del territorio, non 
ultimo il fatto che i due centri risultano posti ciascuno su due diversi ed alternativi assi viari: uno legato 
ad un tracciato stradale, l'altro alle rotte marittime del Tirreno meridionale. Il nome Valentia, del resto, 
risulta attestato nel Lapis Pollae, itinerario romano meglio noto come Via Popilia che univa Capua a 
Reggio (la cui presenza è documentata dal cippo miliario rinvenuto a S. Onofrio), mentre la stazione 
Vibona . Balentia, è segnalata nella Tabula Puentingeriana (Cfr. Givigliano G. P., L' organizzazione del 
territorio, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Op. cit., pp. 761-763, nonché dello stesso 
a., Percorsi e Strade, in S. Settis (a cura di) in AA.VV., Storia della Calabria Antica, Età italica e 
romana, Gangemi Editore, 1994, pp. 243/334). Il punto di separazione tra i due toponimi romani 
(necessario perché la città era nota per il doppio toponimo o per distinguere tra tappe stradali interne, 
litoranee e marittime?) sembra porre un segno grafico di distinzione tra i due centri abitati, che 
meriterebbe ulteriori approfondimenti cartografici, anche alla luce dell'itinerario percorso da Cicerone 
che, nelle sue lettere, sembra porre una netta distinzione tra Vibona (porto) e Valentia (municipio). 
Nella Tabula Puentingeriana, una sorta di carta stradale del IV secolo conservata in una copia 
medievale, la tappa "Vibona - Balentia", risulta essere punto di partenza di ben quattro tracciati viari, 
ciò a conferma del ruolo della città nel complessivo movimento commerciale dell'intera regione, snodo 
stradale di un'importante scalo marittimo. 



22 



archeologici dell'area costiera, testimonia un intenso flusso commerciale con 

l'Africa Settentrionale, ma anche con le provincie romane dell'Europa meridionale 

e delle isole del Mediterraneo 35 . 

Ma è per la guerra civile tra Cesare e Pompeo, che il porto di Vibona viene 

ricordato dalle fonti storiche, a proposito dell'audacia dei veterani romani che vi 

erano stanziati. 

E' infatti nel 48 a. C. che, nello specchio di mare antistante la rada ipponiate, 

avvenne una furiosa battaglia navale tra la flotta dei veterani fedeli a Cesare e 

quella di Pompeo che, dopo aver assalito e distrutto la formazione stanziata a 

Messina, venne ad assalire anche quella in sosta nel porto vibonese. 

Ma vediamo come Cesare stesso descrive la battaglia navale svoltasi tra le acque di 

Messina e quelle di Vibo, il cui esito contribuì non poco alla vittoria su Pompeo ed 

alla riconquista della supremazia navale di Roma nel Mediterraneo. 

"La flotta era divisa in due parti, l'una agli ordini del pretore Publio Sulpicio si 

trovava nelle acque di Vibona, l'altra, comandata da Marco Pomponio, in quelle 

di Messina; 

Cassio accorse in quest'ultima città con le navi prima che Pomponio venisse a 

sapere del suo arrivo, lo sorprese in una situazione confusa, senza servizio di 

sentinelle e senza uno schieramento regolare; allora con il favore del vento ben 

sostenuto che spirava nel senso giusto, mandò contro la flotta di Pomponio navi 

onerarie cariche di fiaccole resinose, di pece e di stoppa e di ogni altro materiale 

adatto ad appiccare il fuoco e incendiò tutte le navi in numero di trentacinque, di 

cui venti erano dotate di ponti di protezione. 

Questa azione suscitò tale panico che pur essendo a Messina una legione come 

presidio, si potè a stento difendere la città, e se proprio allora non fossero giunte 

notizie della vittoria di Cesare, recate da staffette di cavalieri, quasi tutti 

avrebbero pensato che la città sarebbe stata perduta. Ma la piazzaforte fu difesa 

grazie alle notizie che erano arrivate in un momento quanto mai opportuno. 

Cassio si diresse quindi a Vibona contro la flotta e i nostri, spinti dalla stessa 

paura che li aveva colti a Messina, tirate in secco le navi, seguirono la stessa 

tattica di prima; Cassio approfittò del vento favorevole per lanciare allo scoperto 

contro le nostre navi circa quaranta navi da carico predisposte per appiccare 

incendi: il fuoco divampò alle due ali e arse cinque navi. 

E le fiamme si espandevano sempre di più per la forza del vento; a questo punto i 

soldati delle vecchie legioni, che per motivi di salute erano stati lasciati là, come 

difesa delle navi, non sopportarono una simile vergogna, si imbarcarono di 

propria iniziativa, presero il largo, si avventarono contro la flotta di Cassio e 



Il materiale ceramico ritrovato nelle diverse campagne di scavo archeologico è costituito da sigillata 
africana da mensa, da alcuni reperti di ceramica narbonense, oltre ad un notevole quantitativo di anfore 
di varia produzione, che dimostrano la notevole valenza commerciale dello scalo vibonese. 



23 



catturarono due navi a cinque ordini di remi; in una di queste si trovava Cassio, 

che però raccolto da una scialuppa, si diede alla fuga; furono inoltre affondate 

due triremi" . 

Alla morte di Cesare, anche il suo successore Ottaviano Augusto è costretto a 

scendere nel Bruzio per organizzare la guerra marittima contro Sesto Pompeo, 

figlio del Pompeo che undici anni prima era stato sconfitto dal navale di Cesare, e 

nel 38 a.C. trova rifugio nelle amiche acque vibonesi, ponendo nel porto la sua 

base operativa 37 . 

Tale presenza non può che aver giovato alla crescita economica della città di 

Valentia, così come al borgo marittimo di Vibona. 

Oltre al ritratto di Agrippa, ritrovato nelle Terme di S. Aloe, una ghianda missile 

con iscrizione, comprovano la testimonianza dello storico Appiano degli interessi 

imperiali sulla città romana. 

Il proiettile, che riporta impressi i caratteri Q _ SAL _ IMP, uniti al simbolo di un 

fulmine alato, restituisce l'onomastica di Q(uintus) Sal(vadienus) Rufis Salvius 

dimostrando inequivocabilmente come il comandante della legio X Fretensis, 

durante la guerra navale tra Ottaviano Augusto e Sesto Pompeo, tra il 42 ed il 36 

a.C. tentò un attacco militare anche in questo territorio 38 , utilizzando certamente 

per lo sbarco l'approdo portuale. 

Fu probabilmente il ruolo svolto dal navale di Vibona ad indurre Ottaviano 

Augusto ad esentare la città dalle confische triumvirali per le quali, in un primo 

momento, era stata prescelta 39 . 

Nel clima culturale dell'età augustea la stessa presenza di un porto, nel quadro 

delle iniziative di sostegno delle colonie romane nel I sec. d. C, era ritenuta 

testimonianza visibile di una precisa strategia economica e difensiva, secondo 

quanto ricaviamo dalle stesse parole di Strabone che, a conclusione della sua opera 

geografica, ribadisce come le coste italiane fossero all'epoca generalmente 

sprovviste di porti "ma, quando ci sono, sono grandi e mirabili" considerando 

inoltre come "Za prima caratteristica, costituisce un vantaggio nei confronti delle 



3 Fernando Solinas F. a cura di, Cesare, La guerra civile, De Bello Civili, III, 101, 1-5, Mondadori, 
Milano 1989, pp. 284-287. Anche nel racconto di Cesare appare il toponimo Vibonem nell'indicare la 
base ararittima del suo navale. 

" Appiano, Bellum Civile, V, 91, 99, 103, 105, 113. 

Costabile F., Salviedieno Rufo e la legio X Fretensis nella guerra navale tra Ottaviano e Sesto 
Pompeo, in Riv. Stor. Calabr., VI (1985) pp. 357-374. La ghianda missile è un proiettile di piombo fuso 
da lanciare con una fionda. 

" Gabba E., Appiani Bellorum Civilium lib. V, Firenze 1970, p. 153. 



24 



aggressioni che vengono dal di fuori, la seconda favorisce sia la difesa contro gli 

attacchi esterni, sia lo sviluppo di un abbondante commercio" . 

In epoca romana il porto vibonese risulta inserito in un contesto territoriale ben 

definito, molto diffuso nell'Italia romana, organizzato secondo il modello delle 

fattorie-ville; ville che, allo stato attuale della ricerca, risultano disposte quasi a 

corona del vitale scalo portuale. I loro siti sono stati archeologicamente individuati 

in località S. Venere di Vibo Marina, nell'area del Castello di Bivona ed a Punta 

Scrugli di Briatico. 

E' facile supporre che, proprio per la loro localizzazione, tali ville costituissero i 

limiti interni dell'approdo romano, su cui basavano l'attività di scambio e di 

smercio delle loro produzioni agricole, compresa quella derivante dalla pesca e 

dalla coltivazione ittica, con un pescato che veniva descritto dall'antico geografo 

Aeliano 4 ' di grande qualità, ed in particolare, secondo la testimonianza di Atheneo, 

del tipo di pesce appartenente alla famiglia dei tunnidi, del quale il porto di Vibona 

risultava ricchissimo 42 . 

Anche la coltivazione della vite si dimostra presente ed attiva in epoca romana, 

rivelando un diversificato utilizzo dell'area di mezza costa a fini produttivi, che 

certamente aveva avuto il suo peso nella riorganizzazione del territorio in età 

romana. 

A circa due chilometri dall'area portuale, seguendo una strada carraia che da 

Portosalvo conduce a valle del paese di Pannaconi, sono stati ritrovati, alcuni anni 

addietro, durante i lavori di sbancamento di una cava, i resti di un attrezzatissimo 

impianto produttivo a vigna di epoca romana, provvisto di magazzini, torcularium 

e di ben 25 dolii interrati adibiti alla conservazione del vino. L'impianto, tra il I ed 

il II secolo d.C, poteva raggiungere una produzione annua di circa 6.250 litri del 

prezioso prodotto 4 ' e certamente fondava la sua ragione economica anche sulla 

vicinanza dell' emporium di Vibona. 

Tale ritrovamento può altresì far supporre (anche se l'assenza di evidenze 

archeologiche può farla apparire una forzatura), che la strategia economica adottata 



Strabone, VI, IV, 1. Straberne scrisse la sua opera geografica tra il 17 ed il 23 d. C, a cavallo tra la 
reggenza di Ottaviano Augusto e Germanico. 

Aeliano, De natura animalium, XV, 3. 

42 Atheneo, Deipnosophistae, VII, 302. Resti di peschiere (cetariae) di epoca romana sono oggi visibili 
in località S. Irene ed alla Rocchetta di Briatico, cfr. Iannelli M.T., Lena G., Givigliano G.P., Indagini 
subacquee nel tratto di costa tra Zambrone e Pizzo Calabro, con particolare riferimento agli 
stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce,, in Atti V Rassegna di Archeologia Subacquea, Ed. 
P&M, Messina 1992, pp.21-23. 

43 Sulla vigna di Pannaconi vd. Quilici L., Una vigna nel paesaggio della Calabria, in Archeologia 
Veneta XV - 1992, pp.l 17-129. 



25 



in epoca romana, di impiantare un'attività vinicola di notevoli capacità produttive 

in prossimità dell'impianto portuale, si sia "agganciata" a tradizioni e scelte 

economiche radicate al territorio già dall'epoca magnogreca, come dimostra la già 

citata moneta ipponiate, caratterizzata dall'anfora vinaria del V sec. a. C 44 . 

Anche Cicerone fa riferimento al porto in occasione dei suoi viaggi, sempre 

effettuati via mare, visto che Vibona, posta com'era tra i porti di Velia e Rhegium 

risultava allora uno degli scali principali sulla linea di navigazione per la Sicilia, 

sede della sua questura nel 75 a. C. 

E' nella primavera di quell'anno che Cicerone, appena trentaquattrenne, effettua il 

suo primo scalo a Vibona, un anno dopo la sua elezione a quaestor, nel viaggio che 

lo conduceva a Lilybaeum, sede della sua questura nella Sicilia Occidentale, a 

fianco del pretore Sesto Peduceo. 

L'anno successivo Cicerone ripassava dal porto di Vibona nel suo viaggio di 

ritorno dalla Sicilia. 

Nell'inverno del 71 a. C, anno in cui i Siculi intrapresero un'azione di de 

repetundis contro il loro governatore Verre, Cicerone sostò alcuni giorni nel 

territorio vibonese per raccogliere le ultime testimonianze e conferme, a 

conclusione dell'inchiesta, durata 50 giorni, sulle perversioni autoritarie del 

governatore siciliano. 

Quale testimonianza contro Verre, gli abitanti del municipio di Valentia dovevano 

riferire a Cicerone? 

Proprio di fronte al porto di Vibona, al lato estremo del Sinus Vibonensis, nella 

città di Thempsa, aveva trovato sede un gruppo di italici (Sanniti, Campani, 

Lucani) che, con le loro continue incursioni piratesche, provocavano danni assai 

gravi ai Vibonesi, rendendo insicura la navigazione e la vita nei centri costieri. Per 

tale ragione i vibonesi avevano inviato a Verre un'ambasceria, guidata da "homo 

dìsertus et nobilis M. Marius"* , nel tentativo di far intervenire il governatore 

contro i predoni che stazionavano nella vicina Thempsa. 

Ma l'accoglienza riservata loro dal governatore altro non dimostrò che la sua 

scandalosa connivenza con i pirati italici: Verre li accolse seduto sulla spiaggia 

vestito alla greca, privo cioè della toga romana, simbolo della sua funzione di 

governatore, rifiutandosi di accogliere le richieste di aiuto dei valentini 46 . 



44 Vd. Notali. 

4J Cic. in Verr. (II) V, 16: "Cum ad te Valentini venìssent et prò iis homo dìsertus et nobilis M. Marius 
loqueretur ut negotium susciperes, cum penes te praetorium (imperium ac) nomen esset, ad illam 
parvam manum extinguendam ducerti te principemque praebere.. ." 

" Cic. in Verr. (II) V, 16: "...ipsis autem Valentinis ex tam inlustri nobilique municipio tantìs de 
rebus responsum dedìsti, cum esses cum tunica pilla et pallio..." 



26 



Di fatto lo stesso Cicerone si dimostra convinto della protezione di Verre ai pirati 
di Tempsa, se lo accusa di aver preparato l'agguato tesogli in mare nel suo viaggio 
di ritorno tra Vibona e Velia, nel tentativo di sopprimerlo o comunque per 
impedirgli di essere presente a Roma il giorno del processo: "non ego a Vibone 
Veliam parvulo navigio Inter fugitivorum ac praedonum ac tua tela venissem, quo 
tempore omnis mea festinatio fuit cum periculo capitis, oh eam causarli ne tu ex 
reis eximerere si ego ad diem non adfuissem ?" . 

Imbarcatosi dunque, sempre dal porto di Vibone, per Velia su un parvulo navigio, 
sfuggendo all'agguato tesogli dai pirati di Tempsa, Cicerone raggiunse indenne 
Roma per la celebrazione del processo. 

In seguito Cicerone tornerà a Vibona all'epoca della triste vicenda del suo esilio, 
nel 58 a.C. 48 , anno in cui Clodio aveva proposto la sua rogatio. Deciso di 
raggiungere Malta, durante il suo viaggio "itineris nostri causa fuit quod non 
habebam locum ubi prò meo iure diutius esse possem", l'illustre oratore romano 
venne ospitato nella villa dell'amico Vibio Sicca "quam in fundum Sicae" , ed è 
da tale soggiorno che invia la terza lettera all'amico Attico, pregandolo di 
raggiungerlo "te oro ut ad me Vibonem statim venias, quo ego multis de causis 
converti iter meum", per poi proseguire insieme alla volta della Macedonia. 
Avuta però la notizia di essere costretto ad allontanarsi di 400 miglia dall'Italia, 
egli pensò di anticipare la sua partenza da Vibona, per non creare problemi 
all'amico vibonese 50 , dirigendosi alla volta del porto di Brindisi, da cui poteva 
facilmente imbarcarsi per il vicino Oriente 5 ' . 

Qualche anno dopo, esattamente nel 44 a. C. nel suo viaggio alla volta della Sicilia 
dopo la morte di Cesare, Cicerone ripasserà dal porto di Vibona, a bordo di una 



47 Cic. in Verr. (II) II, 40. 

41 Cic, ad Att. Ili, 4; XVI, 6; Pro Pian. 40, < 

" Cic. ad Att., Ili, 2. 



50 Cic. ad Att., IV, 4: "aliata est rogatio de mernìce meo; in qua, quod correctum esse audieramus, erat 
eiusmodi, ut mini ultra quadringenta mìllìa liceret esse. Ilio cum pervenure non liceret, statim iter 
Brundusium versus contuli ante die rogationis; ne et Sica, apud quem eram, perirei; et quod Melite esse 
non licebat". 

1 Cic. ad Att., XVI, 6: "Ego adhuc (perveni enim Vibonem ad Sicam) magis commode, quam strenue 
navigavi ... duo sinus fuerunt, quos transimitti oportet, Paestanus et Vibonensis ... Veni igitur ad Sicam 
octavo die e Pompeiano, cum unum diem Veliae constitissem ...IX Kal. (Maias) igitur ad Sicam. Ibi 
tamquam domi meae scilicet. ltaque obduxi posterum diem. Sed putabam, cum Regium venissem, fore ut 
illic ... cogitaremus ..., oneraria, statime freto, an Siracusis. Hac super re scribam ad te Regio. " 



27 



piccola actuarìa a dieci remi, che si dimostra utilissima a far fronte all'assoluta 
assenza di vento incontrata durante la navigazione 52 . 

Il problema della localizzazione dell'approdo greco-romano, costruito a forma di 
"braccio piegato"" secondo la testimonianza seicentesca del Fiore, venne 
affrontato, per la prima volta con "curiosità" scientifica, dall'archeologo francese 
Lenormant, che lo situò nell'area di Portosalvo, "all'estremo angolo disegnato 
della costa quando piega in direzione di Briatico", al riparo dai venti ed abbellito 
da una serie di arcate (delle quali l'archeologo riconobbe alcuni pilastri di 
sostegno), e provvisto di un'arcata centrale descritta a forma di arco trionfale in 
cui si ipotizzò inserita l'immagine scolpita di Nettuno 54 o di Giove ritrovata 
qualche anno dopo dalla visita del Lenormant, dall'Ispettore agli scavi di 
Monteleone Giovanbattista Marzano 55 . Questa ipotesi venne in quegli anni 
avanzata proprio per il particolare tipo di lavorazione della scultura in marmo, che 
presenta una forma ad ovale o di medaglione, appiattita della parte posteriore, 
come ad indicare una sua originaria collocazione all'interno, o davanti, di una 
struttura architettonica. 

L'autorevolezza delle fonti ed i rinvenimenti archeologici avvenuti durante i lavori 
per la realizzazione del tracciato ferroviario costiero, indussero 1' 1 1 giugno del 
1916 l'insigne archeologo Paolo Orsi ad organizzare, insieme al fraterno amico 



Cic, ad Att. XVI, 6,1. Per meglio analizzare i soggiorni di Cicerone, cfr. Crispo C.F., I viaggi di M.C. 
Cicerone a Vibo, in "Archiv. Stor. Cai. Lue.", 1941, pp.3-47, nonché De Gaetano F., Ubicazione del 
Fundus Siccae, in "Italia Nobilisima", 1938, pp. 413-427. 

3 Fiore G., Della Calabria Illustrata, Napoli 1691 (rist. Sala Bolognese 1977) p.24. 

i4 Lenormant F., La Magna Grecia, voi. Ili, Chiaravalle Centrale 1976, pp. 156-157. 

35 Luschi L., Documenti inediti di scavi a Vibo Valentia tra ottocento e novecento, in Annali , op.cit.,.pp 
505-508. Il 9 gennaio del 1895, nel segnalare i rinvenimenti archeologici che si verificarono durante i 
lavori ferroviari della tratta Eboli-Reggi, il Marzano invia una nota alle autorità governative in cui 
scrive: "... Nella trincea Scrugli si rinvennero: 11 monete imperiali; 1 raggio di pettine da donna; 3 
lucerne di terra cotta; 1 scacco di marmo esagonale di m 0,025 di lato; 1 testa di capitello di marmo 
bianco, avente dimensioni di m 0,24 x m 0,24; 1 pezzo di cornice di marmo bianco; 4 pezzi di marmo 
bianco, di cui uno con piccola modanatura; 1 altorilievo di Giove in marmo bianco, testa e tronco 
senza braccia, il tutto a forma ovale o di medaglione; 3 rottami di anf orette; 2 fusaioli di creta; vari] 
mattoni di sepolcro senza bollo. I sopraindicati oggetti si trovano conservati presso l'Ufficio 
Governativo delle Ferrovie di Briatico; ma rimasero nella Casina Scrugli vari] mattoni sagomati, vari] 
altri strati a rombo e vari] pezzi di cunetta di terra cotta". Per una puntuale descrizione della statua cfr. 
Faedo L., Aspetti della cultura figurativa in età romana, in S. Settis (a cura di), in AA.VV., Storia della 
Calabria Antica, Età italica e romana, Gangemi Editore, 1994, pp. 599-615. La statua appartiene alla 
produzione scultorea dell'età antoniana ma la perdita degli attributi non permette di identificare con 
precisione la divinità raffigurata (potrebbe essere Giove, Ade o Nettuno). La forma del volto che si 
restringe alle tempie, la fronte solcata da una ruga orizzontale, gli occhi infossati, la capigliatura che 
scende a incorniciare il volto in lunghi ricci e si dispone in una anastolè sulla fronte, la barba startita la 
centro, ricordano un noto tipo statuario del IV sec: lo Zeus di Otricoli. 



28 



marchese Enrico Gagliardi, una ricognizione attorno alle mura del Castello di 
Bivona ed un'escursione subacquea nello specchio di mare antistante, alla ricerca 
dell'antico porto. 

Nonostante l'enorme "distesa di cocci che invadono il suolo lungo gli spalti del 
castello", in cui si riconoscevano "fabbriche ellenistiche tarde (un coccio a 
mascheretta leonina nero del III-II secolo) e quelle rossigne romane", così come 
"le aretine genuine o contraffatte" , l'archeologo non rilevò alcuna struttura che 
meritasse "l'epiteto d'antico" . 

Forse la delusione e la fatica di un intero giorno speso in un'inutile ricerca di 
strutture murarie in alzato o sommerse dal mare, spinsero l'Orsi a scrivere nei suoi 
taccuini: "Hipponium ebbe certo il suo navale che dovette essere tra S. Anna e la 
villa Gagliardi, ma in epoca greca sarà stata una rada e nulla più, munita 
s'intende dei docks. Di un porto assurdo parlare. La regione priva di pietra e più 
che mai di grosse scogliere, difettava del materiale indispensabile per la 
costruzione dei moli. Se in età romana, quando l'ingegneria marittima era più 
progredita, sorgessero qui gettate in fabbrica, non saprei dire, ma propenderei 
piuttosto al no. Certo non se ne vedono tracce di sorta" . 

Grazie alle nuove tecniche di indagine archeologica, ed in particolare alla 
fotointerpretazione unita agli studi geomorfologici del territorio, i primi resti 
sommersi dell'antico porto furono trovati nel 1966, a poca distanza dall'attuale 
foce del torrente Trainiti' 7 . 

Tale scoperta, unita alla recente indagine subacquea condotta da Stefano 
Mariottini, ha permesso di rilevare proprio quelli che, con tutta probabilità, 
rappresentavano i due antemurali della struttura portuale, entrambi costruiti con 
massi squadrati e ciottoli, a poca distanza l'uno dall'altro 58 

Il manufatto maggiore, posto in direzione nord-ovest, dista circa 30 metri dalla 
riva, ha una lunghezza di circa 350 metri, una larghezza che varia dai 40 ai 70 
metri ed un alzato massimo di 2,5 metri; il manufatto minore pare legarsi alla costa 
in prossimità di Punta Buccarelli, orientato a nord-est, lungo circa 60 metri, largo 
20 metri e con un alzato massimo di 3 metri 59 . 



36 Spadea R., Paolo Orsi a Monteleone, in AA.VV., Annali Scuola Normale Superiore di Pisa, op.cit, 
pp. 530-531. In corsivo brani tratti dal Taccuino n. 106 di P. Orsi. 

5 Schmiedt G., Antichi porti d'Italia. I porti delle colonie greche, in L'Universo, XLVI, 1966, pp.296- 
356. 

"Per una precisa descrizione della ricerca vd. AA.VV., Annali Scuola Normale Superiore di Pisa, 
op.cit., pp.603-609. 

39 Iannelli M.T., Lena C, Givigliano G.P., Indagini subacquee nel tratto di costa tra Zambrone e Pizzo 
Calabro, con particolare riferimento agli stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce,, in Atti V 
Rassegna di Archeologia Subacquea, Ed. P&M, Messina 1992, pp. 21-23. 



29 



Il diverso orientamento dei due manufatti rispetto alla costa ed alla foce del 
torrente Trainiti è da mettere in relazione alla differente funzione delle due 
strutture: la prima aveva probabilmente lo scopo di difendere l'approdo dalle onde 
provenienti da grecale, la seconda da quelle di maestrale. 

Non è da escludere che il manufatto maggiore non iniziasse dalla linea costiera e 
che, lasciando un ampio varco libero tra l'inizio della struttura e la costa, svolgesse 
una funzione di vero e proprio "convogliatore della corrente marina". A riprova di 
tale ipotesi v'è l'assoluta assenza, su ambo i lati della struttura, del naturale riporto 
sabbioso dovuto alle correnti marine, oltre che dall'apporto del materiale inerte 
trasportato dal torrente Trainiti, che non poteva che sfociare all'interno del porto. 
I due manufatti, seppur non cronologicamente contemporanei, si rivelano oggi 
costruiti con grande attenzione nel regolare il flusso delle correnti per la difesa 
idrogeologica del bacino portuale. 

I due antemurali consentivano infatti alle correnti marine di entrare ed uscire dal 
porto, senza ostacolarne il percorso naturale verso nord. Tali benefiche correnti 
marine spazzavano incessantemente la rada, impedendo alla sabbia ed ai detriti 
provenienti dal torrente Trainiti, di depositarsi al suo interno e lungo il lati 
dell' antemurame maggiore, evitandone così l'insabbiamento. 
Lo scarto cronologico tra le due strutture confermerebbe la tesi della costruzione 
ex -novo dell'impianto portuale da parte di Agatocle, che sfruttò quindi solo in 
parte il preesistente approdo antico. 

Gli ultimi studi e scavi archeologici hanno fornito un ulteriore contributo nel 
delineare l'estensione del bacino portuale verso terra, grazie al ritrovamento, a 
breve distanza dal Castello di Bivona, di una struttura interrata lunga più di cento 
metri e larga quasi cinque, costituita da mattoni cementati con malta idraulica, che 
viene interpretata dagli studiosi come un'opera di banchinaggio 60 . 



Cucarzi M., Iannelli M. T., Rivolta A., The costai site of Bivona; Its detection end its environmental 
change througth geoarcheological exploration, Il Cairo 1993, Roma 1995, pp. 21-28, nonché Rotella A. 
M. — Sogliani F., // materiale ceramico tardoantico e altomedlevale da contesti di scavo e dal territorio 
della Calabria centro-meridionale, in Saguì L. (a cura di), AA.VV., Ceramica in Italia: VI — VII secolo, 
Atti del Convegno in onore di John W. Hayes, Roma, 11-13 maggio 1995, Ed. All'Insegna del Giglio, 
Firenze 1998, pp. 769-771: "La struttura (USM 102), costruita con frammenti di laterizi legati con 
malta idraulica, è stata interpretata come banchina portuale sìa per le sue dimensioni complessive che 
per la sua disposizione lungo un cordone sabbioso. Il momento della messa in opera della costruzione è 
riferibile agli inizi del V secolo, mentre il suo abbandono è databile al VII secolo d. C Accanto ad essa 
sono stati indagati ì resti di una serie di ambienti relativi alle vari fasi di vita dell'epoca, databili tra il 
II secolo avanti e la fine del V secolo dopo Cristo. A poca distanza dal tratto dì banchina di epoca 
romana, con ulteriori saggi di scavo, son state indagate strutture abitative e dì lavorazione che 
contribuiscono a conoscere meglio le modalità ìnsedìative dell'area prospiciente l'approdo, che 
presenta una continuità d'uso che va dal II secolo avanti al VI secolo dopo Cristo." 



30 



La tipologia costruttiva, ed ancor più le sue dimensioni, indicano chiaramente che 
il manufatto rinvenuto costituisce il tratto di epoca romana della struttura portuale. 
Accanto ad essa sono stati ritrovati resti di alcune strutture ad uso pubblico, le cui 
l'ultime fasi d'uso risalgono al VI sec. 

Poco più in alto dal tratto di banchina romana, in direzione sud-ovest, un ulteriore 
saggio archeologico ha messo in luce strutture abitative e di lavorazione, provviste 
di un'ampia cisterna o silos in pietre, con sovrapposizioni e fasi insediative che 
vanno dal II al VI sec. d. C, contribuendo a meglio delineare un'area abitativa 
prospiciente l'approdo. 

La cronologia dei materiali archeologici rinvenuti nell'area del Castello in questi 
ultimi anni, rivela inoltre la notevole continuità di frequentazione del sito, che 
possono essere riassunte in almeno tre principali fasi cronologiche: 

1) una fase greco-ellenistica, documentata dalla presenza di materiali datanti in 
stratigrafia e da quelli provenienti dallo scavo di una stipe votiva (IV sec. a.C.) 61 ; 

2) una fase di età romano-imperiale, di cui sono relativi ambienti di lavorazione e 
pubblici, oltre ad altri ambienti abitativi, forse appartenenti ad un insediamento, 
rivelando inoltre la presenza di una struttura rettilinea interpretabile come un'opera 
di banchinaggio (dal II al VI sec. d .C); 

3) una fase basso medievale, databile tra il X ed il XIV secolo d. C, documentata 
dalla presenza di un edificio di culto nella cui fase di abbandono furono messe in 
opera alcune sepolture 62 . 

Tali rinvenimenti e fasi cronologiche testimoniano, confermando pienamente le 
fonti antiche, come il porto ed il borgo marittimo ad esso collegato rivestirono un 
importante ruolo nella gestione delle risorse economiche del territorio, non soltanto 
nell'epoca della polis greca o in quella del municipium romano, ma anche epoche 
più tarde. 

Possiamo immaginare le navi arrivare per imbarcare o sbarcare il loro carico sulla 
banchina, o attraccate all'antemurale in attesa di scaricare le mercanzie su altre 
piccole imbarcazioni, oppure alate, tirate a secco sul lungo tratto di spiaggia per 
fronteggiare mareggiate e soste invernali o per effettuare le necessarie riparazioni e 
calafature degli scafi. 

La continuità d'uso del porto vibonese fino a tutto il VII secolo è documentata 
dall'epistolario di Papa Gregorio Magno, contenente una serie di missive 
riguardanti l'approvvigionamento ed il trasporto, via mare, di travi di legno fatte 



'Lo stesso Lenormant notò la presenza, nei pressi del Castello di Bivona, di grossi bacini per acque 
lustrali, ipotizzando la presenza di un tempio greco. Cfr. F. Lenormant, op.cit. p. 152. 

l! Cucarzi M., Iannelli M. T„ Rivolta A., Op. cit., pp. 21-28; Rotella A. M. - Sogliani F., Op.cit., p. 770. 



31 



tagliare nel Bruzio, per la costruzione delle chiese romane di S. Pietro e di S. 

Paolo 63 . 

In una di queste lettere, scritta nel 599, il pontefice romano si rivolge con una 

postilla al vescovo Venerio di Vibona, ribadendo come sua fosse la responsabilità 

di occuparsi del legname richiesto, proprio perchè "cultu proprio" 6 * la sua chiesa 

da tempo ne curava l'approvvigionamento . 

Ciò conferma che il ruolo assunto dall'approdo costiero vibonese non subì alcun 

contraccolpo dalla nuova amministrazione delle risorse del territorio calabrese 

assunta dal patriarcato romano e che, proprio grazie all'attenta e laboriosa presenza 

della Diocesi di Vibona, in esso continuavano ad esercitarsi significative attività di 

trasporto marittimo. 

In età binzantina, ed esattamente alla fine del VI secolo, Bibonan viene citata fra i 

castra dell' Eparchia Calabra 65 . 

Una successiva menzione del centro di Bybonam la ritroviamo nella traduzione 

latina "Passio SS. Senaotoris, Viatoris, Cassiodori et Dominatae" , datata tra il IX 

ed il X secolo, di una più antica versione greca, legata all'utilizzo di una flotta 

navale, lungo la costa vibonse, per sconfiggere i nemici del cristianesimo. 

Il precipitare degli eventi nei due secoli successivi, causato dalle incursioni arabe e 

dalla loro conquista per quasi cinquant'anni della città di Tropea (840-885) e di 

altri centri tirrenici 67 influenzò negativamente il destino dell'antico impianto 

portuale. 



3 S. Gregorii Magnii, Registrum Epistularum, libri I-VIV, voi. 2, Turnholti 1982 (Corpus 
christianorum, Serie Latina 140-140A), in proposito cfr. Sogliani F., Per la storia di Vibo Valentia dal 
Tardoantico al Medievo, in XXXVII Corso di cultura sull'Arte Ravennate e Bizantina, Ed Girasole, 
Bologna 1990, pp.466-467. 

4 S. Gregorii Magnii, Registrum Epistularum, op.cit., epistola 128: "Addendum Venerio episcopo: 
debes autem scire hanc fraternitati tuae curam vehementer incumbere, cuius ecclesia trabes ipsas olim 
cultu proprio consueverat procurare" . 

''Georgii Cyprii, Descriptio orbis romani, ed. P.M. Conti 1970, p. 95. 

" Fiaccadori D., Calabria Tardoantica, in AA.VV., Storia della Calabria Antica, Età italica e romana, 
Gangemi Editore, 1994, p. 735. Il brano tradotto in latino da Hubert Houben e dedicato a papa Vittore 
III (1086-1087), recita testualmente "... Sed Nocanor accipiende christianitatis falsa demonstrans 
promissa sanctis, duos milites secum ducens de navibus perexit ad urbem Bybonam" . 

1 Brusacchio G., Storia Economicità della Calabria, voi. II, Ed. Emmeffe, Chiaravalle Centrale 1977, 
p.114. 



32 



L'area portuale raggiunse la sua maggiore crisi insediativa nel periodo compreso 
tra il 915 ed il 983 d. C, anni in cui violente incursioni saracene causarono la 
distruzione completa del borgo marittimo, così come del centro urbano collinare 68 . 



s Gabrielli F., Storia, cultura e civiltà degli Arabi in Italia, in AA.VV., Gli Arabi in Italia, Milano 1985. 



33 



II 

LA DIOCESI DI VIBONA 



Le fonti ecclesiastiche sulla diffusione del Cristianesimo tra il IV ed il VII sec. in 
Calabria, testimoniano la presenza nel territorio vibonese di una sede vescovile 
molto importante per l'organizzazione ecclesiale calabrese ma, seppur consentono 
di seguire l'avvicendamento dei vescovi vibonesi, non forniscono alcuna 
indicazione precisa sulla ubicazione della sede vescovile. 

Prima di avanzare la nostra ipotesi, è importante ricordare come, dal III al VII 
secolo d. C, sia avvenuta una profonda trasformazione nella concezione urbana del 
mondo romano che tendeva a privilegiare lo spostamento insediativo nelle ricche 
ville suburbane rispetto all'accentramento abitativo in grossi nuclei urbani 69 . 
Tale decentramento delle residenze e delle attività economiche ad esse connesse, 
consentiva un migliore controllo ed utilizzo delle risorse del territorio e, per la 
vicinanza ai porti ed alle arterie di comunicazione stradale, facilitava la possibilità 
di scambi a lunga distanza. Questa tendenza al decentramento ed allo 
spopolamento dei nuclei urbani coinvolse, particolarmente nell'Italia meridionale, 
anche le prime organizzazioni ecclesiali del nascente cristianesimo: Monasterium e 
sedi vescovili vennero contruite, dal tardoantico in poi, quasi esclusivamente in 
luoghi distanti dalle città ed in coincidenza degli insediamenti legati allo 
sfruttamento agricolo del territorio. 

Una discreta prevalenza del materiale archeologico proveniente dall'area costiera 
vibonese, nell'arco cronologico compreso tra il III ed il VII secolo, rispetto a 
quello recuperato nella città, e la localizzazione di importanti ville romane proprio 



Cfr. in proposito E.A.Arslan, La ricerca archeologica nel Bruzio, in Bretti, Greci e Romani, Atti V 
Congr. Stor. Cai. (CS - VV - RC 1973), Roma 1983, pp 269-310, nonché dello stesso a., Ville e Città 
Romane in Calabria, in "Magna Graecia", IX, 9-10, 1974, pp. 1-8 ed Intervento, in La Magna Grecia in 
Età romana (Atti Taranto, XV, 1975), Napoli 1976, pp.331-337. Cfr. altresì Sangineto A.B., Per la 
ricostruzione del paesaggio agrario delle Calabrie romane, in S. Settis (a cura di) AA.VV., Storia della 
Calabria Antica, Età italica e romana, Gangemi Editore, 1994, pp. 559-588. 



34 



lungo il litorale costiero rispetto alle zone interne, confermano come questa 

tendenza abbia prevalso anche nel territorio da noi considerato 70 . 

La stessa villa di Vibio Sicca ed il fundus Sicae, citati da Cicerone nelle sue lettere 

all'amico Attico, erano poste "cras igitur in Sicae suburbano" , fuori cioè dalle 

mura della città di Valentia, e con tutta probabilità coincidono con i resti 

archeologici rinvenuti nella fine dell'ottocento nei fondi Rondinelli, Marzano e 

Santa Venere 72 . 

Va altresì sottolineato come i primi anni della cristianizzazione del territorio 

calabrese vennero caratterizzati dalle nascita delle cosiddette massae (come la 

massa tropeiana e la massa nicoteriana, ad esempio), veri organismi di gestione 

del territorio da parte delle prime forme di aggregazione dei cristiani calabresi, 

coincidenti spesso con preesistenti ville schiavistiche rurali romane. 

Del resto la gran parte di nuovi adepti alla fede cristiana proveniva proprio dalla 

classe più reietta della società romana, gli schiavi per l'appunto, che nelle ville 

produttive costituivano la maggiore popolazione. 

E' proprio in prossimità del porto di Bivona che venne ritrovata nel 1835 la 

seguente iscrizione cristiana: 

D M 

ATHENAIDI 
MATER FI 

LIAE DULC 

ISSIM FECIT 73 



- Sogliani F., Op. cit, p. 770: "L'analisi dei materiali del sito in esame conferma la 
presenza di una fiorente attività commerciale lungo la costa in età tardoantica, dato questo che risulta 
in contrasto con la documentata crisi nella realtà urbana di Valentia nello stesso periodo, consolidando 
con ciò la tesi di un territorio suburbano economicamente attivo, in cui sono documentati commerci ad 
ampio raggio che privilegiano i rapporti di scambio con il nord Africa, piuttosto che, come è attestato 
nel resto della Penisola, con l'oriente bizantino." 

71 Cic. ad Att, XII, 34. 

2 Pesce G., Bollettino d'arte del Ministero della Pubblica Istruzione, dicembre 1937, p. 251 e seg. 
L'autore ipotizza che la villa di Sicca fosse ubicata in contrada Santa Venere perché "non lungi dal 
mare ed appartata, poteva essere un rifugio ideale, per chi si trovasse in condizioni di fuggiasco" '. Del 
resto parrebbe essere logica la scelta di Cicerone di rifugiarsi in una villa suburbana, nel periodo del suo 
esilio, distante dalla città truimvirale di Valentia, sempre impegnata nel mantenere ottime relazioni con 
Roma, evitando così la delazione di chi lo ricordava per le testimonianze rese in passato contro Verre. 

dal porto di Vibona, consentendogli di non essere notato né dagli abituali utilizzatori del porto, che 
tante volte lo avevano da lì visto arrivare o imbarcarsi, né dai cittadini di Valentia che lo ricordavano 
per le testimonianze rese qualche anno prima contro Verre. 

3 "D(is) M(anibus) / Athenaidi I mater fi I liae dulc / issim(aQ) fecit". Capialbi V., Inscriptionum 
Vibonensium Specimen, Neapoli MDCCCXLV, p. 32. L'iscrizione, oggi scomparsa, risultava 
conservata in casa Lombardi Satriani, a San Costantino Calabro. 



35 



Nello stesso anno venne ritrovata un'altra interessante iscrizione che documenta 
nell'area la presenza di un certo Antioco il Samaritano, probabilmente 
riconducibile ad esperienze religiose 74 . Va inoltre aggiunto che, nella 
toponomastica costiera esiste, proprio a poca distanza dal Castello di Bivona, lungo 
il corso del torrente Trainiti, un'area (che meriterebbe certamente un'accurata 
indagine archeologica) denominata appunto Masa, dove esistono tracce 
archeologice di una frequenzione romana 75 , a poca distanza da quella ancor oggi 
denominata Vescovado. 

La letteratura antiquaria, del resto, narra del passaggio di San Pietro a Vibona, nel 
suo viaggio via mare da Reggio a Roma, dove fondò il primo oratorio cristiano nei 
pressi di un tempio, eleggendo in quel luogo il primo vescovo 76 , ed il ricordo della 
sua evangelizzazione sarebbe testimoniato dal nome di S. Pietro dato ad un antico 
borgo poco distante dall'area costiera 77 . 

Era all'epoca solito che i primi insediamenti cristiani si sopraponessero ai luoghi di 
culto pagani ed il recente ritrovamento a poca distanza dal Castello di Bivona di 
una stipe votiva 78 e da altri sporadici ritrovamenti in superficie 79 , sembrano 



74 "0HKH / ANTIOXOYEA / MAPITANON ". Capialbi V., Ibidem, p. 45. L'iscrizione viene segnalata 
dall'autore come ritrovata "prope Vibonìs Valentiae portimi anno 1835" e conservata presso il "meo 
museo". 



" L'area posta a ridosso del Campeggio Kursal di Portosalvo. Nel taglio operato per la realizzazione di 
una strada interpoderale erano visibili, fino a qualche tempo fa, i resti di una tomba a cappuccina, oltre a 
vari frammenti di laterizi d'epoca romana. 

Gualtieri P., Sacro Trionfo ovvero Leggendario dei Santi Martiri di Calabria. Napoli 1630, p. 39 

Il borgo di S.Pietro fu sede parrocchiale di tutti i centri costieri vibonesi fino al 1929 

" Lo scavo, effettuato clandestinamente da privati nel 1990, ha permesso il recupero di una statuina 
acefala di Persefone, un cavalluccio ed un gallo in terracotta, una fibula in bronzo, frammenti di 
ceramica a vernice nera, una statuetta a forma di corpo femminile, frammenti di un vasoconfigurato a 
forma di testa di donna, pesi da telaio, ecc. Questo materiale, consegnato alla Soprintendeza 
Archeologica della Calabria, è oggi conservato al Museo Archeologico di Vibo Valentia. 

" Nella collezione privata della famiglia Colloca di Mileto è presente un frammento di pinax in argilla 
rossastra, databile probabilemente al VI a. C, proveniente dall'area di Bivona (Cfr. Contributo al corpus 
delle terrecotte medm.ee e carta archeologica di Rosarno. in Medma ed il suo territorio, a cura di 
Paoletti M., Settis S., Bari 1981, p.59). Il reperto confermerebbe il culto di Persefone anche nell'area 
costiera, analogamente a quanto accadeva nel Tempio del Cofino, nella città greca di Hipponion. Del 
resto anche il Lenormant, op.cit. espresse con certezza il suo parere sulla preesistenza nel sito di un 
tempio:"Nell'antichità, sul terreno lievemente rilevato sul quale è costruito il castello, esisteva un 



36 



confermare l'ipotesi della presenza di un tempio greco in prossimità dell'area 
portuale, già avanzata nel secolo scorso dal Lenormant. 

La letteratura antiquaria locale narra che l'Abbazia della SS. Trinità di Mileto sia 
stata costruita da Ruggero il Normanno anche con i resti dell'antico Tempio di 
Persefone posto nella marina di Vibona: marmi, decorazioni architettoniche e fusti 
di colonne abbellirono la Chiesa abbadiale, secondo quanto riporta il rev. Padre 
Diego Calcagno, Vicario della Abbazia, "restaurati dagli edili, con colonne di 
marmo provenienti dall'antico tempio di Proserpina fabbricato a Vibona" . 
Inoltre, tra i resti del tempio trafugati dal sovrano normanno, risulta un blocco 
marmoreo su cui era posta la statua di Persefone, trasformata in Proserpina nel 
culto romano, che documenta il restauro della statua e degli altari durante la 
reggenza dell'imperatore Claudio Tiberio (41 - 54 d.C), curato dal senato consulto 
vibonese . 

Ma i resti del tempio di Vibona, o qualche segno strutturale della sua presenza, fino 
ad oggi, non sono stati ancora ritrovati. 

Per la sua localizzazione ci viene in aiuto il Marafioti, che riporta integralmente un 
brano degli Annali Normanni: "cumque apud Miletum duas construeret Ecclesias 
ex lapidus quadris, columnis lapideis, quas ab antico Proserpinae tempio 
paululum a Vibone semoto abstulerat..." . Anche il Martire riprende le notizie 



tempio. Si nota ancora qualche frammento architettonico di questo edificio impiegato nella costruzione 
medievale o giacente nei pressi. Raccattiamo parecchi piccoli pezzi di enormi bacinelle in terracotta 
usate per l'acqua lustrale, poste all' entrata dei templi e i cui esemplari meglio conservati si sono 
trovati nei recenti scavi di Selinunte ". 

80 Historia Cron. Abbatiae SS. Trinità, in Albanese F., Vibo Valentia nella sua storia, Grafica Calabrese, 
Vibo Valentia 1974, vol.l, pp.132 e 184 

Marafioti, Cronache et antichità di Calabria, lib. II, pag. \2ì:"Dovendo costruire presso Mileto due 
chiese usò le pietre quadrate e le colonne lapidee che aveva fatto portar via dall'antico tempio di 
Proserpina, poco discosto da Vibona"; Il blocco fu adoperato come basamento di una delle porte della 
Abbazia della SS. Trinità, recuperato nel 1795, è oggi custodito in un cortile interno del Museo 
Nazionale di Napoli. In esso risulta la seguente iscrizione: "Q. VIBULLS. L.F.Q.N.C. CINCIUS. C.F. 
PAUL. Ili VIR.I.D. SIGNUM. PROSERPINAE. REFICIUNDUM. STATUENDUMQUE. ARASQUE. 
REFICIUNDAS. EX. S.C. CURARUNT. HS. DCCLXX. MAG. FUERE. HELVIA. Q.F. ORBIA. 
M.F.", la cui traduzione è:" Q. VIBULLIO, FIGLIO DI LUCIO, NIPOTE DI QUINTO, CAIO CINCIO 
PAOLO FIGLIO DI CAIO, QUATTUORVIRI GIURISDICENTI, CURARONO, PER DECRETO 
DEL SENATO, CHE FOSSE RIFATTA E COLLOCATA LA STATUA DI PROSERPINA E CHE 
FOSSERO RIFATTI GLI ALTARI, PER LA SOMMA DI 770 SESTERZI. LE SACERDOTESSE 
FURONO HELVIA FIGLIA DI QUINTO E ORBIA FIGLIA DI MARCO". Per una precisa descrizione 
vd. Nusdeo V., op.cit, Vibo Valentia 1984. 

12 Ibidem, Op, Cit., lib. II, p. 121 



37 



della tradizione locale che narra della costruzione della SS. Trinità di Mileto con i 

resti di uno dei più bei templi della Magna Grecia, con le sue colonne di granito 

della Numidia del "tempo dei Gentili della dea Proserpina, nella marina di Vibona 

da dove il conte Ruggero li fece estrarre" . 

Si è già accennato nel capitolo precedente come il dato cartografico collochi il 

toponimo Vibona sempre nella zona costiera vibonese, legandolo esclusivamente 

all'attività portuale 84 . 

Lo stesso Cicerone 83 sembra, nelle sue lettere, porre una distinzione tra la città di 

Valentia ed il porto di Vibona, usando l'etnico Valentinis riferendosi agli abitanti 

di quello che egli stesso definisce inlustri nobilique municipio, mentre utilizza 

l'etnico Vibonensis ogni qual volta scrive dello scalo marittimo di Vibona, il che, 

operato da quello che si è rivelato il più assiduo frequentatore del territorio 

vibonese tra gli scrittori romani del I sec. d.C, sembra testimoniare quanto meno 

una specificità toponomastica, se non amministrativa, dei due centri. 

Gli epistolari papali inoltre rivelano Vibona come una sede vescovile importante 86 , 

e questo ruolo le veniva certamente dall'essere collocata nei pressi di un'area 

portuale che fino al secolo Vili, con il suo traffico marittimo, costituiva una sicura 

e veloce via di comunicazione, nonché via privilegiata dei rapporti con la sede 

papale e con il resto delle diocesi calabresi. 

Il primo vescovo della diocesi di Vibona di cui si ha notizia è Iohannes Episcopus 

Vibonensis. Il nome del vescovo vibonese compare in una lettera, inviata da Papa 

Gelasio (492-496) a tre vescovi calabresi, in cui viene annunciato il provvedimento 

di scomunica contro i Dionysii che avevano usurpato alcuni diritti della chiesa di 



83 Martire D., Calabria Sacra e Profana, Ms. in Archivio di Stato di Cosenza, Voi. II, fi. 384 

14 Determinante in tal senso risulta il percorso tirrenico dei primi anni del III sec. d.C. che nell'elencare 
la sequenza di scali marittimi aggiunge: "Hinc in Tuscum mare flexus est et eiusdem terrae latus 
alterimi, Maticana, Hìpponium, Vìbon, Temesa, Clempetia, Blanda, Bruxentum, Velia, Palinurus..." 
ponendo una netta distinzione tra Hipponion e Vibona. Cfr. MELA, 2, 69 (ed. Perroni) in Lombardo 
M., Fonti Letterarie della storia d'Ipponio, in AA.VV., Annali Scuola Normale Superiore di Pisa, 
op.cit., p.461 

Cicerone, che frequentò assiduamente l'area vibonese nel I sec. a.C, pare offrire la testimonianza più 
credibile della coeva diversità di toponimo tra borgo collinare e marittimo. Nelle sue lettere usa 
cronologicamente i seguenti toponimi: Vibone Veliam nel 80 a.C. (Verr., act. sec, II, 90-99); 
Valentini/Valentinis nel 70 a.C. (Verr., act. sec, XVI, 40); Vibone Brindìsium nel 58 a. C. (Att. S., Ili, 2 
e Pro Plancio, XLI, 97); ut ad me Vìbonem statim venias nel 52 a.C. (Att. S., Ili, 3); 
Vibonem/Vibonensis nel 44 a.C. (Att. XVI, 6, 1). 

"Questa la successione documentata dei Vescovi di Vibona: Iohannes Episcopus Vibonensis (fine V 
sec); Rufinus (559); Rufinus Episcopus (596-598); Venerius Vivonensis Episcopus (599-603); 
Papianus o Papinianus (649); Crescens (680); Giovanni (XII sec); Stephanus (787). 



38 



Vibona, ed in cui viene inoltre rimosso dall'ufficio ecclesiastico il prete Celestino 

che, contro il volere del vescovo e gli ordini della sede apostolica aveva osato 

amministrare agli stessi Dionysii la sacra comunione 87 . Nell'epistola papale per 

nessuno dei tre vescovi viene indicata la sede, ma visto che si riferisce ad episodi 

accaduti nell'ecclesia vibonese e che pochi anni più tardi, nel 499, Giovanni di 

Vibona risulta tra i vescovi intervenuti al sinodo romano convocato da Papa 

Simmaco 88 , è possibile indicare in esso uno dei destinatari di quella lettera. 

Nel 596 papa Gregorio Magno scrive a Rufino, nuovo vescovo di Vibona, 

ordinandogli di recarsi in visita nella vicina Massae Nicoteranae per consacrare un 

prete in grado di amministrare i sacramenti, visto che "non habet Ecclesia Me 

presbyterum, qui sacrum Mie opus valeat celebrare" . 

Il vescovo Rufino, secondo quanto scritto da papa Gregorio Magno' nel 597, 

assieme a Secondino vescovo di Taormina, risulta garante delle volontà 

testamentarie espresse dal vescovo siracusano Massimiano. 

A Rufino successe, nel guidare l'ecclesia vibonese, Venerio che incontriamo citato 

assieme ad altri quattro vescovi calabresi, sempre da papa Gregorio Magno, tra 

quelli che dovettero intervenire nella diocesi reggina per informarsi sui delitti che il 

clero locale attribuiva al locale vescovo Bonifacio". 

La frenetica attività di Venerio, chiamato spesso a dirimere situazioni conflittuali 

nell'amministrazione ecclesiastica calabrese, non può che confermare 

l'importanza assunta in quegli anni dalla Diocesi di Vibona. Venerio venne 

chiamato a sovraintendere all'elezione di "novelli pastori" anche nelle vicine 

diocesi di Turio e Tauriana 92 , nonché a sovraintendere, come già ricordato, 



Can. Minasi G., Le chiese dì Calabria da quinto al duocesimo secolo. Cenni storici, Stab. Tipografico 
Lanciano e Pinto, Napoli 1896, p. 64. "Quapropter Dionysii, qui sicut vestrae textus relatìonis ostendit, 
non sulum Vibonensie Ecclesìae jura turbare, sed etiam repensare, quod nequiter admiserant, 
respuerunt, sacrae communionis arceantur accessu..." (Ex Coli. Conci. Cardinalis Deusdedit Lib. Ili 
cap. 98. Migne Patr. Lati. V. LIX p. 101). La presenza di tale famiglia è altresì documentata da una 
iscrizione riportata dal Capialbi (Capialbi V., op. cit., p. 35), che scrive "ritrovata presso i muri di 
Vibonis Valentiae nel 1833: T . SCAEFIVS / DIONYSIVS / VIX . AN . XVII / PVLLIVS . 
DIONYSIVS / FILIO . OPTIMO . ET . SIBI". 

11 Ibidem, p. 81. 

19 Ibidem, p. 95, S. Gregorii Magnii, Registrum Epistularum, op.cit., Lib. VI epi. 41. 

'" Ibidem, p. 97, S. Gregorii Magnii, Registrum Epistularum, op.cit., Lib. X epi. 33. 

" Ibidem, p. 101, S. Gregorii Magnii, Registrum Epistularum, op.cit., Lib. IX epi. 47 e 48. 

" Ibidem, p. 104, S. Gregorii Magnii, Registrum Epistularum, op.cit., Lib. X epi. 17. 



39 



all'approvvigionamento ed al trasporto via mare del legname necessario per la 

costruzione delle chiese romane di S. Pietro e di S. Paolo 93 . 

Notizie di un nuovo vescovo di Vibona vengono dagli atti del concilio Laterano 

tenutosi a Roma nel 649; tra i 125 vescovi partecipanti risulta presente un certo 

Papinio o Papiano quale vescovo di Bivona 94 . 

Sempre a Roma, nel sinodo convocato da papa Agatone nel 679 interviene come 

unico vescovo calabrese Crescente di Vibona, mentre nel secondo sinodo, 

convocato un anno dopo, intervengono Stefano di Locri, Giuliano di Cosenza, 

Teofane di Turio, Pietro di Crotone, Paolo di Squillace, Abbondanzio di Temsa, 

Teodoro da Tropea ed Oreste di Vibona. Nello stesso anno il pontefice fece 

sottoscrivere ai vescovi occidentali una lettera da affidare ai legati pontifici 

affinchè la presentassero ai Padri del VI Concilio Ecumentico di Costantinopoli, ed 

in questa i vescovi di Locri, Turio, Taureana, Tropea e Vibona si sottoscrissero 

come vescovi di Calabria, distinguendosi dai vescovi bruzi, provenienti dall'area 

interna del cosentino 93 . 

Questa distinzione dei vescovi calabresi per aree territoriali interne e costiere 

permette di sostanziare ulteriormente l'ipotesi di una collocazione della diocesi di 

Vibona nell'area costiera vibonese essendo la stessa Calabria rappresentata da 

vescovi le cui sedi episcopali risultavano poste lungo la costa. 

L'ultimo dei vescovi di cui le fonti ecclesiali danno notizia risulta Stefano di 

Vibona che nel 787 partecipa al VII Sinodo Ecumenico convocato a Costantinopoli 

da papa Adriano I 96 . 

Ad oggi nessuna struttura religiosa risalente a quegli anni è stata 

archeologicamente identificata, né nell'area collinare né in quella costiera di Vibo 

Valentia, ma le fonti antiche ed in particolare un diploma normanno 97 del 1101 

indicano la presenza in Bibona di un "monasterium castellarum" , che è possibile 

ipotizzare come probabile residenza del primitivo clero vibonese e che forse 



93 S. Gregorii Magnii, Registrum Epistularum, op.cit., epistola 128: "Addendum Venerio epìscopo: 
debes autem scire hanc frate rnitatì tuae curarti vehetnenter incutnbere, cuius ecclesia trabes ipsas olirti 
cultu proprio consueverat procurare" . Cfr. Givigliano G., Iannelli M.T., Hipponio-Vibo Valentia: la 
topografia, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, s.III, voi. XIX, 2, Pisa 1989, pp. 627-681 
e Sogliani F., Per la storia di Vibo Valentia dal Tardoantico al Medievo, Op. cit, pp. 466-467. 

" Can. Minasi G., op.cit. p. 110. 

95 Ibidem, p. 16ep.ll3. 

" Ibidem, p. 144. Il confronto dei dati del Can. Minasi con la recente ricerca di Sogliani F., Op. cit., 
confermerebbe la nostra tesi della localizzazione costiera dell'antica diocesi di Vibona. 

" Diplomi Normanni (a. 1101, giù., Ind. II, in DJ. Bisogni, Hipponii seu Vibonis Valentiae, op.cit. 
pp.98-102. 



40 



soppravvisse alla spoliazione effettuata dal conte Ruggero dell'area costiera, 
proprio per tale sua caratteristica stutturale, che poteva prestarsi alla difesa 
dell'esistente approdo. 

Del resto uno dei primi provvedimenti amministrativi adottati dai sovrani normanni 
fu la concessione dell'area portuale, della tonnara e di altre pertinenze del territorio 
costiero alla Abbazia di Mileto, territorio che proprio in nome della sua antica 
origine vescovile "si sostenne indipendente da Monteleone sino al secolo XV, come 
si ha da vari Diplomj spezialmente de Re Angioini, che sono tra le scritture della 
Badia della Trinità date al Fisco nel 1774" . 

Di certo sarebbe stato contraddittorio riservare un'ampia area costiera, l'unica 
provvista di antiche strutture portali, sotto la giurisdizione ecclesiale proprio negli 
anni in cui si indirizzavano tutte le risorse economiche nella costruzione della città 
regia di Montis Leonis, giungendo finanche a revocare la popolazione limitrofa a 
stabilirsi nella nuova città collinare, se non fossero esistiti consolidati diritti 
territoriali sull'area da parte della Badia e del Vescovado; diritti alla cui conferma 
non poterono sottrarsi nemmeno i sovrani normanni. 

E' da ipotizzare che l'Abbazia della S.S. Trinità prima e la Diocesi di Mileto dopo 
mantennero, come vedremo dal X fin tutto il XVII secolo, sotto la loro 
giurisdizione unicamente tale area del territorio vibonese, proprio in virtù della 
collocazione in quell'area dell'antica diocesi di Vibona. 

Negli anni in cui tali organismi ecclesistici convissero nella città di Mileto, la 
questione della giurisdizione sull'area di Monteleone e di Bivona diede il via ad 
una forte lite amministrativa, che riassumiamo con le parole del Napolione 99 , 
Razionale e Computista della Mensa Vescovile di Mileto verso la fine del '700, al 
seguito di Mons. Giuseppe Maria Carafa, che fu Vescovo di Mileto dal 1756 al 
1785 : "Pretese il Collegio Greco di Roma, a cui dal Pontefice Gregorio XIII era 
stata data la Badìa della SS.ma Tinità di Mileto, di avere giuridizione spirituale in 
una porzione della stessa Città di Mileto (...) e di dodici luoghi abitati situati quasi 
nel Mezzo della Diocesi, e propriamente situati dentro de territori spettanti alla 
Badia che sono: S. Gregorio Superiore, S. Gregorio di Mezzo, Zammarò, Piscopio, 
Cramastà, Arzona, Pizzinni, Vena Sup., Vena Inferire, Triparni, Longobardi e S. 
Pietro di Bivona. (...) A dilucidar questa lite in quanto alla sua origine, e motivo, 
egli è da sapersi, che l'Imperatore Federico II, e I nostro Re di tal nome, fece, che 
circa la metà del XIII secolo fosse da Matteo Marcofaba, suo Segretario, fondata 
una Terra sul Monte di Bivona con fabbricarvi un Castello ed alcune Case, che 
chiamossi Monteleone. 



98 Luzzi V. F., Le memorie di Uriele Maria Napolione, Parte I, Memorie per la Chiesa Vescovile di 
Mileto, Laruffa Editore, Reggio Calabria 1984. 

" Ibidem, p.48. Il Memoriale fu redatto tra il 1770 ed il 1782. 



41 



Siccome si credette, che il territorio, in cui tal Terra fu fondata, spettava alla 

Badia della SS. ma Trinità, e venisse compresa nel territorio donatole dal Conte 

Roggiero; così crederono gli Abati, che la giurisdizione spirituale di tal nuova 

Terra a loro spettasse. " 

La diocesi di Vibona, a partire dal IX secolo, dovette attraversare un grave 

momento di crisi, dovuto essenzialmente alle incursioni saracene, che costringendo 

ad abbandonare gli ormai poco sicuri centri costieri, obbligò all'abbandono della 

sede vescovile che, da quel secolo in poi, divenne suffraganea della chiesa 

metropolita di Reggio Calabria 101 . 

I rischi per l'insediamento religioso derivanti dalle frequenti incursioni saracene, 

furono determinanti nella scelta dei nuovi invasori Normanni di trasferire la sede 

vescovile di Vibona dalla costa in un luogo più interno ed anche più difendibile del 

Monte di Bivona, come lo chiama il Napolione, anch'esso facilmente raggiungibile 

dai saraceni. 

Così venne scelta come nuova sede vicariale la città di Mileto, sancita dalla Bolla 

di Papa Gregorio VII nel 1073 102 , più che tutelata dall'attiva presenza del sovrano 

normanno. 

Una interessante, seppur succinta, storia del Vescovado di Bivona la fornisce lo 

stesso Napolione, continuando nell'elencazione dei possedimenti della Diocesi di 



100 La contesa tra la Badia e la Diocesi di Mileto sulla giurisdizione dell'ampio territorio di Monteleone 
ha origini antichissime e già con papa Clemente IV (1265-1268) si tentò di porre fine alla contesa, 
mandando nel 1265 Rodolfo, il cardinale vescovo di Albano, come delegato apostolico, il quale il 7 
ottobre del 1267 pose Monteleone sotto giurisdizione della SS. Trinità di Mileto (Russo, 1034). Il 5 
agosto 1268 lo comunicò a re Carlo, chiedendo la sanzione reale, che Carlo diede in data 9 agosto 1268 
(I Registri della Cancelleria Angioina, ricostruiti da R. Filangieri, I, p. 184, n.349). Il papa Gregorio X 
(1271-1276) confermò la sentenza del legato ed il decreto del Re, il 13 novembre 1272. (R8sso, 1058). 
Negli anni successivi sorsero delle controversie tra l'Abate ed il Vescovo per la giurisdizione su 
Monteleone e altre terre, così un giudice delegato dalla sede apostolica decise a favore del vescovo, il 
quale ne entrò in possesso, nonostante le proteste ed i dinieghi dell'Abate. Il vescovo si appellò a re 
Carlo. Questi ordinò al "Giusticiario" di Calabria di indagare (Regesto di Carlo I, anno 1281, lett. B, p. 
114, in Capialbi, Memorie. ..Mileto, pp. 159-160) Successivamente si addivenne alla convenzione del 
1287 che riconobbe al vescovo la sola giurisdizione sulla città di Monteleone ed all'Abate concesse tutti 
gli altri luoghi contesi. L'unione della Badia della SS. ma Trinità al Vescovato di Mileto fu decretata dal 
papa Clemente XI, con bolla del 15 agosto 1717, periodo in cui era vescovo Mons. Bernardini, dopo 
secolari contestazioni tra il vescovo e l'abbate. In compenso dei beni della Badia incorporati alla Mensa 
Vescovile, quest'ultima venne obbligata a corrispondere un pensione annuale di scudi romani 2.400 a 
favore del Collegio Greco di Roma, a cui i beni economici, provenienti dalle proprietà della Badia, 
erano stati devoluti fin dal 1577. 

1111 Sogliani F., op. cit. 

102 AA.VV., Beni culturali a Mileto di Calabria, Villa S. Giovanni 1982. 



42 



Mileto, nel Vicariato di Monteleone, che comprendeva oltre alla città collinare, S. 
Pietro di Bivona, Triparni, Longobardi, Vena Superiore, Vena Inferiore e 
Stefanaconi. Egli inizia in tal modo l'antica storia della diocesi: "S. Pietro di 
Bivona. Antica, ed assai famosa Città Greca, che fu decorata dalla Sede 
Vescovile. Essendo poi stata assassinata dai Goti, Longobardi e Saraceni, fu la 
Cattedra traslata in Mileto, come sopra detto. Con tutto ciò si sostenne 
indipendente da Monteleone sin' al secolo XV, come si ha da vari Diplomj 
spezialmente de Re Angioini, che sono tra le scritture della Badia della Trinità 
date al Fisco nel 1774. Finalmente divenne casale di Monteleone. La Chiesa 
Parrocchiale è intitolata a S. Pietro, ed è di Regio Patronato. Per la miseria or 
non ha parroco. 

Triparni. Anticamente era Casale di Bivona, e lo fu sino al secolo XV. Poi divenne 
Casale di Monteleone. Chiesa Parrocchiale sotto il titolo di S. Nicola, che già 
pretendevasi della giurisdizione della Badia della SS.ma Trinità. 
Longobardi. Anticamente pur Casale di Bivona, ma nel secolo XV fatto Casale di 
Monteleone. Chiesa Parrocchiale sotto il Titolo di S. Lionardo, dove dalla Chiesa 
di S. Maria, ch'era l'antica Parrocchiale, furono traslati i sacramenti per essere 
stato soppresso il convento de Carmelitani da Innocenzo X nel 1653, con darsi la 
chiesa al Parroco dopo tale soppressione, benché le rendite del Convento furono 
date alla Cappella del Santissimo Sacramento di Briatico. E pretendevasi già della 
giurisdiz'.e della Badia sud:a. " anche " Vena Superiore, Vena Inferiore erano 
anticamente pure Casali di Bivona, poi fatti di Monteleone" 

Con il trasferimento della sede vescovile a Mileto, e risolta la controversia 
giurisdizionale con la Badia della SS. Trinità di Mileto, la nuova organizzazione 
amministrativa del vescovado si caratterizzava per la suddivisione del territorio in 
Granetterie 104 , nelle quali Bivona risultava essere una pertinenza a parte, 
comprendente il "Fondo Vescovato ... una Terra di circa tt: 26 nom: Vescovato tt: 
8 di aratoria e tt: 18 arenose. Limita colla strada pubblica: da due diversi lati 
colla Badia della Santiss:a Trinità di Mileto: E col Mare: Sta registrata nella 
Platea di M:r Panzani al f.90" ed il "Fondo Majolini di circa tomolate 



Luzzi V. F., Le memorie dì Urìele Maria Napolione, Parte I, Memorie per la Chiesa Vescovile di 
Mileto, Laruffa Editore, Reggio Calabria 1984, pag.77-80. 

104 Le granetterie costituivano delle circoscrizioni territoriali agrarie, dislocate in tutto il territorio della 
diocesi. Granettieri di Monteleone, col compito di controllare e riscuotere i censi in grano, risultano: 
Canonaco D. Guglielmo Brancati al 1757; D. Pietro Murmura nel 1760 e D. Tommaso Frangipane 
1768. 

105 Luzzi V. F., Le memorie di Uriele Maria Napolione, Parte II, Memorie per ì beni della Mensa 
Vescovile di Mileto, Laruffa Editore, Reggio Calabria 1994, pp. 99-106. 



43 



dodeci..." 106 , i fondi restanti, come si denota dalla descrizione dei confini, 
rimanevano di proprietà della Badia della SS. Trinità di Mileto. 
L'impossibilità di rintracciare fonti precise per descrivere i beni appartenti alla 
potente Abbadia di Mileto non consentono una più precisa analisi della storia 
ecclesistica del territorio costiero nell'arco cronologico compreso tra il X e XV 
secolo. Soltanto un documento proveniente dall'Archivio Collegiale Greco di 
Roma, riguardante una visita pastorale al casale di Longobardi e S. Pietro effettuata 
all'inizio del 1600, riesce a fornire alcune indicazioni sull'antica presenza 
ecclesiale. Nel descrivere le chiese presenti lungo la costa, aggiunge: 
"... La 2 a Chiesa è dedicata a S. Fran(ce)co Saverio, e fu fabricata dal D. 
Dom(em)co Mariano vicino al suo Palazzo alla marina e proveduta di tutta la 
suppellettile necess(axi)a per celebrarsi ivi la Santa messa... " 
"...Nell'istessa Parrocchia vi sono due Cappelle, una nel Palazzo Ducale alla 
Marina dedicata a S. Venera. Per l'assenza detti Sig(no)ri Duchi in essa non si 
trova alcuna suppellettile sacra. L'altra Capp(e\\)a è dedicata a ... è dentro la 
Cangia di S. Dom(eni)co in Soriano dei PP. di quel Convento. Tutte queste Chiese 
si visitano dal P. Vic(a.ri)o, solo la Capp(e\\)a della Cangia di S. Domenico in 
Soriano non è stata visitata." 

Per quel che invece riguarda la Parrocchia di S. Pietro di Bivona viene appunto 
precisato come questa fosse sempre stata sotto la giurisdizione "dell'Abb(azi)a 
della Santis(si)ma Trinità di Mileto. La Chiesa di <f(ett)a Parochia è dedicata a S. 
Pietro Apostolo. Nell'Altare Magg(iox)e v'era l'imagine della Madonna della 
Pietà con S. Pietro e nella sinistra un Altare con molti Santi mantenuto da' 
Pescatori. In visitid) 1616: E' picciola Chiesa di capacità con un sol Altare in cui 
non vi è alcun obligo di Messa. La Lampa in <i(ett)o Altare è mantenuta dal 
Parocho, e alcuni del Popolo facendo la cerca all'arie, e nel tempo della 
vendemmia contribuiscono a <f(ett)o mantenimento col grano e con il Musto. 
In q(ues)ta Parochia di S. Pietro di Bivona vi sono due Chiese soggette, una 
dedicata alla Madonna del Carmine, eh' è proprietà de' Sig(no)ri di Crispo, in 
<f(ett)a Chiesa non vi è obligo alcuno di messa. L'altra Chiesa soggetta a d(ett)a 
Parochia è dedicata all'Immacolata Concettione della Madonna, et è proprietaria 
del Sig(no)r Stefano Marzano, e titolo di Benef(ìci)o Jus patronato di <f(ett)o 
Sig(no)r Stefano, et ha due messe la settimana di obligo. Ha la rendita di solo 
quindici ducati l'anno. Il benefiìci)o fu eretto da Nicolò Marzano l'8 Marzo 1688 e 



10 Nella Platea Panzani del 1654, f. 84v, dice che questa terra era posta " nella marina di Bivona, e 
proprio dietro il Castello". 

"" Dell'atto, conservato in fotocopia nella sede parrocchiale di Longobardi, e che si conosce come 
fotocopiato all'Archivio Collegiale Greco di Roma da Don Pino Caruso, ex Parroco di Bivona, 
Portosalvo, S. Pietro e Longobardi, non è stato possibile verificarne la posizione in archivio. 



44 



donato ad A«t(oni)o Marzano 24 Giugno 1689 per Istrum(en)to di Giuseppe.) 
Baldaro. 

In questa medesima parochia oltre altre Chiese dirute delle quali non vi è 
memoria, due vi sono delle quali ancora rimangono le vestiggie, una dedicata già 
a S. Michele Arcangelo, vicino al Castello di Bivona, l'altra detta Portosalvello 
vicino al mare. Il Numero dell'Anime di g(uest)a Parochia è di soli 150 in c(irc)tì 
consistendo la maggiorparte in Torri essendo piccolissim il Casale. 
La Chiesa di S. Michele nella Marina di Bivona nell'anno 1589 non solo era in 
piedi, ma vi celebravano due messe la settimana Lunedì e Mercoledì, e dava la 
limosina per esse il Sig.r Duca di Mont(e\eo)ne che teneva in affitto tutte le terre 
dell' Abbiadi) a nella Spiaggia di Bivona e stette in piedi fino al 1616. 
Vi si è aggiunta in q.ta Parochia un'altra Chiesa dedicata a S. Domenico, q.ta è 
stata fabricata dal Sig.r Dom.co Sacco, ed è stata benedetta alli 6 luglio 1700 dal 
Rev.mo P. Vico Diego Calcagno" 

Un atto rogato a Monteleone il 12 novembre del 1616 tra l'Abbate Lucas Felicellis 
Romanus, Procurator Generalis dell'Abbazia della Santissima Trinità di Mileto e 
Marcus Antonius Thomarchello, con cui vengono ad esso concesse in uso le terre 
poste "in loco detto la marina delle sciabache, nomata la selvagia" testimonia 
quanto fossero fino ad allora estesi e radicati i possedimenti dell'Abbazia lungo la 
costa. 

Un ulteriore documento del '700, conservato presso l'archivio della Diocesi di 
Mileto, che trascrive atti appartenti al Collegio Greco Romano, elenca i 
possedimenti dell'antica Abbadia proprio lungo la costa, e tra gli altri aggiunge: "... 
oltre alle chiese dirute, di cui non vi è più memoria, vi è la Chiesa di S. Michele, 
vicino al Castello di Bivona, che non solo è in piedi, ma si celebravano messe fino 
al 1616" n ". Lo stesso documento ci descrive la chiesa di S.Michele composta da 
"... tre altari: uno a devozione della S.S. Vergine Maria Immacolata, ove non v'è 
obbligo alcuno di messe, si celebra però la messa ogni Domenica, eh 'è festa di 
precetto, cui pagano dette messe parte della rendita d'alcuni censi, parte 
d' elimosina, che si raccolgono nel tempi della raccolta de' grani, parte d'altre 
elimosine di persone devote, e particolarmente de' marinai; il secondo altare è 
uno a devozione di S. Michele Arcangelo, di cui esiste l'antica statua di legno, 
credo posta per non perdersi la memoria della chiesa a lui dedicata vicin al 



108 ADM., Archivio Collegiale Greco, Visite 1725, n.75, p.90 

'"' ASVV., Notaio Costa Cosmo dì Monteleone (1601-1621), cord. 51, lib.. X/15, ff. 103-106. V'è da 
aggiungere che Marco Antonio Thomarchello risulta essere fratello di Fabrizio Thomarchello, che 
proprio nei primi anni del '600 gestiva il Fondaco del Sale, posto a poca distanza dalla cala delle 
sciabache, nella marina di Bivona. 

110 ADM., Archivio Collegiale Greco, Visite 1725, n.75, p.74 



45 



Castello di Bivona; il terzo è dedicato a S. Francesco Saverio moribondo; è stato 
eretto quest'altare l'anno 1693 per la devozione a questo Santo. Ha tutta la 
suppellettile necessaria per celebrarsi la messa. In questa chiesa suole stare un 
Romito che la guarda e la segue" . 

E' probabile che i recenti scavi archeologici abbiano riportato alla luce proprio 
parte della struttura religiosa nominata a S. Michele, descritta in precedenza ed a 
cui, in quest'ultimo testo, risulta innalzato una altare a devozione, ma un'ulteriore 
notizia, utile al fine della localizzazione dell'antica diocesi di Vibona, proviene da 
un documento del 1618 che, nel descrivere l'istanza presentata dal torriero Claudio 
De Luca, torriero di Nocera, di edificare una chiesa dedicata a S. Maria di 
Portosalvo, ci precisa che ad esso apparteneva "... una terra latoria, il cui giardino 
limita con il fondo detto Vescovado" , toponimo questo che, sia che testimoni 
l'appartenenza di tale area all'antica diocesi o che ne riveli l'antica esistenza, 
conferma comunque la presenza in tale sito di strutture religiose, alcune delle quali 
ritrovate nel 1905 dall'archeologo Paolo Orsi. 

Quest'ultimo scrive della scoperta di avanzi di un abitato romano-bizantino a 
seguito della bonifica del suolo di proprietà del Barone D. Lombardi Satriani, 
fondo che ancora oggi viene detto Vescovado dagli anziani di Portosalvo: "Attorno 
alla chiesa vi erano sepolcri di vario genere, cioè a cassa di mattoni, coperti di 
lastre marmoree o di tegoloni. Disgraziatamente del ragguardevole edificio, al 
momento della mia visita, nulla più rimaneva, perchè distrutto sin nelle 
fondamenta per trarne materiale: mi si mostrarono però due pezzi di soglie, una di 
quarzite calabrese, l'altra in marmo; vidi anche un frammento epigrafico assai 
mutilo (0,24 x 0,14) colle lettere LKOI - EVCA - O che dalla paleografia delle 
lettere e dal formulario ben va riferito ad un titolo sepolcrale dell'alto medioevo 
non so bene se cristiano o bizantino. Vidi altri pezzi provenienti da Porto-Salvo. 
Notai una rozza base di colonna certamente non classica, col tegolo di cm. 67,5 di 
lato. Mi impressionò un enorme lastrone marmoreo di m. 2,02 x 0,90 e 0,145 di 
spessore: ai margini esso ha dei fori per grappe metalliche e dei riquadri nella 
fronte... Ad età classica si riferisce la metà di un cippo marmoreo pure da Porto- 



ADM., Archivio Collegiale Greco, Visite 1618, n. 37, p. 56 "Il torriero Claudio De Luca della terra 
di Nocera, che aveva una terra latoria II cui giardino limitava con il fondo detto "vescovado", fa istanza 
per edificare una chiesa sotto II titolo di S. Maria di Portosalvo". La chiesa corrisponde all'attuale 
chiesa di Portosalvo, dedicata alla SS. Maria di Portosalvo. Distrutta dai terremoti del 1783 e del 1905 
fu ognivolta caparbiemente ricostruita dai fedeli. Fabbricata intorno al 1620, essa risulta 
"...immediatamente soggetta della Abbadia, che n'è proprietaria e non d'alcuna parrocchia, come 
apparisce dalle memorie dì più visite." Ibidem. Attualmente, in parte dell'area in oggetto, è costruita la 
fabbrica della Nostromo S.p.a. 



46 



Salvo con le dimensioni frontali di cm. 43 x 37 avente sul lato sinistro un simpulo e 
nel prospetto il titolo funebre DMS - L ATILIUS - PARTHNI" 112 . 
Precedentemente, nel 1869, sempre nello stesso fondo detto Vescovado dei 
Lombardi-Satriani, nei pressi della chiesa di Portosalvo, lo storico monteleonese 
Giovan Battista Marzano racconta che "... mentre alcuni lavoratori erano intenti a 
cavare dei fossati, venne scoperto pavimento di bel mosaico con soglia di marmo 
lunga m.2,90 e della larghezza di m. 0,42: io, che era colà a diporto col suddetto 
mio cognato, lo pregai di far continuare quello scavo, che già prendeva vaste 
proporzioni: ma dovemmo ben presto desistere dall'impresa, perché, per 
proseguire oltre, si sarebbe dovuto abbattere parecchi alberi" . Il pavimento di 
bel mosaico, che non viene descritto come classico dall'attento Marzano, è 
possibile supporre appartenesse ad una struttura religiosa preesistente, magari 
compresa nell'area dell'antico Vescovado di Vibona. 

Questa serie di dati raccolti, assieme alla significativa scarsità di ritrovamenti 
archeologicici tra il VI ed il X secolo nella città di Vibo Valentia, testimonia, oltre 
che un'antica e radicata vocazione cultuale dell'area costiera di Vibona, una 
discreta prevalenza di frequentazione insediativa rispetto all'area collinare di 
Valentia, resa vivace con tutta probabilità, proprio dalla presenza portuale, vera 
arteria di comunicazione e di commercio, suffragando così la nostra ipotesi sulla 
localizzazione della diocesi di Vibona nell'area costiera vibonese. 



1 Orsi P, Notizie Scavi di Antichità 1921, p. 488. 
Marzano G. B., Scrìtti, voi. I, Prem. Off. Tip. G. Froggio, Monteleone di Calabria, 1926, pp. 49 e 



50. 



47 



Ili 

IL PORTO DI BIVONA 
DAI NORMANNI AL XVI SECOLO. 



L'importanza del Porto di Bivona per gli scambi commerciali con gli altri paesi del 
Mediterraneo non diminuì nonostante lo spostamento della Diocesi nell'entroterra 
militese e l'aumento delle incursioni saracene lungo le coste certamente perchè i 
nuovi dominatori normanni prima, e gli svevi successivamente, non intesero 
rinunciare ai vantaggi economici e militari derivavanti dalla presenza di un valido 
approdo su demanio marittimo. 

L'area portuale infatti venne dotata dei necessari appostamenti difensivi, in grado 
di proteggere i centri costieri e, cosa importante, a non scoraggiare il commercio 
marittimo e le attività economiche che nel territorio costiero ancora si esercitavano, 
che al contrario si intendevano incentivare per un determinante contributo alla 
crescita della nuova realtà urbana di Montis Leonis. 

Da un diploma normanno del 15.2. 1091 114 si evince che ancora in quegli anni 
l'attività portuale e di pesca che si svolgeva nell'area portuale forniva cespiti degni 
di rilievo se, la giurisdizione e le rendite del porto di Vibona e della antica attività 
della pesca del tonno, vengono specificamente "donate", o meglio ancora 
"lasciate" sotto la giurisdizione amministrativa dell'Abbazia della SS. Trinità di 
Mileto, e ciò non solo per un formale gesto di riverenza al potere ecclesiale dei 
principi normanni ma certamente per un significativo segno di riconoscimento dei 
diritti amministrativi e giurisdizionali dell'Abbazia sull'area costiera. 
Interessante, per la nostra ricerca sulla fortificazione dell'area portuale, risulta un 
successivo diploma normanno del 1101, il quale, oltre a rilevare la presenza 
nell'area portuale di una tonnara, testimonia la presenza in Bibona di una struttura 
incastellata, nell'atto meglio definita come "monasterio castellarium" 



Cfr. Lenormant F., op.cit. p. 157 e p. 225 



" 5 Diplomi Normanni (a.1101, giù., Ind. II): "In primis dedimus praefato monasterium castellarium, 
cum Bibona portum tonnariae, et cum omnibus eorum pertinentii, videlicet cultoris, et vineis, sicut ego 
una die, et una nocte tenui in meo domini libere, et absolute, et franche sine aliqua contradictione...", in 



48 



E' proprio in quegli anni che, con le direttive di Ruggero il Normanno, si 
riorganizza l'urbanizzazione dell'intero territorio vibonese. 

Nel 1073 venne costruita sul punto più alto della collina una prima possente torre, 
che diverrà negli anni base per il successivo incastellamento di un nuovo borgo 
che, con l'avvio di una fase di ripopolamento, per lo più forzato 116 , verrà in seguito 
chiamato MonsLeo o Montis Leonis. E' possibile ipotizzare che anche l'area 
portuale venne in quegli anni dotata di qualche struttura difensiva, con l'intento di 
salvaguardare, oltre che la nuova città dalle frequenti incursioni saracene, anche il 
consolidato e peculiare traffico marittimo che ruotava intorno all'approdo naturale. 
Non sorprende quindi che Bibuni, dal XI secolo in poi, risulti pienamente inserito 
come scalo e tappa della marineria normanna, così come si rileva dalla cartografia 
redatta dall'Edrisi" 7 . 

Difatti nell'ottobre del 1239, mentre nella nuova città collinare viene rafforzata la 
struttura di fortificazione normanna, l'imperatore Federico II, a cui certamente non 
sfuggì l'importanza di mantenere un valido sbocco sul mare per lo sviluppo 
politico-militare dell'area monteleonese, ordina la riorganizzazione del porto 
assegnandone la gestione amministrativa ad un guardiano che tutelasse la sicurezza 
e l'efficienza. 

Il testo di tale importante decreto recita testualmente: "Ordinatici novorum portuum 
per Regnum et ad extrahenda victualia cum nominibus custodem notarium. Item 
mandata imperatoris varia sub encyclica forma quomodo in re eadem officialis in 
re eadem officiales ager debeant. In Bivona novus portus. Custodes Raymundus. 
Judex Bartholomeus de Nicotera. Notarius. Idem Judex Bartholomeus" 



DJ. Bisogni, Hipponii seu Vibonis Valentiae, vel Montìsleonìs, Ausoniae Civitatis accurata Hìstoria , 
Napoli 1710, pp.98-102. 

"Per effetto di quelle funeste scorrerìe (dei Saraceni. Ndr.j, gli abitanti rifuggìavansi in luoghi, ove 
que' Barbari potevano diffìcilmente penetrare; ma reggendo le sorti del Regno Ruggiero Normanno, 
conosciuta che questi ebbe la importanza del sito, vi fece edificare l'attuale diruto Castello per tutelare 
ì pochi abitanti rimasti, nonché gli altri da lui richiamati dai luoghi vicini per abitarla, i quali furono 
perciò detti Revocati" . Cfr. Luciano G., a cura di, 11 Regno delle due Sicilie, Distretto di Monteleone di 
Calabria, 1859, rist. Ediz. Mapograf, Vibo Valentia 1996, p. 248. 

"'Amari M. , Schiapparelli C, L'Italia descritta nel "Libro del Re Ruggero" compilato da Edrisi, 
Roma 1883 ("Memorie Lincei", ser. 2, VII), p. 81 e 97: "Da Angitola a bibuni, dodici miglia, da questa 
a Tr.biah (Tropea) dodici miglia". 

'" Historia diplomatica Friderici Secundi (a. 1239, 5 ott. ; Ind. 3). In tale atto Bivona e Crotone sono 
gli unici porti menzionati della Calabria. Allo stato non è possibile stabilire se con il termine novus 
portus viene indicata soltanto la nuova istituzione giuridica del porto o se, cosa non del tutto 
improbabile, già in quell'epoca vennero avviati lavori per la costruzione di una nuova struttura 



49 



I compiti affidati al custode del porto, chiamato anche portolano o mastro 

portolano, erano complessi e di grande importanza: doveva sovrintendere al 

movimento navi nel porto ed alla sua vigilanza; all'uscita delle vettovaglie e dei 

generi di monopolio, all'inquisizione delle pratiche fiscali sulle terre demaniali; al 

sequestro dei tesori rinvenuti nelle navi naufragate, all'amministrazione doganale 

ed al movimento del sale 119 . 

E' del 1276 la notizia di una incursione di ribelli siciliani che a bordo di cinque 

galee e due navi di legno assaltarono l'abitato di Bivona, occupando la tonnara, e 

probabilmente l'aria circostante, e fu solo grazie al pagamento di un riscatto di 60 

once versato dai monteleonesi 120 , che i ribelli siciliani abbandonarono l'area. E' 

una piccola notizia tratta dai Registri Angioini ma che svela il valore economico 

delle attività che già a quei tempi si svolgevano lungo la costa. 

Altre notizie, riferite alla metà del XIII secolo, sullo scalo marittimo di Bivona le 

ritroviamo nel "Compasso da Navigare", che rappresenta la prima descrizione dei 

porti italiani, quasi un moderno portolano, redatta secondo le indicazioni delle 

carte di navigazione più antiche, aggiornate dai comandanti che di volta in volta le 

utilizzavano. 

Esso recita testualmente: "De l'Amantea al Capo Suari, eh' è Capo del Golfo de 

Sancta 'Femia de ponente, VII millara per meczo dì. 

Del dicto Capo de Suari a Bibona XX millara per mezzo dì, ver lo sirocco. De 

Bibona a Turpia V millara per meczo dì. 

Sopre Bibona à una isola approdo de terra" ' . 

Lo stesso approdo e con lo stesso toponimo è segnato nel mappamondo che si 

conserva nella chiesa madre della città di Hereford, dipinto nel 1313 da Richard 

Haldigam 122 confermando pienamente la tesi della sua continuità d'uso, per tutto il 

XIII secolo. 

Tesi tra l'altro confortata da decine di atti notarili redatti a Palermo ed a Corleone 

tra il XIII ed il XIV secolo, che documentano ulteriormente l'utilizzo dello scalo di 



portuale. Quest'ultima ipotesi conforterebbe il dato della ricerca archeologica che attualmente esclude 
l'utilizzo dello scalo romano in epoche successive al IX-X secolo. 

'" Brusacchio G., op.cit, p. 283. 

120 Pardi G., / Registri Angioini e la popolazione calabrese del 1276, in ASPN, n.s. (1921) alla voce. Per 
il riscatto della tonnara versarono le somme in denaro il notaio Giovanni di Monteverde e Domenico di 
Sirica. 

l2l Motzo B. R.,(a cura di), // Compasso da Navigare, opera italiana della metà del se. XIII, 
Ann. Cagliari Vili, 1947; Almagià R., Monumenta Italiae Cartographica, Firenze 1928. 

122 Brancaccio G., Geografia, cartografia e storia del Mezzogiorno, Guida Editori, Napoli 1991. 



50 



Bivona, da parte di imprenditori monteleonesi e tropeani, per i loro commerci con 
la Sicilia, in particolarmodo di vino e di legno. 

Nella seconda metà del 1300 la Calabria risulta una notevole produttrice di vino, 
per lo più esportato in Sicilia, ed i porti d'imbarco di Bivona, Nicotera e Fuscaldo 
non solo testimoniano una sorta di dominio d'imbarco commerciale delle aree 
tirreniche nel commercio con l'isola, ma disegnano una vera e propria area 
geografica della produzione e dell'esportazione di tale prodotto 123 . 
Il porto di Bivona compare inoltre nel 1378, nel 1388 e nel 1418 come approdo di 
partenza per l'imbarco e lo smercio verso la Sicilia del legname prodotto in 
Calabria, soprattutto di grandi quantità di tavole pesanti e poco lavorate, dette 
all'epoca serratizzi. ' 

Per gli anni successivi l'attività del porto, che nel 1421 risulta segnalato col 
toponimo di bibona, in rosso e posto tra Sanfemia (Sant'Eufemia) e Torpia 
(Tropea) scritti in nero 125 nella Carta Nautica del Mediterraneo del cartografo 
Francesco De Cesanis, viene inoltre documentata da un prezioso "notamente)" di 
Petri Inglar, vicesegretario del "districtus fondici Bisbone" tra il 1449 ed il 1450, 
che, oltre a mettere in risalto un discreto, e finora sconosciuto, movimento di 
"acciaio incoronato" e ferro, registra l'introito derivante dallo sdoganamento del 
"salis rubei et albi", conferma la continuativa e redditizia attività mercantile del 
porto 126 . 

L'attività portuale continuò negli anni successivi grazie al movimento di merci 
creato dalla attività dei mercanti genovesi e senesi, per lo più in iniziative legate 
all'esportazione dello zucchero, della seta, del legname e delle derrate alimentari, 
così come degli imprenditori calabresi, tra i quali si distinguono le famiglie dei 
Tagliaferri, dei Cafaro, dei Ciscovio, dei Ronchi e dei Ruffa. 



l23 Bresc Bautier G. e Bresc H., Riflessi dell'attività economica calabrese nei documenti siciliani dei 
secoli XIV e XV, in AA., Mestieri, lavoro e professioni nella Calabria Medievale: Tecniche, 
organizzazioni, linguaggi, Atti dell'VIII Congresso Storico Calabrese, Rubbettino, Soveria Mannelli 
1993, pp. 227-243. 

124 ASPA, Notaio G. Mazzapiede 839; 26.9.1418, in G. Bresc Bautier e H. Bresc, Op. cit, p. 234. 

Biadene S., a cura di, Carte da Navigar, Portolani e carte nautiche del museo Correr 1318-1732, 
Marsilio Editori, Venezia 1990. Con la colorazione in rosso dell'approdo il cartografo intendeva 
segnalare ai naviganti l'importanza dello scalo. 

Mazzoleni B., Fonti Aragonesi, Testi e documenti di storia napoletana pubblicati dall'accademia 
Pontaniana, Napoli \967:"Introitus salis rubei et albi. D'ictus Magister Secretus ponit repperire per 
quaternum Petri Inglar vicesecreti disctrictus /undici Bisbone ipsum recepisse sai ad opus discti f undici 
quod restaverat de tempore aloynora quod quidem assignatum fuit Johanni Calavera sostituto in dicto 
fundico Bisbone ut extensius mostratur per quaternim dicti vicesecreti in carta 2 e per quaternum dicti 
sostituti un carta 2 vidicelit de sale russo". 



51 



L'economia dello scalo, dal 1445 in poi, subì tuttavia un contraccolpo in negativo, 
in particolarmodo per i rapporti di scambio con la Sicilia, dal privilegio concesso 
da Alfonso d'Aragona ai tropeani, con il quale il sovrano stabiliva nel piccolo scalo 
di Tropea un'area priva di dazi, dove i cittadini fossero "franchi di ogni mercantia 
che facessero in la Insula di Sicilia e per tutto lo Regno di Cifra" 
Nonostantante ciò il porto continuerà ad essere meta d'approdo per il trasporto 
marittimo continentale anche in epoca rinascimentale. In tal senso risultano 
preziose alcune suppliche inviate ai regnanti dalla fine del '400 in poi dai cittadini 
dell'Università di Monteleone, dalle quale si denota chiaramente la vitalità 
imprenditoriale esistente in quegli anni lungo la fascia costiera. In una supplica 
inviata al Re Don Alfonso II dall'Università di Monteleone il 12 maggio del 1494, 
nella quale si richiedeva di "concedere ed ordinare alcune fabriche necessarie e d 
opportune à fortificare detta Città", si precisava come tale richiesta fosse 
maggiormente giustificata dalla presenza "nel sito di essa, quale ha lo Porto di 
Bibona due miglia vicino, eh' è d'importanza allo Stato e servigio di detta 
Maestà"™ . Del resto è lo stesso re che invia una missiva il 9 febbraio 1495 al 
Tesoriere di Calabria Ultra, nella quale ordina di pagare 1000 ducati al 
Guardarobiere Paolo De La Petra, al suo arrivo nel porto di Bivona . 
L'afflusso di navigli nello scalo marittimo non poteva che essere occasione per 
procacciare alla popolazione ulteriori forme di reddito grazie alla vendita di vino, 
tonnina e tanti altri prodotti, nonostante gli ostacoli posti negli anni precedenti dai 
procuratori del "reverendissimo Signor Cardinal d'Aragona e Commendatario 
dell'Abbadia della Santissima Trinità di Mileto", in seguito rimossi 
definitivamente dai regnanti, che accolsero la supplica degli "huomini della detta 
città di Monteleone, siccome anticamente erano soliti fare, di poter edificare i loro 
pagliara e taverne, e vendere il loro vino e fare loro facende" nella Marina di 
Bivona. 



Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, pp. 

275-276. 

128 Capitoli, e grazie, quali domanda la Città e Università di Monteleone della Provincia di Calabria 
alla Maestà del Serenissimo Signor Rè Don Alfonso Secondo, per la gratia di N.S. Dio Rè di Sicilia, 
Gierusalemme & e, 12.05.1494, in Bisogni de Gatti I, op. cit, lib. Ili, cap. V, p. 199. 

Mazzoleni J., Gli apprestamenti difensivi dei castelli di Calabria Ultra alla fine del Regno 
aragonese 1494-1495, in Archivio Storico per le Province Napoletane, a cura della R. Deputazione di 
Storia Patria, Ed. Humus, Napoli 1947, f. 42 a. 

130 Capitoli, Suppliche e domande fatte dall'Università ed huomini della città di Monteleone di Calabria 
alla Maestà del Signor Re Don Ferrante Rè di Sicilia, Gierusalemme, ed Ungarie & e, 22.01.1480, in 
Bisogni de Gatti I, op. cit., lib. Ili, cap. V, p. 192. 



52 



Non sorprende dunque che il porto di Bivona risulti ben evidenziato nel cosidetto 
Atlantino del Regno di Napoli, redatto alla fine del XVI secolo da Stigliola- 
Cartaro 131 . In tale carta geografica l'ampio bacino portuale, protetto da ben quattro 
torri, una delle quali denominata appunto 'Torre del porto", è descritto con il 
simbolo grafico di una galea unito al numero 6 con l'evidente intenzione di incare 
in tale maniera il numero massimo di quel tipo di naviglio stazionabile 
contemporaneamente. 

Nelle carte nautiche redatte tra gli inizi del XVI secolo ed il 1646, del resto, il 
porto viene ripetutamente segnalato dai cartografi veneziani, genovesi e spagnoli, 
per lo più posto tra quelli di Sant'Eufemia e Tropea, mentre soltanto dal 1646 
viene inserito tra quello di Pizzo e Tropea, con una colorazione del toponimo 
alcune volte rosso altre nero, secondo l'importanza o meno data allo scalo dagli 
stessi cartografi. 

Così, ad esempio, il porto di Bibona viene incluso, con colorazione rossa nella 
Carta nautica del Mediterraneo, del Mar Nero, delle coste atlantiche dell'Europa, 
dell'Inghilterra meridionale e dell'Irlanda redatta agli inizi del XVI secolo, da un 
cartografo anonimo, forse veneziano o comunque attivo a Venezia, e posto tra S. 
femia e torpia, anch'esse scritte in rosso. 

E' denominato Bevona, invece, nell'Atlante a tre carte delle coste atlantiche 
dell'Europa e del bacino del Mediterraneo di Giovanni Xenodocos da Corfù, 
realizzato il 24 settembre 1520. 

Neil' Atlande del Mondo in nove carte rilegate di Battista Agnese del 1536, 
cartografo genovese attivo a Venezia tra il 1536 e il 1564, Bibona appare scritta in 
rosso, tra le coma (probabilmente Acconia, scritta in rosso) e Turpi (in nero). 
Bibone, posta tra Siila e Turpia, scritte tutte con inchiostro nero, appare anche 
nella Carta del Mediterraneo di Jacopo Maggiolo, redatta nella seconda metà del 
XVI secolo 132 . 

Ancora Torpia, scritta in rosso, segue a bibona e s. femia, entrambe in nero, nella 
Carta Nautica del Mediterraneo di Bartolomeo Olives del 1585. Quest'ultimo 
cartografo venne in Italia intorno alla metà del XVI secolo e fu dapprima a Venezia 
ed in seguito a Messina, dove è stato ipotizzato che lavorasse per l'armata 
imperiale. Infine nell'Atlante Nautico di Placido Caloiro et Oliva, anch'egli attivo 



Lena C, Vibo Valentia. Geografia e morfologia della fascia costiera e l'impianto del porto antico, in 
Annali Scuola Normale Superiore Pisa, op.cit., pp. 583-607. 

112 Jacopo Maggiolo, figlio di Vesconte capostipite di una famiglia di cartografi attivi a Genova per oltre 
un secolo, iniziò a lavorare con il padre verso il 1544. L'esemplare, custodito nel Museo Correr, può 
essere datato intorno agli anni Sessanta del secolo XVI. 



53 



a Messina tra il 1621 ed il 1657, redatto nel 1646, Bivon viene posta tra lo pizo e 
tropia, tutti toponimi scritti con inchiostro nero 133 . 



Biadene S., a cura di, Carte da Navigar, Op. cit., 1990. Si è pensato utile scrivere le differenti 
colorazioni d'inchiostro per via della consuetudine, variabile nelle vari epoche, di assegnare con la 
colorazione, il grado d'importanza dell'approdo portuale, proprio perché ancora oggi i pareri 
sull'attribuzione colore/importanza sono discordi. 



54 



IV 

IL FONDACO DI BIVONA 
E L'ARREND AMENTO DEL SALE 



Attività mercantile a parte, fu certamente la presenza del porto vibonese lungo la 

costa che favorì l'istituzione a Bivona di uno dei fondaci del sale più attivi della 

Calabria. 

E' quindi il caso di tralasciare per un attimo la cronistoria dell'attività portuale per 

seguire da vicino l'interessante percorso documentario che segna i tempi ed i modi 

del funzionamento del fondaco costiero dello Stato di Monteleone. 

Il Fondaco di Bivona, assieme a quelli di Gioia, Reggio e Crotone, si dimostrò, tra 

il 1500 ed il 1700, una delle sedi di monopolio del sale marino con più redditività 

economica, e ciò proprio mentre la stragrande maggioranza dei fondaci calabresi 

esistenti venivano in quegli anni soppressi perché presentavano risultati economici 

poco esaltanti, vale a dire in essi "se negocia muy poco" 134 . Nel 1531 il fondaco di 

Bivona risulta provvisto di un fondachiere, a cui spettavano 48 ducati annui, 

coadiuvato da due guardiani pagati annualmente con complessivi 24 ducati. 

Ai fondachieri calabresi però si rimproverava l'abitudine di utilizzare sostituti per 

esercitare tali funzioni che, al contrario, avrebbero dovuto svolgere personalmente. 

In quegli anni il fondaco di Bivona, venne amministrato da Giovan Francesco 

Arena di Monteleone, per tutto il 1536 135 . 

Nei fondaci veniva in parte prodotto, ma per lo più depositato e venduto il sale 

marino, minerale preziosissimo all'epoca, tanto da poter essere considerato come 

un vero e proprio oro bianco . 



134 ASN, Estado, Napoles, leg. 1008 , e. 1 1 v. Cfr. Coniglio G., Aspetti della società meridionale nel 
secolo XVI, Fiorentino Ed., Napoli 1978. 

115 Coniglio G., Una relazione sulle condizioni della Calabria nel 1536, in Atti III Congresso Storico 
Calabrese, Cosenza 1964, pp.101-120. 

111 Recentemente l'Unesco ha dichiarato le vecchie saline ed i loro edifici di servizio, un tesoro culturale 
del Mediterraneo. A seguito di tale decisione è iniziato il censimento delle saline ancora esistenti, al fine 
di tutelarle come "bene intangibile". Sarebbe interessante, dato che è stato possibile collocare 



55 



Il sale era indispensabile per la conciatura delle pelli ed era l'unica sostanza in 
grado di consentire la conservazione degli alimenti; ciò bastava a renderlo, nelle 
mani dei governanti, un prodotto-chiave, fonte sicura di potenza e di benefici per il 
fisco. 

Nel fondaco di Bivona inoltre il sale giungeva, in grandi quantità, su imbarcazioni 
provenienti dalle saline di Trapani, da Lipari e dalle saline esistenti nella fascia 
ionica calabrese, grazie alla comodità di sbarco offerta dall'impianto portuale. 
Nel febbraio del 1559 risulta arrendatele del "fundaci in Vibone" il Magnifico 
Alemanno Gerardi, il quale si accorda il 18 dello stesso mese con il correndatore di 
"salis fiorentino", Sanfredin Acciavoli per la consegna "ad portu Vibone... cum 
duos navi" provenienti dalle "insule Sicilie", per un totale di "ducatos 
duesmillesixcentos cinquantaquatro et grana duodecimi in integra solutione" 
Sono inoltre numerosissimi gli atti che documentano l'attività del fondaco 
bivonese e degli imprenditori che per tutto il 1600 hanno gestito in subaffitto 
l'attività di arrendatore del sale. 

Dalla lettura dei rogiti redatti in quegli anni dai notai monteleonesi rileviamo non 
solo l'intensa attività svolta nel fondaco di Bivona, ma anche il sorprendente 
avvicendarsi degli arrendatori in subaffitto, che alcune volte si succedevano l'uno 
all'altro nel giro di pochi mesi. 

E' quanto accade, ad esempio, nel 1613: nel febbraio il fondaco risulta gestito in 
subaffitto da Serafino Canarretta e pochi mesi dopo a Pietro Cutusi, al quale, 
ammalatosi a settembre, il 20 dello stesso mese "durante sua infirmità et perciò 
stante" gli fu ordinato "...che non se intrometti più all' esercitio detto uff\ici)o..." 
costringendolo alla immediata consegna "...de lo Sigillo de Rame con l'arme 
Regie, con manico d'osso et segno con un poco segno Bianco con il quale serviva 
il ...fundaco de Bivona et Pizzo, il quale sigillo che se trova in posto" venne 
consegnato al nuovo arrendatore Stefano Torpiana, "genovese al p(rese)nte 
comm(emoran)te in la città de Mont(e\eo)nis /oc(otenen)te come dice de Don Joè 
d'Alagona, M(astr)o Port(olan)o della Prov{mc)ia de la Cal(abri)a Ultra... 
Relasciando in suo potere tutte l'exped(ìzìo)ni ch'esso d(e)tto Pietro ha da fare 
durante ditta infermità " 



esattamente fondaco bivonese lungo il territorio costiero, adoperarsi in iniziative concrete per 
rivalutare e tutelare i resti di tale antica attività. 

137 ASVV, Notaio Baccari Martino di Monteleone (1559-1565). lib. IV, cord..64, f..27. La famiglia 
Spinello risulta, per tutto il 1500, una tra le più importanti famiglie impreditrici calabresi. Tra loro si 
distinsero Gregorio e Cosimo, il primo commerciante di frumento ed il secondo di legname. 

m ASVV, Notaio Giovene Ottavio, lib. XI, cord. 162 f. 93. 

'" ASVV, Ibidem, lib. XI, cord. 162, f. 364. 



56 



Lo stesso Stefano Torpiana sostituirà definitivamente, dopo aver presentato alla 
"Regia Camera Summaria debito bilancio" , Pietro Cutusi deceduto tre giorni dopo 
l'inizio della sua sostituzione 140 . 

Qualche anno più tardi, precisamente il 4 ottobre del 1616, la sua gestione passa 
direttamente sotto le cure del potente Marcello Barracca il quale, nonostante fosse 
Regio Arrendatore dei Sali della Calabria Cifra, riuscì ad accaparrarsi la gestione 
del fondaco di Bivona, collocato geograficamente nella Calabria Ultra, "per anni 
quattro continui dal p(rese)nte 1616 in ante" 

E' con il Barracca, potente arrendatore dell'epoca, che il fondaco si "specializza" 
anche nella custodia del "salinitro", antica denominazione del Nitrato di Potassio. 
Il salinitrato in quei secoli aveva un'importantissimo ruolo economico perchè 
largamente usato come fertilizzante, e cosa ancor più importante, per la 
produzione, dopo essere stato "... netto di grasso et sale et sia di duo cotte refinato 
con acqua chiara et albi", di polvere da sparo e miscele esplosive. 
Nel novembre del 1616, quindi un mese dopo il subentro del Barracca, il fondaco 
risulta in dato subaffito al Sig. Frabitius Thomarchello, il quale viene anche 
delegato a svolgere la delicata mansione di locutenentes e conducentes 
arrendamenti salinitri et puh 'eriti in provinsia Calabria Ultra. 
Nella notte del 10 novembre 1616, nella città di Monteleone, tra il Thomarchello 
ed otto polverari provenienti da diverse città della Calabria, viene stilato un 
contratto di vendita di "Cantara ottanta di salinitro p(ef) p(re.)zzo di ducati tre(n)ta 
otto il cantaro et che il rotulo sia di tre(n)ta tre onze cioè cantara vinti di salinitro 
de qua in Mont(e\eo)nis; lo salnitro del marchisato di Cotroni cantara sessa(x\)ta 
in la città di Ceraci il q(ua)le salnitro habbia essere netto di grasso et di sale 



' ASVV, Ibidem, lib. XI, cord. 162, f. 366. 



ASVV, Ibidem, lib. XI, cord.. 164, 1.219 - 4 ottobre 1613. Di Marcello Barracca ricaviamo alcune 
notizie dall'epistolario del governatore Cenami. Il Barracca si era rifugiato, nell'ottobre del 1614, 
presso l'Arcivescovado di S. Severina, non potendo far fronte alla richiesta di versare 5.600 ducati per 
armare 40 galee stazionanti nel porto di Messina, pronte a contrastare le incursioni turche lungo i litorali 
calabresi. Egli si portò dietro "molta parte della robba di casa sud' ed il Cenami ricevette l'incarico 
dal Viceré di procedere alla vendita dei suoi crediti ed effetti. In particolare il Cenami scrive al Viceré 
che il suo delegato, recatosi a Rocca Bernanda, abituale residenza del Barracca, trovò "altri tre 
commissari, uno del Mastro Portolano di Reggio, che per ordine della Camera ha sequestrato tutte le 
saline e le rendite di esse, un 'altro tesoriere di Monteleone, che tiene del pari in sequestro molta roba 
in animali e altre robe personali del detto Barracca, il terzo inviato dal Mastro di Campo Carlo di 
Sangro con lettere di V.E. pel medesimo effetto, con tutto ciò il nostro Commissario ha anche lui 
sequestrato alcune cosette che potete trovare", cfr. Valente G., Calabria, calabresi e turcheschi nei 
secoli della pirateria (1400-1800), DSPC, Ed. Frama Sud, Chiaravalle 1973, pp.285/288. Inutile dire 
che le protezioni di cui godeva il Barracca, gli consentirono in qualche mese di tirarsi fuori da tali guai, 
gestendo poi le Saline della Calibria Citra e Ultra per tutto il 1624. 



57 



refinato co acqua dolie et ci lo habbia di consigliare /?(er) rata hogni mese fra ter.e 

di uno ano incominciando alla prima di (settembre /?(rossim)o venturo di q(ue)sto 

p(rese)nte ano 1616 finiendo alla fine del mese di (novem)ère di l'ano 1617 nel 

q(ua)le ano sia licito ad essi polveristi con detto salinitro farne polvere et q(ue)lla 

vendere a loro beneplacito p(er) tutta la provincia" , autorizzando altresì "polveristi 

di agregare in <f(ett)o officio di fare polvere durante <f(itt)o ano a qualsivoglia che 

li volia entrare... e... quelli che si accorderanno con detti polverari e salinitrari o 

reveditori di polvere o qualsivoglia altra persona et moletteri che carriano <f(ett)o 

salinitro che possano godere tutte franchezze et immunità che concede la R(egi)a 

Cam(mer)a." 142 . 

Il salintro doveva essere consegnato ai polverari "sia a lo fiume di Coraci, sia a 

Rigio l'uno d'ogni mese all'alba" e gli stessi avrebbero poi dovuto recapitare la 

polvere qua in Monteleonis. 

Non è da escludere quindi che per effetturare tale trasporto si utilizzasse anche il 

naviglio operante negli approdo costieri dei centri interessati. 

Reddatto di notte e solo con "luminari accensi ad melius reconoscentas persones 

et osservandi attus notturniis" proprio per la delicatezza e pericolosità dell'oggetto 

ed i protagonisti di tale accordo, questo documento testimonia l'importanza 

raggiunta dal Fondaco di Bivona e dell'intera area costiera bivonese, nella gestione 

e distribuzione delle tante risorse economiche prodotte nella Calabria del XVI e 

XVII secolo. 

Altri atti rogati tra il 1616 ed il 1617 documentano ulteriormente l'attività di 

vendita di salnitro per produrre polvere da sparo confermando la notevole quantità 

del prezioso minerale 143 custodita nel fondaco di Bivona. 

Ulteriori notizie sull'attività del fondaco risalgono all'agosto del 1696, anno in cui 

gli "officiali Reggi del fundaco de Bivona" risultano obbligati a donare ai gestori 

delle tonnare di Pizzo tutto "... lo sale che haverà di bisogno per salare la pesca 

d'essa e pagarcelo alla raggione di grana sedici lo tumolo, e non essendoci sale in 

detto fondaco de Bivona, l'habbiano di far venire à loro spese d'altro fundaco, e 

consignarcelo in quello sopra nominato di Bivona" . 

Tra il 1690 ed il 1699 il fundaco viene nominato come "fundaco di Bivona e di 

Pizzo", anche perché, con l'acquisizione degli imprenditori pizzitani della gestione 

dell' arrendamento del sale, l'attività amministrativa viene per intero trasferita 



142 ASVV, Notaio Menarola Giovanni Maria, Monteleone (1616 - 1654),lib. XVI, f. 13. 

I4J ASVV. Notaio Costa Cosmo, Monteleone (1601-1621) lib. X, cord.150, f. 40 e succ. 

14< Cfr. Curatolo A., in AA.VV., Le Tonnare di Pizzo, Ed. Qualecultura-Jaca Book. Soveria Mannelli 
1991 



58 



nell'area napitina, per ritornare successivamente nell'area bivonese dopo la 
scoperta di alcuni brogli e sopprusi 145 . 

Purtroppo le fonti d'archivio cessano di documentare l'attività del fondaco di 
Bivona per l'arco cronologico compreso tra il 1700 ed il 1721, e ciò, suppongo più 
a causa della dispersione del materiale d'archivio che per una improvvisa 
cessazione di attività, così come dimostrano le dettagliate note provenienti da 
minute manoscritte dei pagamenti di cassa del fondaco di Bivona, a partire dal 
1721, che presuppungono la continuità amministrativa anche nei due decenni 
precedenti . 

Da tale minuta 146 si desume che il sale custodito nel fondaco veniva 
acquistato prevalentemente da acquirenti provenienti dagli stati di Monterosso, 
Monteleone, Mestano, Filocastro, Rosarno, Ferolito, Montesoro, Polla e Poliolo, 
Caste Imonardo e Brlatlco, producendo il seguente risultato economico: 

totale in cassa doc. 5167:18:10 

pagam.ti in cassa doc. 4993:10:7 

Resta in cassa doc. 174:08:3 



Un'ulteriore documento contabile 147 , contente le somme esatte tra il 1728 ed il 
1730, testimonia inalterata, rispetto al secolo precedente, l'importanza del reddito 
ricavato dalla Corte Ducale di Monteleone, nella attività di gestione del monopolio 
del sale, rispetto agli altri cespiti ducali. 
Tale documento presenta le seguenti annotazioni: 

Sale venduto dal p(xi)mo Gen(na)ro 1728 per tutto Dec(emb)re seg(uen)te 

due. 1 33545 

Sale dato a Locati della R.(egia) Dog.(ana) 

di Foggia in <f (etto) tempo due. 5720 e 5/8 

Sale dato à Monasteri ed ai Luoghi Pij " 6188 e 4/8 

Sale dato in franchitù 

con ord(in)e della R(egia) Cam(era) à diversi " 1251e 2/8 



due. 146705 e 3/8 
Scop(ertur)ra due. 238 



145 vedi atti notarili rogati dal notaio napitino Didaco Satriano rogati a Pizzo tra il 1690 ed il 1739, in 
ASVV, corde 285 e 286. 

141 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 65, f. 4, n. 3. 

'" ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 65, f. 4, n. 4. 



59 



1729 

Sale venduto dal p(xi)mo Gen(na)ro 1729 

per tutto Dec(emb)re seg(uen)te due. 133702 e 4/8 

Sale dato a Locati della R.(egia) Dog(ana) 

di Foggia in <f(etto) tempo " 5806 e 6/8 

Sale dato à Monasteri ed ai Luoghi Pij " 6263 e 4/8 

Sale dato in franchitù 

con ord(in)e della R(egia) Cam(era) à diversi " 1432 e 5/8 



due. 147205 e 3/8 
Scop(ertm)a due. 248 e 3/4 

1730 

Sale venduto dal p(xi)mo Gen(na)ro 1730 per tutto Dec(emb)re seg(uen)te 

due. 149552 

Sale dato a Locati della R(egia) 

Z)og(ana) di Foggia in <f (etto) tempo " 5778 e 2/8 

Sale dato à Monasteri ed ai Luoghi Pij " 6268 e 4/8 

Sale dato in franchitù 

con ord(ix\)e della /?(egia) Cam(era) à diversi " 1289 e 2/8 



due. 162888 
Scop(ertur)a due. 313 e 1/2 

Tot. due. 456798 e 6/8 

Come si nota da tali conti economici, in quegli anni lo stretto rapporto economico 
esistente tra il Duca di Monteleone e le istituzioni ecclesiastiche si rileva anche 
dalle quantità di sale marino fornito dai soldati del Fondaco di Bivona à Monasteri 
ed ai Luoghi pij, ma quello che sorprende ancor più è il rapporto privilegiato, tutto 
da approfondire, che sembra essersi instaurato tra il fondaco e la Regia Dogana di 
Foggia. 

Nonostante l'area del centro di Bivona risulti oggi interamente compromessa dal 
proliferare dell'attività edilizia, è stato possibile localizzare esattamente il sito del 
fondaco del sale di Bivona, grazie ad alcuni raffronti cartografici e toponomastici. 
Posto subito a ridosso della Torre Regia di S. Pietro di Bivona, altra struttura 
militare collocata lungo la costa ed in grado di ospitare la piccola guarnigione di 
soldati arruolati per la difesa dell'attività di monopolio 148 , il fondaco era costituito 



L'area subito a ridosso della Torre di S. Pietro di Bivona è ancora oggi nominata dai più anziani 
come "' u fundacu" . La piantina dei confini dell'area, che consente la sua esatta collocazione, è custodita 



60 



proprio dal piccolo nucleo di case che si affiacciano sull'odierna S.S. 522 e che, 

fino agli anni '50 costituiva il borgo di Bivona. 

E' oggi visibile quello che anticamente doveva essere il magazzino-cisterna, 

costruito con un interno ad ampia volta a botte e possenti mura 149 . 

Notizie su alcuni soldati dell' Arrendamento del Sale di Bivona, nonché sui compiti 

ed i rischi a cui erano sottoposti, le ricaviamo da una inedita testimonianza resa alle 

autorità giudiziare nel 1731 dal regente arrendatore del Fondaco di Bivona Don 

Saverio Provenzale che, nel raccontare uno specifico episodio in cui perse la vita 

un soldato alle sue dipendenze nel tentativo di contrastare un'ennesimo episodio di 

contrabando, così esordisce: 

"Avendo D. Saverio Provenzale, Amm(inistra)re P(res)ente 
<fe//Arr(endamen)fo dei Sali tenuta la notizia, che nella Marina di Bivona dello 
Stato di M(ox\)te Leone, erano approdate sei barche liparote, cariche di Sale in 
contrabando, volendo impedire, che quello non si vendesse, perciò verso li venti 
del mese di Ag(os)to del 1731 vi mandò Pietro Palumbo, Ottavio Lo Iacono e 
Nicola Briglio, Soldati dell'Arr(enda.men)to del Sale. 

Ed Questi per dar soggezione a dette barche, ed alla gente, che forse comprar 
volea del sale, si posero alla vista di quelle, tantoché in detta Marina di Bivona 
nulla successe. 

La mattina di martedì 28 di detto mese di Agosto, dette barche fecero vela 
andando tal' une verso la Città del Pizzo, e due di esse verso la fiumara 
dell' Angetola, e l'istessi tre soldati anche col fine d'impedirne lo sbarco, o sia 
vendita, le seguitarono colla vista, ma non così facilmente riuscirli potè il di lor 
disegno per caggionchè le barche di gran lunga distanza giunsero, col favor della 
vela, prima dell'arrivo dei soldati e cominciarono a vendere il sale a più persone, 
che calarono co' i loro Animali in detta Marina del fiume dell' Angetola, e volendo 
complire alla di loro abligaz.ne mandarono a Giacinto Gullo Cavallaro, come 

dalla famiglia Lombardi-Di Salvia di Portosalvo. Redatta il 10 gennaio de 1812 con la dicitura "Pianta 
de' Terreni qulti (Sale), e de' Terreni inculti nella Marina di Bivona, ratificati a 10 genajo 1812 in 
occasione della missione Demaniale fatta dall'agente ripartitore Sig.re Camillo Sarto, Sig.re Pariolo 
Antonio Nicast, Perito per parte della Comune di Monteleone, Nicola Condoleo per parte della 
Comune di Vena, Giuseppe Prestinenzi perito dell'I. Sig. Duca di Monteleone, colloca esattamente il 
Fondaco proprio nel piccolo agglomerato a ridosso della torre. La relazione dei periti è inglobata nella 
relazione dell'Ing. Minnicelli Emilio, da Catanzaro, Istruttore Demaniale, citata a pag. 104. 

149 Probabilmente il magazzino vero e proprio del sale custodito nel Fundaco, è la struttura bassa, con 
grosse mura e copertura a volta di botte, che è stato ristrutturato qualche anno ad uso di birreria- 
pizzeria. Oggi appartiene alla famiglia Raffaele di Bivona ed è adibito a piccolo appartamento per la 
stagione estiva. E' inoltre possibile che il casino appartenente alla stessa famiglia, a cui è stata 
affiancata una nuova costruzione, fosse compreso nel Fondaco, così come si ricava dalla sopracitata 
piantina . 



61 



potevano fare per uscire avanti a quell'huomini, che avevano comprato il sale da 
dette barche, e lo portavano colle some, ed avendoli colui insegnata la strada di 
fretta detti tre poveri soldati, senza denudarsi le gambe ne togliersi le scarpe, 
passarono l'acqua del detto fiume Angetola, e pigliarono la via dimostratali dal 
riferito cavallaro, e giunti vicino le mura dirute di una Chiesa detta di S. Maria 
delle Ricotte, vollero arrestare da' circa otto huomini della terram di Pulia, che 
co ' loro animali dentro a sacchi conducevano del detto sale intercetto, e venuti a 
contesa, furon posti da quelli nel mezzo, e dalli rub(a.to)ri furono disarmati delle 
scoppette, il Nicola Briglio, ed Ottavio Lo Iacono ed il Pietro Palujo non si fece 
disarmare per che si pose in difesa colla sua scoppetta, e fuggendo l'altri di Pulia, 
rimasero soli li sud(det)ti tre rub(a.to)ri Nicotera, Acito e giambrone, e non 
contento il Nicotera di avere colli di suoi compagni disarmato d(ett)i soldati, di più 
colla sua scoppetta, della quale andava armato, detto rub(a.ta)ro nicola Nicotera, 
scaricò un colpo al Nicola Briglio, che colpendoli una palla nella fronte, 
immediatamente l'uccise e morto restò ivi à terra disteso, e li rub(a.to)ri 
sollecitando tra di loro bestie somarrine, cariche di d(ett)o sale, s'incamminarono 
verso la di loro patria Terra di Pulia, portandosi li rub(ato)ri Acito, e Giambrone, 
le scoppette tolte à d(ett)i due soldati, ed arrivati in alcuni pagliare proprie colà 
posero <f(ett)o sale intercetto, che scaricarono dà sopra detti Animali, e li due 
soldati viventi, uno di esso dissarmato, e l'altro colla sua scoppetta, andarono à 
chiamare alcuni huomini per far la diligenza al cadavere, e trovandoli lo stile in 
sacca, due tari d'argento, otto cavalli moneta di rame, la coltella, e solfarola al 
cinto, e quattordici bottoni d'argento al suo colletto, se li pigliò tutte il nominato 
soldato Pietro Palujo per dare conto à chi spettava, e se andorno con dar parte del 
successo à più luoghi, tanto che il Mastro Giurato di Francavilla, andò con altri 
per pigliare il cadavere sud(ett)o, e sopra un carro lo fé conducere nella chiesa 
matrice della rocca Angetola, dove poi fu seppellito per essere stato l'omicidio in 
territorio di detta Rocca." 

L'episodio delittuoso, negli atti allegati al procedimento penale contro i 
contrabbandieri Nicotera, Acito e Giambrone di Polia, viene descritto nei minimi 
particolari grazie ad ulteriori e preziose testimonianze, come quella di un barbiere 
di Rocca Angitola "perito nell'arte chirurgica" che esaminò il corpo esanime del 
malcapitato, così come quelle di alcuni pastori e degli compagni del soldato 
uccisoi, comprendendo inoltre la sentenza di condanna dei contrabbandieri, ma 
quello che più importa rimarcare è il ruolo esercitato dall'attività militare di 
gestione dell' arrendamento del sale, che di fatto garantiva, molto più del castellano 
del Castello di Bivona, dei Torrierie e dei Cavallari, il costante controllo del 
territorio costiero. 



ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 65, f.lo 1, n. 1. 



62 



Per tale ragione oltre alla paga mensile i soldati godevano di un ulteriore premio in 
denaro, corrispondente ad un 1/3 del ricavato dalla vendita dei beni sequestrati ai 
contrabbandieri, in cui risultava il loro diretto intervento, elemento questo che 
consentì di incentivare la dedizione al mandato affidatogli di controllo del 
territorio. 

I successi di tale attività e le quote spettanti ai soldati vengono 
puntualmente registrate, nel 1732, in una relazione che risulta stampata 
tipograficamente, presentata in quello stesso anno alla Camera Ducale 151 . 
Da tale interessante documento rileviamo l'attività del Fondaco e 
dell' Arrendamento del Sale di Bivona negli anni compresi tra il 1728 ed il 1731, 
che qui riportiamo integralmente proprio perché è la cadenza cronologica dei fatti 
riportati che offre un preciso spaccato di vita, redatto dagli stessi protagonisti 
dell'epoca, della complessa attività svolta nel fondaco: 

"Nota di somme pervenute all' Arrendamento de' Sali di mare di Calabria 
Ultra per causa di contrabanni di sale di mare, immissione di detto genere ne' regj 
fundaci, come dalli bilanci del sostituto Biase Arcuri, e magnifico Leoluca Strano, 
vendita di cavalcature, e transazioni fatte a' vassalli delli stati di Monteleone da 
maggio 1728 a tutto oggi sottoscritto di presi parte dal Baricello di Monteleone, 
e l'altri dalla squadra del regio Arrendamento, giusta le partite come sieguono, 
etc. 
1728 

19. Luglio. Pervenuti dalla vendita di due cavalli per doc. 11. presi dentro li stati 
di Monteleone dalla squadra dell' Arrendamento, che dedotti doc. 1. 81 -: per 
spese fatte, ed il terzo a detti soldati, e l'altro terzo spettò all' appaldatore di detti 

stati, come per obligo dell' app aldo, restano netti doc. 3. 

6 e 1/12. 

Di detto. Pervenuti dalla vendita d'altro cavallo per doc. 11. preso come sopra a 
gente vassallo, che dedotti li due terzi, uno alli soldati, e l'altro all' appaldatore 
sudetto, restano netti per l Arrendamento doc. 3. 67 e 1/12. 



151 ASN, Archìvio Pignatelli-Cortez, Se. 65, f. 4, n. 1, datato Monteleone li 15 Giugno 1732, firmato da 
Gio(van)battista Strano Officiale Maggiore nonché rogato dal Notaio Franciscus Paulus da Salerno. 

152 Baricello, Barricello ed anche Bargello, è il nome dell'organismo che curava l'organizzazione 
militare delle attività gestite in monopolio dalla corte ducale. In tal senso esso partecipava anche 
all'ordinaria attività del fondaco del Sale. Nel Catasto Onciario della città di Montelone del 1755, 
compaiono diversi soldati del Bargello del Duca. Ad alcuni è associata l'annotazione di remigò o 
remiga in Galea, come a sottolinearne la condanna subita di remare sulle navi, così come compare un 
certo Domenico C, aguzzino del Barricello. 



63 



Di detto. Pervenuti di transazione fatta a Geronimo Lento di Rosarno, a chi li fu 
preso il cavallo per controbanni di sale commessi per doc. 4.90, che dedotta la 
metà spettante ali 'appaltatore restano netti doc. 2. 45. 

12 Agosto. Pervenuti di transazione d'Antonio di Paola e Giovanni Spagna di 
Rosarno per la somma di doc. 4.50. per controbanni commessi, dedotta la metà 
spettante all' appaldatore, restano netti doc. 2. 25. 

4 Settembre. Pervenuti dalla vendita di due cavalli, arrestati nella marina di 
Nicotera a persone detti stati di Monteleone, per doc. 14.80, che dedotte le spese, 
terzo de' soldati dell' Arrendamento, e il terzo spettante all' appaldatore, restano 
netti doc. 4. 76 e 1/3 

12 detto. Pervenuti dalla transazione fatta a Marco Minniti di Rosarno, che rimase 
inquisito per controbanno di sale commesso, che poi fu aggiustato per doc. 9.50., 
che dedotta la metà dell' appaldatore, restano netti doc. 4. 75. 

17 detto. Pervenuti di transazione fatta a Giovanni Ursumanno dello detto stato di 
Montelonne per doc. 4, il quale era inquisito per controbanno commesso, dedotta 
la metà dell' appaldatore, restano netti doc. 2 

8 Ottobre. Pervenuti dalla vendita d'un cavallo preso a Marco Minniti di rosarno 
da' soldati dell' Arrendamento per docati 16., che dedotti le spese, ed il terzo de' 
soldati, ed il terzo all' appaldatore, restano netti doc. 5. 16 e 1/3. 

18 Novembre. Pervenuti per transazione di domenico Scidà di Monteleone per 
controbanni commessi, dedotta la metà spettò all' appaldatore doc. 1 

Di detto. Pervenuti per transazione di Bruno Catalifano di Monteleone per doc. 
3.80 per la causa ut sup. dedotta la metà all' appaldatore, restano netti doc. 1.90 

2 Decembre. Pervenuti di transazione d'Antonio GioiBruno di Monteleone per 

doc. 3 per causa ut sup., dedotta la metà al sudetto appaldatore, 

restano netti doc. 1.50 

23 detto. Pervenuti dalla vendita d'un cavallo per doc. 17 dedotte le spese, terzo 
de soldati, e l'altro terzo all' appaldatore, per essere stato incettato dentro li stati 
di Monteleone, restano netti per V Arrendamento doc. 5.52 



64 



1729 

14 Gennaro. Pervenuti dalla vendita d'una giomenta, ed un cavallo per doc. 10.10, 
presi dalla squadra dell' Arrendamento agente in Rosarno, dedotte le spese, terzo 
de' soldati, terzo all' appaldatore, 
restano per V Arrendamento doc. 3. 23 e 1/4 

16 Febraro. Pervenuti per transazione fatta da antonio Barretta di Rosarno, per 
doc. 3, che dedotta la metà all' appaldatore restano per l Arrendamento doc. 1.50. 

Di detto. Pervenuti per transazione fatta a Giuseppe Mole, Domenico lo Bianco, 
ed Elia Giosto soldati del Barricello di Monteleone per doc. 30. che furono 
carcerati, e poi dal signor marchese Pignatelli furono sborrati dalla squadra del 
detto Barricello, dedotta la metà all' appaldatore, restano netti per 
V Arrendamento doc. 15 

Di detto. Pervenuti per transazione di domenico Catalifano di Monteleone per doc. 

3 per controbanni commessi, 

dedotti la metà per V appaldatore doc. 1.50 

10 detto. Pervenuti dalla vendita di una somarella per doc. 3 presa dalli soldati 
dentro li stati di Monteleone, dedotte le spese e li due terzi, uno alli soldati, e 
l'altro all' appaldatore, restano per l Arrendamento doc. 1 

18 detto. Pervenuti dalla vendita d'un' altra somarella per doc. 5 presa dalli 
soldati dentro li stati di Monteleone, che dedotte le spese, e terzi, come sopra, 
restano per l 'Arrendamento doc. 1.60 

Primo Aprile. Pervenuti per transazione di mastro Francesco Scrugli fundacaro 
della Rocchetta per doc. 4, a chi li fu ritrovato certo poco sale in controhanno, 
che fu carcerato dal capitano di compagnia del Barricello di Monteleone, che 
dedotte le spese, ed il terzo all' appaldatore, 
restano per V Arrendamento doc. 1.50 

Di detto. Pervenuti dalla vendita di due cavalli per doc. 11.10 arrestati in 
Rosarno da quella corte d'ordine del signor marchese Pignatelli per 
controbanni, che dedotti le spese, 
e li due terzi come sopra doc. 3. 63 e 1/3 

6 Aprile. Pervenuti per transazione di Gio: Spagna, e Scipione di Paola di 
Rosarno per doc. 4 per aversi inteso dal signor, marchese Pignatelli, che questo 
avevano commesso controbanni di sale, dedotta la metà all' appaldatore, 



65 



restano ali 'arrendamento doc. 2. 

6 Maggio. Pervenuti dalla vendita d'uno somarello, preso dalli soldati 
dall' Arrendamento con poco sale di Monte, che l'andava vendendo in 
Castelmonardo per doc. 4, che dedotte le spese, e li due terzi 
restano netti doc. 1.30 

10 detto. Pervenuti dalla vendita di quindici somari, et uno muletto doc. 71.55 
arrestati dalli soldati dell' Arrendamento in Castelmonardo a quali li fu dato 
agiuto da quel mastro giurato con tutti li frati giurati, che colà 
s'accompagnarono fino a Monteleone a portare le dette cavalcature per timore di 
non essergli rubbati dalli padroni, che se ne fuggirono di numero di 14., che 
dedotte le spese, e li due terzi spettorono à soldati, ed appaldatore, restano netti 
per V Arrendamento doc. 20.39 e 1/3 

12 detto. Pervenuti per transazione di Domenico Ruggiero di Monteleone, e 
proprio di Piscopio per doc. 1.80 per controbanno commesso, dedotta la metà allo 
appa Idatore doc. 0.90 

30 Giugno. Pervenuti per transazione, e vendita d'una somarella presa ad Antonio 
Pappalo di Monteleone per doc. 8, che fu arrestato incontrabanno dalle squadre 
dell' Arrendamento, che dedotte le spese, e terzo de' soldati solamente stante per 
V appaldatore terminò l'obbligo di Monteleone dell' appaldo doc. 5.33 e 1/3 

2 Agosto. Pervenuti per transazione d'Antonio GioiBruno di Monteleone per 

aversi inteso, che vendè sale incontrobanno, 

che fu transatto per doc. 4. 

15 detto. Pervenuti per transazione d'Antonio Curado, Francesco Antonio Sellimo, 
Nicola la Rocca, e Catarina Fiarè di Briatico per doc. 8 per aver comprato sale 
incontrobanno doc. 8 

30 Settembre. Pervenuti dalla vendita di quattro somarelle, presi di notte nella 
marina di Bivona con sale controbanno doc. 10 dedotte le spese, e terzo de' 
soldati dell' Arrrendamento doc. 6.56 e 2/3 

2 Decembre. Pervenuti dalla vendita d'una giomenta arrestata in Loriano da quel 
mastro giurato ad uno di Piscopio, e fu venduta per doc. 9.96 dedotte le spese, ed 
il terzo de' capienti restarono netti per l Arrendamento doc. 5. 33 e 1/3. 



66 



1731 

Primo Settembre. Pervenuti dalla vendita d'una giumenta arrestata con un tomolo 
di sale in contrabanno, ed uno cavallo per doc. 14.70 qual sale si mette in Gioja, 
che dedotte le spese, ed il terzo de' capienti doc. 7.35 

In Marzo. Per Tomola 119 di sali di mare, che furono presi d'ordine al signor 
marchese Pignatelli dalli soldati dal Barricello di Monteleone dentro il Castello 
di Bivona, e consignato al sostituto Biase Arcuri, che, come dal Bilancio di detto 
mese di Marzo tom. 119. 

In Decembre. Per tomola 50 sali arrestati nella marina di Bivona dal sudetto 
Barricello, che anche lo consignarno al sostituto di Bivona, come da bilancia di 
Decembre tom. 50. 

Come si denota da tali succinte ma puntigliose note sui ripetuti sequestri 
di sale, l'area controllata dai soldati del Fondaco di Bivona era in realtà molto 
ampia, estendendosi dal Lago Angitola a Gioia e Rosarno, tanto da non poter 
contrastare efficacemente il contrabbando dell'epoca, che colpiva in maniera 
rilevante le entrate derivanti dall' arrendamendo dei sali di mare. Difatti, nonostante 
tale controllo, capitava più spesso che la gente acquistasse il sale apertamente in 
piazza che nel fondaco stesso. Nello Stato di Montelone infatti il contrabando di 
sale era esercitato apertamente, addirittura sotto la protezione dello stesso Duca 
Pignatelli, che profittando delle sue protezioni, lo faceva arrivare via mare da 
Trapani nonostante le reiterate proteste della regia udienza 153 . 



153 Di Vittorio A., Gli Austriaci e il Regno di Napoli 1707-1734, voi. I, Le finanze pubbliche, Ed. 
Giannini, Napoli 1969, pp. 185-186. 



67 



IL PORTO DI BIVONA NELL'ECONOMIA 
DELLO STATO DI MONTELEONE 



A parte il ruolo e le funzione del Fondaco, l'attività e la consistenza economica del 
porto di Bivona dal 1500 in poi, è rilevabile, oltre che da molte ricerche edite in 
questi tempi sui traffici marittimi, da una notevole quantità di documenti inediti 
conservati in archivi pubblici e privati. 

Nei primi atti del XVI secolo il porto di Bivona viene brevemente descritto come 
"puerto... (con un) ingenio... (per) asecar en el (le galee)", successivamente nel 
1550 come "porto... (con) stancia per galere dudece" e nel 1579 come "riparo per 
navi e galere" ' . 

Il porto era comunque, quando la città perse il suo stato di città-regia per divenire 
città-feudale, in grado produrre entrate doganali tali da far tentare ai cittadini 
dell'Università di Monteleone di riacquisire il perduto status demaniale proprio con 
gli introiti della "Doana di Bibona (...) talché detto denaro possa contribuire alle 
spese fatte per conseguire detto demanio, perché non ha altro spediente, per 
sodisfare à dette spese" , secondo quanto si ricava da una supplica inviata il 29 
maggio 1501 al nuovo feudatario, il Duca Ettore Pignatelli. 

Va però detto che sin dal suo insediamento la redditizia attività portuale venne 
interamente gestita dal Duca di Monteleone 156 , il quale impose da subito tutta una 



154 ASN, Commisione Lìquidatrice per il Debito Pubblico, a. 4350. 

Capitoli, e gratie domandano l'Università ed huomini della Città di Monteleone di Calabria 
all'Eccellente Signor D. Rettore Pignatello di Napoli, Regio perpetuo Governatore di detta Città di 
Monteleone, da concedersi in perpetuimi per esso, suoi eredi, e successori ad essa Università, ed 
uomini di quella., in Bisogni de Catti I, Hipponii seu . . . op.cit., libili, cap. V, p. 207. 

151 Ettore Pignatelli I divenne Duca di Monteleone nei primi anni del '500, epoca in cui svolgeva 
l'incarico di Luogotenente di Re Federico I. Ciò pose il Pignatelli nella favorevole posizione di 
preparare e controfirmare le stesse Grazie e Privilegi che gli consentirono di acqusire le terre demaniali 
dello Stato di Monteleone e dei suoi Casali. La famiglia Pignatelli impose la sua signoria sul territorio 



68 



serie di nuove esazioni che, come vedremo, condizioneranno enormemente le sorti 
ed il destino dello scalo nonché dello stesso commercio marittimo monteleonese. 
Grazie alla presenza del porto il duca di Monteleone riuscì ad ottenere, il 1 luglio 
del 1513, un privilegio reale che fissava una rendita perpetua di 200 ducati annui 
sulle entrate del Fondaco della Gabella Nuova e della Terziaria del Ferro, che si 
esigevano o si carricavano nel Porto di Bivona. 

L'importante privilegio recita testualmente: "...et percipiendos singulis annis 
incipiende a die date presentium in antea nemerando mensatim vel de tercia in 
tercia ratam contingentem in ex super juribus introitibus, et redditibus /undici 
gabelle nove et terziarie ferri aliorimque jurium quarumcumque que notez notrez 
Curie percipiuntur, et exigunt ini portu sive caricatorio Bivone pertinenciarum 
Terrez e Montisleonis de Provincia ulteriore Calabriaz exe primi pecunijs que 
dicto rum racione in ipso portu percipiunt hic tamen declaratione per illud quod 
deficeret consequi in uno anno exigere percipere possit alys sequentibus itaque 
integre et indiminute idem comes et presenti ejus heredes et successores anno 
qulibet super permissis habeant et consequant dictos ducatos duocento in pace et 
absque contradictione aliqua" 

Dall'importo della rendita derivante solo dalla gabella nuova e dalla 
terziaria del ferro, è facile dedurre il notevole movimento mercantile lungo la costa 
bivonese e quanto i cespiti derivanti da tale attività fossero importanti per 
l'economia del Ducato di Monteleone. 

E' forse il caso di ripercorrere la storia del Porto di Bivona nel periodo viceducale, 
utilizzando le parole adoperate dall'Avvocatura dello Stato di Monteleone in un 
memoriale redatto, nella seconda metà del XVIII secolo 158 , allo scopo di 
dimostrare sia i diritti della Corte Ducale sullo scalo portuale che la continutà 
d'uso della struttura dal 1500 al 1700, la cui attività procurava insostituibili rendite 
alla Corte. 

monteleonese sino al 1806, anno in cui venne emanata da Giuseppe Bonaparte la legge sulla 
soppressione della Feudalità. Mantenne comunque tutta la sua influenza sulle sorti economiche della 
città fino al 1867, anno in cui l'ultimo Duca di Monteleone, il Principe Diego Aragona Pignatelli 
Cortez, acquistò la Villa e le proprietà della famiglia Rothschild. La dimora fu ereditata in seguito dal 
giovane principe Diego, nipote ed omonimo del principe Pignatelli, e da sua moglie Rosa Fici, dei duchi 
di Amalfi. Nel 1955 la villa è stata donata allo Stato con la condizione di istituirne il Museo Pignatelli- 
Cortez, e che l'appartamento, nella sua parte rappresentativa e con tutto il suo arredo di mobili e le 
raccolte di oggetti di arte decorativa, rimanesse conservato integralmente nei suoi aspetti caratteristici e 
nessun oggetto potesse esserne distratto o far parte di altre collezioni. 

157 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 3, f.lo 1, n. 49. 

151 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Sc.78, f. I, n.17 e 18, "Pareri del Magri."' Don Angelo Galante 
affittatore della Dogana di Bivona - 18 Aprile 1 755 - Scritti diversi e notizie de Jussi spettanti al Porto 
e Dogana di Bivona". 



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"Non ave dubbio" recita il memoriale "che la Zscc(ellentissi)ma Casa di 
Monteleone, per concessione fatta, a titolo di vendita, ad Ettore Pignatelli, primo 
Duca, sin dalli 8 Giugno 1501, fece acquisto della nominata Terra, " cum Castro, 
seu Turri, et Dohana, et Portu Bivone, cum ipsorum, et cu jus libet ipsarum ... 
passagijs, Juribus, seu Gabellis, et Dohanij, Plateis, Juribus Plateorum ... et 
omnibus aliis Juntus, et Jurisdictionibus, et pertinentijs, ad illus spectantibus, et 
pertinentibus, tam de Jure, quam de Consuitudine ... ad dictam Terram 
Monmtisleonis, sub titulo Gubernationis, et Castrum, Turrim Bivona, et Dohana, et 
Portum ipsius spectantibus, et pertinentibus, tam de Jure, quam da Consuetudine, 
seu alias quovis modo, in jusiumque vocabuli appellatione distinctis, etiamsi 
oporteriet fieri specialem, et expressam mentionem, et cui omnibus aliis; etiamsi 
talia forent, que exprimenda spetiser essent; et dal quuois specialitate non 
venirent 

Una tal concess(ìon)e poi, essendo stata confermata allo stesso Ettore primo dal 
Re Ferdinando il Cattolico, colla espressione di concederseli la nominata Terra, 
cum Turri, Portu, et Dohana Bivone ; et con tutti gl'altri Dritti contenuti nel 
mentovato Privilegio, vi si aggiunse ex certa scientia, et grafia speciale una nuova 
concess .(ion).e degli accennati corpi e dritti, non ostante, che nel possesso di 
questi non si fusse forse trovato allora il Concessionario. 

Seguì poi la reintegra, fatta nel 1543 dal Consigliere Sebastiano della Valle, nella 
quale si rapporta, che l'Eccma Casa haveva, fra gl'altri dritti, quello della 
Dohana di bivona, colla spiega di esiggersi quella a ragg.e di gra.i 18 ad oncia da 
Forastieri, che compravano, e vendevano nelle pertinenze di d.a Terra, e ciò non 
mena dal Compratore, che dal Venditore, quando ambedue siano esteri. 
Si soggiunse ancora nella stessa reintegra, il Jus dell'Ancoraggio del Porto di 
Bivona, che si esiggeva dalli Navigli che ivi capitavano; e vi si vede prescritto 
anche il diritto dell' esazzione, ed a qual ragg(iox\)e si praticava". 
Il documento precisa inoltre, procedendo nell'elencazione dei rinnovati diritti e 
privilegi spettanti alla Casa Ducale sulle tasse d'Ancoraggio, che: "non ostante 
l'appoggio di tali documenti, ed anche de' Rilevi] degl'anni 1654 e 1677 ne' quali 
si porta denunciato il Jus del Castello dì Bivona, Dogane, e Dritti Spettanti alla 
Ducal Corte ; poco sicura fu la Casa del Sig.r Duca dalle Molestie che dal Fisco 
poco appresso gli vennero inferite; giacché nell'anno 1681, havendo la /?(ea)le 
Cam(er)a spedito mandato a possesso de' dritti dell'Ancoraggio, e Falancaggio 
del Pizzo, Rocchetta e Bivona, perchè frissero comparsi ad esibire il titolo di essi 
dritti; come quelli che essendo da Regalibus posseder non si potevano senza Regal 
Privilegio, e Concessione; 



qui l'autore riporta un intero periodo del Regal Privilegio del 1501, con cui Ettore Pignatelli 
acquisiva lo Stato di Monteleone. 



70 



per parte del Sig.r Duca di Monteleone, non solam(en)te si esibì il sopramentovato 
Privilegio dell'anno 1501; ma altresì allegossi l'immemorabile possesso del Jus 
dell'Ancoraggio e Falancaggio nella Marina di Bivona, e Rocchetta; dritti precisa 
l'amplissime parole di esso Regal Privilegio, pretendeva esso Sig.r Duca di 
Doversi comprendere sotto la concessione del Porto; e per conseguenza 
domandò non esser molestato per le pretenzioni fiscali. 

Ed essend'essi su tale emergenza nell'anno 1682 commesso al Razionale 
Caropreso, perchè delle raggioni fiscali fatto havesse relaz(io)ne, fu questa poi nel 
1684 disimpegnata dal Razionale Domenico Farina; in vista della quale, 
quantunque il fisco preteso havesse il prezzo degl' accennati Corpi, col decorso 
della Tassa sin dal 1501, a li Rilevi] duplicati, o semplici cogl' interessi, tuttavia 
nell'anno 1692, furono queste, ed altre pretenzioni fiscali su anfatta per la somma 
di docati Diecimila, pagati al Regio Fisco da D(oxm)a Giovanna Pignatelli; e 
venner per conseguenza liberata la Casa del sig.r Duca dalle ulteriori molestie, 
sopra i corpi dell'Ancoraggio, e Falancaggio di Bivona; Così che da quel tempo, 
ed in appresso vi è motivo di credere, che nel possesso di tali dritti mantenute si 
fusse. 

Finalmente nell'anno 1752, in data de 30 ottobre, essendo stato, d'ordine del Sig.r 
Marchese Gregorio, publicato Banno per lo regolamento delle Dogane del Regno, 
nel capo 31 dello stesso Banno fu fatta questa disposizione: "Per ultimo, essendo a 
nostra notizia, che diversi Baroni pretendono esigere il Jus Fundaci, che loro non 
spetta, mentre alcuni, che godono una tal prerogativa di esigger dritti sopra le 
Dogane, solo si estenda al Jus Dohana, che è il dritto della contrattazione, e pure 
questo dritto lo devono esiggere per quelle merde, che s'immettono necessarie al 
consumo di quel Feudo, over hanno tal concess(ìo)e, e per l'estrazione solamente 
la devono godere per quej generi, che nascono in detto Feudo, ed abusandosi 
d'esiggerlo tanto per la robba che s'immettono per altri Feudi, quanto quelle che 
provengono da altri Territori; e perciò ordiniamo e comandamo, che per quelli 
pretendono esiggere il Jus Fundaci, debbano leggittimare avanti di Noi il loro 
Titolo, e per il Jus Dohane permettiamo esiggerla a quej, che hanno tale concess.e 
per quej generi, che nascono nel territorio del med(esim)o Feudo, e dal 
med(esim)o si estraggono, o per quelli che vi s'immettono per il mantenimento de' 
cittadini del pred(ett)o Feudo." 

Come ben si evidenzia da tale documento, sin dal loro insediamento a 
Monteleone, i duchi Pignatelli difesero strenuamente e con successo, le loro 
prerogative d'esazione e di possesso dell'area portuale di Bivona, rivendicandone i 
diritti proprio sulla base riconoscimento dei privilegi reali, ma ancor più, sul 
continuo possesso del diritto di ancoraggio e falancaggio, che dall'8 giugno 1501 
al 30 ottobre 1752, viene documentato con l'esposizione dei regi privilegi e bandi. 

Una asserita continuità d'uso che in appresso documenteremo con una 
notevole quantità di documenti ed atti notarili. 



71 



Il 21 Novembre del 1523 le tasse pagate dalle "persone tanto cittadine come 
forestiere" , le ricaviamo dai Capitoli ed Istruzione inviati dal Duca ai sindaci della 
città di Monteleone: "tutte quelle persone forestiere che venderanno grani in 
Bivona, e Marina, e qualsivoglia altra cosa, che entra à peso, ed à misura, che per 
aggiustatura, habbiano da pagare grana dieci: E che s'osservi la forma e tenore 
delli sopradetti capitoli" 160 , sanzionando in caso contrario il tragressore con una 
pena pecuniaria fissata tra i dieci ed i quindici carlini. Inoltre "tutte quelle persone 
che portano pesci, tanto nella città come nelli casali e distrino, a salma, habbiano 
da pagare per ogni salma un rotolo di pesci. E senza licenza non possano vendere, 
e vendendo paghino la detta pena e perdano li pesci" ed ancora "tutte quelle 
persone, tanto forestiere come cittadine, che volessero vendere tonnina, siano 
tenuti e debbiano pagare un pezzo di tonnina per barile", e "per ogni barile di 
sarde salate, habbia da pagare e donare due tornesi di dette sarde" . 

Vicende economiche a parte, proprio un episodio militare lega la storia 
portuale ad uno dei pochi gesti eroici documentati di Ettore Pignatelli, risalente ai 
primi anni del XVI secolo, ed esattamente tra il 1515, anno in cui i francesi 
riprendono la lotta in italia guidati da Francesco I, ed il 1527 quando il Pignatelli 
ottenne in dono da Carlo V d'Asburgo anche il titolo di feudatario della Baronia di 
Castel Monardo. 

L'armata francese era all'epoca entrata pericolosamente nelle due provincie 
calabresi e fu allora che "Ettore Pignatelli duca di Monteleone in quel tempo 
viceré in Sicilia, si partì dalla città di Palermo con una quantità di soldati corsi e 
sardi e se ne venne a sbarcare nel porto di Bivona, ed ivi sbarcato salì in Monte 
Lione con li detti Corsi e Sardi per guardia della città". 

In poco tempo raggiunsero i francesi "alti Castillucci" vicino Castelmonardo, dove 
lo scontro armato fu in breve vinto dal Duca di Monteleone soprattutto perchè la 
notte seguente il maltempo e la pioggia torrenziale aveva tanto inzuppato ed 
impantanato i soldati francesi "che haveano tutta la monizione infusa e l'armi 
come ho ditto non possettero sparare un colpo veruno" . 

Dunque, da quanto si evince dal soprascritto memoriale, proprio nei primi anni 
della reggenza ducale il porto si rivelò un'importante base strategica nei frequenti 



Capitoli ed istruttioni fatti e ordinati per li Signori Sindici, Università, ed huomini della Città di 
monteleone, da osservarnosi per qualsivoglia persona, tanto cittadina quanto forastiera, circa la 
ragione ed ezattione spettante alla Catapania della detta Città, noviter donata all' Illustrissimo Signor 
Conte di Monteleone, suoi heredi e successori in perpetuum, 21.1 1.1521, in Bisogni de Gatti, I, op. cit., 
Lib. Ili, cap. V, pp. 229-230. 

1 ' Documento in su Castelmonardo, Usi civici di Catanzaro, fase, inerente il Comune di Filadelfia, 
Napoli 1777, pp 109-112, datato Castelmonardo 6 luglio 1667- notaio Giovanni Domenico Serrao che 
trascrisse tutti articoli, compreso il nostro, scritti nel 1596. Cfr. Diego Maestri e Mimma Maestri De 
Luca, Castelmonardo, Archeologia mediavale e ricerca interdisciplinare, fase, 1989. 



72 



spostamenti del Viceré di Sicilia, nonché Duca di Monteleone, tra l'isola ed il 

continente, è ciò non potè che condizionare positivamente l'afflusso nel suo bacino 

di mercanti e mercanzie. 

Così, oltre al vino, al ferro, al sale ed alla seta, per tutto il XVI secolo il porto, 

come accadeva ai tempi di Papa Gregorio Magno, ritornò a dimostrarsi tappa 

obbligata e centro nevralgico per lo smercio del legname proveniente dalle Serre 

calabresi. 

E' infatti dalla "Grande Piatela" della Certosa di S. Stefano del Bosco redatta nel 

1534 che rileviamo come anche i monaci della Certosa di Serra S. Bruno 

utilizzavano lo scalo bivonese per il trasporto del legname prodotto nelle loro 

terre 162 . 

Un capitolo di tale documento addirittura stabiliva che i vassalli della Certosa 

fossero "tenoti s(er)vir(e) alli dicti priore (et) monaci solario mediante, dove piace 

ad ip(s)i priore et monaci: ma qu(an)to allo portarip) delo Ugnarne i(n) lo porto de 

Bivona o ad altri lochi (...) sensa solario, ma p(er) angaria" 

Rimane da aggiungere che alcuni anni prima di tale Plateia, ed esattamente nel 

1526 l'area di Bivona risulta visitata dal padre domenicano Leandro Alberti, nel 

suo peregrinare per le terre calabresi. 

Dalle sue parole, nel percorrere il tratto di strada che da Pizzo conduce a 

Monteleone, non ricaviamo alcuna notizia sull'esistenza di strutture portuali, né a 

lui contemporanee né più antiche, benché ci informi dei "molti pescatori (che in 

quel lito di spiaggia) si trovano, i quali pescano continuamente" 



1 2 Grande Piatela della Certosa di S. Stefano del Bosco (a. 1534) f. 15v., inizio r. 11, Biblioteca 
Nazionale di Reggio Calabria, in F. Mosino, Edizione di testi volgari calabresi del secolo XVI, in 
AA.VV. Studi dedicati a Carmelo Trasselli, a cura dell'Istituto di Storia Medievale e Moderna - 
Cattedra di Storia Moderna Facoltà di Lettere e Filosofia, Univ. di Messina, Rubbettino Ed., Soveria 
Mannelli 1983. 

llJ Ibid., p. 490. 

Valente C, Leandro Alberti in Calabria, Ed. TAC, Cosenza 1968: "...Quindi lungo il lito del mare 
(di Pizzo, ndr.j infino al piccolo castello di Bivona, scorrendo sono quattro miglia. Nel qual spazio 
molti pescatori si trovano, quali continuamente pescano, avvenga che II l'ito sia spiaggia, evvi però 
buon ridutto de' pescatori. Camminando lungo questo lito, veggonsi da ogni parte pietre pomici, quivi 
condotte dall'onde del mare, le quali sono a gran furia dalla fiamma, che esce dalla bocca dell'isola di 
Volcano gettate fuori, e cadendo nell'acque marine, poi da quelle quivi portate. Nella bella pianura 
posta sopra detto lito, avanti nominata, vi era la città di Ippo, poscia Vibone Valenza detta, ov'è di 
presente Monte Lione, come dimostrerò ne' Mediterranei. La onde credo che V antidetto castelletto 
acquistare tal nome di Bivona, in vece di Vibone anzidetta. Eziando pare a me che quivi fosse quel 
luogo di Mercato, ò da traficar per li mercanti, fatto da Agatocle tiranno di Sicilia, havendo soggiugato 
Vibone Valentia, come narra Strabone. Egli è detto castelletto posto circa il fine di questo Golfo di S. 
Eufemia (...) Il che mi fa credere il sito di essa {di Ipponio ndr.), che par sia quello da gli antichi 



73 



Nel descrivere l'area, egli descrive "i vestigi degli antichi edifici, che quivi si 
veggono trascorrendo insino al picciolo castello di Bibona posto al lito del mare", 
edifici che dovevano essere numerosi, oltre che ben visibili e riconoscibili come 
"città rovinata", se egli dà il via, per la prima volta, all'ipotesi, mantenutesi 
inalterata nell'ambiente dei viaggiatori europei per tutto il XVII secolo, che 
l'antica città greca di Hipponion, fosse ubicata nell'area costiera. 

A parte la descrizione fornitaci dall'Alberti, la lettura delle fonti d'archivio rivela 
una sorprendente, e finora inedita, vivacità produttiva dell'area costiera vibonese 
nei primi decenni del 1500, basata oltre che sull'attività portuale, sull'esercizio 
della pesca del tonno, sulla coltivazione delle fronde di gelso, della canna da 
zucchero e degli agrumi, sulla gestione del monopolio del sale marittimo, e tutta 
una miriade di altre iniziative economiche che fornivano importanti rendite alle 
casse della corte Ducale, così come appare in un rendiconto delle entrate dello 
Stato di Monteleone redatto nel 1536: 
"De la rag. e di vender il vino 

in Bivona se fa la Tonnara due. 9:3:10 

De la venditione del le Frondi delli Celsi 

de li giardini di s. Venere " 772 

De l'affitto de la Tonnara di S. Venera 

per l'integro anno " 50 

De l'affitto de li frutti del Giardino 

e de Longobardi per tutto V anno " 10 

Per la Terza delli 24 de l'affitto 

di li magazzini della marina " 8 

Per la Terza de li 200 

si hanno l 'anno dal R. Fundaco " 66:6:36" 

Tale vivacità produttiva era possibile per la fertilità del suolo e dalle risorse del 
mare, beneficamente influenzate dall'esistenza di un'area portuale, certamente 
attrezzata per far fronte alle necessità stoccaggio delle mercanzie prima o dopo 



scrittori disegnato, et eziando i vestigi de li antichi edifici, che quivi si veggono trascorrendo insino al 
picciolo castello di Bibona posto al lito del mare (secondo è dimostrato). La onde credo, che fosse così 
nominato detto castello da questa città rovinata. Anche questo me lo fa credere Tolomeo dipingendola 
quivi, et parimente Strabone descrivendola vicina a quella nobile pianura; ove passò di Sicilia 
Proserpina a raccogliere i belli, et odorifici fiori, per fare le ghirlande (imperò che quivi sempre si 
veggono verdeggianti prati, che superano tutti gli altri in vaghezza, et bellezza) secondo che dicevano 
gli antichi" . 

165 ASN, Pignatelli-Cortez Archivio, Se. 69, f.lo 1, n. 1. 



74 



l'arrivo delle imbarcazioni, oppure per organizzare e sfruttare al meglio i tempi ed i 
modi del successivo percorso via terra delle mercanzie giunte via mare. 
L'esitenza di un magazzino portuale la rileviamo da un atto in pergamena, stipulato 
da Notar Antonio Sorrentino di Napoli il 6 ottobre del 1543, con cui il Reverendo 
Don Giovanni Vincenzo Palmerio, Abbate e Commendatore dell'Abbazia della 
SS.ma Trinità di Mileto, ratifica una precedente vendita fatta da Nicola Brigliuno di 
Monteleone a favore di Don Ettore Pignatelli, di un Magazzino sito nel Porto di 
Bivona, redditizio in perpetuo alla stessa Abbazia di Mileto 166 . E' altresì vero che 
l'utilizzo dell'area portuale per lo stoccaggio e la custodia delle merci sbarcate, 
viene documentato già un secolo prima dal capitolo 9 di una supplica inviata dai 
cittadini dell'Università di Montelone a Don Ferrante, Re di Sicilia, Gerusalemme 
e Ungheria il 20 gennaio 1480, nella quale i sottoscritti "huomini di detta città, 
suplicano e domandano, atteso che lo terreno del fondaco di Bibona è su lo 
distrino della Città di Monteleone, e per li detti huomini, succedendo il caso, s'ha 
da guardare, e difendere, acciò si conservassero le mercantie; che si degni essa 
Maestà farli esenti, e franchi, & absque solutione aliqua nello detto fondaco" 
Che il porto rappresentasse un'importante tappa per il naviglio utilizzato tanto 
dagli imprenditori quanto dagli organismi regi e ducali lo dimostrano parecchi atti 
rogati tra il 1500 ed il 1600 dai notai monteleonesi. 

Uno di questi, Baccari Martino di Monteleone, risulta particolarmente attivo nel 
redigere atti riguardanti il trasporto marittimo. E' il 17 febbraio del 1563, quando 
di fronte ad esso si costituiscono il commerciante Gregorio Spinello, dimorante in 
Monteleone ed il comandante Sebastiani per accordarsi sulla "expeditione da 
portus Nicolai in civ(it)as Mont(e\eo)nis" di "milles ducatis de frumento in se 
navilio dal porto S. Nicola alla marina di Mont(e\eo)nis, a la marina di Reggio". 
Il documento fornisce inoltre notevoli informazioni sulle prescrizioni che si era a 
quel tempo soliti redigere per garantire la buona riuscita non solo dell'atto di 
compravendita ma anche per garantire le merci ed il destinatario del carico inviato 
via mare. 

Si precisa, ad esempio, che il comandate Sebastiani dovrà attenersi al momento 
della consegna della merce, alle seguenti disposizioni: "a mette detto ben su la 
prima con tempo de partire et ch'esso navile partirà da p(rede)tto porto d(et)to S. 
Nicola benestagno ammainato et corredato et caricato come s'è accordato, per 
mille trecentociquanta di grani et recto tramite andar in la città di Reggio in la 
marina et se havvi calare di essa città"; inoltre "intra giorni sei <f(et)to carico de li 



' ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 34, f.lo 1, n. 35. 



1 7 Capitoli, suppliche, e domande fatte dall'Università ed huomini della Città di Monteleone di 
Calabria alla Maestà del Signor Rè Don Ferrante Rè di Sicilia, Gierusalemme, ed Ungaria , & e, 
22.01.1480, in Bisogni de Gatti I, op. cit, lib. Ili, cap. V, p. 194. 



75 



1350 di grani scharicare et consigliare ben condictionati et nò maleficiati et 
bagnati" . 

Viene altresì stabilita una originale e finora sconosciuta unità di misura per il 
riempimento dei sacchi di grano al momento dello scarico: "il p(rede)tto 
com(a.ndan)te debba consignare la p(rede)tta quantità di grani alla mesura 
ch'adesso è stata consignata quale prontamente con la taglia che s'ha da tagliare 
in computiamo dentro uno sacco sigillato al p(rede)tto patrone at esso medesimo 
lavoro v'è stata consignata"; "possette pagare et fare pagare al p(rede)tto patrone 
i suoi noli a ragione et parte di grana nove ciaschiuno di grano" 
E' sempre dello stesso notaio monteleonese un inedito contratto di "guardianie 
portus vibonensis" 169 , dal quale non solo deduciamo che in quegli anni Mastro 
Portolano del porto di Bivona risulta essere il magnifico Josephi Caballus, ma 
anche il sinora sconosciuto uso di "affittare" ufficialmente una delle mansioni di 
esclusiva competenza del Portolano, quella appunto di guardiania del porto. 
E' questo forse uno dei primi atti pubblici di subaffitto di tale carica che, se 
certamente all'epoca era uso, era solito praticarsi "in nero", evitando 
scrupolosamente di redigere atti ufficiali, pena l'immediata esclusione 
dall'incarico. 

Con tale atto infatti Josephi Caballus affitta per "ducati sexanta mensili" a partire 
dal "primus die mesi settembris 1563 la guardianie portus Vibone at Jacopus 
Barcha". Il Barcha, che non era di Monteleone, doveva essere certamente in grado 
di svolgere tale delicato incarico e godere perciò della fiducia del Mastro Portolano 
se nello stesso strumento notarile gli viene anche donato un pezzo di terra "in 
agrimus di Vibona", per consentirgli di poter dimorare stabilmente lungo la costa. 
E' il 1571 quando l'Università ed i cittadini di Monteleone inviano una supplica al 
Duca di Monteleone Camillo Pignatelli in cui rivendicano il loro diritto di esigere 
le entrate di alcune parti del tonno pescato nelle tonnare di Bivona e S. Venera, 
supplica che rimase inascoltata ma le cui argomentazioni risultano più che valide 
proprio perché fondate sulla ben consolidata attività marinara svolta lungo la costa: 
"Si fa intendere a V. S. I. qualmente l'Università predetta era in possessione 
d'exigere la gabella dallo rivenditore della tonnina fresca, tanto in Bivona, come 
in S. Venera, e da pochi anni in qua, de facto sono stati li gabelloti di detta 
Università prohibiti per l'Officiali di V. S. I. ad exigere la ragione di detta gabella 
da detti rivenditori, sotto pretesto, che la tonnina predetta, essendo frutto di feudo, 
è franca di detto deritto, quando si vende infra fines feudi, lo che è contra la 
disposizione legale, atteso da essi frutti feudali de jure è franco solamente il 
padrone del feudo, e raffinatore, per quanto ascende il prezzo dell'affitto, ma 



' ASVV, Notaio Baccari Martino, Monteleone (1559-1565), Sched. IV, lib.66, f.66. 
ASVV, Notaio Baccari Martino, lib. IV, cord. 66, f.148 - 1 maggio 1563. 



76 



comprandole il terzo, e quello doppo rivendendoli, sono obbligati alli diritti di 
detta gabella, overo d'altre persone, per le contrattazioni, che da quelle si fanno, 
perciochè non s' hanno da nominare più frutti feudali, ma si reputano robbe di 
mercantie del terzo, o d'altro, che le contrasse. E perciò piaccia a V. S. I. riponere 
detta Università nell'antica possessione di detta exatione. Tanto più, che essa ha 
sempre trattato e fatto trattare franchi, ed immuni di detta gabella, non solamente 
raffinatore della tonnina, ma tutti li marinari, che in quella servono, come appare 
per capitoli con li quali è solita vendere la gabella predetta" 
Tra gli imprenditori che nel 1582 utilizzavano lo scalo di Bivona per lo smercio 
del legname si distingue Nicolaus Joannis Prunia habitator in terra Arenarum che 
dichiarandosi "preyte de messa e non è beneficiato, però vive con le sue robbe et 
anco con lo fare dell'industria alle cose de Ugnami", affittava le Serra di Arica e i 
boschi del territorio di Arena, producendo tavole di abete, faggio e altro legname 
che esportava, servendosi del porto di Vibona ìn , in Sicilia e Campania. 
Fu certamente l'importanza assunta in quegli anni dallo scalo portuale di Bivona 
per il prestigio sociale ed economico dei duchi di Monteleone che suggerì ai 
Pignatelli l'aggiunta del simbolo dell'ancora nell'insegna araldica della famiglia 172 . 
Ulteriori documenti testimoniano come la via marittima sia stata utilizzata anche 
dai "mastri zuccarari" di Rosarno per far giungere, nel 1581, "cannameli (che) /;' 
portarono in lo trappito de Bivona per mare e per terra e ne fecero de quelli 
cannameli da otto panni de zuccaro ". 

L'annata successiva si rivelò ben poco produttiva per l'impresa di Rosarno "perchè 
al tempo che essi cannameli se piantaro perchè erano maturi, sopragionse un 



170 Capìtoli, gratie, e Privilegi, aualì sl supplicano per l'Università di Monteleone alV Illustrissimo, ed 
Eccellentissimo Signor D. Camillo Pignatello Duca di essa Città, 22.02.1571, in Bisogni de Gatti I, 
Hipponii seu ... op.cit., libili, cap. V, p. 256. 

ASN, Relevi, voi. 351, in G. Galasso, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Ed. 
Feltrinelli, Milano 1980, p. 200. 

'" A proposito dell'araldica della famiglia Pignatelli, è del 1593 un carme in versi distici del poeta 
monteleonese Giandomenico Scursi (1571-1630/7?) dedicato alla potente famiglia di origine 
napoletana. In quell'anno si attendeva la visita di Ettore III Pignatelli nella città monteleonese ed il 
poeta, traendo spunto dall'arme del Duca scrisse: "XLIXd - Per l'ancora, insegna dell'ìll.mo Duca - 
D'Ettore la gran casa non può per le tempeste perire,/ che l'ancora gettata tiene porti sicuri // Come 
l'ancora aiuta le navi sbattute dal mare, // così Ettore aiuta le sue popolazioni. // Come tien salve 
l'ancora le navi fissandosi al porto, // così tiene sicuro Ettore il suo dominio". Non è da trascurare 
l'ipotesi che la ricorrente simbologia ancora/porto fosse stata ispirata al poeta dalla presenza del porto 
nella sua città. Per una attenta lettura delle vicende e delle opere del poeta monteleonese consultare la 
pregievole opera di G. Scalamandrè, a cura di, Giandomenico Scursi, Liber Carmìnum, inedito dei secc. 
XVI-XVII, Qualecultura-Jaca BooK,Vibo Valentia 1993. 



77 



malissimo tempo de mare et de terra e non ne potettero cardare in Bivona per 
macinarsi al trappito e per le pioggie si annigrarono di sotto e se guastaro, che 
non valsero più e se persero" ' , contrariamente a quanto accadde alla produzione 
di cannamele di Bivona. 

E' altresì nota l'importanza delle produzioni della seta per l'economia 
complessiva della città di Monteleone, ma poco nota è la quantità di seta che 
raggiungeva le maggiori piazze mercantili grazie al trasporto marittimo. Tra il 
luglio e l'ottobre del 1613, la dogana di Bivona sgabbellava 1.298 libbre di seta 
imbarcata (equivalenti a 4.049,76 kg), di cui 50 libbre rappresentavano una sorta di 
tassa di sdoganamento da pagare in natura al doganiere 174 . 

In quell'anno risulta che lo stesso Mastro Portolano Mattheum della Corte in 
civ(itat)es mont(e\eo)nis dimorante, assieme al figlio Honofry della Corte, dopo 
aver ottemperato agli "spettabili regi bandi per la vendita d'essa et quelli 
pubblicati et essendo ultima su' allumata la candela", superando di ben 320 ducati 
l'offerta avanzata da Pascale Caputo, aveva acquistato il 31 gennaio, per 420 
ducati, l'incarico di riscossione delle gabelle serici, "essendo vacante alla Regia 
Corte l'affitto de Regi Credentis della Regia Gabella della Seta della città di 
Mont(e\eo)nis per morte de DeCornelio Sang(iuse)ppe" 

Il XVI secolo si chiude con la cronaca del triste, quanto sfortunato, 
tentativo di moto rivoluzionario antispagnolo organizzato da Tommaso 
Campanella, il quale tramite uno dei congiurati, aveva richiesto l'aiuto per la 
sommossa ad alcuni gruppi turchi. Ma la rivolta non ebbe luogo per il tradimento 
dai suoi stessi compagni, e Tommaso Campanella venne arrestato l'8 settembre 
1599. In quello stesso mese di settembre i 156 congiurati arrestati, compreso il 
Campanella, vennero imbarcati dal porto di Bivona e da quello di Tropea sulle navi 
di Don Garzia di Toledo, per essere condotti nelle prigioni di Napoli 176 , prima del 
processo definitivo, in cui vennero inflitte esemplari condanne ai sovversivi 
calabresi. Testimone d'eccezione del traferimento dei congiurati dalla costa ionica 
a quella tirrenica fu il Duca di Wolfenbuttel Agust Herzog, che in quei giorni 
soggiornava nella città di Pizzo, il quale scrisse nei suoi appunti di viaggio come i 



1 ASN, Relevi, vol.386, e. 155. 



Mazzoleni B., op.cit. ed inoltre ASN, Arte della Seta, Fascio 527, in Matacena C, Architettura del 
lavoro in Calabria tra i secoli XV e XIX, Ed. ESI, Napoli 1983. 

l!i ASVV, Notaio Giovene Ottavio, Monteleone (1602 - 1650) - lib. XI, cord.162, f.53. 

1 " Pepe A., La torre di Giuda, in Atti III Congresso Storico Calabrese, Cosenza 1964, p. 755. Convinto 
fosse giunto il tempo di un nuovo ordine politico, il frate Tommaso Campanella, incitò i calabresi 
contro il giogo spagnolo, primo passo verso la realizzazione di una Repubblica universale, la Città del 
Sole, riuscendo ad organizzare un vasto complotto, a cui aderirono calabresi di tutte le estrazioni sociali 
e finanche alleati turchi. Tradito dai suoi stessi amici, venne giudicato a Napoli nel luglio del 1600. 



78 



prigionieri vennero condotti nel porto di Bivona, "percorrendo, in lunga catena a 
coppie, un buon tratto del paese e dando uno spettacolo straordinario alla città e 
terre per le quali passavano" ed infine fatti salire su "tre galee (...) con a bordo 
quasi 300 prigionieri che avrebbero voluto cedere la Calabria ai Turchi per le 
angherie inflitte loro dagli Spagnoli" 

Per tutto il XVI e XVII secolo lo scalo portuale e l'area costiera si 
rivelarono una vera e propria occasione produttiva per la città di Monteleone, che 
in quegli anni assurse al ruolo di uno dei maggiori centri della regione. Le 
maggiori attività dell'epoca, vale a dire la produzione della seta, la coltivazione 
della canna da zucchero e la pesca del tonno, ruotavano tutte sulle opportunità di 
smercio offerte dal vicino porto, dove continuamente approdavano galee ed altre 
imbarcazioni provenienti dalle più importanti città italiane, ma anche altri prodotti 
locali, come il vino e l'olio che, come vedremo, grazie alle richieste del mercato 
genovese e napoletano, trovarono nel porto di Bivona una determinante occasione 
scambio commerciale, secondo quanto rivelano numerosi atti notarili redatti in 
quegli anni dai notai monteleonesi e napitini, così come numerosi viaggi da e per 
lo scalo di Bivona vennero assicurati da varie compagnie assicurative. 
Un carico di fave di 60 tomoli partito da Bivona alla volta di Amantea risulta 
assicurato nel 1613 mentre uno di vetri partito dal porto di Napoli e diretto a quello 
di Bivona, venne assicurato nel 1617 per un valore complessivo di 130 ducati. Le 
Assicurazioni Marittime assicurarono inoltre tra il 1623 ed il 1663 vari viaggi di 
feluche e velieri, con destinazione finale Napoli, Livorno, Genova e Vietri, cariche 
grano (700 tomoli nel 1623, 100 tomoli nel 1654, 2000 tomoli nel 1663), 
formaggio (600 ducati nel 1628) ed olio (400 ducati nel 1633) 178 . 

Il primo agosto del 1642 partiva dal porto di Bivona sopra la barca di 
Patron Simone Russo un carico di "fangotti di seta" alla volta del mercato di 
Napoli. La spedizione era stata commissionata dal Barone Orazio Mottola di 
Monteleone, da Giovanni Battista e Giovanni Frascesco Solari di Genova, da Carlo 
Trani e Francesco Antonio Broylo di Napoli e da Fabrizio ed Ottavio Gagliardo di 
Cava dei Tirreni, all'epoca tutti commemoranti nella città di Monteleone e 
trasportava complessivamente 13 fangotti e 3 ballette di seta "conforme il tutto 



A. Erzog, 42.19. Mscrptor "Ephemerìdes sive Diarum", 38 Quartseiten, in Scamardi T., Viaggiatori 
tedeschi in Calabria. Dal Grand Tour al turismo di massa, Rubbetino Editore, Soveria Mannelli 1998, 
pp. 29 e 30. Per una dettagliata descrizione della congiura di Campanella e delle condizioni della sua 
epoca vd. Amabile L., Fra Tommaso Cammpanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, 
Voi. I, parte I, A. Morano Editore, Napoli 1882. 

'" ASN, Assicurazioni Marittime, voli. I e II, (1617-1663). 



79 



appare dalle speditioni sopra ciò fatte dalli magnifici Regi] officiali della Regia 
gabella della seta" 119 , per un totale di 2.637 libbre, pari agli attuali 8.227,44 kg. 
La spedizione si concluse tragicamente: l'imbarcazione durante il suo viaggio 
venne assalita dai ladri, che assassinarono "detto patrone e marinai e passeggeri e 
rubatosi le dette sete". 

L'epilogo imprevisto del viaggio, che obbligò i commercianti a nominare un loro 
procuratore per "la recuperatione d'esse sete, come per fare castigare tali latri li 
quali hanno commesso sì deforme assassinio e delitto", documenta quanto 
l'esportazione della seta prodotta nel circondario monteleonese verso le maggiori 
piazze mercantili dell'epoca, dipendeva in buona parte dal movimento marittimo 
che lo scalo di Bivona garantì per tutto il XVII secolo. 

E' sempre grazie ad un atto notarile, rogato a Monteleone il 28 maggio 1649, che 
scopriamo il porto di Bivona come tappa d'arrivo del brigantino "S. Sebastiano 
Bonaventura" e del suo comandante "patron Bastiano Paduani". 



179 ASVV, Notaio Librandi Antonino, Monteleone (1631-1657), 6 Agosto 1642, lib.XXIII/340, e. Ili, 
ff. 44-47. "Die vigesimo sexto mensis Augusti decime Inditionis millesimo sexcentesimo quadragesimo 
secando in civitate Montis Leonis in nostri presentia constituiti Dominus Baron Oratius mottola, 
civitatis Montis Leonis, Joanne Battista et Joanne Franciscus Solari civitatis Janue, Carolus Trani et 
Franciscus Antonius Broylo civitatis Neapoli, Fabritius Gagliardo et Octavius Gagliardo civitatis Cave 
omnes adpresens abitantes et commemorantes in preditta civitate Montis Leonis qui asseruerunt corani 
nobis in vulgari eloquio prò malori intelligentia videlicet qualmente all'i soprascritti nominati et 
cognominati allo primo del presente mese dAgosto del detto anno 1642 mandarno in Napoli sopra la 
barca di Patron Simone Russo, di esso Baron Mottola fangotti tre di libre quattrocento quaranta setti, 
detti di Blaro fangotti tre e doi balletti di libre settecento ottantasei, detti Trani e Broylo fangotti doi 
libre trecento e più, di detti per conto di Mazzetta e Luca battette tre di libre seicento, detto di 
Gagliardo fangotti doi di libre trecento doi, e detto Ottavio Gagliardo balletta un di libre doicento e 
doi, conforme il tutto appare dalle speditioni sopra ciò fatte dalli magnifici Regi] officiali della Regia 
gabella della seta di Bivona, e perché più giorni sono, si intende che detto Patron Simone Russo il 
quale portava sopra la sua barca dette sete, sia stato preso dai ladri, con haverno etti latri fatto morire 
detto patrone e marinai e passeggeri e robatosi le dette sete e quelle levatosi, perciò non possendono 
conferire di persona per la recuperatione d'esse sete come per fare castigare tali latri II quali hanno 
commesso sì deforme assassinio e delitto, confidati perciò della lealtà fedeltà e dillgentia del detto 
Giovanni Ambrosio Lavanegna della città di Genova, al presente esistente nella città di Reggio, al detto 
Giovanni Ambrosio absente come presente, essi signori di Mottola Solari, Trani e Broylom Gagliardo e 
Gagliardo, costituiscono e legltimamente creano loro vero caro et Indubitato procuratore... ". Copia 
del documento, riportato in parte da Aiello M., Monteleone dì Calabria. Storia di alcune Istituzioni 
insediate in un manufatto architettonico del '500, Ed. Mapograf, Vibo Valentia 1998, p. 18, nota 3, 
venne redatto presso il Notaio G. Manti di Reggio Calabria due giorni dopo, per favorire il recupero 
della merce al procuratore dei nominati commercianti. Cfr. ASRC, Notaio G. Manti, ff. 42-44r del 
28.8.1642. 



80 



Inspiegabilmente l'atto pubblico non riporta alcuna informazione sulla ragione del 
nolo e della mercanzia sbarcata, ma precisa che "il prezzo di docati trecento 
sessantasette di monete di regno valutato per il prezzo del predetto nolo a 350 di 
monete papali" era dovuto dall'Illustrissimo Reverendissimo Vescovo della 
Diocesi di Squillace "per il nolo realizzato li mesi passati del suo brigantino da 
Roma a Bibona" 

Non sappiamo cosa costrinse il Vescovo a noleggiare il brigantino da Roma a 
Bivona, anziché farlo giungere in uno degli scali esistenti lungo la costiera ionica 
del Golfo di Squillace, è tuttavia possibile ipotizzare che non dichiarando 
ufficialmente le ragioni del nolo, le parti abbiano voluto evitare le quanto mai 
esose esazioni fiscali applicate dal Duca di Monteleone, godendo così dei benefici 
dovuti all'alta carica ecclesiastica. 

Per il periodo compreso tra 1690 ed il 1700 l'amministrazione portuale venne 
gestita dai Vicesecreti del Fondaco di Bivona, che come già detto, essendo in 
quegli anni data in arrendamento a personaggi napitini, spostarono la sede di tale 
organismo all'interno del territorio di Pizzo, ed il fondaco in quell'arco 
cronologico verrà nominato appunto di Pizzo e di Bivona. 

Gli atti del notaio Didaco Satriano, rogante nella città di Pizzo tra il 1690 ed il 
1739, si rivelano una preziosa fonte di notizie sull'attività portuale, perché 
forniscono interessanti informazioni sulle imbarcazioni che approdavano nel porto 
di Bivona, nonché sulle controversie che spesso vedevano contrapposti i regi 
ufficiali ai padroni delle tartane, nelle operazioni carico e scarico delle mercanzie. 
Il 2 febbraio del 1691 il Regio Vicesecreto Gregorio Vitale e Pietro Costarella, 
Regio Credenziero del Fundaco di Bivona e Pizzo, si costituiscono dinanzi al 
notaio per protestare formalmente contro il comportamento del padrone della 
tartana Paulo Geronimo Bagnara di Genova, perchè "...q(ue)sta mattina verso le 
ore sedici si sono conferiti in q(ue)sta marina di Bisbone, al fine di procedere al 
caricam(en)to di botti vent'otto d'oglio sopra la tartana (...) et havendo richiesto 
per tal' effetto al P(adr)on Paulo Geronimo Bagnara (...) che ponesse in mano 
d'essi Reg(gi) ojf{icìa)li le sue vele per cautela della Reg(aì) Corte in esecut(io)ne 
dell' ord(m)i Reg(gi), <f(ett)o P(adro)ne ha ricusato di consignare <f(ett)e sue vele. 
L'obbligo, finora inedito, di consegnare le vele delle imbarcazioni alle autorità 
portuali durante le attività di imbarco e di sbarco delle mercanzie, a cautela del 
Corte, e che non risulta praticato in altri porti del Regno, era attuato nel porto di 
Bivona dopo le disposizioni della Real Camera Summaria del 6 maggio 1688 e 
della 9 dicembre 1690, secondo quanto affermano gli officiali regi e "Perciò essi 
Reg(gi) off(icid)li per non controvenire all'ordini Reg(gi) non intendono 
procedere al caricam(en)to predetto. 



' ASVV, Notaio Librarteli Antonino, Monteleone (1631-1657), lib.XXIII/340, f. 20. 



Pertanto se ne protestano contra quos perché <i(ett)t> caricamento non succede 
per loro mancanza, ma per lo sud(det)to defetto. E q(uo)sto chiaramente si vede 
d'havere essi Reg(gi) qff(ìcm)li venuti in q(uo)sta pred(et)ta marina diverse volte 
per far caricare Foglio, che s'andava reducendo sopra la Tartana" 
Come a confermare il diritto di pretendere la consegna della vele, i regi ufficiali 
precisano che proprio mentre il padrone genovese pretendeva di sottrarsi a tale 
obbligo esibendo un mandato del luogotenente Regio Mastro Portolano, il 



181 ASVV, Notaio Didaco Satriano (Pizzo 1690-1739), Pizzo 02.02.1691, lib. LXXXIV, corda 285, f. 
4. "Die secunda m(en)si februarij mill(esì)mo sexcent(esì)mo nonag(esì)mo p(rì)mo, indictione decima 
quarta reg(navì)te. In marina di Bisbone noi per notus fecimus quod Bodie pred(det)to die in n(ost)ra 
pres(en)tia personalm(ent)e cost(ìtui)ti i mag(mfì)ci Gregorio Vitale Reg(io) Vices(ecre)to e Pietro 
Costarella Reg(io) Cred.to sost(itu)to del Reg(io) fundaco del Pizzo e Bivona, li q(ua)li q(ue)sta matina 
verso li hore sedici si sono conferiti in q(\xo)sta pred(et)ta marina alfine di procedere al caricam(en)to 
di Botti vent'otto d'oglio sopra la Tartana di P(adr)on Paulo Ger(om)mo Bagnara Genovese mediante 
mand(amen)to del m(agnifi)co Giacomo Carretta Luog(otenen)te del Reg(io) m.ro Cort.mo, et havendo 
richiesto per tal' effetto a P(adr)on Paulo Ger(om)mo, che ponesse in mano d'essi Reg(gi) off(icia)li le 
sue vele per cautela della Reg( al) Corte, in esecut(io)ne dell' ord(i)ni Reg(gi), d(ett)o P(adro)ne ha 
ricusato di consignare d(et)te sue vele. Perciò essi Reg(gì) ojf(icia)li per non controvenire all'ord(m)i 
Reg(gì) non intendono procedere al caricam(en)to pred{el)to. Pertanto sene protestano contra quos 
perché detto caricam(en)to non succede per loro mancanza, ma per lo sud(det)to defetto. E q(ues)to 
chiaramente si vede d'havere essi Reg(gi) off(ìcìa)li venuti in q(ue)sta pred(et)ta marina diverse volte 
per far caricare Voglio, che s'andava reducendo sopra. La Tartana con la persona dell' Assist(en)te 
Gen(era)le e per la notoria repugnanza del d(et)to P(adro)ne di non ponere le d{et)te sue vele in mano 
d'essi Reg(gì) ojf(icia)li non ha potuto succedere J(ett)o caricam(en)to. Però il P(adro)n Luca di Lauro 
del piano di Surrento, che si trovano le vele in mano d'essi Reg(gi) ojf(icia)li, li med(esi)mi hanno 
sempre assistito senza veruno riparo al caricam(en)to sopra la Tartana di d(et)to P(adr)on Luca con li 
mand(amen)ti di d(et)to m(agnifi)co Luog(otenen)te. Et pure essi Reg(gi) off(icia)li intendono che li si 
pagato il deritto a loro dovuto di carlini quattro a botte per ciascheduno in esecut(io)ne 
dell'antichissimo solito di cinque docati della Regal Camera della Sum(mmarì)a poenes graviatam 
attum et januarium costa ibam nulla prorsus habita considerat(\o)ne alle surrettizie prov(yisió)nì 
ottenute surrettiziam{Qrì)te dalli m(agnifi)cz negotianti sotto il 10 Gen(nai)o 1690 pones Attanasium 
perché furono spedite in aliena B.no nonostante che d'ordine dell'Ill(ustrissì)mo R(Qgì)o 
Luogot(enen)te della Reg(gìa) Cammera s'erano inibite tutte le b.ne acciò non procedendo in #(ues)to 
negotio, e s'era ord(ìna)to, che non l'ubbidre ad altre P rov(isio)ni, che q(ue)lle del d(ett)o Granata 
dove erano dedotte le loro ragg(ió)ni, e s'era costituito il loro Proc(urato)re come ben costa a d{oii)o 
m(agnifi)co Luogot(eneìì)te, et ad alcuni di d(et)ti negotianti a cui furono notificate le prov(\visìo)ni di 
d(ett)a Regal Cammera de 6 mag(gi)o 1688 coll'ordi(natio)ne pred(et)te e pure perché le sud(det)te 
surrettizie prov(yisio)ni furono con speciale Dec(re)to della Regal Camera derogate sotto li 9 
dec(emb)re 1690, commettendo l'esecutione d'esse alla Corte del Pizzo e giudice di Catanzaro ins.mo 
q(\xa)li prov(\ìsio)ni fumo notificate a d(ei)to m(agnifi)co Luog(otenen)te et a d(ett)i negotianti con il 
Dec(re)to decurionale della Corte del Pizzo, q{wé\)le P rov(\isio)ni de 9 dec(em)bre 1690 di d(ett)a 
Regal Cammera diretta a d(ett)a Corte sono così chiare che non ammettono prorsus dubbio et 
altercaticene ma si devono con tutt' esattezza obedire, però senza l'esibit(\o)ne di d{e\.X)e Vele e 
pagam(en)to dell'i deritti del Regio Arrendamento e dell'i loro deritti si protestano, che non s'imbarchi 
Voglio predetto né che J(ett)o m(agnifi)co Luog(otenen)te Regio Mastro Portolano, Giacomo Carretta 
s'intrometta penitus nell'imbarco di d(e\i)o oglio, spettando solam(en)te da farsi da essi m(agnifi)ci 
Reg(gì) off(icia)li, e dall' Assistevate Gen(era)le e non da esso m(agnifi)co Luog(otenen)te che solo ha 
facotà di spedire lì mandati..." 



82 



mangnifico Giacomo Carretta, nello stesso giorno nel porto stazionava un'altra 
imbarcazione che "però il P(adr)on Luca di Lauro del Piano di Surrento, che si 
trovano le vele in mano d'essi Reg(gì) officiseli, li med(esi)mi hanno sempre 
assistito senza ver'uno riparo al caricam(en)to di d(Qtt)o P(adr)on Luca con li 
mand(amen)ti di d(et)to m(agnifi)cc Lwc>g(otenen)fó" 182 . L'esito della controversia 
tra gli ufficiali regi ed luogotenente mastro portolano non è riportata negli atti, 



Ibidem, "( se g ue )--- e ■" protestano contra quos e specialm(en)te contro esso m(agnifi)co 
Lwog(otenen)te il quale per le sud{dei)te ragg(io)ni non può ingerirsi al d(ett)o imbarco, e 
maggiorm(en)te perché d(ett)o caricam(en)to lo fa il M(agnifì)c<? Natale Berelli per conto dell'i suoi 
corrispondenti di Napoli, q(ua)le m(agnifi)co Natale Berelli, e fratello cong(iun)to del m(agnifi)co 
Filippo Cesare Berelli, Reg(gen)te l'uff(ci)o della Reg(aì) M(asì)ro Port(o\a)no, et è log(otenQn)te di 
d(ett)o m(agnifi)co Giacomo Carretta Luog(otenen)te all'i q(ua)li donano per sospetti e sospettissimi, e 
si protestano di non ingerirsi ut s.a, e di tutti danni e spese et interessi e d'haverne ricorso alla Regal 
Cammera della Summaria come loro giudice competente. P res(entemen)te esso m(agnifi)co 
Luog(oteaen)te del Regal M(ast)ro Port(o\a)no risponde che il suo accesso in q(ues)ta marina di 
Bivona è stato per causa della renitenza d'essi Regi Uff(icia)li in non haver permesso la spedit(io)ne 
dell'imbarco dell' ogi Ho abbassasi qui pres(en)te, tutto per non haversi ric(evu)to in deposito dell'i loro 
pretesi deritti quando legittim(amen)te dalli Proc(urato)ri del m(agnifi)co Giacomo Antonio Cioffo per 
le negoziante di J(ett)o oglio si è pres(enta)ta fede di J(ett)o deposito per l'intieri deritti d'essi 
m(agnifi)c/ Regi Ujf(icia)li in potere del mag(nifì)co (?) in più atti ad essi notificati, et a rispetto 
dell'asserita forma del retratto atto della consegna delle vele di P(adro)« Paulo Ger(om)mo Bagnara 
essendo figurato pres(en)te esso P(adro)n Paulo dice, che non havendo disbrigato all'abbassam(en)to 
dell' o gli colla assistenza dell' Assistevate Gen(eva)le non intende dover consignare vele ma 
permittendosi il caricam(eìì)to di d(ett)i ogli in mare fa vela per il suo viaggio, e a rispetto dell'asserita 
pretent(io)ne d'essi Regi Ujf(icia)li che d(etl)o oglio vada a conto del m(agnifi)co Natale Bercile ciò 
con ren(di)ta si dice esser falso, mentre costa al Regio Off(icia)le del Regio Sec(ret)o e M(ast)ro 
Port(o\à)no per P rov(\ìsio)ne spedita della Regia Cammera pasar d(et)to oglio a conto e negozio del 
m(agnifi)co Giacomo Ant(om)o Cioffo, l'istesso asserendosi nell'i mand(amen)ti spediti da esso Rgio 
Off(icia)le, il che viene a cessare inq(uan)to alla sospett(io)ne, oltre che in persona d'esso m(agnifi)co 
luog{oiQX\QVi)te non corre sospett(io)ne in atti ordini di spedit(io)ne, mentre non corre giudicatura 
contro la forma della Reg.a Pram.ca quinta de inspect(\o)ne off(icia)lium et però come invalido non 
intende haver loco che peciò sene protestano formile r contro essi Regi Uff(icia)li che havendosi da essi 
/ > (adro)«i di Barche pagati li dovuti diritti al Regio Fundaco intendono essi P(adro)ra esser disbrigati, 
mentre si ritrova pres(en)te in q(ue)sta marina il m(agnifi)co Carlo Iovene Regio Sust(ìtu)to e 
talm(Qn)te asserisce, e non permettersi da essi Regi Ojf(ìcìa)li V espedit(\o)ne se protestano formiter 
d'haverne ricorso in Regia Cammera con farne insta ad essi m(agnifi)co luog(otene)te, et Assistevate 
G(enera)/e pres(n)te che in caso di renitenda di d(ett)i ogli se ne pigli diligente inform(atio)ne, (co)sì 
per il trattenim(ent)o, come anche per tutte e qualsivogliano altri pericoli er interessi li possabo 
soprastare inde negoziarsi et d(eXi)e espedit(io)ni a provedersi in altra forma il modo di potersi partire 
e proseguire il loro viaggio. Li sud(det)ti Regi Ojf(ìcia)li hanno replicato che sempre pendente il 
caricam(ent)o le vele della Tartana devono consegnarsi in potere d'essi Regi Ojf(ìcìa)li in esecut(\o)ne 
dell'ordini Regi et a rispetto dell'i loro deritti non ci cape deposito, essendono serviz'ù personali e li 
competono iremisibilmente, oltre di che vi sono li cinque enunciati decatì della Regia Cammera a loro 
favore formati e di vantaggio le provisioni surrettizie ottenute dali mag(mfi)ci negotiani furono 
revocate ut supra con provisione d'essa Regal Cammera e la loro sospettione allegata come sopra 
cantina e tanto più che ingerendosi al detto caricam(ent)o il detto mag(mfi)co Luog(otenen)te 
controdirebbe alle Regie Decretat(\ovì)i. Testimoni: Magnifico Fran(ces)co Magniccaro, Dom(eni)co 
Cusentino, Giuseppe Salomone, Gregorio Rollo, Gioanne Rizzo, Pascale Camillo et me Didaco 
Satriano Regio Notaio ragante" 



83 



anche se dagli stessi sembra che il potente personaggio si sia poi recato 
personalmente ad assistere al caricamento delle botti di olio. 

Notizie invece della partenza della citata tartana di Padron Luca di Lauro di 
Sorrento le traiamo da un atto redatto otto giorni dopo dallo stesso notaio, ed in cui 
risulta che l'imbarcazione "havea assarpato tutte l'ancore e fatto trinchetto per 
partire da detta marina di Bivona (...) et immediatamente proseguì il suo viaggio 
verso Ponente, senza perder momento di tempo", secondo quanto raccontato da 
alcuni pescatori che vendettero il loro pescato ai marinai della tartana genovese, 
pocoprima della partenza 183 . 

A parte l'episodio della consegna delle vele, il magnifico Gregorio Vitale, Regio 
Vicesecreto del Fondaco di Bivona e di Pizzo, risulta altre volte vittima di 
"pressioni superiori" attuate per agevolare il caricamento di alcune tartane o per 
applicare minori tasse sulle mercanzie dei "negotianti" che erano soliti attraccare 
nella marina di Bivona. 

Emblematico in tal senso è la sua inattesa, quanto inverosimile reclusione in una 
"casa in loco di carcere", per un provvedimento del Magnifico Giuseppe Voci, 
"asseritosi Delegato dell' 7//(u stris si)mo Preside di q(ue)sta Provincia come 
Gover(nato)re dell'Armi". Alla normale richiesta di esibire le necessarie 
documentazioni per effettuare il carico della merce su due Tartane approdate a 
Bivona, comparve improvvisamente al Vicesecreto del Fondaco tale governatore 
che, dopo averlo intimorito con la minaccia di una penale di mille ducati, lo aveva 
fatto recludere in casa, estromettendolo così dal controllo della sua partita di merci 
"senza inserire la Delegazione come da Jure". 

Il 26 novembre del 1691 il regio ufficiale, liberatosi dalla forzata prigionia, dopo 
che, "sotto pretesto, da Dom(eni)co Marzano li fu stata consegnata la chiave", si 
reca da un notaio napitino per protestare formalmente contro tale arbitrio, 
verificatosi proprio mentre svolgeva le sue legittime funzioni ed assisteva "al 
Caricamento di tum(\A)a mille cinquecento cinq(uan)ta di grano per extra sopra 



183 ASVV, Notaio Didaco Satriano (Pizzo 1690-1739), 10.02.1691, lib. LXXXIV, corda 285, f. 8. 
"Die decima m(en)si februarij mill(QSÌ)mo sexcent(esi)mo nonag(esi)mo p(rì)mo. Ind(izio)ne decima 
quarta Reg{ì\&t\)te. In Civitate Piti] noji notti facimus quod badie pred(et)to die in n(osi)ra pres(en)tia 
in publico testimonio const(\\m)ti Fran(ces)co Melana, Diego Signoretta, Bruno di Penna e Giorgio 
Signoretta di q(ue)sta Città del Pizzo, li q(ua)li sponte et con giuram(en)to asseriscono come q(ue)sta 
matina circa ore quindici, si ritrovavano con la loro Barca pescando nella marina di Bivona dove 
vennero li marinari della Tartana del P(atr)on Luca di Lauro della Città di Surrento, che stava in 
d(ei)to porto carica d'oglio, a comprarsi pesci da noi, et havendone comprato ne dissero q(ueì)li se 
volessimo portare un 'Ancora nel Pizzo, che li fu prestata, che ci donavano quattro car(li)ni e noi ci 
offersimo di volerlo portare, e andando dove era d(Qt)ta Tartana, la q(ua)le havea assarpato tutte 
l'ancore, e fatto lo trinchetto per partire di detta marina di Bivona, e ci consegnò d(ei)ta Ancora, et 
immediatamente proseguì il suo viaggio verso Ponente, senza perder momento di tempo". 



84 



due Tarlane nella marina di Bivona". La protesta era quanto mai necessaria non 
solo perché "esso m(agnifi)ct> Gregorio Vitale viene detenuto per causa del 
sud{ditit)o mand(amQn)to" ma anche perchè " viene a patire il publico commercio 
ritardandosi la negotiatione, ma anche il Real Servizio di S(ua) M(aestà), essendo 
pagato il deritto della tratta" . 



1S4 ASVV, Notaio Satriano Didaco (Pizzo 1690-1739), 26.11.1691, lib. LXXXIV, corda 285, f. 51. 
"Die vig(QSÌ)ma m(en)si Novem(b)ris Mill(esi)mo Sexte(esi)mo Nonag(esì)mo P(ri)mo: Ind(itio)ne 
decima quarta Reg(nan)te. In Civ(ìta)te Piti] nos per notio facimus quod hodie p(rede)tto die insta 
fattaci dal m(agnifi)co Gregorio Vitale R(egì)o Vices(ecre)to Prof. rito di q(ue)sto fund(ac)o del Pizzo e 
Bivona ci senio conferiti avanti del M(agnifì)co Gius(epp)e Voci, il quale asseritosi Delegato 
dell' ///(ustrissi)mo Preside di q(uo)sta Prov(inci)a come Gover(nato)re dell'armi senza inserire la 
Deleg(atio)ne come da Jure cominava ha fatto mand(amen)to ad esso m(agnifi)co Gregorio Vitale, che 
sotto pena di doc(at)i mille havesse tenuto la Casa in loco di Carcere, sotto pretesto, da D. Dom(eni)co 
Marzano li fusse stata consegnata la chiave, cosa veram(en)te aerea, lontana e lontanissima dalla 
verità e senza fondamento alcuno, et esso m(agnifi)co Gregorio Vitale trovandosi R(egì)o Vices(ccré)to 
come sopra di q(ue)sto fund(ac)o e immediatamente soggetto all'i ob(bedien)ze della R(egì)a 
Cam(vaé)ra suo Giudicato) re Comp(eten)te, tanto nelle sue cause attive e passive, q(uan)to Civili e 
Crim(ina)li e miste come appare dall' or ig(ìna)li Prov(yisio)ni dell' istessa R(egì)a Cam(me)ra, li q(ua)li 
si conservano appresso di me e delle med(esi)me si esibisce copia authen(tì)ca at pred(et)o Giuseppe 
Voci, in esecut(io)ne delle q(uaX)i prov(isio)ni standono lorsibite tanti le Corti inferiori, quanto 
V istessa R(ega\) Aud.sia, e tutti l'0jf(ìcìa)li magg(io)ri e minori, viene da non haver loco il p(rede)tto 
mand(amen)to per mancanza di Giurisdizione che non have esso mfagnifi)co asserito Deleg(ai)o con 
d(e\i)o m(agnifi)co Gregorio Vitale, come dalle d(e\i)e prov{yvsìo)ni nell'i q(ua\)li in caso di 
controventione sta comminata la penagratia dico la disgrafia di S.M., e la pena di docati mille. E 
perchè sono capitati ad esso m(agnifi)co Gregorio Vitale due mand(amen)ti del m(agnifi)co 
Luog(ptenen)te del Reg. l'officio di M(ast)ro Port(o\a)no in q(ue)sta Prov(incì)a spediti sotto la data de 
22 del cor(ren)te che prontamente esibisce, per assistere al Caricamento di summa mille cinquecento 
cinq(uan)ta di grano per extra sopra due Tarlane nella Marina di Bivona esso m(agnifi)co Gregorio 
Vitale viene detenuto per causa del sud(àett)o mandi ameìì)to, dato che non solo viene a patire il 
publico commercio ritardandosi la negotiatione, ma anche il Real Servizio di S. M., essendosi pagato il 
deritto della tratta et in avvenire quando si volesse concedere da S.M. altra tratta per q{\xé)stì 
impedimenti, che possono ricevere l'officiali regi, non si troverà a pigliarsi con facoltà dalli negozianti. 
Per il che esso m(agnifi)co Gregorio Vitale si protesta contro esso m(agnifi)co Giuseppe Voci asserito 
Delegato, et contr quos per li tuttidanni, spese et interessi che nonsolo possono venire per tal causa ad 
esso m(agnifi)c0 Gregorio Vitale ma anche all'i negozianti et all'i P(adro)m delle Partane per ogni 
evento che potesse occorrere mutandosi il tempo, e si protesta ancora di tutte le cose leg(ìtti)me 
protestandi non una, due e tre volte ma q(uan)te volte sarà necessario, ed haverne ricorso ai 
Sup(erio)ri Magg(\o)ri Pres(en)te il m(agnifi)co Giuseppe Voci, dice che esso m(agnifi)co Gregorio 
acquisisca appresso /7//(ustrissi)mo Preside, al q(ua)le esso n'ha fatto relatione del motivo per lo 
q(ua)le se l'è fatto il mand(amen)to, e che produchi le sue prov{\ìsìó)ni e scritture, che tiene sopra la 
pretesa esentione di Foro affinchè con vista di q(ue)lle dal d(ett)o Preside si possano dare l'ordini 
necessari ad esso reg(gen)te per obbedirli come deve senza farsi novità alcuna, giacche veruno 
dovrebbe permette che l'ordini di Sup(erio)ri non siano obbediti, riserbandosi il reg(gen)te tutte l'altre 
ace(XÌ6)ni, e raggioni, che le competono contra quos. Dimandando che della pres(Qn)te li si dia copia 
prò fisco per rimetterla a d(ett)o ///(ustrissi)mo Preside, et a rispetto dell'i caricamenti che asserisce, 
pendente la resulta di d{e\i)o Preside, quando pure fosse q(ue)sta precisa necessità prattichi come sole 
pratticare quando fusse infermo che non può assistere di persona, tanto più che q(ue)sta città è vicina 
di q(ue)lla di Cat(anza)ro dove risiede d(ett)o ///(ustrissi)mo Preside... Testimoni: m(agnifi)co 



85 



Alla protesta del regio ufficiale il delegato risponde che, proprio per il suo stesso 
incarico poteva "dare l'ordini necessari ad esso reg(gen)te per obbedirli come 
deve, senza farsi novità alcuna, giacché veruno dovrebbe permette che l'ordini 
Sup(erio)ri non siano obbediti (...)" . 

Nell'atto di protesta non vengono specificate le ragioni di questo intervento 
coercitivo nei confronti dell'ufficiale, ma il fatto che tale provvedimento sia stato 
eseguito per la presenza nello scalo di Bivona di un Governatore dell'Armi, 
delegato del Preside della Provincia, nel mentre si scaricavano le sue due tartane 
(di cui non si menziona affatto il carico), e che quest'ultimo rispondesse alle 
proteste del vicesecreto con autorità e sarcasmo, fa supporre che sulle imbarcazioni 
dovessero essere caricate munizioni o altre artiglierie. 

Cinque anni dopo nella carica di Vicesecreto del Fondaco di Bivona e di Pizzo 
compare un nuovo personaggio, il Magnifico Carlo Jovane, come dimostrano gli 
atti successivi. E'infatti il 28 maggio del 1696, quando Don Piero Vita di Scilla 
attracca nel porto di Bivona "... per carricare con la sua Barca nom(ina)ta Santa 
Maria di PortoSalvo, oijo per tomola otto cento per portarlo in Nap(o\)i al d(et)to 
Giacomo Anf(onio) Cioffo publico negotiante" ed anche in questo caso lo 
apprendiamo grazie ad una nuova controversia che sorge sul pagamento dei diritti 
di dogana. Il nuovo Regio Cassiera Carlo Jovane riteneva "che <f(ett)a mercantia 
di (i(ett)o imbarco non sia altrim(men)te robba, né interesse di Giacon'Ant(om)o 
Cioffo persona privileggiata, ma d'altre persone" e che quindi erano "soggette di 
pag(ax)e la nova imposit(io)ne delle grana sei ad onza, che si chiama la nova 
gabella" sospettando di conseguenza "che la spedizione sia infraude in virtù delli 
Regi avvisi e pram(ma.tì)che, perciò tanto in suo nome, q(uan)to in nome di <f(ett)o 
suo principale dice che sempre che viene esso Negoziante assicurato di <f(ett)a 
nova gabbella, utra preindicium, si dispone a firmare <f(ett)e spedit(io)ni, e 
din' altro caso si ne protesta non una, due, o tre volte, ma g(uant)e volte sarà 
necessario \ 186 Anche in questo caso la controversia si risolve con il momentaneo 

Fran(ces)co Magnlccaro, Fran(ces)co Morrica, Marc' Ant{ot\ì)o Gapillo, Rosario Plasimo, Ant(om)o 
Ferraro et me Didaco Satriano". 

185 ASVV, Notaio Satriano Didaco (Pizzo 1690-1739), Ibidem. 

1,1 ASVV, Notaio Satriano Didaco (Pizzo 1690-1739), Pizzo 28.05.1696, lib. LXXXIV, corda 286, f. 
44"Die Ving(esi)ma octava m(en)si Mai] Mill(esi)mo Sexce(esi)mo Nonag(esi)mo sexto: Ind(itio)ne 
quarta Reg{naì\)te. In Civ(ita)te Pitij... personalm(en)te costi(tm)to Don Piero Vita di Scilla al 
pres(Qn)te in questa citta. Il q{wa)le sua sponte asserisce q(ua)lmente essendo venuto nella marina di 
bivona per carricare con la sua Barca nom(ma)ta SantaMaria di PortoSalvo Volo tomola otto cento 
per portarlo in Nap(oì)i al d(ei)to Giacomo Ant(onio) Cioffo publico negotiante, q(ua)li essendo di già 
carricati con l'assistenza delli m(agnifi)c/ Vices(ecré)ti e Cred(ior)i cost(itui)ti di questo regio Fundaco 
di Pizzo e Bivona, et assist(en)te g(enera)le al pres(en)te dal m(agnifi)co Carlo Iovane sost(itu)to 
Cassiero di d(eti)o R(egio) Fund(ac)o si ricusa di far le debite sped(izio)ni, di modo che in pres(en)za 
ossia esso P(adr)on Pietro e pronto di consig(na)re e pag(a)re tutti li Regi] deritti. Che per ciò in virtù 
della pres(Qn)te, tanto in suo nome, q(\\aì\)to in nome e parte di Gen(na)ro Basile proc(uralo)re del 



86 



pagamento dei diritti doganali e l'esposizione del fatto dinanzi ad un notaio, prima 
di ricorrere alle autorità competenti. 

Come si noterà la maggior parte dei dati inerenti l'attività portuale ed il movimento 
delle merci che in esso si praticava alla fine del XVII, è giunta fino a noi proprio 
grazie alle controversie che sorgevano tra le autorità doganali ed i commercianti 
che utilizzavano lo scalo marittimo vibonese. Tali controversie, che certamente 
rappresentano solo una sparuta percentuale dell'intero movimento merci, sono 
un'importante testimonianza non solo del lungo periodo d'attività dello scalo 
portuale, datando quasi per intero l'arco cronologico del suo utilizzo, ma 
forniscono precise indicazioni sulla pressione impositiva che in esso veniva 
applicata. In tal senso è ulteriormente rappresentativa l'ennesima controversia 
esposta dinanzi al notaio napitino Didaco Satriano il 26 luglio del 1698. 
In tale data il magnifico Carlo Jovane, Sostituto Cassiero del Regio Fundaco del 
Pizzo e Bivona, ricorre contro la stima, a suo avviso troppo bassa, dell'olio 
acquistato sempre dal magnifico Giacom' Antonio Cioffo e caricato sopra la 
Tartana di Padron Nicola Scarpato di Sorrento ". . . di salme quattrocento 
ottani' otto, due terzi et uno stazo". Egli si oppose a quella stima perché non 
effettuata "secondo l'ord(m)i e prov(yisio)ni che lo d(ett)o Deleg(a)to di d(Qtt)o 
Regio Arrend(amQn)to e d(ett)i m(agnifi)cf Regi] offlìcm)li poco curandono 
l'interesse di d(Qtt)o Regio A/r(endamen)fc> hano fatto la sud(dett)a stima a docati 



d(ett)o ^(ignor)^ di Cioffo, se ne protesta contro esso m(agnifi)co Carlo Iovane di tutti dazii, spese et 
interessi, passi e patiendi, et contra quos e di ricorrere ai Sup(&TÌo)ri magg(io)ri gradatimi, et unito 
actus richiede all'i m(agnifi)ci Gregorio Vitale Regio Vicesecreto e Giacobino Jazzolino Regio Cred.ro 
Sostituto acciò li fossero disbrigate le debite spedizione per poter proseg(uì)re il suo viaggio. Carlo 
Jovane, Regio Cassiero in q(uè)sto Regio Fundaco del Pizzo e Bivona dice che havendo stato 
mentionato dal Regio Arrend(ato)re suo principale, che d(ett)a mercantia di d(ett)o imbarco non sia 
altrim(en)te robba, né interesse di Giacon'Ant. Cioffo persona privileggiata, ma d'altre persone 
soggette di pag(ar)e la nova imposit(ìo)ne delle grana sei ad onza, che si chiama la nova gabella, che 
intende d{oii)o suo principale arrend(ato)re, che la spedizione sia in fraude in virtù detti Regi avvisi e 
pram(mati)che, perciò tanto in suo nome, q(uan)to in nome di d(ett)o suo principale dice che sempre 
che viene esso Negoziante assicurato di d(Qtt)a nova gabbella, utra preindicium, si dispone a firmare 
d(ett)e spedit(ìo)ni, e din 'altro caso si ne protesta non una, due, o tre volte, ma <?(uant)e volte sarà 
necessario. Li Regij Vices(ecre)ti e cred(.)ro Sost(ìtu)to del Regio Fund(a)co del Pizzo e Bivona dicono, 
che sono pronti, e prontissimi di consig(na)re le debite spediz(\o)ni detti sud(àett)i tomola ottocento 
grano caricati sopra d(oi\)a barca med(ian)te il mandato del m(agnifi)co Luog(otenen)te del 
m(agnifi)co M(ast)ro Port(o\a)no di q(ues)ta Prov(inc'i)a spedito in Mont(e\eo)ne sotto li 19 maij 1696. 
E perché il m(agnifi)co Carlo Jovane recusa di firmare le spedìz(io)ni per causa della nova gabbella, 
che pretende sopra d(ett)a mercantia. Perciò essi Regi Vices(ecre)ti e Cred(.)ri Sost(itu)ti si ricevono 
docati vinti due, uno tari e grana tredici, e mezzo, che importa il deritto detti g(ra)na venticiq(ue) ad 
onza spettante al d{eXX)o Regio Arrend(amen)to de ferri per pagarlo al m(agnifi)co Arrend(ato)re d'essi, 
era rispetto del deritto della nova gabbella, si bene essi Regi Vices(ecré)ti e Cred.ro non possono 
tassarlo per essere d(ett)o mandato intesta di detto mag(nifi)co Giacom 'Ant. Cioffo persona franca e 
privileggiata nulla di meno, non intendono d'inferire pregiudicio al detto Reggio Arrendamento de 
Ferri, quando di costasse, che detta mercantia non fosse di persona privileggiata, e però si riserbano di 
farli ripetere contra quos quibus omnibis... " 



87 



undici la salma in tempo che corre a docati tredici la salma, il che apporta grave 
danno, pregiudicio er interesse a d(Qtt)o Regio Arr(endamen)to" . Gli ufficiali 
regi, d'altro canto, replicarono che "... la stima delli ogli alla ragg(io)ne di ducati 
undici la salma è stata ord(ma)ta, confirmata et approbbata dall' Ill(ustnssi)mo 
S(ìgno)re Cons.to di Francesco Gascon j Altavos Preside di q(uQs)ta Prov(mci)a 
sotto li 21 del passato mese di Aprile del cor(rQn)te anno in Mont(QÌQo)ne (...e 



IS7 ASVV, Notaio Saldano Didaco (Pizzo 1690-1739), Pizzo 26.07.1698, lib. LXXXIV, corda 286, f. 
56. "Die Ving(esi)ma sexta m(en)si Juorij Mill(QSÌ)mo Sexce(esi)mo Nonag(esì)mo octavo: Ind(itio)ne 
sexta Reg{navi)te. In C7v(ita)te Piti] nos notus facimud por quod hodie p(rede)tto die in n(ost)ra 
pres(en)tia personalmente const(ituì)to il m(agnifi)co Carlo Jovane Sost(itu)to Cass{\o)ro in q(\XQ$)to 
Regio Fundaco del Pizzo e Bivona, il q(\xa)le spontes per nome e parità dell'i m(agnifi)ci Bart(o\o)meo 
Ciarrella e Gaetano de Nobili Regi] affitt(aio)rì dell' arr(endamen)to de Ferri di q(ue)sta Prov(mcì)a di 
Calabria Ultra asserisce, q(ua)lmentre nel caricam(en)to d' ogli fatto dal m(agnifi)co Giacom'Ant. 
Cioffo affitt(aió)re dell' Ext ratt(io)ni dell' ogli per extra sopra la Tartana di P(adx)on Nicola Scarpato di 
Sorrento di Salme quattrocento ottantotto, due terzi et uno stazo, s'è fatto da esso m(agnifi)co 
Sust(ìtu)to più volte instanza a nome di d(ett)i ss. ri ajfitt(ató)ri, all'i mf agnifi)cz Gregorio vitale Regio 
Vices(ecre)to e Giacchino Jazzolino Regio Cred.ro Sost(ìtu)to di q(ues)to p(rede)tto Regio fundaco del 
Pizzo e bivona, che facessero la stima secondo l'ord(m)i e prov(vìsio)ni che lo d(ett)o Deleg(a)to di 
d(ett)o Regio Arrend(amQn)to e J(ett)/ m(agnifi)c/ Regi] ojf(icia)li poco curandono l'interesse di d(ett)o 
Regio Arr(endamen)to hano fatto la sud(deti)a stima a docati undici la salma in tempo che corre a 
docati tredici la salma, il che apporta grave danno, pregiudicio er interesse a d(eXi)o Regio 
A/r(endamen)to, che però esso m(agifi)co sust(itut)o ha richiesto a noi infratti Regio e Publico Notaro, 
Regio Giudice ad cont.re et in virtù della pres{Qrì)te se ne protesta non una, due, o tre volte, ma 
q(uan)tevolte sarà necess(ar)io contro d(eXt)i m(agnifi)c/ re gii off(\c\a)li per essi fu replicatu che li 
m(agnifi)ci Gregorio Vitale Regio vices(Qcre)to e Giacobino Jazzolino Regio Cred.to Sust(itu)to di 
q(ues)to Regio fundaco del Pizzo e Bivona, dicono che la stima delli ogli alla ragg(io)ne di ducati 
undici la salma è stata ord(ina)ta, confirmata et approbbata dall' Ill(ustrissì)mo s(ìgno)re Cons.to di 
Francesco Gascon j Altavos Preside di q(ues)ta Prov(incì)a sotto li 21 del passato mese di Aprile del 
cor(ren)te anno in Mont(e\eo)ne partibus auditis in contadictorio judicio, tra il m(agnifi)co Carlo 
Gagliardo, e li m(agnifi)ci Agostino Ginocchio e G'w.Simone Inele Gov(emato)ri et admin(istrato)ri del 
Regio A/r(endamen)f0 de Ferri di q{\xé)sta prov(mci)a, della q(ua)le deteminatione per d(ett)i 
m(agnifi)ci ginocchio e Inele non fu punto reclamato, né appellato, di modo che di quella per d(et)i 
off(icia)lì non si può né anche recedere senza nuovo ordine di d(ett)o Ill(ustrissi)mo s(igno)r Preside, 
intesi essi m(agnifi)ci Vices(ecre)ti e cred(ito)ri, e li m(agnifi)ci negot(ian)ti della Città di Mont(eleo)ne 
per rappresentare a d(ett)o Ill(ustrissi)mo Preside che la stima di d(ett)i ogli a docati undici la salma è 
contro la forma del solito praticato in q(uest)o Regio fundaco del Pizzo di tanti anni in qua che si 
trovano essi off(icia)lì in q(ue)sto Regio fundaco e poiché d(ett)i vices(ecre)ti che sono da undici anno 
fra qua! tempo non si ricorda che l'ogli si fossero stimati a maggior prezzo di ducati trenta la botte. 
Anzi Vanno passato nell'ultimi mesi essendosi fatto un'extrat(io)ne d'oglio che calca in prov(inci)a più 
di ducati cinq(uan)ta la botte, non sì stimarno più che di ducati trenta, come appare dalli loro libri e 
della copia d'essi mandata nella Regia Cammera, che però danno inta che dandosi copia della 
pres(en)te protesta si dia copia della pres(en)te replica deverbo ad verbu prout sacet citra pregiudicius 
di tutte, e q( uà )s ivo gitano altre ragg(io)ni contra quos... perché al p(resen)te nella Città di 
Mont(eleo)ne l'ogli neanche si trovano a vendere a docati trenta la botte, come Vestalo rappresentato, 
e da altri off(ìcìa)lì della prov(inci)a si sono stimati a minor prezzo di docati trentatre conf(erma)to 
l'esato insinuato la botte. Chiusura di rito. Testimoni: m(agnifi)co Thomaso Masdea, Leonardo vitale, 
Massimo Ventrice, Francesco Pìro, Didaco Demunì, Hieronimo Jovane 



che...) non fu punto reclamato, né appellato, di modo che di quella per d(et)i 
off(icm)li non si può né anche recedere senza nuovo ordine di <f(ett)o 
///(ustrissi)mo s(igno)r Preside". Continuando ad esporre le loro ragioni, 
aggiungono in seguito che " poiché d(ett)i vices(ecre)ti, che sono da undici anno, 
fra qual tempo non si ricorda che l'ogli si fossero stimati a maggior prezzo di 
ducati trenta la botte. Anzi l'anno passato nell'ultimi mesi essendosi fatto 
un ' extrat(io)ne d'oglio che valea in prov(inci)a più di ducati cinq(ua.n)ta la botte, 
non si stimarno più che di ducati trenta, come appare dalli loro libri e della copia 
d'essi mandata nella Regia Cammera, (...ed...) al p(msen)te nella Città di 
Mont(e\eo)ne l'ogli neanche si trovano a vendere a docati trenta la botte". 
L'episodio esposto in tale documento è importante perché in esso vediamo 
prendere corpo una nuova strategia impositiva, tutta tesa all'aumento della 
pressione doganale sulla merce che transitava nell'area dello scalo baronale e che 
diverrà in seguito talmente esosa ed ingiustificata da condurre alla esclusione del 
porto dalle importanti tappe del commercio marittimo mediterraneo. 
Dal 1698 in poi le notizie sullo scalo di Bivona divengono sempre più rare e 
contraddittorie. 

E' il caso ad esempio del naufragio avvenuto nel settembre del 1703 nella marina 
di Bivona della tartana di padron Matteo Guerino di Termini che trasportava "2282 
tavole di fago e carrate 3 e V2 di marrugi che aveva carricato nella marina 
dell' Angitola". Lo sfortunato evento pone alcuni interrogativi. E' possibile che il 
maltempo abbia sorpreso a tal punto il comandante dell'imbarcazione da non 
consentirgli il riparo nell'approdo di Bivona? Oppure l'approdo in quell'anno non 
era più esistente? E' certo che quasi la metà del carico viene prontamente 
recuperata, infatti il 22 di quello stesso mese viene spedita dal magnifico Pietro 
Casseris di Palermo, acquirente del carico, al magnifico Gregorio Campò di 
Monteleone una speciale procura per curare gli interessi del commerciante 
palermitano, nonché per "far caricare dalla marina di Bivona con l'assistenza de' 
regi ufficiali le 1058 tavole e marruggi carrate 2 e ¥2 recuperate da detto 
naufragio, comprese le altre tavole di fago numero 964 rimaste d'imbarcarsi" su 
una nuova imbarcazione "detta La Lanterna del padron Giuseppe Arbitrio di 
Messina" alla volta di Palermo 188 . 

La partenza dalla marina di Bivona del nuovo carico rende erroneo pensare che 
l'approdo non fosse più utilizzabile in quella data, tant'è che si preferisce caricare 
anche da quella stessa marina le tavole che erano rimaste all'Angitola, ma una 
attenta lettura dell'episodio pone più di una perplessità sulle sue condizioni 
strutturali. E' infatti più probabile che nella marina di Bivona il decadimento 
strutturale dell'opera di banchinaggio fosse tale da non offrire più un sicuro riparo 
alle imbarcazioni sorprese dal maltempo piuttosto che ipotizzare che il comandante 



' ASVV, Notaio Saldano Didaco, Pizzo 10.11.1703, lib. LXXXIV, corda 286, f. 49. 



89 



dell'imbarcazione naufragata non ne conoscesse l'esistenza. Quindi possiamo 

dedurre che la struttura, inadeguata nelle condizioni estreme di maltempo, fosse 

comunque utilizzabile in quelle di tempo normale. 

A tale considerazione va aggiunto quanto raccontato dalle cronache locali che 

narrano dell' improvissa sparizione di gran parte della struttura dei moli dopo il 

disastroso terremoto del 1638 189 , dovuta per lo più all'eccezionale apporto di detriti 

da parte dei torrenti S. Anna e Trainiti. 

E' il conte G. Capialbi, autore nel 1659 della prima monografia su Vibo Valentia, 

che descrive come "...longoque tractus veluti brachio curvato seper exenso 

muro..." 190 ciò che restava delle strutture portuali, facendo supporre che la presenza 

di tali strutture facilitassero l'approdo alle leggere e veloci imbarcazioni 

turchesche, e ciò costrinse i romani pontefici ad ordinarne il totale inabissamento, 

che venne provocato deviando il corso dei torrenti Trainiti e S. Anna, facendo 

confluire i loro detriti all'interno del bacino portuale" 1 . 

In seguito, nei primi anni del '700, il Bisogni scrive che all'incirca nel 1645, il 

Trainiti "retrocessa, & maximum propè Castrum lacum effecit, quo crassum 

agebat aerem : Hinc omnes ibi habitantes occidun; necnon & milites Hispani, ad 

castri custodiam destinati, ipsum inhabitatum relinquerunt: Et haec fuit causa 

Castri destructionis" 

La fin qui dimostrata organizzazione dell'attività portuale fin tutto il 1698 

smentisce inconfutabilmente le notizie forniteci dagli eruditi locali. 

Grazie alla ricerca archivistica è possibile tracciare un nuovo, quanto diverso, 

percorso insediativo dell'area costiera del Ducato di Monteleone, ricomponendo in 

parte il quadro dell'organizzazione portuale del Regno di Napoli. 

In realtà già nel 1631, quindi sette anni prima del terremoto che dovette provocare 

la scomparsa di parte delle strutture portuali, il porto di Monteleone compare tra i 

porti che per decreto vennerono "proibiti a lo scaro" ' . 



""CNR, 1982. 

G. Capialbi, Orìginis, situ, nobilitatis Civitatis Montisleonìs Geographìca Historìa eiusdem Civitatis, 
Napoli 1659, pp. 8-28. 

'" Tale notizia viene poi ripresa da tutti gli eruditi locali, cfr. ad esempio Marzano G.B., Scritti varii, 
Laureana di Borrello 1913, voi. I, p. 174.; P. Tarallo, Raccolta di notizie sulla città di Monteleone, 
Monteleone Cai. 1926, p.9. 

"Bisogni De Gatti, Hipponii seu Vibonis Valentiae, vel Montisleonìs, ausoniae Civitatis accurata 
Historia in tres libros divìsa, Napoli 1710. 

1 9 ' Sirago M., Attività economiche e diritti feudali nei porti, caricatoi ed approdi meridionali tra il XVI 
e XVIII secolo, in AA.VV. Sopra i porti di Mare, voi. II, // Regno di Napoli, a cura di Simoncini G. 
1993, p. 379. Cfr. ASN, Somm. Not, 96 f. inserito a f. 194 (17/3/1631). Dopo tale decreto dei porti 
calabresi sopravvissero ufficialmente solo quelli di Belvedere, Pizzo, Crotone e Reggio. 



90 



= I provvedimento, che causò una drastica riduzione dei porti calabresi tra il 
_J?1 ed il 1647, venne reso necessario per contrastare in qualche maniera l'allora 
fiorente attività di contrabbando. 

Il provvedimento provocò certamente una diminuzione del traffico commerciale 
ma, come dimostrato dai precedenti atti notarili, non la scomparsa dello scalo 
bivonese. 

Pare del resto improbabile, come vedremo, che molti anni dopo tale proibizione, ed 
esattamente nel 1692, Donna Giovanna Pignatelli versasse al Regio Fisco l'enorme 
somma di diecimila ducati, per assicurarsi definitivamente "i corpi 
dell'Ancoraggio, e Falancaggio di Bivona" di un porto la cui rendita annuale 
fosse stata inferiore alla somma versata al Regio Fisco, o comunque, per continuare 
a mantenere sotto la giurisdizione della famiglia ducale un porto già all'epoca 
totalmente inabissato per ordine dei romani pontefici, secondo quanto tramandatoci 
dagli storici locali, o la cui rendita fosse stata definitivamente compromessa dalla 
proibizione generale del 1631. 

E' certamente vero che il porto di Bivona, nei primi anni del XVIII secolo, ebbe a 
subire una vera e propria recessione economica, ma la documentazione esistente è 
in grado di testimoniarne la produttività fin quasi gli ultimi anni 1700, spostando 
così negli anni il suo abbandono e la sua scomparsa di ben cento anni rispetto a 
quanto affermato dagli storici locali. 

Probabilmente proprio perché l'attività del commercio marittimo veniva svolta 
all'interno di un territorio a completa giurisdizione baronale, e perciò stesso dotato 
di contingenti militari locali in grado di fronteggiare ogni fenomeno di 
contrabbando, si sottraeva, in virtù del privilegio baronale, alle regole ed agli 
ordini regi. 

Le distinzione più rilevante, dal punto di vista aministrativo, tra i porti baronali e 
quelli regi consisteva fondamentalmente nella competenza esclusiva dei benefici 
economici e degli oneri gestionali delle attività di dogana portuale, alle 
prerogative ed ai privilegi concesse dai regnanti alla famiglia ducale, nel nostro 
caso appunto alla famiglia Pignatelli a cui apparteneva il Ducato di Monteleone 195 . 
Non essendo quindi obbligatoria la "rendicontazione" ai sovrani dell'entità e della 
qualità del movimento mercantile svolto all'interno del porto di Bivona, il 
materiale documentario di tale attività è rimasto sconosciuto agli studiosi proprio 
perchè mai pubblicato assieme a quello degli altri porti del Regno, di conseguenza 
quello che sembrò caratterizzarsi come un periodo di disuso e d'abbandono dello 



1 vedi documento in Appendice. 



Tale distinzione appare in tutta la sua valenza nella vertenza che vide contrapposto tra il Duca di 
Monteleone ai regi sovrani per la determinazione dei corpi feudali di falancaggio ed ancoraggio 
compresi nei pivilegi elargiti ai Pignatelli. 



91 



scalo, che coincide con il lungo periodo del dominio della città da parte dei 
Pignatelli, in realtà altro non è che un "buco" documentario, che anche oggi risulta 
difficile colmare per intero. 

I documenti finora rintracciati dimostrano altresì che la stessa "gestione baronale" 
del porto di Bivona, che in un primo momento aveva influito positivamente sul suo 
destino, si rivelò ben presto causa fondamentale del suo declino, proprio perché 
lentamente, ma inevitabilmente, fu sottoposto a tali e tante vessazioni fiscali, dazi e 
tasse doganali, da rendere svantaggioso economicamente a qualsiasi armatore o 
mercante attraccarvi. 

In tal senso si pronunciano anche gli stessi cittadini, in una delle tante suppliche al 
Re contro i Pignatelli, nel tentativo di rivendicare le ragioni dell'appartenenza al 
Regno dell'Università di Monteleone : "avea un Porto più grande che nel Regno 
si rattrovava, essendo di linea retta più di un miglio... " scrivono " ed ora rovinato 
da poicchè avea essa avuto l'infelice sorte di essere baronale; ma che il d(ett)o 
porto poteasi con poco denaro ristorare ed in tal maniera il commercio si 
aumenterebbe colla ricchezza di futi, ed il Real Erario per mezzo della Dogana, 
ma più come da q(uell)a Cap(ita)le alla citta di Messina non vi era altro porto, 
così l'armata di V.M., in caso di necessità sarebbe in evidente pericolo, se non li 
riuscirebbe di prender per quello di Messina" 

La supplica, redatta nella metà del XVIII secolo, continua fornendoci una la 
precisa collocazione del porto rispetto al Castello di Bivona, quando aggiunge che 
"nella marina di bivona tiene inoltre esso Ill.mo duca un Castello fortissimo, 
guarnito di piccioli cannoni, che domina il Porto", collocando il porto proprio 
nelle immediate vicinanze del castello. Confermando inoltre le vessazioni fiscali 
che nell'area si perpetravano i cittadini monteleonesi, rappresentati dai loro sindaci 
e dagli illustri personaggi dell'epoca, continuano affermando che "il Castellano 
(del Castello di Bivona, ndr.) tiene giurisdizione proibitiva di vendere commestibili 
per tutta la marina di Bivona, spettando ad esso solo tal preteso jusso; e si 
puniscono i controvenienti collo carcere e perdita della robba, esposta a vendita. 
Tiene inoltre esso Castellano proibitiva della pesca nel mare che bagna il 
territorio di Monteleone e jusso di esigere passi dalle cavalcature di soma che 
passano per colà, e di qualunque altro animale che per negozio si passa per detto 

. ,,10 8 

territorio 

Informazioni precise sul carico fiscale a cui era sottoposta la mercanzia che 
transitava nell'approdo costiero, le forniscono il puntiglioso memoriale del 
Magnifico Don Angelo Galante, che dal 1755 al 1757 risulta affittatore della 



' ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 67, fase. 1, n. 3 e 4. 
ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 67, fase. 1, n. 3 e 4. 
ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Ibid. 



92 



Dogana di Bivona . Egli affermava: "L'ultimo stato però sino al prossimo anno 
1757 è questo cioè: 

I - Rispetto al Jus Plateatico della Bagliva di Monteleone e suo distretto si 
esogevano gr(a.n)a 18 ad oncia in beneficio della Camera Ducale dai Forestieri o 
Compratori o Venditori sopra qualunque merce, specie d'Animali e generi di 
vittuaglia venduta, o comprata nella detta Città di Monteleone e suo Distretto; 

II - Rispetto alla Dogana di Bivona si esigeva il medesimo dritto di gr(an)a 18 ad 
oncia dalli venditori e compratori forestieri di Monteleone, similmente sopra 
qualunque merce, specie d'animali e genere di vittuaglia, che si comprava o 
vendeva da Forestieri nelle pertinenze di Bivona, senza farsi distinzione se le cose 
che venivano in compra, fossero nate in Bivona stessa, in monteleone e suo 
Distretto, o venissero altronde da altri feudi. Insomma si esigeva nelle pertinenze 
di Bivona il medesimo dritto, e nella stessa maniera sotto il titolo di Dogana, che 
si esiggeva sotto il titolo di Bagliva o di Jus Plateatico in Monteleone e suo 
distretto; 

III - Rispetto al Porto di Bivona si esigeva il dritto caricatario sopra qualunque 
cosa (merci, animali, vittuaglie, ce.) che si estraeva, e s'imbarcava per lo detto 
Porto..." m . 

I preziosi documenti riportati sono della metà del '700, ma è facile immaginare 
che tale tendenza vessatoria abbia avuto un inizio più remoto, e certo fu causa, 
negli anni, di una lenta ma costante esclusione del porto dalle tappe del commercio 
mediterraneo, tanto da diminure notevolmente il gettito delle entrate doganali, e di 
conseguenza ben poco o quasi nulla venne più investito per la manutenzione delle 



199 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 78, f. I, n.17 e 18, Pareri del Magn. co Don Angelo Galante 
affittatore della Dogana di Bivona - 18 Aprile 1 755 - Scritti diversi e notizie de Jussi spettanti al Porto 
e Dogana di Bivona. 

200 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Sc.78, f. I, n.17 e 18, Pareri del Magn. co Don Angelo Galante 
affittatore della Dogana di Bivona - 18 Aprile 1755 - Scritti diversi e notizie de Jussi spettanti al Porto e 
Dogana di Bivona : " ITEM Dictj Uni.s Dux habet jus Dohane Bivone quod jus exigitur ad ratione 
granorum decema et octo prò qualibet uncia ab exteris Diete Terre Montisleonis vendentibus, sìva 
ementibus in pertinentis Bivone omnes, et quajunque res; et quando venditor e Compitoore ambo sunt 
exteri dictum jus exigitur ab utuoque, scilicet tam a venditore, quam ab comp:tore : Solez locari 
singulis annis ducatis cenntum, et vigenti, et plus candela accensa plus offerenti. 

Siccome espressa menzione se ne fa nel privilegio della vendita, oltre la detta Dogana di Bivona, 
dicendosi in quello cum Dohana et Portu Bivone open accentuare, che non ve ne faccia mensione 
alcuna. Supponesi, che tutt'i Duchi di Monteleone dal detto anno 1501 fino all'odierno Sig.' Duca D." 
Fabrizio siano stati nel quieto, legittimo e non mai interrotto possesso di detti Jussi di Bagliva di 
Monteleone e di Dogana e Porto di Bivona. " Poi continua con la citazione riportata nel testo. 



93 



strutture portuali. 

La scelta quindi di non investire un solo ducato per il ripristino delle strutture 
portuali, unito al continuo interramento del suo bacino, nonché gli effetti nefasti 
dei violenti terremoti del 1638 e del 1783, furono le principali cause della fine 
dello scalo bivonese. 

Non sappiamo quali e quante strutture sopravvissero a tale concorso di eventi, ma 
certo i pochi resti consentirono ancora per anni l'utilizzo dell'approdo costiero, 
anche se probabilmente solo per le attività legate al piccolo cabotaggio costiero, 
visto che il movimento mercantile viene confermato dal fitto della Dogana e dalle 
stesse esazioni doganali effettuate fino al 1754, così come dimostrato dal riportato 
memoriale del Galante. 

A tale preziosa testimonianza è da aggiungere un ulteriore documento, ad esso 
contemporaneo, redatto come atto di fede dei precedenti affittatori della dogana, e 
che recita testualmente: 

"Per noi Sotti Nicolao Bruzzasco, Nicola Condoleo, A«f(oni)o de Angelis, ed 
A«f(oni)o Sebinni di q(ue)sta città di M(onte)lione, si fa piena e veridica fede, con 
giuramento e con animo, la p(rese)nte ripetere egualm(en)te: avendo 
respettivam(ent)e affittato dalla Cam(me)ra Ducale di q(ue)sta Città, e per essa il 
suo Erario, la Dogana Baronale di M(onte)lione suo distretto, e q(ue)lla della 
Marina di Bivona, e rispettivam(en)te esatto la med(esi)me per più e diversi anni: 
Quando si imbarcavano gli ogli nella Marina di <f(ett)a Bivona, tanto gli ogli, che 
venivano fuori dalli Stati di M(onte)lione, quanto di q(ue)lli di <f(ett); Stati, sempre 
esiggevamo, tanto per gl'uni, quanto per gl'altri, carlini tre per ogni botte per 
dritto di Dogana Baronale, e non altro titolo, e così solevamo affittarla, siccome 
così e con <f(ett)o jusso sempre si è affittata; 

Onde per esser q(ue)sta la verità abbiamo fatto la p(rese)nte che va sotta da nostre 
proprie mani e roborata da leg(aì)e Notaro. " 

Come si denota da tale atto di fede 202 , redatto il 2 novembre del 1754, il porto di 
Bivona continuò ad imbarcare e sbarcare botti di olio fino a tutta la metà del XVIII 
secolo, il che esclude automaticmente le tesi dell'abbandono dello scalo 
anterioriormente a tale data. 

L'attività portuale è quindi documentata da atti doganali fino al 1754, anno questo 
che sembra essere l'ultimo della sua esistenza; una sorta di spartiacque cronologico 
oltre il quale nessuna notizia sul porto è stata scritta o riportata, tanto da far 
sembrare che scompaia all'improvviso nel nulla. 



ASN, Archìvio Pìgnatellì-Cortez, Se. 78, f.I, n.1-19, Fede degli affittatori della dogana dì Bivona. 
M. l'ione li due novembre 1754. Seguono le firme in fede degli ex affittatori e del Notaio Xaverius 
Antonucci Bellamne. 

wl Atto di Fede: Giuramento, effettuato dinanzi le autorità, sulla veridicità della propria testimonianza. 



94 



Di fatto documenti anteriori a tale data confermano l'utilizzo dello scalo e, come si 
è visto, l'esistenza di un discreto movimento di merci in grado di attirare capitali 
privati nella gestione e nell'affitto della struttura doganale. 

Addirittura il fitto stesso del Castello di Bivona, per un periodo compreso tra il 
1730 ed il 1734 risulta legato alla possibilità di godere dei benefici legati alla 
presenza dello scalo marittimo, derivanti dai "...deritti di Salinaggi, passi, 
anchoraggi, maghazzini, terre appartenentino ed annesse a d.(ett)o Castello..." 
comprendendo inoltre in tale fitto quelli "...sopra la Tonnara ed altre barche 
pescareccie, e con tutti altri suoi jussi, dritti ed emolumenti dovuti soliti permessi, 
leciti, e non proibiti..." 203 , come si rileva dall'atto notarile con cui Antonio 
Scordamaglia dal Casale di Longobardi prende in affitto per quattro anni il 
castello. 

Ad aggravare ulteriormente il destino dell'approdo costiero contribuì anche la 
causa per la difesa dei diritti demaniali, promossa nel 1769 da un gruppo di 
"zelanti" cittadini di Monteleone, in quanto, a latere della principale causa 
demaniale contro il Duca Pignatelli, venne riconosciuta inesistente, e quindi 
"usurpata", l'investitura del Duca a Sostituto Montiero Maggiore e di Castellano di 
Bivona, titoli dei quali venne privato nel 1775 204 . 

Risulta evidente che tale decisione, con la perdita di privilegi strettamente legati 
all'area costiera, non potè che provocare il definitivo disinteresse dei Pignatelli al 
ripristino dell'area portuale. 

Con tutta probabilità da quell'anno in poi il porto di Bivona, o meglio ancora i 
ruderi di quello che era stato l'antico porto, ritornarono sotto la giuridizione regia, 
ed in tal senso è emblematica la decisione del nuovo Regio Portolano, il 
monteleonese Don Tommaso di Francia 205 , di costruire il suo palazzo privato, da 



203 ASN, Archìvio Pignatelli-Cortez, Se. 79, f. 1, n. 7. Rogato il 31 agosto del 1730. 

Cfr.: Luciano D., // tramonto della feudalità a Monteleone dì Calabria nel settecento, in Congresso 
Storico Calabrese, 6, Catanzaro 1977, Atti del VI Congresso..., Catanzaro 1981, v.2, pp. 353-370. Il 
titolo di Montiere Maggiore e di Castellano di Bivona si può ritenere uno dei punti minori della causa, 
tant'è che lo stesso duca ritenne di non insistere sulla rivendicazione di tali privilegi, concentrando tutte 
le sue risorse ed amicizie per difendere il suo più ampio potere baronale. 

! ° s Alcuni componenti della famiglia di Francia (a volte riportati come de Franza, o di Franza) già in 
precedenza avevano svolto l'incarico di Portolano, per il Ducato di Monteleone. Si ricordano Leoluca 
de Franza, che nel 1695 fu anche sindaco dell'Università di Montelone; Orazio di Franza, portolano nel 
1704; Domenico Antonio di Francia, portolano nel 1739. Il Barone Francesco di Francia di Montelone 
acquistò il 7 settembre del 1759, per 46.000 ducati la Terra di Santa Caterina, dal Duca di Monasterace 
Francescantonio Perrelli, compreso il diritto di Portolania. La scelta dei regnanti non poteva quindi che 
cadere, per l'esperienza acuisita, su di uno dei suoi membri. Tommaso di Francia, risulta ancora nel 
1801 Regio Portolano. Cfr. Von Lobstein F., Settecento Calabrese ed altri scritti, Ed. Frama Sud, p. 
341; Pellicano Castagna M., Le ultime intestazioni feudali in Calabria, Ed. Effe Emme, p. 89, nonché 



95 



adoperare per le rappresentanze dovute al suo mandato, nella rada di Santa 
Venere, luogo in cui successivamente verrà realizzata la nuova struttura portuale. 
Come già detto, dalla seconda metà del '700 in poi, non si rintracciano precisi 
cenni documentari sull'attività del porto di Bivona, così come, da quell'epoca in 
poi, l'approdo non viene più descritto nelle cartografie nautiche. 
Del resto non vi è alcuna indicazione del porto rinascimentale nella 
particolareggiata "Descrizione topografica del Lago, o sia ristagno d'acque 
accanto al Castello di Bivona" redatta dal Regio architetto Giuseppe Vinci nel 
1769, né nella "Pianta e Profili della novella strada che dovrà farsi da questa città 
di Monteleone nella Marina di Bivona" 101 , redatta dallo stesso architetto nel 1784. 
Le descrizioni riportate in precedenza inducono ad ipotizzare la localizzazione del 
porto medievale ed altomedievale proprio accanto al Castello di Bivona, eppure 
nella descrizione del Vinci del 1769, dove tra l'altro viene rilevata sia la linea di 
costa compresa tra il Castello e la Torre di S. Nicola, che lo specchio d'acqua 
dolce del Lago di Bivona 208 , non appare nessun rudere o segno strutturale che 



Tarallo P., Raccolta di notizie sulla città di Monteleone, Monteleone Calabro 1926, p. 232. 
Precedentemente avevano svolto l'incarico di Portolani i magnifici Giacomo Carretta (1691), Mattheum 
ed Honofry della Corte (1613); Jacopus Barcha (1563); Josephi Caballus (1560). 

20 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, sc.78,fl.l,n.l2, S.I. 773/2. Relazione colla Pianta de Territori 
adiacenti al Lido di Bivona spettanti alla Camera Ducale con quelli della Mensa vescovile di Mileto. 

ASN, Piante e Disegni, cart. XXXI, n. 25, Pianta de Profili della novella strada che dovrà farsi da 
questa città di Monteleone nella Marina di Bivona per ordine di S. E. Sig. D. Frane. co Pignatelli 
Tenente de' Reali, 7 agosto 1784. 

08 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Ibid.:"A//' Ill.mo Sig.r D. Carlo Rocca Gov.re Gt.e interino e 
Razionale di questi Stati di Monteleone e Briatico. In esecuzione di quanto a voce mifu incaricato da 
Vs. Ill.mo in virtù dell'Ordine peggev olissimo di S.a E.a devo riferirle sulla pendenza de' terreni 
spettanti a questa Camera Ducale adiacenti alla Sponda del mare, e contigue al Castello di bivona, e 
del Lido, o sia letto abbandonato dal mare, che presentemente trovasi maggior parte arenoso, parte 
ristagni, e picchia parte limaccioso, principiando dal detto Castello fintanto va ad incontrare il fiume 
chiamato Trainiti. Causa d'un si spazioso Lido s'è il detto Trainiti che nell'alluvione porta seco 
quantità d'arene e le rilascia nel mare, il quale le ridonda al Lido, che per ognanno mirasi sempre più 
accresciuto; per qual Lido da Bruno Messina a favor della Camera Ducale s'offerse la somma di docati 
40 per lo spazio d'anni quattro e se ne fece il contratto concedendosi al medesimo dal principio della 
sponda finche incontrava i confini delle terre della Mensa Vescovile di Mileto. Ma comechè il detto di 
Messina oltre il vero lido osservò nelle terre della Vescovile Mensa a lui ignote superficie d'arena 
cagionata dal fiume, che credea Lido; Onde per quanto compariva arenoso ne formò un fosso 
divisionale di confine; avvedutosi il Fattore della Mensa del fosso ed aggregazione ne fece parola di 
quanto spettava loro, e f indove tendeano i loro terreni. Pertanto se ne Umiliò dal Sig. Erario veridica 
relazione a sua Ecc.a, che ne richiese da me giusta Pianta e con segretezza, dividendo i terreni della 



96 



possa essere identificato come opera di banchinaggio. Nella piantina, oltre al lago 
di Bivona viene descritto un altro laghetto d'acqua salsa "formatosi dalle grandi 
burrasche di mare ed alluvioni nell'anno 1767 nel lido di mare vicino al Castello 
di Bivona" 209 . Tale accurata descrizione potrebbe confermare l'ipotesi, avanzata in 
questi ultimi anni, che un'improvviso quanto violento evento metereologico abbia 
potuto provocare la formazione di un'alta duna sabbiosa, che causò 
l'insabbiamento delle strutture portuali ed il repentino avanzamento della linea 
costiera. 

Questo evento spiegherebbe la ragione delle limitate informazioni sul porto negli 
anni successivi al '700. 

Già nel 1714, nella carta della Provincia della Calabria Ultra redatta da Domenico 
De Rossi, il porto viene rilevato solo dalla presenza di una torre, denominata 
appunto "del porto", ed appare descritto come poco sicuro, in un codice cartaceo 
utilizzato dalla marineria commerciale nel 1762, che nell'area di "le Bibone" 
colloca la "cala di S. Nicola", definendola "buona per la cala... che se gli entra da 
maestro, e gli è buon fondo; e se ormezzano in quatro e gli ponino stare dui galere 
benissimo, e senza dubbio la traversia sono ponenti e libecchi" 



Mensa, e Lido spettante alla sua camera. Ma perchè offizio mìo s 'è ubbidire a cenni un co detto Erario 
andammo ad esaminare le pretenzioni della Mensa Vescovile e Camera ducale". 

09 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Ibid.: "portai ancor meco due piante rilevate una nel Mese 
d'Aprile 1766, l'altra nell'Agosto 1767 come ambedue son delineate nella qui annessa Pianta che 
dimostra l'antico sentiero della Con/inazione de' terreni della Mensa, Segnato come G.G.G.G. Come 
anche dimostra un gran Lido con ristagni, uno formato circa anni dieci indietro seg.o come AA. 
L'altro nel Mese d'Aprile Anno 1767 Seg.o lettera B come dimostra una parte limacciosa segnata 
lettere C.C. che nell'Inverno si vede sempre allagata, si per le escrescenze delle acque Correnti di 
Trainiti, come delle acque che rimandano i terreni della detta Mensa, che mai badò raccogliere l'acque 
giovani. Descritti adunque i confini della Mensa, che chiaramente s'osservano, ed il lido, passo a 
descrivere il fosso formato dal detto Messina segnato in Pianta lettere L.M.N. formato effettivamente 
dentro le terre della Mensa, che credea esso Messina letto abbandonato dal mare; e certamente soci 
sembrava a prima veduta per quella picciola superficie d'arena che copriva porzione di vera terra 
vergine della suddetta Mensa, quale noi vidimo non poter esser altrimenti; ma i veri confini sono si 
della Mensa come del Lido, quelli, che in pianta descrissi e segnai; quantunque il Messina rapporta che 
nell' istessa direzione del fosso da lui formato rattrovarsi una strada pubblica ma da noi non fu trovato 
vestiggio alcuno: Tanto devo riferir a V:S: Ill.a per adempiere agli ordini veneratissimi di Sua Ecc.a, e 
pieno d'alta stima resto dicendomi. D. V:S: Ill.a Monteleone 18 Ottobre 1769. Gius. Vinci Ing, 
Ducale" .Proprio l'Arch. G. Vinci, dietro incarico del Duca di Monteleone, quindici anni dopo progetto 
una strada che da Monteleone conduceva alla marina di Bivona, nel quadro di una più complessa opera 
di ricostruzione dell'antico porto , opere tra l'altro mai realizzate e di cui se n'è persa traccia. 

210 Azurri C, Carta di Navigare, Civico Istituto Colombiano. Studi e Testi. Serie Geografica 3. Genova 
1985, C. 104 V, p. 277. V'è da sottolineare la impressionante diminuzione delle galee che possono 



97 



Il porto ducale di Bivona tra il 1754 ed il 1767, condividendo in questo la stessa 
sorte del porto romano, finì per essere completamente arenato della formazione di 
una duna sabbiosa provocata dai detriti dei torrenti Trainiti e S. Anna che, oltre a 
ricoprirne completamente le strutture, lo allontanarono definitivamente dalla linea 
di costa. 

L'area divenne ben presto così malsana che lo stesso attraversamento veniva 
sconsigliato ai viaggiatori europei che intendevano recarvisi alla ricerca delle 
antiche vestigia greco-romane, così come racconta, a metà del 700, il Barone di 
Northumberland, Herry Swinburne: "... Avevo intenzione di dedicare una giornata 
alle rovine di Hipponion o Valentia, che sorgono in un luogo chiamato Castello di 
Bivona, circa sei miglia a occidente di Monteleone, ma i frati mi assicurarono che 
non vi avrei trovato nulla che valesse il disturbo: le uniche vestigia rimaste sono 
alcune volte e passaggi sotterranei. Infatti il conte Ruggiero ha trasportato tutte le 
colonne del tempio di Proserpina nella sua grande Chiesa della Trinità di Mileto; 
altre colonne di marmo bianco sono state dissepolte negli ultimi decenni e portate 

j ,,211 

non si sa dove 

Nel 1775 la marina di Bivona è ormai del tutto priva di strutture in grado di 
garantire un sicuro approdo nella rada, tant'è che la notte del 24 dicembre di 
quell'anno, venne trascorsa in sosta alla fonda dalla martengana "Modonna della 
Grazia e SS.mo Ecce Homo" del patron Domenico Cariddi, messinese, che aveva 
l'incarico di imbarcare "un pieno di carboni di Sovero" dalla Marina di S. Eufemia 
a Reggio. 212 

Nonostante ciò, il G. B. Marzano scrive che secondo la testimonianza di un suo 
avo, le strutture del porto di Bivona erano in parte sopravvissute al terremoto del 5 
febbraio 1783, visto che le sue mura si vedevano ancora a fior d'acqua quando, 
pochi mesi dopo, fu presentata istanza al Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone 
dal suo parente, il nobile Guglielmo Marzano, sindaco dei nobili di Monteleone, 
nel tentativo di ottenere il ripristino dell'antico porto della città. La lettera recita 
testualmente: "S.R.M., Sire, li governanti di questa città di Montelone e i cittadini 
della medesima, qui sottoscritti, con umil supplica rappresentano alla V.R.M come 
alla Marina di Bivona, territorio di essa città, esiste l'antichissimo porto, famoso 
anche presso i Romani, sito nel Golfo di S., giacché corre dalla Regia Torre di S. 
Nicolò sino all'altra Torre Regia verso la Città di Pizzo, per lo spazio più d'un 
miglio, con Castello denominato oggidì di Bivona. Detto Porto patì danno 

stazionare nel porto: dalle 12 galee del 1550 si passa alle 6 della fine del 500 (Stigliola-Cartaro), per 
scendere definitivamente alle 2 galee del presente codice, prima della definitiva scomparse del porto 
nella cartografia successiva. 

211 Piazza F., Dalla Puglia alla Calabria con Henry Swinburne, Ed. G. Barbera, Firenze 1966. 

212 Tripodi G., Op.cit. 1994, p. 224. 



98 



nell'incursione dei saraceni, e proprio nel nono e decimo secolo, e come nido di 
quei Corsari, v'è tradizione che si fosse ridotto in un piccolo fiumicello detto 
Trainiti, per iscorrere nello stesso porto e riempirlo, come in fatti in oggi è 
riempiuto in buona parte, ma non già che i muri non siano presso che a fior 
d'acqua e con la magnificenza di V.R.M. non si possano ristorare; ed infatti 
continuamente vi approdano bastimenti, ed i Regi Sciabecchi nell' espulsione dei 
Gesuiti che vi trovarono ricovero; e però rendesi necessario lo ristabilimento del 
Porto medesimo alla Provincia e Regno tutto; essa Provinciaa è circondata da 
mare e spiaggie pericolose, e solo al Ponente d'essa trovasi detto Porto, cosicché 
da Messina per correre a Napoli non v'è altro scampo dai venti di Scirocco e 
Libeccio, e moltissimi sono stati in conseguenza i naufragi per tal deficienza" . 
Ma la proposta del sindaco monteleonese non ebbe alcun seguito, per la forte 
alterazione che l'area aveva ormai subito nel corso dei secoli, anche se lo scalo 
vibonese, o meglio ancora, quei muri che erano "presso che a fior d'acqua" come 
scriveva il Marzano, ed "in cui continuamente vi approdano bastimenti ed i Regi 
Sciabecchi" ', continuò ad essere ancora utilizzato, seppur come tappa secondaria, 
nei trasporti marittimi regionali. 

In tal senso preziose testimonianze le ricaviamo da alcuni episodi verificatisi negli 
anni successivi al disastroso terremoto del 1783. 

E' il 7 febbraio del 1785, quando i Sindaci di Monteleone Capialbi e Cannata 
sottoscrivono dinanzi al Notaio Leoluca Candela, una pubblica procura in bianco, 
nella quale, "non potendonsi essi conferire nella Città di Napoli, impediti 
dall'affari urgenti di essa Città" nominano un loro procuratore che "per vece e 



213 Marzano, Op.cit. 1926, p. 174 (note). 

214 ASVV, Notaio Candela Leoluca (Monteleone, 1782-1839). 7 febbraio 1785, Voi. 1, corda 1105, f. 
73 e ss. "In Nomine Domine amen. Die Septima mensis Septembris Millesima Septinguesima 
octuagesimequinte, Tertis Ind(izio)nis in Civitate Monsis Leonis;Personalm(eni)e Costì(tuit)i nella 
p(rese)ft<£r mia li Sig(no)ri D: Vincenzo Capialbi, e D: Gianotta Cannata attuali Sind{\)ci di questa 
Ill(ustrissi)ma e fedelissima Città di M(onle)Leone a Noi bene Cogn(it)is, li quali essi, e per ogniuno da 
migliore vi asseriscono qualm(Qnt)e, non potendonsi essi conferire nella Città di Napoli, impediti 

dall'affari urgenti di essa Città, fidati intanto nella fede del Sigr degente nella Città di lo 

med(es\m)o benché assente, come presente nel nome sud(dei)to, Consituiscono, e fanno di loro 
leg(itti)mo Proc(uraìo)re, con tutta la facoltà che conviene; deciò P roc(\\r?Ao)re nomine, e per vece e 
parte di essi costituenti, possa, e voglia comparire nel Tribunale della Regia Camera, e 
Sopraintendenza di essa Città di Napoli, e dovunque bisognerà per ottenere Provisioni per lo trasporto 
di Tumoli tremila Grani incettati per uso e partito di questa sud(dei)ta Città di M(onto)Leone nella 
Città di Cotrone, trasportandosi sino al Lido di Bivona, giusta l'impronta, che da essi costituiti si 
conferma; Quindi per l'effetto sud(det)to il sud(dei)to di loro Proc(mato)re possa, e voglia fare 
ogn 'atto, che si conviene, e che potrebbero dare essi costituiti se fissero colà presenti, ed ancor che 
fissero cose tali, e che richiedessero mandato speciale, specialissimo; Dandoli tutta la facoltà bastante, 
e nicessaria nel nome sud(dei)to; Le loro veci, e voci, colla clausola ut altes Nos; Promettendo il tutto 
aver dato, grato ed affinchè al pr(ese)nte mandato di Proc(u)ra si dia tutta la fede si è fatto pubblico 
atto". 



parte di essi costituenti, possa, e voglia comparire nel Tribunale della Regia 
Camera, e Sopraintendenza di essa Città di Napoli, e dovunque bisognerà, per 
ottenere Provisioni per lo trasporto" di ben 3000 tomolate di "grani incettati per 
uso e partito di questa sud(det)ta Città di M(onte)Leone" ', che già si trovavano 
custoditi nella città di Crotone, e che da quest'ultima sarebbero dovuti giungere via 
mare "sino al Lido di Bivona". 

Questa grande quantità di grano costituiva certamente una delle tante, e forse 
ultime, forme di sostegno concreto decise dalle autorità del Regno, a soccorso della 
popolazione monteleonese, sopravvissuta al terremoto del 1783, ed il documento 
risulta essere importante perché dimostra come, a due anni dal disastroso evento 
tellurico, continuavano a giungere nella città soccorsi alimentari "precettati", per 
usare un termine a noi contemporaneo, negli altri centri della regione, ed ancor più, 
documenta come in quegli anni, nonostante il costante insabbiamento delle 
strutture portuali, il lido di Bivona si prestava ad essere una concreta alternativa al 
trasporto terrestre, per l'arrivo dei soccorsi. 

Un'ulteriore documento, redatto nel 1794, segna, con tutta probabilità, la data di 
fine d'uso dell'area di Bivona come valido approdo intermedio nei viaggi marittimi 
lungo la costa calabrese. 

Nel documento, che altro non è che una lettera in cui viene organizzato il trasporto 
di un cippo marmoreo, appartentente al Tempio di Persefone e posto nella 
Cattedrale di Mileto, viene specificato come il prezioso carico dovesse essero 
posto "sopra un carro" per essere trasportato "alla marina di Vivona e da Vivona 
sopra una barca a Pizzo" , dove averebbe potuto essere da imbarcato su una nave 
alla volta del porto di Napoli. Risulta chiaro quindi, come nel 1794, il lido di 
Bivona non fosse più in grado di consentire l'approdo di una grossa imbarcazione. 
In effetti non v'è più alcun accenno ad un approdo costiero dotato delle necessarie 
strutture per renderlo sicure, nelle relazioni redatte alcune settimane dopo il 
terremoto del 1783, a seguito dell'allarme scattato nella "quasi diruta città" di 



2ì5 Scavi di antichità nell Provincie di terraferma dell'antico Regno di Napoli, dal 1743 al 1876, 
Documenti raccolti e pubblicati da Michele Ruggiero, Architetto direttore degli scavi e monumenti del 
Regno. Napoli 1888, pag. 601: "Palazzo, 28 maggio 1794. Dalla Rapp/a di V.S. Ili/ma de' 24 del Cad/te 
e da quella acchiusa di D. Teodoro Caporale Soprintendente agli scavi di Antichità in Provincia di 
Catanzaro è rimasto informato il Re con approvazione che l'iscrizione in pietra di paragone 
appartenente al distrutto Tempio dì Proserpina ora esistente nella Cattedrale di Mileto si potrebbe 
portare sopra un carro alla marina di Vivona e da Vivona sopra una barca di Pizzo condursi in Napoli. 
Lo partecipo di R. Ord/e a V.S. ... de Marco." in Nusdeo V., Persefone Hipponiate, Ed. Mapograf, Vibo 
Valentia 1984, p. 113. 



100 



Monteleone per l'avvistamento di bastimenti di "barbareschi pirati" 216 , né in 

quelle redatte in quello stesso anno dagli studiosi e dagli ufficiali regi, incaricati di 

relazionare sui disastri effettuati nella regione dal terremoto 2 ' 7 . 

Negli anni successivi, il continuo insabbiamento dell'area costiera di Bivona 

provocò la formazione di un laghetto, dagli abitanti della citàà chiamato "w 

Maricejiu" o "Maricello", che ebbe effetti nefasti sullo sfruttamento produttivo 

dell'area. 

La zona divenne ben presto malsana e causa di febbri malariche, tant'è che lo 

stesso Gioacchino Murat, durante la sua reggenza del Regno di Napoli dispose con 

un decreto, datato al 34 giugno 1809, che "...il Lago di Bivona, nel territorio di 



21 Tarallo P., Raccolta dì notizie sulla città di Monteleone, Monteleone Calabro 1926, p. lOl:"Certifico 
qualmente la notte del 24 marzo prossimo passato verso le ore cinque e 1/4 pervenne in questo campo 
di Monteleone mia residenza, notizia dalla spiaggia di ponente di questa Provincia, qualmente all'i 
contorni della Terra dì Briatico, Rocchetta, Pizzo e Città di Tropea sì erano scoperti Bastimenti, quali 
con vela latina e quadra che bordeggiavano verso la spiaggia e diedero caccia a diverse barche 
peschereccie dette manaite, sembrando detti bastimenti essere barbareschi pirati, ed impautiti quei 
pescatori si buttarono a nuoto, prendendo timore per non restare schiavi, ed arrivando a terra sì 
diedero alla fuga disperdendosi per i paesi con gridare:barbari e ladri, a noi cristiani; per lo che a tal 
notizia sparsa in quei paesi circonvicini diedero campo a quei popoli d'armarsi e pervenuta tal notizia 
in questa quasi dìruta città di Monteleone diede l'allarme ai cittadini, correndo verso delle nostre 
tende, ossiano padiglioni, domandando aiuto e soccorso da noi militari, per lo che ad un subito dal 
capitano D. Francesco Casas del Reggimento Vallone di Ambares si pose sopra l'armi, con i suoi 
soldati, essendo anch'io commessionato con altri miei compagni officiali, per ordine del Vice Vicario 
Generale monsignor D. Francesco Paolo Mandaranì Vescovo di Nicastro, disponendo la maggior parte 
della popolazione ed andare all'incontro del nemico, facendogli fronte per diverse imboscate, dirette da 
me ed armati titti i fucili, baionette ed armi bianche, per assaltarli in tre colonne composte ciascheduna 
di 200 persone atti tutti ali 'armi e pronti a sacrificarsi contro detti barbari e ladri; e queste da me ben 
disposta gente venne rinforzata da tutti quei popoli atti alle armi dei paesi corconvicini dì questa 
suddetta infelice diruta Città di Monteleone..'' in Tarallo P.,op.cit, p. 101, il quale riporta un 
documento originale datogli dall' Avv. Felice Crispo di Monteleone. 

2 ' ' Proprio nella città di Monteleone pose il suo quartier general il Vicario del Re Pignatelli, incaricato 
da Ferdinando IV di coordinare gli interventi e gli aiuti a favore della popolazione calabrese. Cfr. 
Placanica A., L'Iliade funesta, Storia del terremoto Calabro-messinese del 1788, Casa del libro editrice, 
Roma 1982. Nello Stato di Monteleone, su 11.381 abitanti ne perirono 81. Nella relazione risulta che S. 
Pietro di Bivona contava allora 326 abitanti, mentre Longobardi 430: i due centri costieri subirono solo 
tre vittime, tutte di S. Pietro. Che il porto Bivona non fosse all'epoca più utilizzabile lo dimostra inoltre 
la scelta di effettuare solo nel porto di Pizzo tutti gli sbarchi di generi di prima necessità da distribuire 
ai bisognosi. 



101 



Monteleone, sarà disseccato nel più breve tempo possibile ed i terreni paludosi 
bonificati" 

Nel 1828 l'area si presentava agli occhi del ministro della chiesa scozzese Craufurd 
Tait Ramage come una grande distesa di sabbia, da cui emergevano pochi, ma 
"dall'aspetto massiccio", resti dell'antico porto, ma vediamo come egli stesso ci 
racconta la sua visita: "... Nel pomeriggio mi recai a cavallo a Bivona, che si trova 
sul mare e che si pensa sia stato l'antico porto di Monteleone. Se questo è vero, la 
città non poteva vantare un gran porto, ma non dobbiamo dimenticare che a quei 
tempi le navi potevano essere tirate a riva. Questo porto è meglio protetto di 
quello di Pizzo. Era evidente, comunque, che era stato fatto un tentativo di 
costruirvi un porto importante, poiché i resti di questo avevano un aspetto 

■ ■ ,,219 

massiccio 

Le vicende del porto di Bivona pongono comunque un quesito alla ricerca storica, 
e cioè come mai, nei racconti della letteratura di viaggio dei primi anni 
dell'ottocento, vengono ben descritte e localizzate le antiche vestigia greco- 
romane del porto ed, al contrario, non appare alcun riferimento a quelle utilizzate 
tra XVI ed il XVII secolo? 

La carenza di testimonianze precise sull'ubicazione delle strutture del porto ducale 
è un dato che caratterizza le ricerche storiche fin qui effettuate sulla città di 
Monteleone. La sola certezza esistente è che le strutture ducali non coincidevano 
affatto con quelle di età classica, essendo già coperte dal terreno 220 , ragion percui 
l'interrogativo, sulla loro esatta collocazione, rimane intatto. 

Più volte il porto, nelle citazioni documentarie del '700, viene descritto come 
costruito subito a ridosso del castello di Bivona, tant'è che le espressioni usate 
possono essere qui riassunte: 

" esiste V antichissimo porto, famoso anche presso i Romani, sito nel Golfo di S., 
giacché corre dalla Regia Torre di S. Nicolò sino all'altra Torre Regia verso la 
Città di Pizzo, per lo spazio più d'un miglio, con Castello denominato oggidì di 
Bivona"" ; 

"Questo porto era ancora in efficienza ai tempi di Federico II, ed anche alla metà 
del secolo XVI quando fu costruito il castello per proteggerlo " ; 



2l8 Albanese F„ op.cit., Vibo Val. 1974, Voi. I, pp. 250-263. 

219 Clay E., a cura di, Viaggio nel Regno delle Due Sicilie, Ed. De Luca, Roma 1966. 

!0 Le recenti indagini archeologiche curate dalla Soprintendenza Archeologica di Reggio Calabria 
confermano tale dato, essendo la struttura di banchinaggio romana coperta da uno strato di terreno che 
ne ferma l'uso al V, massimo VI sec. d.C. 

221 Marzano, Op.cit. 1926, p. 174 (note). 

222 F. Lenormant, op. cit. 



102 



"La p(rese)nte Carta Topografica è dell'esistente Castello di Bivona, sito a 

guardia di quel Porto" ; 

Tali testimonianze permettono di ipotizzare che la struttura portuale fosse con tutta 

probabilità costruita proprio a ridosso del castello e, se si esclude il lato nord della 

cinta muraria, occupato dal trappeto della canna da zucchero, ed ovviamente il lato 

interno che guarda verso la collina di Monteleone, è possibile fare l'ipotesi che 

l'area occupata dal porto era posta a sud del castello stesso. 

Con tale ipotesi verrebbe a spiegarsi l'ampia spianata posta a ridosso dell'ingresso 

al castello che, ergendosi di tre metri dal suo livello di costruzione, oltre a 

costituire una platea naturale su cui aprire il ponte levatoio per superare il fossato 

che lo circondava, poteva essere utilizzata anche come area di stoccaggio delle 

merci scaricate dalle imbarcazioni, nella stessa epoca in cui il mare lambiva per 

intero il castello. 

Del resto che l'ampia spianata fosse cinta per intero da possenti muraglioni si 

spiega con la necessità di difenderla dallo smottamento che poteva essere 

provocato dalle mareggiate, oltre che appostarvi artiglierie o quant'altro 

necessitava alla difesa dell'approdo. 

La progressione continua della linea costiera, allontanò in modo significativo il 

castello dal lido del mare. Dal 1834 al 1852 infatti, il tratto arenoso creatosi davanti 

al castello era avanzato di 280 palmi 224 , ed è lo stesso Ing. Toscanelli, nella 

Relazione Ufficiale per la costruzione del Porto di S. Venere che ribadiva 

l'impossibilità di ricostruire il porto nello stesso sito, in quanto "una linea 

subacquea parallela alla spiaggia si è formata gradualmente, che in secondo 

tempo è emersa (1645) formando un lago prima salso e poi paludoso nella marina 

di Bivona, detto maricello ... la forte e graduale protrazione di tutta quella 

spiaggia, cui non sono innocui i torrenti che mettono alla sinistra del mare, per 

l'improvviso sboscamento delle scoscese coste dei monti sovrastanti, non solo se 

ne è rialzato il letto, ma immenso è il materiale che trascinano, e questo sia per la 

direzione dei venti poco obliqui alla costa, sia per la spiaggia, e venirla 

successivamente allagando"'" . 

Nel 1880 l'archeologo francese FranQoise Lenormant, utilizzando un'imbarcazione 

offertagli dai responsabili della costruzione del nuovo porto di Santa Venere, fa 

tappa lungo la laguna che circondava i resti dell'antico castello di Bivona. 

Egli, nel ripercorrere la storia del castello e del porto precisa, che "al principio di 

questo secolo, vivevano ancora a Monteleone dei vecchi che raccontavano di aver 



ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Sc.78, f. I, n.16. 
4 Garoffolo F., Ipponion, Ed. Romeo, Reggio Calabria 1969. 
'Albanese R, op.cit, Vibo Val. 1974, Voi. I, pp. 250-263. 



103 



visto nella loro infanzia, questo arco di marmo con la sua scultura . Essi 
dicevano, ed è divenuta una tradizione nella città, che il porto non era mai stato 
distrutto, ma progressivamente ricoperto per i colmamenti prodotti dalle 
alluvioni." 

E' forse il caso di riportare integralmente le sue impressioni di storico, non appena 
sbarca sulla spiaggia: 

"... Un poco più in là sbarchiamo nel punto più vicino al vecchio castello di 
Bivona, che si trova ora ad un chilometro dalla riva, essendo il terreno intermedio 
di formazione molto recente a causa delle sabbie marine spinte dai flutti e dalle 
alluvioni dei torrenti che scendono dalle montagne. Questi terreni di recente 
formazione che attraversiamo che sono disseminati da grandi gruppi di canneti e 
di tamerici, pullulano di biscie che fuggono via al nostro passaggio quasi ad ogni 
cespuglio. Il castello è di epoca angioina, rimaneggiato al principio del XVI sec. 
per poter contenere l'artiglieria che difendeva la costa. 

Nell'antichità, sul terreno lievemente rilevato sul quale è costruito il castello, 
esisteva un tempio. Si nota ancora qualche frammento architettonico di questo 
edificio impiegato nella costruzione medievale o giacente nei pressi. Raccattiamo 
parecchi piccoli pezzi di enormi bacinelle in terracotta usate per l'acqua lustrale, 
poste all'entrata dei templi e i cui esemplari meglio conservati si sono trovati nei 
recenti scavi di Selinunte. Alcuni pretendono che da qui il gran conte Ruggero fece 
prendere le magnifiche colonne di marmo africano per adornare la cattedrale di 
Mileto; ma la tradizione a questo riguardo è vaga e contraddittoria. In ogni caso, 
il terreno intorno è cosparso di cocci di mattoni e di vecchie terrecotte greche e 
romane. E' lì vicino, all'estremo dell' angolo rientrante disegnato dalla costa, che 
piega ad ovest in direzione di Briatico (situato ad una lega di distanza) e di Capo 
Zambrone, che si trovava il porto di Hipponion, poi di Vibo Valentia, in posizione 
favorevolissima e perfettamente riparato dai venti. 

Questo porto era ancora in efficienza ai tempi di Federico II, ed anche alla metà 
del secolo XVI quando fu costruito il castello per proteggerlo. 
Oggi il porto è colmato dalle alluvioni e dalle sabbie, e solo una laguna paludosa 
pochissimo profonda, comunicante con il mare, dimostra in parte la sua antica 
estensione. 

Sulla spiaggia attuale si distinguono ancora sott'acqua gli avanzi molto 
considerevoli dei moli esterni. 

Presso le sponde della laguna cui ho ora accennato, dei grossi pilastri quadrati di 
costruzione romana in mattoni, disposti in linee regolari, spuntano fuori dalla 
sabbia di tanto in tanto. Essi sostenevano delle arcate che correvano lungo tutto il 
porto, che gli scrittori calabresi del XVI e XVII secolo dicono esistenti fino al 



scolpita la figura di Nettuno. 



104 



rinascimento, quando vennero distrutte per impedire ai pirati barbereschi di 

ricoverarsi. 

L'arcata centrale, dicono gli stessi scrittori, era costruita in marmo, molto più 

larga e più alta delle altre, e formava una specie di arco trionfale. Sulla sua chiave 

di volta era scolpita la figura di Nettuno. 

(...) Se questo racconto è vero, degli scavi riporterebbero alla luce il 

, ,,227 

monumento 

La descrizione offertaci dal famoso archeologo della costa vibonese, 
costituisce un prezioso esempio di approccio al territorio, allo stesso tempo 
scientifico e poetico che, per meglio commentarla e comprenderla, è il caso di 
utilizzare le parole di un'altro viaggiatore straniero, Norman Douglas, il quale, 
percorrendo la stessa tappa dell'archeologo francese nel 1913, così riflette sullo 
stato d'animo provato in precedenza dal Lenormant: "... In un giorno come questo 
il dotto salpò da Bivona, su un mare così liscio, che la nave sembrava sospesa 
nell'aria. Il pelo dell'acqua era, egli stesso ci dice, "unie comme una giace", tanto 
da scorgere le profondità cristalline trafitte dai raggi del sole, che ne incendiano 
le misteriose foreste di alghe, i cumuli delle rocce e le argentee strisce di sabbia; 
egli scruta in quelle "prairies pélasgiennes" e ne riconosce tutta le meravigliosa 
fauna, i ricci, i granchi, i pesci e le traslucide meduse, "semblabes à des clochettes 
d'opale". 

Quindi, comprendendo come dovesse colpire la fantasia degli antichi e attenti 
osservatori quella "population pullulante de petits animaux marins", prosegue 
descrivendo, sempre con leggerezza di tocco, gli antichi stili decorativi locali, in 
cui l'artigiano copiava con reverenza gli animali marini, i molluschi e le piante 
acquatiche, e non da esemplari morti, ma "pris sur vif et observés au milieu des 
eaux" ; spiega come sorse una vera e propria scuola, che traeva ispirazione dalle 
forme squisite e dai movimenti di quei fragili esseri. C'è qui "du meilleur 
Lenormant" ! ... L'Italia gli fu fatale, come era stata la Grecia a suo padre. 
Ma uno dei suoi momenti più felici dev 'essere stato quello di Bivona, in quella 
chiara giornata d'estate... una giornata come questa, quando ogni nervo sembra 
vibrare per la gioia di vivere"" . 

Purtroppo, in questi anni di ricerche d'archivio sull'area costiera, non siamo 
riusciti a rintracciare alcun disegno o pianta dello scalo portuale viceducale, o 
almeno di qualche indicazione dei suoi resti, anche se più volte vi sono stati indizi 
della sua esistenza. 

E' il caso, ad esempio, delle carte comprendenti la discussione della Camera ducale 
del 15 gennaio 1776 sulli Jussi spettanti al Duca di Monteleone con la carica di 



F. Lenormant, op. cit. 
'Douglas N., Old Calabria, 1913. 



105 



Montierato Maggiore delle Caccie e Castellano di Bivona, in cui si conferma 
allegata la pianta del Castello e dell'area intorno ad esso con la seguente 
affermazione: "sta esibita con tali scritture anche la Pianta del Castello di Bivona. 
La p(rese)nte Carta Topografica è dell'esistente Castello di Bivona, sito a guardia 
di quel Porto, e l'attestiamo Noi qui sottoscritti col nostro giuramento per essere 
pura verità. 

Ed a fede Monteleone lì 15 Gennaro 1776 = Vespasiano Pisani Sindico attesto 
come £(opr)a = Fran(ces)co Santa Croce di Barletta = D. Cesare Lombardi 
Dom(em)co attestiamo come di sopra" 

E' possibile comunque affermare che, subito dopo il terremoto del 1783, lo scalo 
marittimo di Bivona fosse ormai in condizioni così estreme di praticabilità e 
sicurezza, che fecero escludere alla Corte Ducale di Monteleone qualsiasi ipotesi di 
un suo recupero strutturale. Questa ipotesi trova conferma nella lettura del progetto 
di costruzione, affidato al Regio Architetto Giuseppe Vinci, della novella strada 
che dovrà farsi da questa città di Monteleone nella Marina di Bivona per ordine di 
S. E. Sig. D. Franc.co Pignatelli Tenente de' Reali, commissionatogli proprio dopo 
il disastroso evento tellurico, e nel quale il nuovo tracciato viario viene spostato 
molto più a nord dell'area occupata dal porto, abbandonando definitivamente 
l'antica strada che univa il castello di Bivona alla città e fissando come nuovo 
punto d'arrivo della strada il Casino degli eredi Marzano, posto nell'ex feudo di 
Santa Vennera. 

La scelta di escludere l'antica area portuale di Bivona dal nuovo tracciato viario 
dipese certamente dalla sua impraticabilità, ma ancorpiù dalla necessità di porre 
riparo all'inconsistente rendita doganale puntando sullo sfruttamento della più 
sicura rada di Santa Venere. Seguendo porzioni dell'antica strada che dalla 
marina conduce in detta città, Monteleone veniva di fatto collegata organicamente 
alla marina di Santa Venere 230 , nella cui rada già molti comandanti preferivano 



ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Sc.78, f. I, n.16. 



!3 ° ASN, Piante e Disegni, cart. XXXI, n. 25, Pianta de Profili della novella strada che dovrà farsi da 
questa città di Monteleone nella Marina di Bivona per ordine di S. E. Sig. D. Franc.co Pignatelli 
Tenente de' Reali, Monteleone 7 agosto 1784, Giuseppe Vinci Regio Architetto. Legenda: A 1 2 3: 
Porzione dell'antica strada che dalla marina conduce in detta città; B 5 6 C: altra porzione di strada 
che conduce alla città; L L L : Valloni; A B C: Linea di colore Rosso la quale indica la novella strada 
(si riportano le tappe intermedie della nuova strada, descritte nella pianta, proseguendo dalla marina alla 
città : K : Casino degli Eredi Marzano; I : Casino di D. Felice Crispo; H: Casino di D. Pasquale 
Sacco; E : Fontana detta Libani; G : Casino di D. F. Gian. co Fabiani; D : Fontana denominata la 
Sirica; F : Città di Monteleone). Il nuovo tracciato è di 1.803 Canne Napoletane, che corrispondono 
attualmente a m. 3.804,33. 



106 



ancorare le loro navi 231 , e che, come vedremo, verrà in seguito prescelta dagli 
ingegneri reali per la costruzione di un nuovo porto. 

Prima di concludere questo capitolo, è forse il caso di soffermarci brevemente 
sull'abitato di Porto Salvo, attuale frazione di Vibo Valentia, posto a pochissima 
distanza dal porto e dal castello di Bivona, e la cui nascita, inizialmente come 
piccolo borgo marinaro, è legata alla presenza di una chiesetta contenente la sacra 
icona di una Madonna con bambino, stante la prima segnalazione, nell'area 
costiera, di un luogo di culto a cui erano devoti "particolarmente de' marinai"" , 
noto appunto come Chiesa di S.S. Maria di Portosalvo 

Narra la leggenda che la chiesa venne costruita come ex -voto per lo scampato 
naufragio della nave comandata dal genovese Bernardino Belladonna, che qualche 
anno prima, nel suo viaggio di ritorno da Costantinopoli, trovò riparo da una 
improvvisa tempesta, grazie alle preghiere rivolte alla Madonna riprodotta in un 
quadro bizantino. Trovarono scampo proprio nella rada del porto, e per devozione 
eressero una chiesa in cui fu custodito il quadro della Madonna miracolosa, che 
d'allora fu chiamata dai fedeli S.S. Maria di Portosalvo 233 . 

Seppur non conosciamo la data precisa della sua costruzione è comunque possibile 
affermare che l'esistenza della chiesa sia precedente al maggio del 1618, data in 
cui il Magnifico Claudio De Luca di Nocera, "tenendo et possedendo una sua 
coltura aratoria posta nella marina di Bivona, stante tra lo lido de mare, il 
giardino di esso Claudio, la via pubblica et le terre del Vescovado, diede potestà et 
facultà et licensia ad esso Gioipaulo Attesano, che edificasse come già edificò con 
consenso del Reverendissimo Vicario dell'Abbazia di Mileto, come dicono, una 
chiesa sotto titulo di Santa Maria di Porto Salvo... et de più, per commodità di esso 
Gioipaulo li permese che a limitar detta chiesa facesse uno giardinetto di una 
tomulata in circa quale al presente si ritrova chiuso di spine et balastruni et 
pertanto quanto et perchè al tempo che esso gioipaulo habitava nella torre fece 
uno horticello incontro la porta di la torre quale è detto giardino"' . 
In tale atto in pratica, il De Luca, concedendo in uso il terreno in cui è costruita la 
chiesa di Santa Maria di Portosalvo a "Joanne Paulo Attesano 235 e Don Marcello 



231 Galanti G.M., Giornale di viaggio in Calabria (1792), Ed. critica a cura di Placanica A., S.E. 
Napoletana, Napoli 1981. 

1,1 ADM., Archivio Collegiale Greco, Visite 1625, n.75, p.90. 

"' Di Salvia M., Maria SS. di Portosalvo. Legenda, cenni storici e culto, Fagraf ,Vibo Marina 1987. 

"' ASVV, Notaio Mezzarola Giovanni Maria di Monteleone, lib. XVI, f. 36, Istrumento dì S.ta Maria 
di Portosalvo. 

235 Come scopriremo nel capitolo successivo la famiglia Attisani verrà descritta dal Bisogni e dal 
Tarallo le più benestanti dell'epoca, che proprio nell'area di Portosalvo investirà i suoi capitali nella 
coltivazione della cannamele, nell'offrire garanzie per la gestione delle gabelle legate al Castello di 



107 



Casella di Sinopoli fino che servissero detta ecclesia et hogniuno de loro che 
attendessi alli servizi] predetti godendo horto e Giardinetto vita loro durante", 
consente loro di allargare la ecclesia già esistente e di fabbricarvi accanto un 
dormitorio. Non vi sono, allo stato della ricerca, elementi per definire con 
precisione quale fosse la torre a cui si fa riferimento nell'atto. Potrebbe essere la 
Torre di S. Nicola, posta poco sopra la foce del fiume Trainiti oppure una delle 
quattro torri del castello di Bivona. 

Di quello stesso anno è un ulteriore documento che, seppur riferendosi all'impresa 
delle cannamele posta a ridosso del Castello di Bivona, indica però, costruita poco 
distante dal magazzino dell'impresa, la presenza di una chiesa dedicata a 
Sant'Angelo, specificando che "... inanti la Chiesa di S. Angelo ci sono cinque 
scrufine vecchie ... " . 

E' probabile che S. Angelo sia un'abbreviazione di S. Michele Arcangelo, visto 
che altri documenti del 600, conservati presso l'archivio della Diocesi di Mileto, 
riprendendo atti appartenti al Collegio Greco Romano, collocano in tale area "... 
oltre alle chiese dirute, di cui non vi è più memoria, vi è la Chiesa di S. Michele, 
vicino al Castello di Bivona, che non solo è in piedi, ma si celebravano messe fino 
allóló"" 1 . 

Quest'ultimo atto descrive la chiesa composta da "... tre altari: uno a devozione 
della S.S. Vergine Maria Immacolata, ove non v'è obbligo alcuno di messe, si 
celebra però la messa ogni Domenica, eh' è festa di precetto, cui pagano dette 
messe parte della rendita d'alcuni censi, parte d' elimosina, che si raccolgono nel 
tempi della raccolta de' grani, parte d'altre elimosine di persone devote, e 
particolarmente de' marinai; il secondo altare è uno a devozione di S. Michele 
Arcangelo, di cui esiste l'antica statua di legno, credo posta per non perdersi la 
memoria della chiesa a lui dedicata vicin al Castello di Bivona; il terzo è dedicato 
a S. Francesco Saverio moribondo; è stato eretto quest'altare l'anno 1693 per la 
devozione a questo Santo. Ha tutta la suppellettile necessaria per celebrarsi la 
messa. In questa chiesa suole stare un Romito che la guarda e la segue". 
Rilevando, grazie a questi documenti, come il culto religioso fosse già radicato 
nell'area costiera, e forse ancor prima del 1616, epoca in cui il porto risulta ancora 
attivo, è forse il caso di segnalare quanto fosse in uso in quegli anni, confermando 
così una forte devozione dei padroni di barca e dei marinai alla Madonna di 



Bivona, e per l'acquisto dello "... heremum cura Ecclesìa S. Mariae de Portu falvo, juxta Vibonis 
portum". Tutta la proprietà degli Attisani verrà, alla fine del XVIII secolo, acquistata dalla famiglia 
Lombardi Satriani. 

23 ASN, Archìvio Pignatelli-Cortez , Se 79, f.lo 1, n..3 e segg., Inventario delle robbe al Castello dì 
Bivona (1618). 

"' ADM„ Archivio Collegiale Greco, Visite 1625, n.75, p.90. 



108 



Portosalvo, nominare in tal modo le loro piccole e grandi imbarcazioni. Risultano 
agli atti un discreto numero di imbarcazioni nominate alla Madonna di Portosalvo 
che, per una varie ragione, transitavano lungo l'area portuale di Bivona. Notizie in 
tal senso le ricaviamo da un atto notarile redatto il 17 novembre 1597, che segnala 
la presenza proprio in quello specchio di mare, di una fregata denominata "Santa 
Maria di Portosalvo", di proprietà del tropeano Andrea Bagnato. La fregata 
transitava lungo la costa bivonese, durante i suoi periodici viaggi per il trasporto di 
tavole di legno imbarcate a S. Eufemia e dirette a Palermo 238 . Un'ulteriore 
imbarcazione nominata Santa Maria di Portosalvo, del padron Don Piero Vita di 
Scilla la ritroviamo invece proprio nel porto di Bivona il 28 maggio del 1696 per 
caricare delle botti di olio da portare a Napoli 239 . 



38 Tripodi G., In Calabria tra cinquecento e ottocento, Jason Editrice, Reggio C. 1994, p. 222. Il 
Bagnato aveva noleggiato la propria fregata al mercante Cosimo Spinello per caricare nello "scaro" di 
S. Eufemia tavole da trasportare a Palermo. L'autore, nella pagina successiva scrive di un'altra 
imbarcazione nomata "Santa Maria dì Portosalvo", che giunge nella marina dell'Angitola il 18 luglio 
1694, equipaggiata con undici marinai e comandatala da Antonino Zagari di Scilla, per un carico di 
tavole da trasportare a Messina. 

! " ASVV, Notaio Satriano Didaco (Pizzo 1690-1739), Pizzo 28.05.1696, lib. LXXXIV, corda 286, f. 
44. 



109 



VI 
IL CASTELLO DI BIVONA 



A tutt'oggi non esistono fonti storiche in grado di datare precisamente l'anno in cui 
si avviò la costruzione della prima struttura "fortificata" atta a difendere lo scalo 
marittimo e la sua area costiera, ma è certo che la frenetica attività commerciale e 
doganale che in questo sito si svolgeva sin dal IV e V secolo ne obbligava la 
costruzione anche in quegli anni. 

La notizia più antica dell'esistenza a Bivona di un edificio fortificato risale all'alto 
medioevo e la ricaviamo dal già citato Diploma Normanno del giugno 1101, il 
quale accenna ad un "monasterium castellarium, cum Bibona portum tonnarié" , 
nelP elencare i possedimenti dell'Abbazia della SS. Trinità di Mileto. 
Successivamente con un diploma di Carlo I del 1276, emanato per contrastare la 
politica di espansione territoriale ed economica attuata da alcuni feudatari, si 
avvisavano i nobili della Calabria Inferiore a non usurpare i diritti marittimi delle 
spiagge comprese nei loro feudi, poiché spettavano appunto alla Corona, ed in 
esso si ribadiva inoltre che i diritti marittimi di Bibona ricadevono sotto 
l'amministrazione della SS. Trinità di Mileto 241 . 

E' probabile quindi che l'edificio cultuale detto monasterium castellarium nel 
diploma normanno, non più utilizzato dal clero per via dello spostamento della 
diocesi da Bivona a Mileto venne, per così dire, "riconvertito" ad usi marittimo- 
demaniali. 

Per quel che riguarda l'attuale fortificazione, alcuni studiosi, interpretando la 
tipologia dei ruderi, ipotizzano l'edificazione del mastio negli ultimi anni del XII 



240 Diplomi Normanni (a. 1101, giù., Ind. II, in DJ. Bisogni, Hipponìi seu Vìbonis Valentiae,op.cit. 
pp.98-102. 

"'Registri Angioini, V, f. 109; Ibidem, I, f. 19. 



110 



secolo 242 e la successiva costruzione delle mura di cinta nei primi anni del regno 

• • 243 

angioino . 

Certo è che se nel 1325 lo scalo marittimo risulta provvisto di dogana, come si 

rileva dall'atto di fitto dei diritti della dogana di Bivona da parte della Abbazia 

della SS. Trinità di Mileto 244 per quattro once d'oro, l'ipotesi della presenza di una 

struttura in grado di ospitare la dogana e difendere una guarnigione militare, ed in 

grado altresì di tutelarne le attività di sgabellamento, risulta più che valida e 

giustificata. 

Dal Bisogni, che riprese integralmente le teorie del conte G. Capialbi, traiamo 

invece la notizia di una costruzione ex-novo dell'attuale struttura del castello di 

Bivona. 

Lo studioso afferma che il castello fu costruito nel 1442, all'epoca in cui la città di 

Monteleone era sotto il governatorato di Mariano D'Alagni, Conte di Bucchianico, 

successore del Conte D'Apice, per proteggere il porto di Bivona dalle incursioni 

piratesche. 

Secondo il Capialbi i lavori di costruzione del castello furono affidati e diretti 

all'architetto monteleonese Xanto Nopoli, "Hic maximo studio, et cura ad opus 

sibi commissum incumbens, brevi tempore arcem ad perfectionem perduit, ea 

forma, quae hisce temporibus erecta, sed pene demolita cernitur..."' . 

Il conte, che nel 1659 scrisse la prima monografia su Vibo Valentia, descrive 

inoltre brevemente le funzioni e l'area in cui il castello venne edificato: 

"occasionem navigijs praebuit, eò se conferendi, mercesque deponendi, ibique 

alias accipiendi res; statio Ma a maioribus (praetermissa aliarum opinione) 

nuncupabatur portus Erculis, à recentioribus vero portus Divi Nicolai appellatur .. 

ingenti lapidum macerie in mare iniecta, longoque tractus veluti brachio curvato 

,,246 

seper extenso muro... 

Ma prima di addentrarci nella storia del castello di Bivona e del suo diversificato 

utilizzo di struttura militare e produttiva, è il caso di darne una breve descrizione. 



242 Faglia V., Tipologia delle torri costiere di avvistamento e segnalazione in Calabria Citra e in 
Calabria Ultra, Lissone 1984, 1, pag. 175. 

" 'Santoro L., Castelli angioini e aragonesi nel Regno di Napoli, Milano 1982, p. 94. 

"'Archivio della Regia Zecca, Istrumento datato il 20.09.1325, in Capialbi V., Memorie del clero dì 
Monteleone compilate da V. Capialbi, Napoli 1843, p. 11; Albanese F., Vibo Valentia nella sua storia 
dai tempi più remoti ai tempi nostri, Vibo Valentia 1974, vol.I, pag. 218. 

"'Bisogni, op. cit.,1710, lib. I, cap. X. pag. 38. 

G. Capialbi, Originis, situ, nobilìtatis Civitatìs Montìsleonis Geographica Historia eiusdem Cìvitatis, 
Napoli 1659, pp. 8-28. 



Ili 



Il castello si presenta oggi con una pianta trapezoidale, provvisto di quattro torri 

circolari agli angoli esterni. 

Il suo perimetro, torri incluse, misura circa 49 x 32 metri ed è provvisto di mura di 

cinta dotate di scarpa difensiva su cui si aprono aperture di diverse misure e stile 247 . 

Sono proprio tali differenze, unite alla diversità di spessore dei muri di cinta ed alla 

anomala minore altezza della scarpa su due lati (Nord-Est e Nord-Ovest), che 

permettono di ipotizzare almeno due differenti fasi costruttive. 

Il mastio interno è di forma rettangolare, con tre piani, uno dei quali sottostante il 

livello del cortile interno, e lati di m. 25 x 15 di lunghezza, di cui due sono oggi 

visibili in elevato, esattamente il lato Ovest e parte del lato Nord. 

Utilizzato come residenza per la guarnigione, il mastio fu successivamente 

sopraelevato di un piano nella seconda metà del 1500, probabilmente nell'epoca in 

cui il castello viene utilizzato come fabbrica delle cannamele. 

Che la sopraelevazione del mastio sia un opera successiva, lo si desume dalla 

maggiore ampiezza delle finestre poste al piano superiore rispetto a quelle più 

antiche a feritoia del piano terra, nonché dalla diversa tecnica costruttiva utilizzata. 

Il piano inferiore era diviso a metà longitudinalmente, così da creare un lungo 

corridorio attreverso il quale si accedeva alla grande camera con copertura a volta 

di botte ed alle due camere con copertura a volta a crociera. 

Anche il piano elevato aveva una divisione longitudinale e ve ne è un indizio 

presso il muro di Nord-Ovest. 

L'ingresso al mastio era sul lato Sud-Est, e durante i lavori di sostentamento del 

castello del 1969 si è trovato il gradino della sua, probabilente unica, porta 

d'accesso, attraversando la quale si poteva raggiungere sia i locali sotterranei che i 

piani superiori. 

Il piano sotterraneo aveva due grandi sale, che oggi risultano completamente 

riempite dal materiale crollato. 

Allo spigolo Nord del mastio vi sono i resti dell'imposta dell'arco, descritto in 

documenti del '600 e visibile in una stampa del XVIII secolo, che sosteneva un 

camminamento che dal tetto conduceva alla torre ad esso posta frontalmente. 

Tra le mura ed il mastio vi è un largo corridoio di circa m. 5, che diviene maggiore 

di altri due metri di fronte all'attuale ingresso del muro di cinta, consentendo, in 

tale maniera, una maggiore area di movimento tra quello che era il ponte levatoio 

e l'entrata principale del mastio. 

Nel cortile interno, a Nord dell'ingresso al mastio, rimane l'apertura quadrata del 

pozzo esterno, sotto la quale si trova una cisterna, coperta a volta di circa m. 3 x 2. 



247 Per una precisa descrizione volumetrica della struttura vd. Martorano F., // Castello di Bivona, in 
Quaderni del Diparimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico, 3, Università degli studi di Reggio 
Calabria. 



112 



La torre Nord è probabilmente la più antica delle torri, e questo sembra essere 

indicato sia per il maggiore diametro che per il notevole spessore della muratura. 

Essa, contrariamente alle altre tre torri che risultano in buono stato, è quasi del 

tutto crollata, e presenta un taglio alla sua base che coincide con una delle aperture 

del magazzino ad essa annesso in epoca successiva. 

Nella torre Sud sono presenti aperture strombate a croce allungata adatte 

all'impiego di arcieri e balestrieri. 

Alla torre di Nord-Est venne affiancata successivamente la torre a saetta che 

azionava le macine del trappeto delle Cannamele, poste nel magazzino appoggiato 

al muro di cinta del castello. 

E' interessante notare come tutta la muratura del castello ingloba, in più parti, 

frammenti di terracotta greci, romani e medievali, identici a quelli che, in grande 

quantità, affiorano nel terreno circostante. 

Dopo questa breve descrizione strutturale, ritorniamo a raccontare la storia del 

Castello di Bivona, storia che tanto ha condizionato la sua tipologia strutturale. 

Che la costruzione sia avvenuta precedentemente al 1490, e che a quell'epoca il 

castello fosse già predisposto per la difesa costiera, la ricaviamo dai regesti della 

cancelleria aragonese di quell'anno. 

Il Castello di Bivona viene nominato in relazione alla richiesta, in una lettera del 

22 ottobre indirizzata al Regio Tesoriere dal feudatario Marino Brancaccio, di una 

diminuzione delle spese per la paga del castellano e della guarnigione militare che 

risiedeva nel Castello, per venire incontro alle richieste di aiuto economico 

avanzate dalla vedova di suo fratello Cola Brancaccio 248 . 

Sempre grazie a tale fonte è possibile supporre che tra il 1490 ed il 1491 il Castello 

di Bivona venne sottoposto ad alcuni lavori di restauro, visto che viene citato tra i 

castelli calabresi, ispezionati e misurati, che necessitavano di miglioramenti 249 . 

In quegli anni si intensificarono le incursioni piratesche lungo la costa, tanto da 

minacciare anche la città di Monteleone. Per far fronte al nuovo pericolo 

l'Università di Monteleone fece esplicita richiesta a Ferdinando II di rinforzare le 

mura del centro abitato riconvertendo proprio le entrate provenienti dalla dogana di 

Bivona . 

Ulteriori notizie sul castello sono sempre legate a lavori di adeguamento difensifo 

delle sue strutture e della sua dotazione militare. Il 22 settembre 1494 Carlo 

d'Aragona ordina al Tesoriere di Calabria Ultra, Battista di Vena, di provvedere 

alla spesa necessaria per i lavori murari da eseguirsi nel Castello di Bivona, in 

particolare alla "torre mastra", mentre il 30 di quello stesso mese invia, sempre 



'Tonti Aragonesi, XIII (1463-1499), Napoli 1990, pp. 241-242 n.13, in Martorano F., op. cit. pag. 29. 

'Fonti Aragonesi, op. cit. pag. 249 n.23. 

°Cfr. Albanese F, op. cit.,vol.II, p. 473 e Marzano G.B., Op.cit., 1913, voi. I, p. 178. 



113 



allo stesso Tesoriere, l'ordine di distribuire alla milizia le selle e le corazze date in 
consegna al Castellano di Bivona 251 . Qualche mese dopo, il 2 novembre 1494 
vengono inviate al castello di Bivona trecento lance e sei bombarde da utilizzare 
per la difesa costiera 252 . 

Con l'occupazione spagnola Ettore Pignatelli divenne Governatore della città 
acquistandola, assieme ad altre terre, nei primi anni del 1500, da Federico II per 
15.200 ducati. 

I privilegi che il Duca di Monteleone riuscì ad ottenere erano ovviamente i più 
diversi, e tra questi era compresa la carica di Castellano di Bivona, che consentiva 
l'investitura a Capitano di Guerra, con la facoltà di: "patentare 150 armigeri che 
andavano armati alla custodia delle marine" ed inoltre lo jus prohibendi 
dell'acqua, il diritto di quanteria, di falancaggio, di ancoraggio e di portolania 253 . 
Era il 25 settembre del 1509 quando il Duca di Monteleone ottenne il permesso ed 
il relativo finanziamento, nonostante la proibizione generale che risulta attuata in 
quegli anni, di fortificare ulteriormente sia il Castello di Monteleone che il Castello 
di Bivona 254 , anche se non risulta chiaro a quale delle due strutture militari abbia 
dedicato i maggiori lavori di fortificazione. 

A quell'epoca il Castello di Bivona viene descritto come provvisto "...di un forno 
ed una taverna...", e contemporaneamente "...si proibiva a ciascheduno di tener 
forno o taverne, di vendere la sua robba o di comprarla fuori dalla Taverna del 
Castello" 1 . 

L'azione del presidio militare di stanza nel Castello di Bivona, che di fatto 
condizionava l'organizzazione delle normali attività svolte lungo la costa, si 
dimostrò ben presto coercitiva nei confronti dei cittadini dell'Università di 
Monteleone, non soltanto per i vessatori controlli fiscali sugli scambi commerciali 
ma ancorpiù per i continui obblighi ad effettuare il controllo della costa, sia 



Mazzoleni J., Gli apprestamenti difensivi dei castelli di Calabria Ultra alla fine del Regno 
aragonese 1494-1495, in Archivio Storico per le Province Napoletane, a cura della R. Deputazione di 
Storia Patria, Ed. Humus, Napoli 1947, f . 27 b e f. 21b. 

252 Ibidem, f. 26b. 

"' Luciano D., Op. cit, pp. 353-370. L'autore dimostra nel suo saggio come la carica di Castellano di 
Bivona, in realtà venne usurpata con la falsificazione di un Privilegio Reale ed annullata, all'incirca 
due secoli dopo, con la verifica regale legata alla vertenza promossa dai Demanialisti dell'Università di 
Monteleone. 

254 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 3, f.lo 1, n. 45, 25 settembre 1509, Permesso del Viceré al 
Duca di Monteleione di fortificare i suoi castelli di Monteleone e di Bivona, nonostante la proibizione 
generale. 

255 Tarallo P., Raccolta di notizie sulla città di Monteleone, Monteleone Calabro 1926, p.57. 



114 



all'interno del castello che nelle torri vicine, imposti alla popolazione. Certo era 
sempre viva e radicata la paura delle incursioni turche, ma "li Officiali" non 
potevano costringere "gl'huomini di detta Città, e Casali à fare guardie di notte, 
per la custodia del Castello di Bivona", così venne inviata dall'Università, il 22 
febbraio 1571, una precisa supplica a Camillo Pignatelli, all'epoca nuovo Duca di 
Monteleone, in cui si chiedeva "di togliere detto peso a detta Università e Casali 
di fare la guardia di detto Castello di Bivona, tanto più che non è necessaria, 
perché detto Castello spetta alla V. S. I. farlo stare guardato, come ancora per le 
torri fatte per la Regia corte" 

E' in questo periodo che il Duca di Monteleone, profittando dei suoi poteri, usurpa 
gran parte dei beni della Corte di Mileto ricadenti nell'area di Bivona, beni che, 
nonostante fosse stata intrapresa una vertenza giuridica sul possesso dell'area, 
rimasero per decenni sotto la sua giurisdizione. Ne è un esempio la tonnara di 
Bivona, i cui magazzini nei primi anni del '500, erano costruiti proprio a ridosso 
delle mura del Castello, e la cui attività di pesca del tonno, tutelata proprio dalla 
presenza di strutture difensive, aveva sempre fornito rilevanti entrate alla Corte di 
Mileto. 

Non sappiamo l'anno preciso in cui il Pignatelli s'impossessò della tonnara, certo è 
che nel 1581, venne dal duca stipulato un contratto, della durata di quattro anni, 
con il rais Bagnato Graziano per 1645 ducati annui, con l'aggiunta di una postilla 
nella quale il Rais s'impegnava a vesare altri 150 ducati nel caso in cui si fosse 
risolta a favore dei Pignatelli la lite sulla giurisdizione dell'area di Bivona con la 
Corte di Mileto 257 . 

Alla scadenza del contratto il Duca di Monteleone non riuscì più ad affittare i 
magazzini della tonnara con canoni tali da garantirgli dei veri vantaggi economici, 
per cui, alcuni anni dopo, riconvertì i terreni prospicenti il Castello ed i suoi 
magazzini alla coltivazione e lavorazione della canna da zucchero, allora meglio 
nota come "cannamele". 

La produzione della cannamele risulta già attiva nel biennio 1591-1592 e grazie al 
vicino approdo, che consentiva l'arrivo del prodotto via mare, il mulino 
dell'impresa veniva usato anche per la macinatura della canna da zucchero 
proveniente da Nicotera e Rosarno. 258 



Capìtoli, grafie, e Privilegi, alla l" 1 si supplicano per l'Università di Monteleone alV Illusi rissimo, ed 
Eccellentissimo Signor D. Camillo Pignatello Duca di essa Città, 22.02.1571, in Bisogni de Gatti I, 
Hipponii seu ... op.cit, libili, cap. V, p. 256. 

! "ASN, Relevi, voi. 386. La tonnara di Bivona, negli anni successivi venne ricostruita tra il Regio 
Fondaco del Sale marittimo e la Torre di S. Pietro di Bivona, nella piccola insenatura allora chiamata 
Cala Sciabecchi. 

! " Il predetto Tarallo P., riporta inoltre nella sua opera citata, alle pp. 1 11-113, atti notarili oggi non più 
rintacciabili e che qui riportiamo, anche se non pienamente certi della loro autenticità: " A 24 marzo 



115 



Emblematica è in tal senso la relazione del commissario dell'impresa della Corte 
Ducale, che recita testualmente: "A Rosarno la Ducal Corte fece chiantare una 
quantità dei cannameli ad una stagliata de terra chiamata lo chiuppo ala via de 
Nicotera per fare esperienza si ce facevano bene, e così in detto primo anno riuscì 
poco bono, e li cannameli li portarono in lo trappito de Bivona per mare e per 
terra et ... ne fecero de quelli cannameli da otto pani de zuccaro, e lo sequente 



1561 , per atti di Notar Martino Vaccaro, Francesco Bisbal da Napoli, Conte di Briatico vende a Delia 
Sanseverino sua moglie ed a Gaspare e Stefano Interiani, genovesi abbitanti in Monteleone sessanta 
cantara de zucchero fino cotto, bono et receptibile de l'impresa di esso signor conte fa et fa fare, et farà 
d'hoggi innante infre er per tutti li mesi di maggio et giugno di l'anno proximo avenire 1562 in la 
marina di dieta terra... ecct . 

Agli maggio 1581 per notar Martino Vaccaro di Monteleone, Pietro, Sebastiano, Girolamo e 
Francesco Vento, affittatori della terra della Badia della SS. Trinità di Mileto, subaffittano al Duca di 
Monteleone Camillo Pignatelli la coltura di S. Anna, lo Rinazzo di Melo, le terre di Conicella, 
VAbbatessa, la terra del fundaco di Bivona, la coltura della Calcara, le terre della Cuccuruta de la 
piana di sopra e sotto, le terre nominate le Filici, il Baglio, e tutte le altre terre le quali detto 
illustrissimo Duca ha tenuto in affitto dall' arrendamento di detta Abbazia li anni passati per servizio 
dell'impresa de zuccari, in qualunque quantitate et qualitate reperiuntur. (Tale atto si rivela 
interessante per la quantità di toponimi presenti nell'area costiera nella fine del '500, la maggior parte 
dei quali ancora in oggi in uso). 

A 1 marzo 1595 per Notar Michelangelo Pitoya di Monteleone, Marcantonio, Scipione, Salvatore e 
Ferrante Mazza si sono convenuti colli Magnifici Nardo e Marcello Garuffo che li ducati quattromila 
che oggi predicto die presero da Francesco Scavello alla ragione di 8 ¥2 per cento, ne spettano ducati 
2000 a detti di Mazza, e ducati 2000 a detti di Garuffo. Vero che sono convenuti cheli ducati 2000 di 
Mazza restino in mano dell'i Garuffo, e quelli anderanno spendendo per la quarta parte che spetta a 
detti di Mazza nell'impresa dei Cannameli di Bivona. 

A 14 ottobre 1604 , per Notar G. Antonio Ursello di Monteleone, Anfiso Burello figlio ed erede del 
quodam Martino vende a D. Ottavio Pisani un censo di tumoli quattro di grano bianco, ed un ducato, 
che la Ducal Corte di Monteleone gli pagava per l'acquidotto dell'acqua che si porta in Vivona per 
abeverare li canamellati dell' impresa di detti cannameli. 

A 12 ottobre 1618, per Notar Possidonio Grasso di S. Pietro di Maida, commorante in Monteleone, 
Geronimo Scotto, genovese, procuratore di Jacopo Zatara Barone di Mercugliano e dello Stato di 
Rorio, consegna la Dottore d'ambe le leggi G. Battista Crispo, Razionale e Percettore del Duca di 
Monteleone, tutta la rame, gli ordegni, le macchine, lo stiglio e gli oggetti ch'eran serviti per l'impresa 
dell'i Cannameli di Bivona e della Rocchetta. 

A 6 marzo 1619 , per notar Domenico Venezia, il signor Tiberio Pignatelli, Generale Governatore dello 
Stato di Montelone contratta l'impresa del cannamele con Dottor G. Domenico Barone, Tarquinio 
Cafaro, Dottor G. Domenico Vadolato e Leonardo di Lauro, di fare l'impresa dei cannamelati del 
signor Duca di Monteleone hoggi in mano del signor Marchese di Cerchiara, tanto detti cannamelati, 
che si ritrovano in Bivona nelle terre dell' Attisani, et in altri , consistentino al numero di sei migliara. 

A 28 agosto 1619 , per Notar Lelio Onemma di Monteleone, è Domenico Gagliardi Governatore 
dell'Impresa dei Cannameli di Bivona. 

A 22 settembre 1622, per Notar Giovanni di Nicastro di Monteleone è governatore Francesco Scotto ed 
a 1 novembre 1643 , per strumento di Notar Marcello Sica, è il Magnifico Camillo CapialboT 



116 



anno poi ... ne fece piantare essa Ducal Corte maggiore quantità, e perchè al 
tempo che essi cannameli se piantaro perchè erano maturi, sopragionse un 
malissimo tempo de mare e de terra e non ne potettero carriare in Bivona per 
macinarsi al trappito e per le pioggie si annigrarono di sotto e se guastarono, che 
non valsero più e se persero" . 

Nel 1595 gli affittuari dell'impresa delle cannamele di Bivona debbono anticipare 
ben 8000 ducati al Pignatelli prima di intraprendere la loro attività, anche perchè il 
Duca si impegnava a fornire a sue spese agli imprenditori gli animali, gli utensili, il 
terreno, le piantine e le macchine necessarie a tale lavorazione 260 . 
E' facile quindi supporre che i lavori per adeguare il Castello, rialzando o 
ristrutturando il piano superiore del mastio, ed i magazzini precedentemente usati 
come malfaraggio della tonnara, alla nuova destinazione economica siano 
precedenti al 1590. 

Con la modifica del mastio del castello venne costruito un acquedotto che, 
agganciandosi alla torre Ovest e seguendo per intero il tratto della cinta muraria, 
convogliava le acque del vicino torrente Trainiti sulla torre Est, facendole confluire 
nella saetta che azionava il mulino, costruito proprio tra la torre Est ed il trappeto. 
Nel lato Est del Castello sono ancora oggi visibili i resti dei muri perimetrali del 
magazzino adibito alla macinatura ed alla cottura della canna da zucchero, così 
come quasi integra risulta la saetta del mulino. 

E' interessante rilevare come l'incastellamento della attività di produzione della 
canna da zucchero rappresenti una delle caratteristiche principali di quasi tutte le 
imprese di questo tipo presenti in Calabria. Erano infatti incastellate, oltre 
all'impresa di Bivona, anche quelle di Diamante e Belvedere, così come l'impresa 
di Briatico della Rocchetta era protetta da una possente torre: il notevole valore 
economico dello zucchero, nonché del reddito che se ne ricavava, rendeva 
necessaria la difesa dei luoghi di produzione e di conservazione, che spesso 
coincisero con aree già provviste in antico di strutture atte alla difesa. 
Che comunque il Castello di Bivona fosse custodito e governato da un castellano, 
e dotato, con tutta probabilità, di una piccola guarnigione militare anche negli anni 
in cui veniva utilizzato per la produzione dello zucchero, lo si rileva da un rogito 
notarile del febbario 1613, in cui compare un certo "Antonino di Maio de 
Mo«f(eleon)e" che si qualifica "nel pr(ese)nte Castellano del Castello de Bivona". 
In tale atto il castellano Di Maio compra nel poco distante Fondaco di Bivona 



,9 ASN, Relevi, vol.386, e. 155. 
"Matacena G., Op. cit, 1983. 



117 



"to(mo)li trecentotrentasette di sali de Trapani" per essere utilizzato dagli 
occupanti della struttura difensiva. 

E' quindi possibile affermare che, soprattuto nei primi anni di avvio della 
produzione dello zucchero, l'attività imprenditoriale conviveva certamente con 
quella militare di difesa costiera. 

L'impresa delle cannamele 262 di Bivona si rivela in quegli anni come la più 
importante attività produttiva esistente nell'Università di Monteleone, tant'è che 
per due anni di seguito l'intera produzione di zuccari, musture et ruttume, forme di 
mele, schiume et rizzette viene acquistata dall'Illustrissimo Ferrante De Falco di 
Monteleone per essere poi venduta "/a mità alla fiera di Salerno di settembre di 
detto anno 1602 et l'altra mità a completamento nella fiera di SantoLuca di 
Monteleone dell'istesso anno 1602"' . 

Dal conseguente atto di vendita degli zuccheri rileviamo come l'impresa veniva 
amministrata da una società composta da Marcello Garuffi, Minico Cesare Raffa, 
Ottavj Pisano e Nardi Garuffi, per metà, mentre l'altra metà apparteneva a 
Ferdinando Cacciatori, tutti soci dimoranti a Monteleone e che impegnano tutta la 
"cottura di zuccari cominciata finché finerà, si faranno nel trappito dell'impresa 
di cannameli di Bivona, et questo alli seguenti prezzi: 



2 ' ASVV, Notaio Gìovene Ottavio di Monteleone, sched. XI, lib. 162 f. 81: " Die 14 mesi februanìj 
1613. In Civ(ila)tis Mont(eleo)nis nella pr(ese)ntia di noi, personalmente costituito Antonino di Maio de 
Mont(e\eon)e et nel pr(ese)nte Castellano del Castello de Bivona, Inter. do all'lnt.nto per le suoi haveri 
et Sum.ni et Mg. le declara inante de noi et de Serafino Canarretta substituto da Marcello Barracca 
Regio arrendatore de sali nel fundaco de bivona, esso Ant(oni)no bavere ricevuto et tenere in suo 
potere to(mo)li trecentotrentasette di sali de Trapani consignatoli esso sop(ade)tto Serafino hieri 13 nel 
p(resé)nte mese in detto fundaco, alla mesura ord.na quali to(mo)li 337 di sali esso p(rede)tto 
Ant(om)no promette venderli alla rag(ion)e di car{\\)ni otto al gr. un h to(mo)lo et il prezzo d'esso 
consegnarlo ad esso Serafino o ach'esso ord(ine)rà ad ogni sua req{we)sta in pace et sopra la quale 
vendita possi arrend.re con ogni dilig(enzai)a chel p(rede)tto li concede tutta l'ajuta bastante et lo 
constituisse in suo loco. Promettendo: de più esso Ant(oni)no d'ogni altra q(ua)ntità de sali ch'esso 
p(rede)tto Serafino le consignasse o facesse cons{egì\&)re in suo nome venderlo et il prezzo consignarlo 
ad esso Serafino oach'esso ord(ine)rà ad ogni sua req{w&s)ta. 

U1 Con i termini "cannamele" o "cannamelazzi" venivano indicate, fino al XVII secolo, le canne da 
zucchero prodotte nel secondo anno di coltivazione. Ogni piantagione veniva in genere coltivata per 
tre anni di consecutivi, facendo in seguito riposare il campo per altri tre anni: le piante prodotte il primo 
anno venivano chiamate "Hortr; quelle prodotte il secondo anno "Cannamele" appunto, o 
"Cannamelazzi", e quelle prodotte il terzo anno "Stropponi". 

2iì ASVV, Notaio Costa Cosmo (Monteleone 1601 -1621), 8 dicembre 1601 - lib. X/135 f.205. La 
famiglia De Falco fu tra le famiglie patrizie monteleonesi che più ricorre tra gli imprenditori della città 
tra il XVI ed il VII secolo negli atti notarili del tempo, tant'è che nel 1563 appaiono investiti della 
Guardiania della Gabella della Seta di Bivona. 



118 



- li zuccari, musture et facciume a ducati ottanta lo cantaro al peso di once 33 per 
ciascun rotolo; 

- li ruttarne di ditti zuccari et musture a ducati sessanta lo cantaro al peso 
predetto; 

- li rizzetti a ducati tre lo pane, le schiome a ducati doi laforma; 

- li farmi di mele a carlini venti cinque laforma. 

Lo prezzo delle quale robbe l'Ili. Don Ferrante promette pagarlo atti predetti 
Marcello, Minico Cesare, Ottavio e Nardo et acciascuno di loro in solidum in 
questo modo : ducati mille in parte et principio di pagamento delle robbe predette 
venduti; alli quindici di agosto dell'anno entrante 1602 qui in Monteleone, et tutta 
l'altra quantità di denari ch'importerà lo prezzo di dette robbe, pagarli don 
Ferrante alli predetti" dopo le fiere di Salerno e di S. Luca di Monteleone. 
Il documento si rivela interessante anche perché, grazie ad esso, veniamo a 
conoscere la finora inedita figura del "mastro" dell'impresa delle cannamele, figura 
che risulta determinante per il buon esito del processo produttivo, per la sua 
capacità di governare tutte le delicate operazioni dela cottura degli zuccheri. 
I firmatari di tale atto, infatti, prevedono esplicitamente che "detti zuccari musture 
et altre robbe utili s'habbiano di fare governare da Mastro Jacono Rizzo de 
Castiglione eh 'al presente se ritrova in detta impresa, il quale mastro Jacono li 
habbia di governare et darce la creta conforme al solito et come parerà a esso 
mastro Jacono. Patto ancora che volendo esso Ferrante fare una o due cotte di 
retromele se lo possa fare in detto trappito, et detti venditori siano obbligati, si 
come promettono, darli tutta la quantità di legni che bisogneranno per dette una o 
due cotte, et promettono anco essi venditori, cotti che saranno li farmi delle 
schiume, quando s' hanno da meritare, ce li abbiano a detto Ferrante di 
consignare, et che li farmi che s'haveranno di mettere detti schiumi, rizzette e pani 
di mele, s'habbiano di pigliare concretamente dalle formi che ohi si retrovano in 
detta impresa di Bivona, et cotti che saranno dette robbe, per lo interesse di essa 
parte, voleno eh 'al magazzino dove staranno dette robbe predette s 'habbiano da 
fare due chiave, una che la tenga detto Ferrante et l'altra detti venditori, et più 
promettono essi venditori al predetto Ferrante che tutto il governo s'harà di fare 
per dette robbe in quanto all'asciugare sopra scaffe di detti zuccari, et della 
rottame all'attacchi, al tutto stiano al parere di detto mastro Jacono". 
Che la presenza di Mastro Jacono Rizzo da Castiglione doveva essere determinante 
per la buona riuscita della cotture, lo si rileva inoltre dalla solenne promessa fatta 
dai produttori dello zucchero "... al predetto Ferrante che tutto il governo s'harà 
di fare per dette robbe, in quanto all' asciugare sopra scaffe di detti zuccari, et 
della rottame all' attacchi, al tutto stiano al parere di detto mastro Jacono, et 
casochè detto mastro Jacono fosse impedito d'infermità od altro caso fortuito et no 
potesse assistere al governo di dette robbe, a detto Ferrante sia lecito eligerse una 



119 



persona detti lavoranti di detta impresa o altro mastro, per farse governare dette 
robbe, da pagarse detto mastro per detti venditori conforme al solito " . 
Ulteriori documenti sull'attività dell'impresa dei Cannameli, la descrivono fornita 
di 18 buoi da trasporto, che secondo la nota di consegna del 5 maggio 1618, 
risultano così suddivisi: 

"Nota di Bovi consignati per il £(ccellentissi)mo Bonvicino ali 
M{ archete Gio: Dom.co Gagliardi comp(re)se li Instrum.to fatto l'anno 1614 che 
saranno da servire nell'Impresa di Bivona, appellati et estimati per Nuntiato La 
Vecchia, da parte <fe//'.Ecc(ellentissim)tf di Mont(e\eo)ne et Crilangelo Curreri da 
parte di d.o Ecc. Bonvicino, in nome del Ecc. Jacopo Zatara, afftttatore di li Stato 
di Mont(e\eo)ne: 

Uno paro di Bovi esimati per li guid(ato)ri D. 24 

S '(econ) do Paro rit. sup. a " 24 

3° Paro " 25 

4° Paro " 27.2.70 

5° Paro " 23 

Uno Janco orbo " 13 

6° Paro vecchi " 18 

7° Paro vecchi " 18 

8" Paro " 30 

Uno bove nomine Lino " L3_ 

D. 215.2.10 

Fò fede jo notaro Giandominico Venetia dimorante in Monteleone come le sudette 
stima di boi num. 18, sono stati apprezzati per la su detta somma di D. 215.2.10 
per li detti estimatori " 

Tra i documenti d'archivio sono stati ritrovati due inediti inventari delle "robbe" 
consegnate ai nuovi affittuari dell'impresa delle cannamele e custodite all'interno 
del castello e del trappeto. Gli inventari 266 , redatti tra il 1618 ed il 1619, risultano 
importanti per la comprensione della complessa attività produttiva e la conoscenza 
degli strumenti e dei materiali all'epoca utilizzati nell'impresa ma, ancor più, per 
la dettagliata descrizione che forniscono del castello e dei suoi magazzini. 



ASVV, Notaio Costa Cosmo, Ibidem. 
; ASN, Archivio Pignatelli-Cortez , Se. 78, f.I, n.1-19. 



ASN, Archivio Pignatelli-Cortez , Se 79, f.lo 1, n..3 e segg., Inventario delle robbe al Castello di 
Bivona (1618). 



120 



I due inventari consentono, seppur sommariamente, di tentare la ricostruzione del 
castello, così come si presentava agli occhi degli imprenditori di quel secolo. 
All'epoca oltre alla porta del Castello di Bivona, esisteva anche una porta del 
ponte con la chiavatura e cathenaccio à braccio, davanti alla quale viene descritto 

10 ponte levatizzo con la sua cathena de ferro e le fosse à torno di <f(ett)o castello 
non son nette. 

Nel castello furono inventariati ben quattordeci arcabugi, cioè quattro di questo 
Castello di Bivona, e li dieci del Castello di Mont(e\eo)ne, ed i presenti tennero a 
precisare che i quattro del castello di Bivona risultavano vecchi ed in pessime 
condizioni. 

All'interno del mastio viene visitata la sala vecchia la cui chiave e chiavatura era 
provvista di brazzetto di ferro, mentre la porta di un'altra cam(er)a del Castello 
risultava senza chiavatura. Anche il camerino, posto all'incontro de la predetta 
porta era provvisto di entrata con chiavatura. 

Viene inoltre descritta un'ulteriore camera dove stanno li zuccari che, 
probabilmente era, per le dimensioni che consentivano di custodire tutti li filari 
fatti di ciauroni per calare li zuccari à /?(redett)o, con le tavole di sotto con li 
portelli che teneno detti ciauroni , l'ampio camerone interrato. 

II tetto, o meglio ancora l'astraco, vale a dire terrazzato e privo di coppi, viene 
descritto provvisto di un campanello disarmato che, con tutta probabilità, altro non 
era che una piccola campana, ormai priva di batacchio, utilizzata in passato per 
segnalare con il suo scampanellio un qualunque pericolo proveniente dal mare. 

E' interessante notare come una delle quattro torri viene distinta dalle altre, sia 
perchè compare nominata come Torre Regia, sia perché è l'unica in cui vengono 
rinvenuti ed inventariati dui pezzi d'artiglieria di pezzo grosso con le cascie 
inferrate e con le rote senza ferro, e con li pali di ferro per caricare. D'altro canto 
era proprio tale torre ad essere l'unica collegata al mastio centrale, tramite un ponte 
acconcio, atorno con tavole, ch'incomincia da l'astraco, e va per detta torre, 
consentendo così di andare a <f(ett)a torre dal mastio del castello. 
Anche nell'astraco p(rede)tto v'è un'altro pezzotto d'artiglieria con l'arme di 
Pignatello, e colonna, e cavallo ed cascie e rote senza ferro con la paletta, e sei 
cucchiara per caricare che, in quell'occasione risultava ancora provvisto di due 
palle di ferro piccole del pezzotto piccolo. 

Sempre sul tetto del mastio viene descritto uno corritore d'alto verso Mont(e\eo)ne 
con le tavole, che probabilmente era un marchingegno utilizzato per inviare 
segnalazioni visive alla città collinare. 

11 castello appariva altresì circondato da un fossato, anzi da delle fosse, che 
all'epoca risultavano poste sia dentro et à torno la fortezza, ma non sterrate. 



ciaurunì o chabruni. travicelle di legno. 



121 



Il documento continua fornendo la localizzazione della Chiesa di S. Angelo, prorio 

intorno all'area del Castello, specificando che "...incinti la Chiesa di S.Angelo ci 

sono cinque scrufine vecchie ... " 

Nel documento successivo, redatto tre mesi dopo 268 e che risulta scritto in bella 

grafia e più accurato nella descrizione, probabilmente perché copia ufficiale del 

predetto sopralluogo, gli antichi fucili non sono più quattordici ma diventano solo 

"quatro archibusci dentro lo castello "custoditi "alla cammera del e astellar o" , 

riferendosi certamente ai quattro "vecchi "che nel precedente inventario risultavano 

del castello di Bivona. 

Prosegue inoltre aggiungendo che innanzi alla porta vi è il presente levaticelo con 

la sua catena di ferro, mentre li fossi abrasi di detto castello et di detto ponte 

sono netti. 

La camera che in precedenza veniva chiamata sala vecchia, viene in quest'atto 

meglio descritta come cammera dello castellaro, vechia, senza chiavatura, ed il 

camerino allocato entro la parte di detta camera dello castellaro, la cui porta 

risultava vecchia et chiavatura senza chiave. 

Sul tetto, anzi precisamente ne\V abbaio sopra detto castello, vi è una campanella 

di sonare disarmata. 

Nella Torre detta la torre Regia, vengono descritti sempre i due pezzi d'artiglieria 

di pezzi grossi, co li casci ferrati et con li roti senza li ferri, con li pali di ferro 

per carricare, meglio precisando che per andare in detta Torre vi è un ponte a 

arco et atorno al muro arco cum il ponte che incomincia dall' andraco. Nel 

ribadire che sull'astraco era posto un piccolo pezzo di artiglieria con lo stemma del 

Duca di Monteleone, e che complessivamente si rtitrovarono sei palli di ferro per 

lo prefato pezzo co altri palli di ferro che sono nella prefata torre regia, viene 

meglio denominato come lo avvis(a.t)ore di alto, verso Mont(e\eo)ne, con le 

favule, il marchingegno che serviva per le segnalazioni con la città. 

Come ben si nota le due descrizioni ben si integrano tra di loro, anche se 
in quest'ultima tutto viene descritto in migliori condizioni rispetto al precedente 
inventario, così come ad esempio risulta dalla descrizione del fossato intorno al 
castello, che "...come si è detto si trovano in ordine et netti li fossi tanto fra detto 
castello come dentro e attorno la porta Turria dentro ove si fa la macina la creta 
a chome pani, dimodo che detta porti la zocharia per tutto netto senza alcuno 
impedimento" . 

Interessante risulta inoltre la descrizione delle decine e decine pentole e scodelle di 
rame di vario peso e forma custodite "abasso nel trapeto", compresi manufatti ed 
utensili utilizzati per la cottura dei pani di zucchero e per la lavorazione in genere. 



268 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez , Se 79, f.lo 2, n.l e segg, 12 gennaio 1619, Instrumento della 
consegna de ' cannameli. 



122 



Inoltre il "trappito", costruito proprio a ridosso delle mura nord del Castello di 
Bivona, risulta fornito di "doi scali rustiche quali servono per salvamento detti 
genti dello trappito a tempo di bisogno per potersi salvare in castello da dentro 
detto trappito", ciò a testimonianza di quanto fosse ancora rischiosa, nella prima 
metà del XVII secolo, la vita nell'area costiera vibonese, sottoposta al mai risolto 
pericolo delle incursioni piratesche, pericolo con cui era necessario imparare a 
convivere, magari anche grazie alla presenza di due scale, in grado comunque di 
garantire una possibilità di "salvamento". 

Nel contratto del 1619 le condizioni di fitto delle imprese di cannameli di 
Bivona e di Briatico dispongono che il Duca di Monteleone deve provvedere a 
consegnare "l'acquedotti accomodati, deve donare li cinque para e mezzo di bovi 
di servizio di detta impresa (...) il trappeto della Rocchetta macinate con tutti li 
altri stigli necessari per servizio della macinatura detti cannameli (...) ed anco per 
la cottura detti zuccheri li rami necessari, (...) tutti li formi, e cantarelli che ci 
sonno (...) nel Castello per la cottura e la conservazione de li zuccheri, e così lo 
magazzeno", mentre i fittuari hanno invece l'obbligo "di lasciare nella rocchetto a 
beneficio di detto Sig. Duca sei mirliaria di cannamelati, et sei piantine tanto però 
meno quanto ne riceveranno" . 

In tale atto si definiscono inoltre le condizioni per gli "accomodi de l'acquedotti" 
ed il diritto di passaggio dell'acqua "che si porta a Vivona per abbeverare i 
cannamelati dell'impresa di detti cannameli" 

Per l'impresa di Bivona il Marchese di Cerchiara pagava il fitto con 600 tomoli di 
grano l'anno e si calcola che nei 10 ettari destinati alla coltura fossero piantate 
circa 6000 piantine di zucchero, con un ricavo lordo annuo che si aggirerebbe 
intorno ai 24.000 ducati. 

La coltivazione delle cannamele e la successiva produzione dello zucchero erano 
ovviamente scandite dal susseguirsi delle stagioni. 

In primavera, comunque entro marzo, con la tecnica della talea, si 
piantavano le piantine della canna da zucchero nei solchi già predisposti nel 
campo. Per tutta la stagione estiva le piante necessitavano di una costante 
irrigazione e con cura dovevano essere tolte tutte le erbacce. La loro maturazione 
avveniva tra novembre e dicembre, epoca in cui si procedeva alla cosiddetta 
"paratura" ', vale a dire al taglio delle canne, alla ripulitura del fogliame e degli 
internodi. Successivamente avveniva la "tagliatura", le canne cioè venivano 
tagliate in piccoli pezzi e sminuzzate, divenendo così pronte per la "macinatura ". 
La pasta macinata veniva insaccata e pressata in un torchio, da cui fuoriusciva un 



269 ASVV, Archìvio Pignatelli-Cortez , atto stipulato il 6.03.1619 tra il Sig. Tiberio Pignatello, Generale 
Governatore dello Stato di Monteleone, Dott. Giov. Dom. Barone Tarquinio Cataro, Dott. Giov. Dom. 
Vadalati et Leonardo di Lauro, in Capialbi V., Sulla coltura della cannamela nei secoli passati lungo il 
Golfo di S. Eufemia, Lettera a Leopoldo Pilla, Napoli 1838, pp- 4-5. 



123 



succo del tutto simile al mosto: questa fase veniva chiamata "sciroppatura". Il 
succo successivamente veniva versato in pentoloni di rame e fatto bollire e passato 
al setaccio per essere schiumato. Il succo ottenuto veniva chiamato "lento" e 
necessitava di un'ulteriore fase di lavorazione denominata "brigantino del mastro" 
dove, lo zucchero così ottenuto, veniva versato in recipienti di terracotta e lasciato 
a risiedere ed a raffreddare, per essere successivamente scolato pian piano, 
raggiungendo la consistenza del miele, in un ulteriore recipiente di terracotta per 
essere infine ridotto in pani 270 . 

Dal 1620 in poi lo zucchero prodotto nel trappeto di Bivona viene 
acquistato in larga parte da mercanti genovesi, che instaurano una fitta relazione 
commerciale tra i mercati liguri ed i produttori locali. E' addirittura un genovese, 
Francesco Scotto, che nel 1621 prende in fitto la gestione dell'impresa degli 
zuccheri, e ciò lo si rileva da un atto, rogato dal notaio monteleonese Nicastro il 22 
dicembre di quello stesso anno, nel quale lo Scotto rilasciava una quetanza di 278 
ducati a G. Battista Crispo di Monteleone quale "saldo e a final pagamento 
dell'impresa de li zuccari di Bivona"' . 

Ulteriori notizie sull'impresa risalgono al 1677 ed esattamente come una delle 
voci delle entrate dei Pignatelli, in cui risulta rendere alla corte ducale un canone 
annuo di 34 ducati 272 . 

L'ultimo atto relativo all'impresa di Bivona è datato al 1 marzo del 1695, 
anno in cui il notaio Pitoja di Monteleone ratifica l'accordo tra gli affittuari dello 
zuccherificio ed alcuni commercianti genovesi, per l'acquisto dell'intera 
produzione annuale dei cannameli per un importo complessivo di 8000 ducati 273 , al 
saggio dell'8%, somma all'epoca considerevole, se si tiene conto che proprio in 
quegli anni tutte le imprese calabresi stentavano a contrastare le concorrenziali 
importazioni di zucchero, a prezzi molto più bassi, provenienti dalle Americhe. 

Allo stato attuale della ricerca, non sono state rintracciate fonti 
documentali in grado di spostare più avanti del 1695 la data di utilizzo a scopi 
produttivi del trappeto di Bivona, anche se è possibile ipotizzare che le ultime 



' Una precisa descrizione delle fasi di lavorazione della canna da zucchero effettuata il Calabria agli 
inizi del '600, la si deve a Johann Jacob Grasser, aristocratico svizzero che nel 1605 effettuò un viaggio 
nella nostra regione: in proposito cfr. Scamardi T., op. cit., p. 40 e Matacena G., op. cit., pag. 27-28. 

71 Cimirri B., Le relazioni politiche e commerciali fra Liguria e Calabria fin dai tempi della 
dominazione Sveva, in Archivio Storico della Calabria, Atti, anno III, 1915, pp. 249-256. 

" Cfr. Di Bella S., Grano, Mulini e Baroni nella Calabria moderna e contemporanea, Cosenza 1979, p. 
183, in cui viene riportato un Relevio che indica le entrate feudali del ducato di Monteleone nel 1678. 

! " Cimirri B., op. cit., pp. 249-256. 



124 



annate di produzione delle cannamele siano coincise proprio con i primi anni de 
XVIII secolo. 

La fine della attività legate alla coltivazione della canna da zucchero non 
significò però l'abbandono dell'area a fini produttivi, tant'è che iniziò da quegli 
anni la riconversione della coltura in giardino di agrumi, svincolando comunque la 
struttura fortificata dalle iniziative produttive, stante le successive notizie 
d'archivio che descrivono castello di Bivona utilizzato esclusivamente come luogo 
ove praticare l'esazione doganale legata alla pesca, all'ancoraggio ed al 
falancaggio delle imbarcazioni. Merita un breve cenno la notizia, fornitaci 
dall'Albanese 274 , della morte nel castello di Bivona, l'il gennaio del 1723, del 
vescovo di Mileto Mons. D. A. Bernardini, mentre si "rinfrancava la salute". 

Su questo episodio maggiori particolari li fornisce Uriele Maria 
Napolione 275 , scritturale della Diocesi di Mileto, che nel descrivere il tumulo del 
Bernardini posto all'interno della Cattedrale, precisa che in esso "... fu posto il di 
lui cadavere, trasportato dalle Case del Romito di S. Maria di Portosalvo in 
Bivona, per aver colà tal vescovo cambiato vita". 

Il 3 1 agosto del 1730, il castello di Bivona risulta essere preso in affitto da Antonio 
Scordamaglia dal Casale di Longobardi' , a partire dal primo settembre del 1730 
fino all'ultimo di agosto del 1734, assieme ai "Colli deritti di Salmaggi, passi, 
anchoraggi, maghazzini, terre appartenentino, ed annesse a <f(ett)o Castello, ed 
altri jussi e prerogative, che si ha il med(esi)mo" . Per tale affitto lo Scordamaglia 
s'impegna di pagare alla Corte Ducale di Monteleone "...somme per docati mille, 
quattro cento settanta/1470: di moneta corr(en)te ... parte d'argento e parte di 
rame". 

Da tale contratto si desume che in quegli anni, con l'affitto del Castello di Bivona, 
si acquisiva anche il diritto di esercitare una sorta di attività di portolania e di 
controllo doganale, confermando in tale maniera lo stretto legame esistente tra il 
castello e l'approdo costiero. 

Le prerogative ed i compiti dell'affittuario si estendevano infatti "sopra la Tonnara 
ed altre barche pescareccie, e con tutti altri suoi jussi, dritti ed emolumenti dovuti 
soliti permessi, leciti, e non proibiti" compreso dell'impegno formale di non 



274 Albanese F, op. cit, vol.I, pp..250-263. 

! " Mons. Domenico Antonio Bernardini (1696-1723) morì l'il gennaio 1723 a Portosalvo di Bivona, 
che era tornata da poco sotto la giurisdizione vescovile, da quella della Badia della SS. Trinità di 
Mileto. Circa la "Casa del Romito" nel voi. 79, f.24 dell'Archivio del Collegio Greco di Roma, della 
Chiesa di S. Maria di Portosalvo è scritto: "In q.a chiesa suole stare un Romito che la guarda, e serve". 
Dando ormai per certa la non coicidenza tra la casa del romito ed il castello, si potrebbe scartare 
l'ipotesi del soggiorno del vescovo proprio all'interno di quest'ultimo. 

" 6 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez , Se. 79, f. 1, n. 7. 



125 



adottore, nell'esercizio di tale attività "qualsivogliano astuzij, negotij od industrie 

priibite e non permesse, e che non possa per ciò permettere o fare qualsiasi sorte 

di controbandi d'ogni genere di Robbé" . 

Lo Scordamaglia, che non possedeva beni sufficienti a garantire il pagamento 

quadrimestrale delle rate d'affitto del castello, per un periodo così lungo, si 

avvalse della fideiussione "a maggior cautela e sicurtà di essa Ducal Corte" dei 

nobili "D. Nicola Mariano, D. Carlo Cafare Soriani et Antonio Attisani , 

benestanti di questa città" i quali, per sostenerne l'iniziativa, impegnarano tutti i 

loro beni. 

Un ulteriore contratto di affitto del castello di Bivona risulta rogato a Monteleone il 

14 giugno del 1740. 

Dall'atto ricaviamo la notizia che allo Scordamaglia successe nella 
gestione del castello Bernardo Ventrice della Vena, e che il nuovo affittuario 
diveniva Mastro Gaetano Spanò . 

Anche la durata di questo affitto viene stabilita di quattro anni, partendo dal 
settembre 1740 e finendo all'agosto 1744, ma la diminuzione del suo costo 
complessivo di ben mille ducati in pochi anni, e cioè dai 1470 ducati pagati dallo 
Scordamaglia ai soli 470 ducati di quest'ultimo contratto, testimonia 
inequivocabilmente la progressiva perdita di valore dell'attività svolta con la carica 
di castellano di Bivona e la scarsa redditività da tale funzione. 
Con tutta probabilità lo scarso valore di quegli anni era originato dallo scarso 
movimento di merci che si realizzava nella struttura portuale di Bivona, ormai 
fuori dal mercato marittimo per le vessazioni fiscali della corte ducale e per 
l'inarrestabile insabbiamento dell'approdo. 

Ad aggravare le sorti dell'approdo e dello stesso castello, sopraggiunse la decisione 
del Governo Regio di ritirare al Duca di Monteleone, nel 1775, il titolo di 
Castellano di Bivona e di Sostituto Montiero Maggiore, a seguito della verifica dei 
privilegi del Pignatelli originata dalla causa intentatagli dai cittadini di 
Monteleone; verifica che sancì definitivamente la falsità del privilegio reale 279 . 



In Bisogni De Gatti D. I, Hipponiì seti ... op. cit, p. 385, la famiglia Attisani, seppur ignora l'origine, 
comprare tra le più benestanti dell'epoca, che possedeva un'esteso fondo nell'area di Portosalvo, e "Hi 
mundi delicìas relìnquentes, hac heremum cum Ecclesia S. Mariae de Portu falvo, juxta Vibonis 
portum". 

"' ASN, Archivio Pignatelli-Cortez , Se. 79, f.lo 1, n. 7-8. 

'" Cfr.: Luciano D., Op. cit. pp. 353-370. La verifica dei privilegi ducali venne richiesta dal Primo 
Ministro del Re Ferdinando IV, Tanucci a seguito della causa, iniziata nel 1769, intentata contro il 
feudatario dai cittadini di Monteleone, che rivendicavano la demanialità della città di Monteleone e di 
Mesiano. I Demanisti erano capeggiati dal Dr. Cesare Lombardi dei Satriani e Don Gregorio Acquario 
di Larzona. Tra l'altro si accusava il duca di avere "cinque piccoli cannoncini' e di tenere "arrotato un 
numero di uomini col nome di battaglione di guerra'. A questo gli avvocati del duca rispondevano che 



126 



Seppur continuasse ad appartenere al Duca di Monteleone, il castello di Bivona si 
avviò dunque ad un lungo periodo di disuso. 

L'area adiacente al castello venne, dalla seconda metà del settecento, circondata da 
un lungo cordone sabbioso che, allontanando definitivamente la struttura fortificata 
dal mare, creò una nuova e più avanzatala linea costiera e l'apparizione di due 
spaziosi laghetti, come confermato dalla già cennata pianta dell'architetto Vinci. 
Tutta quella porzione di terreno che si creò con il ritirarsi del mare rese ben presto 
insalubre ed inadatta alla coltivazione buona parte del territorio di Bivona, che 
costrinse all'abbandono di una vasta area costiera, ormai paludosa e causa di febbri 
malariche. 

Per meglio descrivere lo stato di abbandono che nei primi anni dell'ottocento rese 
noto, nell'intero territorio monteleonese, il tratto costiero di Bivona per la sua 
selvaggia inospitalità, è forse il caso di citare i versi di una poesia in cui viene 
ironicamente canzonata la credenza popolare dell'epoca che voleva il laghetto del 
Maricello dimora di un pauroso mostro, con i gargì russi ed arraggiusi 280 , con le 
zanne più grandi di un cinghiale e le zampe pelose finca a l'unghi havi pilusi , 
una coda longa setti canni e gli occhi sbijicati di cernaci' ' , una testa alta con le 
corna tese, ma corna mai veduti a mazzu a mazzu. Nel testo Bivona è descritta 
come il luogo dove "Nuju cchiù cusi, nuju chiovu azzippaj Merijanu majistra e 
lavandara,/ Nuju a Bigona 'ne' è chi chianta o scippa,! E' la terra di li frutti a tri 
solara;/ Crapi e pecuri s'inchinu la trippa,! Pecchi non vaci cchiù la cilonara;/ E 
avanti ogni pagghjiaru, ogni caseja I Crisciu l'erba di ventu e l'ardicheja.// Non 
jiano li trabaculi a piscarij Amureju e no rizza si vidia,/ L'affritti sbenturati 
marinari / Eranu pizzicuni, arrassu sia! / Tremavanu di stari a menzu mari,/ 
Tremavanu di fri 'ncumpagnia;/ E l'animaliu ognunu jestimava / Pe la fami 
canina ch'assaggiava..." 



"nei feudi di mare, com'è questa città di Monteleone, nei quali è continuo il timore della invasione dei 
Turchi, niuno s'era sognato essere questa una novità", mentre per quel che riguardava il battaglione, 
che si riuniva tre volte l'anno in occasione di tre festività, si era "prontissimi a farlo dimettere col 
ritirarsi le patenti agli iscritti." 

280 Le bocche rosse ed digrignati. 

2,1 pelose fino alle unghia. 

212 gli occhi fuori dalle orbite e grandi come pietre di fiume. 

2,J Ammirà V., Poesie Dialettali, Edizioni G. Froggio, 15 febbraio 1929, Prem. Off. Tipografica G. 
Froggio, Vibo Valentia. La poesia, opera di quello che senz'altro è stato il più lucido ed arguto poeta 
monteleonese, Vincenzo Ammira (1821-1890), dal titolo "L'Animaliu d"u maricejiu", recita 
testualmente: " Mammama, chi ribejul Chi fracassili 7 Cu' di ccà grida, cui di ja schiamazza;/ Votati 
duvi voi ca vidi chiassu/ Gugghi la genti conni muschi 'nchiazza;/ Nu gridu paru, dassami mu passu, / 
Nu 'mbutta 'mbutta, 'mpatica scavazza; / Cu' si sgorgia gridandu e cui trapila, /Cu' voli pemmu 
ammazza cui mu 'mpila. // Unu sija chi fu, n'autru chi abbinni, / N'autru si menti li mani a li ganghi, / 



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Ccà tocci grossi, ja temperapinni / Hacci, runciagghia, faccettimi e vanghi; /A mari a mari, e nuju ccà 
si tinnì, / Armamundi dì runghì e di falanghi; /E chi vidisti sciabuli e pìstunì / Cacciari quant'avì 
Muntalaguni. // Cu' jìa di ccani, cui di ja tornava, / Cui pigghìava la vìa dì la Marina, /Cui li zinnari a 
trupa si sciuppava, / Cui ciangendu dicia: Guarda arrujìna!,/ Cui la giberna avanti si votava, / Mu vidi 
sì d 'oggetti l 'avia china, / E petrì jettaluci e fulminanti / Cu ' cercava ammucciunì e cui davanti. // 'Ntra 
chiju menzu, conni nu sturdutu, / Guardava lu terrìbili ribeju, / Com'aceju di V acqua combattutu, / 
Crid itimi c'ancora no mi reju; /Mi e ridia ca dì Turchi eranu venutu /Ala Marina 'ncuni caraveju; /E 
ad unu vecchìareju addimandai / La causa mu mi dici di lu guai.// Un'animaliu bruttu mi rìspusi / 'ne' è 
di lu Mariceju 'ntra li canni, / havi lu gargi russi ed arraggiusi, / cchiù di bonu verni havi li zanni; / lì 
pedi finca a l'unghi havi pillisi, /havi la cuda longa setti canni, / havi la testa quantu nu ruvaci, /e 
l'occhi sbìjicati di conaci. // N'autru vinni di costa e subbramisi: /Non è serpenti, no, esti acejazzu; / 
N'autru si vota e dici: nu ferisì / Vitti na cosa quantu nu palazzu, / Cu la testa auta e cu lì corna tisi, / 
Ma corna mai veduti a mazzu a mazzu; / N'autru die: Spaventu! E cuccutrìgghìu; / N'autru vacca 
marina e n'autru nigghiu. //Poi cu na vuci assai piatusa e mesta, /Dissi lu vecchiu: Guarda, e mi 
mustrau, / Ogni angulu, ogni porta, ogni finistra, / Tuttu vi comu clangi; ho mi restau / Mu viju a 
novantanni st'autra festa! / E, la testa vasciandu, sospirali; / E 'nfatti ad ogni locu era lamentìi / Comu 
a mari 'ntempesta fa lu ventu. //Nuju cchiù cusi, nuju chìovu azzippa, / Merìjanu majistra e lavandara, 
/ Nuju a Bigona 'nc'è chi chianta o scippa, / E' la terra di li frutti a tri solara; / Crapi e pecuri 
s' inchina la trippa, / Pecchi non vaci cchiù la cilonara; / E avanti ogni pagghjiaru, ogni caseja / 
Crisciu l'erba di ventu e Vardicheja. // Non jiano li trabaculi a piscari, / Amureju e no rozza so vidia, / 
L'aff ritti sbenturati marinari / Eranu pizzicuni, arrassu sia! / Tremavanu di stari a menzu mari, / 
Tremavanu di jìri 'ncumpagnia; /E V animatili ognunu j estimava / Pe la fami canina ch'assaggiava.// 
Cascettuni giàjiape lu pajìsì / Cu la trumbetta, e allongu lì campani / Die ianu, iati ja, Muntalonisi, / 
Jocati comu è solitu li mani, / Comu quandu a l'Abbati,' chi ndi 'mpisi / Quantu vozzi e vrusciau 
l'aggenti sani, / Facistivu mu piscia e pemmu roci / P restii pe davi vinni coci coci. //Cu poti fìlli filu 
pemmu cunta / Li cosi chi non sugnu registrati? / Di ccà, di jà, di 'nzonduvè ndi spunta / Chi parinu 
diavuli arraggiati: / Ognunu esti nu crapìu chi junta /E dici a l'antri: Calati, Calati; / Cui sbafantija, 
cui ndi voli centu, / E a cui V anch'i 'nei 'ncrina lau spaventu. //Avanti avanti e propìja a lu locu /Dì 
l'Arangu chiamatu, ch'aspettava / Ne' era autr' aggenti, ma non era pocu,/ Chi pregava, cìangia, chi 
jestimava: / Pio tutti si jungìru e parìa focu, / Chi jettanu calandu, a lava a lava, / E arrivarli a lu lagu 
a na volata / E jeu, gridandu, cu la mazza armata, // Jianì trovammu nu gra parapigghia / D' aggenti 
d'ogni cetu ed ogn' arrazza! // Cu voli mu scummenti, oh maravigghia! / Siilo chiju ammalili mu 
ammazza; / Cui cu lu chiaccu vivu mu lu pigghia, / Cui mu lu stendi mortu cu na mazza; / E gridavanu 
tutti comu cani, / Chi n'autru morzu venenu a li mani. // Ogni lanza stratantu no rejia / Portandu 
aggenti senza riposari, /E cui mezzi mu 'marca non avia, /S'adattava a la megghiu a camminari; / 
Tuttu lu Pizzu ja si rìcogghìa, / Cu' rìna rina, e cui venia pe mari / Varchi 'ntra l'undi, guzzareji 
'nterra, / Paria 'nzumma Vìgona ca fa guerra. // Quand'Unii* , chi paria nu pampijuni, / Si misi 
pemmu parrà di stu moda: /Chiuditi ch'issi vucchì dì cìstunì, / Attentu ognunu o mia mu staci e sodu, / 
Dassatì fari a mia chi su mastruni, /Jeu vogghiu sta faccenda pemmu assodu. /Ccà 'nu tò tò si 'ntisi, 
poi quetaru / E ad iju tutti quanti si votaru. // Di ccà venìti vuì cu li scupettì, / Vui cu li runchi a chija 
vanda jati, / Vuì cu vanghi, cu sciabuli e faccetti /Attempi! ripa ripa caminati; / Vui cu li cordi jatì a 
setti a setti / E a lì quattru puntuni vi posati, / Minati, ttà, sparati appena spunta, / E lìgatìlu forti 
nomimi junta. // Stavanu tutti quanti cu li lanzi, / Cui volia pemmu ammazza e pemmu sgrupa, / Cui 
dicia vogghiu armari li vilanzi, / Cui, 'nchì, cumparì, fazzu mu s'allupa; / Cui jeu mimi allorbunì a 
scattapanzi, / Mi carricu e lu sbrami comu lupa. / Eccu si senti na gridata lesta / E! e! minati ca 
cacciau la testa. // Cui di ccà, cui dì jà sì lìbbarau, / Comu quandu si dici arrumbulunì; / Nudu nudu cui 
tuttu sì jettau, / Cui stezzi sulu 'mpittula e cazuni; / Cui comu si trovava si minau, / Cu na cazetta misa e 
nu scarpunì / 'Ntra chiji hard currijandu a sguazzu / Ed acchiapparli la testa di lu. . . cazzu. " 



128 



Nella descrizione poetica Yanimaliu è rappresentato come la causa dell'abbandono 
e del disuso dell'area, ma è una caratteristica delle credenze popolari animare di 
mostri quei luoghi che in realtà è proprio l'assenza dell'uomo a rendere invivibili. 
Negli anni immediatamente successivi al 1780, un'enorme massa di terra 
trasportata dai torrenti, frenata dalla duna costiera che aveva ostruito gli sbocchi 
dei torrenti S. Anna e Trainiti, allontanò definitivamente il castello dal mare. 
Con il conseguente allontanamento della linea di costa ed il seppellimento delle 
strutture portuali rinascimentali, si crearono nuove superfici territoriali che 
dilatarono a dismisura le antiche aree di demanio feudale, nonché i possedimenti 
comunali ed ecclesiali esistenti nel tratto costiero di Bivona, tante che proprio in 
quegli anni, nel primo terrazzo collinare, prende corpo il nucleo originario del 
borgo di Porto Salvo, composto per lo più da quelle famiglie di contadini che 
trovavano lavoro nella coltivazione dei nuovi estesi possedimenti. 
E' in quegli anni che si assiste al frenetico quanto costante fenomeno 
dell'usurpazione dei terreni posti lungo la costa, fenomeno che vide protagonisti 
sia i ricchi latifondisti che i piccoli proprietari. 

Dei casi più eclatanti diremo in seguito, ma merita un breve cenno, per lo spaccato 
umano e sociale che offre dell'epoca, la storia di un massaro che aveva ricevuto 
come dote maritale una vigna posta nella Marina di Bivona 284 . E' il 29 ottobre del 



284 ASVV, Notaio Candela Leoluca, 1786, Voi. 2, corda 1105, f. 28 recto e ss. "In Nomine Domine 
amen. Die Vigesimanona mensis Octobris Millesima Septinguesima octuagesimisexti, Quarta 
Ind(iz\6)nis in Civitate Monsis Leonis;Personalm(exxi)e Costi(tuit)i nella p(vQse)nza mia il Massaro 
Dom(em)co Amie alias Minicano, e la Massara Nicolina Fiala della Marina di Bivona distretto di 
questa sud(det)ta città, marito e moglie nel presente e d(et)ta Massara Nicolina coli' assenso e consenso 
di d(et)to suo marito, che p(rese)nte a Noi col suo giuramento glielo prommette, e dona, aggentino, ed 
intervenientino una simul et insolidum alle che sieguono per loro stessi, loro eredi e successori in 
fu(tu)ro ed in perpetuo; 

D(et)to Antonino Fiala di questa sud(det)ta città commorante in detta Marina di Bivona, cognito, detto 
e cognato nei rispettivi sud(dei)ti, i quale agge, ed interviene ancora colle cose che sieguono per se 
stesso, suoi eredi e successori infu(tu)ro ed in perpetuo coli' altra parte. 

Esse parti hanno asserito ed asseriscono avanti d Noi, come da più tempo fu contratto matrimonio per 
verba de fu(tu)ro tra essa Massara Nicolina fiala ex una, e d(et)to Massaro Dom(em)co Anile, ex 
altera. Per dote della quale Massara Nicolina esso Ant(oni)no di unità col suo Padre Dom(em)co Fiala 
insolidum allora quando viveva promisero, e si obligarono di dare, pagare, e con effetto consegnare ad 
esso Massaro la seguente dote, cioè di denaro contanti ducati cinquanta, una caldara di ducati cinque, 
una padella di carlini dieci, un trippiè di carlini tre, una cassa di abbeto, un materasso di lana, una 
coperta rossa di capicciola, ed un'altra di cottone bianca, due para di renzuoli, camicie numero sei , 
dubbretti numero quattro usati, quattro supponi (cuzzoni?), cioè due di seta uno di vellutino di seta, e 
l'altro acquamare, anche di seta, faddali numero quattro di seta, tovaglie numero otto, cioè di facci 
numero quattro e di testa numero quattro, e di vantaggio il cennato g(emto)re Dom(eni)co Fiala li 
promise a detta sua figlia la giusta parte, e porzione che le spetta, e compete, cioè della proprietà 
tantum, giacché l'usufrutto se lo riserbò lo med(esì)mo, di una vignola della capacità di mezzarolate tre 
circa, e per quant'è, che limita il Rev(ere)ndo Abbate Pignataro di questa città, ed altri se ve ne sono, 
giusto i duoi confini, nonché la giusta parte e porzione di tutto quello piccolo asse ereditario, che forse 
rimarrà seguita la sua morte e ciò si è promesso in buona fede, senza aver passato essi loro per d(et)ta 
promessa dotale scrittura di sorte alcuna, come dissero. Essendosi di già colla grazia di N(ost)ro 



129 



1786 il giorno in cui "Massaro Dom(em)co Anile alias Minicano, e la Massara 

Nicolina Fiala della Marina di Bivona distretto di questa sud(det)ta città, marito e 

moglie nel presente", accompagnati da "A«f(onin)o Fiala suo cognato" si recano 

da un notaio per esporre il loro atto di fede sull'usurpazione di una piccola vigna 

perpetrata da un loro parente. 

V'è da dire che massaro "Minicano" è costretto a tale azione perché, considerando 

la sua canuta età, non poteva permettere che "seguita la sua morte, di restar 

misera la cennata sua moglie Massara Nicolina a cui tanto ama, anche sul 

riguardo che la med(esì)ma si attrova figliola" . I tre premettono che qualche anno 

prima "per dote esso Ant(om)no di unità col suo Padre Dom(eni)co Fiala 

insolidum allora quando viveva, promisero, e si obligarono di dare, pagare, e con 

effetto consegnare ad esso Massaro la seguente dote, cioè: 

di denaro contanti ducati cinquanta, 

una caldara di ducati cinque, 

una padella di carlini dieci, 

un trippiè di carlini tre, 

una cassa di abbeto, 

un materasso di lana, 

una coperta rossa di capicciola, ed un 'altra di cottone bianca, 

due para di renzuoli, 

camicie numero sei, 

dubbretti numero quattro usati, 

quattro supponi (cuzzoni?), cioè due di seta uno di vellutino di seta, e l'altro 

acquamare, anche di seta, 

faddali numero quattro di seta, tovaglie numero otto, cioè di facci numero quattro 

e di testa numero quattro". 

Unitamente a tale piccola dote "il cennato g(enito)re Dom(em)co Fiala li promise 

a detta sua figlia la giusta parte, e porzione che le spetta, e compete, cioè della 

proprietà tantum, giacché l'usufrutto se lo riserbò lo med(esi)mo, di una vignola 

della capacità di mezzarolate tre circa, e per quant'è, che limita il Rev(ere)ndo 

Abbate Pignataro di questa città, ed altri se ve ne sono, giusto i suoi confini, 

Sl(gno)re, conchiuso ed effettuilo II matrimonio sud(dei)to per verba del presenti, e fatta per detto 
ge{m\o)re Dom(eni)co tutta la consegna della sopradetta dote descritta come sopra, ed esso Massaro 
Dom(en\)co Ande a conto ricevuta, siccome con giuramento asserisce, come esso stromento stipulato 
da Notar Cannamella, a rlserba delle pretenzlonl che II spetta alla med(esim)o; e per esso alla 
sud(dei)ta di lui Moglie, su virtù della promessa sopra detta vigna e piccolo asse ereditarlo del detto 
genitore Dom(enl)co Fiala, che si posseggono attualmente da Pietro Fiala zio, ex parte patrls del 
cennatl cost(\\m)tl Antonino e Nicolina, di casale di Vena, , per causa che detto genitore Dom(eni)co si 
attrovava di unita col II cennato Pietro suo fratello, e seguita la morte dello medesimo tutta la robba 
rimase in potere dello stesso Pietro, siccome al presente si attrova. 



130 



nonché la giusta parte e porzione di tutto quello piccolo asse ereditario, che forse 
rimarrà seguita la sua morte e ciò si è promesso in buonafede, senza aver passato 
essi loro per d(et)ta promessa dotale scrittura di sorte alcuna, come dissero. 
Essendosi di già colla grazia di N(ost)ro Si(gno)re, conchiuso ed effettuilo il 
matrimonio sud(det)to per verba dei presenti, e fatta per detto ge(nito)re 
Dom(Qni)co tutta la consegna della sopradetta dote descritta come sopra" la vigna, 
testimoniano i tre, era stata usurpata da "Pietro Fiala zio, ex parte patris" che 
possedeva una terreno limitante. 

Purtroppo non conosciamo l'esito della vicenda, ma la testimonianza giurata del 
fratello della Massara Nicolina, era senz'altro l'unico modo per richiedere allo zio 
usurpatore "l'esposta consegna, ed in caso di renitenza astringerlo, e farlo 
astringere in conto" 

Un'ulteriore usurpazione di terreno la si rileva da un documento redatto un anno 
prima dinanzi allo stesso notaio monteleonese, nel quale un certo Domenico Russo, 
nel fissare il prezzo di vendita di un suo terreno terreno posto nella Marina di 
Bivona, nomato Spataro, è costretto a ribadire, a maggior cautela del compratore, 
"come tempo fa per l'aggregazione dallo stesso fatta di Terreno della Real 
Abbadia di Mileto" venne condannato "dall'Illustre Preside di Cosenza di dover 
anco d(Qt)to Dom(em)co pagare il suo tangente", non conoscendo ancora l'esatto 
ammontare della pena pecuniaria, il Russo, assumendosi l'onere per tale 
usurpazione, precisa che "non sapendo il med(esi)mo la somma per poterla 



ASVV, Notaio Candela Leoluca, Ibid.: "Ond'esso Massaro Dom(enì)co Ande considerando la sua 
canuta età non permettendo seguita la sua morte di restar misera la cennata sua moglie Massara 
Nicolina a cui tanto ama, anche sul riguardo che la med(esì)ma si attrova figliola, richiese pertanto a 
d(ei)to Ant(onin)o Fiala suo cognato per l'adempimento della sud(det)ta pretenzione, che li spetta 
sopra detta vigna, e più l'asse ereditario di d{e\)to suo suocero Dom(eni)co Fiala, per indi quietare allo 
stesso, ed assolvere di tutta l'intera dote, la quale Antonino memore dello cose pred(et)te e da essi 
provato prontissimo a dare non solam(en)te la giusta przione come sopra spettante a d(ei)ta sua sorella 
per raggion di dote, ma per far cosa grata, e per tanti giusti fini benché qui non si esprimono, e per 
amore affetto e benevolenza, cede e renimela, et dona anche la porzione che allo med(esi)mo spetta 
come figlio legittimo del cennato genitore Dom(eni)co di tutto quello che per legge li spetta, e compete, 
e che infuturo li potrebbe spettare e competere sopra detta vigna e piccolo asse ereditario del cennato 
genitore suo padre, che tutto ciò si attrova in potere del mentovato di loro zio Pietro Fiala, con 
richiedere allo stesso per l'esposta consegna, ed in caso di renitenza astringerlo, e farlo astringere in 
conto, e fare ogn'altra cosa che sarà di bisogno, bastando allo sud{et)to Ant(oni)no quella robba che si 
acquistò con le sue fatiche, come disse. 

Quindi atte le cose sud(det)te, e ricevo di dote, e renuncia come sopra esso Massaro Dom(eni)co Ande, 
e Massara Nicolina Fiala coli' assenso e consenso ut supra dieta messo, in p(rese)nza n(os)tra con 
giuramento dichiarano esse ben contenti e soddisfatti di tutta la sua dote si propria robba di detto 
defunto Dom(enì)co per mano di d(et)to An(om)no Fratello e cognato, comesopra sta designata ed 
annotata. 

Chiamandosi in p(rese)nza mia ben contenti, pagati e soddisfatti e liberano quietanza ed assolvono il 
sud(det)to Ant(om)no Fiala presente erede, facendoli finale e generale quietanza, in ampia e valida 
forma, e che il p(rese)nte resti fermo per futura memoria." 



131 



spiegare; cosicché lo stesso Dom(Qni)co s'obbliga col suo giuramento di pagare al 
detta Real Abbadia di Mileto, o chi per essa, tutto è quanto fu condannato, e 
deciso, coli 'interesse maturato, e maturando infuturo tempo" , sollevando così il 
suo acquirente da ogni conseguenza legale per quell'usurpazione. 
Ulteriori episodi di vendita di terreni lungo l'area costiera vennero originati dalla 
necessità di far fronte ai danni causti dal terremoto del 1783. E' il caso, ad 
esempio, del fondo di proprietà dei coniugi Don Antonino Alfiere Francia e Donna 
Caterina Soriano, i quali venderono al loro nipote Don Felicentonio di Francia, per 
complessivi duesentosettanto ducati, "wn corpo stabile alborato con vigne e piante 
d'olive, fichi, pera,cerasa, e diversi olmi alberi fruttiferi con casetta terrana dentro 
situato e posto nelle pertinenze del Casale di S. Pietro di Bivona in luogo detto 



286 ASVV, Notaio Candela Leoluca, 1785, Voi. 2, corda 1105, f. 85 recto e ss. "In Nomine Domine 
amen. Die Nona mensis Octobris Millesima Septinguesima octuagesimequinte, Tertis Ind(uìo)nis in 
Civitate Monsis Leonis;Personalm(ent)e Costi(tuit)i nella p(rese)nza mia D: Dom(em)co Russo di 
questa sud(dei)ta città di Monteleone a Noi bene cog(ni)to, aggente ed interveniente alle cose che 
sieguono per se stesso, suoi eredi, e succ(esso)ri. E Giuseppe Russo di Fran(ces)co della Marina di 
Bivona, distretto di questa prefata città, anche a Noi bene cog(ni)to, il quale agge, ed intervine ancora 
alle cose infrdicente, per se stesso, suoi eredi; 

Dall'altra parte il Sud(det)to Dom{em)co Russo Spontaneamente, e per ogni modo mig(\\o)re, e via ave 
asserito, ed asserisce avanti di Noi col suo giuramento, avere, tenere, e possedere da vero Signore e 
Padrone giustamnente, fra gli altri suoi beni, una vigna chiamata Spataro, situata nelle pertinenze della 
sud(det)ta Marina di bivona, della Capacità di tumolate tre circa, e per quant'è à corpo, e non a 
Misura; limita li beni di Dom(em)co Antonio Pallaridi da una parte, e dall'altra Dom(cm)co Russo, 
alias Bollaro, e dalla parte di sotto alla valle li beni della Reale Abbadia di Mileto e via pubblica, 
soggetto al cenzo enphiteutico perpetuo di carlini venti due e mezzo, pagabili ogni mese di Agosto 
alVabbolito Convento dei P.P. Carmelitani della Città di Briatico, ed oggi alla Cassa Sacra, e del 
restro franca e libera di ogn 'altro peso, cenzo e servitù, à nissuno venduta, obbligata, sommessa o 
ipotecata, che li pervenne per eredità da suoi Maggiori come disse, allo quale in tutto e per tutto abbia 
real zio ne. 

Quindi tenendo esso Dom(enì)co Russo bisogno di denaro per suplire agl'affari di sua casa e per altri 
suoi giusti fini, e per che così ha piaciuto, e piace; Perciò si è risoluto, e deliberato la sud(det)ta vigna 
venderla, ed alienarla liberamente e senza patto alcuno di ricompra, ed avendo avuto trattato con detto 
Giuseppe Russo suo congiunto, collo med(esi)mo si convennero, ed accordarono per la somma di 
ducati cento, tanto stimata ed apprezzata da Luca Patanea e Bruno Lo Guarro Agromensori delle ambe 
le parti; della quale stima ne restarono ben contenti; soggiungendo esso Dom(eni)co nell'assertiva 
seg(uen)te, come tempo fa per l'aggregazione dallo stesso fatta di Terreno della Real Abbadia di 
Mileto, fu deciso dall'Illustre Preside di Cosenza di dover anco d(et)to Dom(enì)co pagare il suo 
tangente, non sapendo il med(esi)mo la somma per poterla spiegare; cosicché lo stesso Dom(em)co 
s'obbliga col suo giuramento di pagare al detta Real Abbadia di Mileto, o chi per essa, tutto è quanto 
fu condannato, e deciso, coli' interesse maturato, e maturando infuturo tempo, con levare indenne, ed 
illeso il sud(àet)to Giuseppe p(rese)nte, ed eredi, restando di suo conto ciocché va dovendo, per detta 
aggregazione, alla prefata Real Abbadia, e così in p(rese)nza mia si convennero per patto espresso, e 
forma con ciò netto lo contratto sud(det)to, ed hanno devenuto alla stipula del p(rese)nte istrumento" 



132 



"La Guardiola" , di capacità di tumulate cinque e mezza in circa, limito li beni 
di Notar Giuseppe Gasparro, del sig. Marcantonio Morelli e via convicinale ... 
per provedere alle urgenti necessità che stante il corrente terribile flagello del 
terremoto li sovrastano" 

Quelli citati sono solo alcuni dei tanti episodi che caratterizzarono la storia 
insediativa dell'area costiera, tra la fine del settecento ed i primi decenni 
dell'ottocento, fenomeno che in verità vide distinguersi le maggiori famiglie 
monteleonesi, subito dopo gli interventi di bonifica attuati nei primi anni 
dell'ottocento, molti dei quali a discapito delle proprietà demaniali, siano state 
esse comunali o feudali, destinate ad uso civico della collettività. 
L'intero territorio costiero, in quegli anni, con il sequestro dei beni ecclesiastici e 
l'eversione della feudalità, venne in parte acquistato da ricche famiglie locali ed in 
parte destinato ad usi civici, legati al pascolo (jus pascendi) ed alla semina (jus 
serenai). L'area divenne meta di lavoratori a giornata, di pastori e di terraticanti 
che corrispondevano ai signori quote parti del loro prodotto ed all'autorità locale 
una quota di fitto dell'uso civico del terreno demaniale incolto. 
E' in questi anni, però, che si accentua la prepotenza della nuova borghesia terriera 
monteleonese che, oltre ad escludere dagli usi civici le loro terre, mirarono ad 
occupare, con protezioni e connivenze amministrative, i demani comunali ed 
ecclesiali, usurpandone, giorno dopo giorno, le proprietà e gli usi. 
Contro tali usurpazioni, nel primo decennio del 1800, sia l'Università di 
Monteleone che quella di Vena e Triparni, diedero inizio ad una serie di azioni 
legali contro tali usurpatori, rivendicando i loro diritti sul territorio demaniale 
costiero ed obbligando le autorità ad istituire una Commissione Reale con il 
compito di accertare la consistenza dei beni soggetti ad usi civici e la loro natura. 
Una prima indagine venne affidata all'Agente Ripartitore sig. Bruno Antonio 
Varano, il quale il 28 novembre 1810, inviò al Commissario del Re per la 
ripartizione dei Demani della Provincia di Calabria Ultra il seguente rapporto: 
"Per l'adempimento dei miei doveri e pel disimpegno affidatomi sono colla 
presente a rapportarvi le mie operazioni. Ben vi consta o Signore che per quanto 
indagini si sono da me prese, sotto la vostra direzione allorché in questa città 
soggiornavate, niun corpo demaniale si era rinvenuto in questo Circondario. 
Sovvengavi che avendo fatte le mie speculazioni, vi proposi l'articolo se le terre 
adiacenti all'ex feudo di questo ex duca nella Marina di Bivona e che furono 
lasciate dal mare, dovranno entrare o no nella ripartizione: questo articolo vi fece 
pensare un poco. Ne voleste prendere conto sulle carte della Camera ex Baronale, 
per mezzo dell'agente Sig. Gio. Batta de Noci. Esaminaste la platea formata dal 



Il toponimo "La Guardiola" del fondo ha certamente origine dalla presenza di un casotto di guardia 
militare. 

2,1 ASVV, Notaio Antonucci Francesco Saverio, 17 settembre 1786, e. 649 ff. 30v-31v. 



133 



signor Sebastiani, si sottopose all'esame ancora il catasto di questa università, 
domandaste al suddetto agente la esibizione di qualche titolo che portasse l'epoca 
prima della Real Prammatica del 1536, o decreto definitivo di qualche tribunale, 
ma perché niuno di questi documenti si è prodotto in sostegno dei diritti feudali, 
risolveste che dovessi conferirmi sopra luogo, avvisando prima il suddetto Agente 
per mandare i suoi periti ad assistere mentre per parte dell'università di Triparni 
si facevano venire i periti suoi, onde si avesse dovuto divenire alla fissazione dei 
limiti divisori ed alla misurazione delle terre lasciate dal mare, e quelle che si 
posseggono dall'ex Barone e farvene di tutto un dettagliato rapporto, per indi 
attendere le ulteriori determinazioni: eccomi perciò al rapporto: 
Il giorno 4 dello spirante mese, precedente avviso all'agente dell'ex Barone, e 
coli' intervento dei suoi periti per nome Giuseppe Prestinenzi ed Antonio Loriggio: 
nonché quelli dell'università di Triparni per nome Nicola Profitti e Pasquale La 
Torre; mi sono conferito sopra luogo; prima di tutto presi conto del luogo ove 
giungevano le acque del mare: tutti convennero che giungevano fin sotto le 
fabbriche del Castello di Bivona; e convennero parimenti che l'ex Barone fino 
all'epoca circa settanta anni addietro, nella Marina di Bivona altro non possedeva 
di Feudale, che il puro e semplice castello co' magazzini e loggia ad uso di 
conservare gli attrezzi della tonnara e le Barche ad uso di pesca; nonché una 
tomolata di terra adiacente denominata l'orto del Castello: 

Fissato questo principio non contradetto, si è principiata l'operazione della 
misura geometrica delle terre lasciate dal mare, che parte sono coltivate e 
possedute dall'ex Barone, parte arena assoluta e parte si trovano paludose e ad 
uso di pascoli di animali, mi darò dunque il vantaggio a descriverle come furono 
osservate e misurate. 

I) Avendo principiato la misura del terreno che confina col fondo dell'Alfiere 
Francia, oggi posseduto dal Duca di Monteleone, per la parte di levante, col 
mare per la parte di occidente; questo terreno si estende per la linea retta pel 
fondo di Marzano e proseguendo la pubblica strada va a finire col torrente 
denominato S. Anna eh' è proprio territorio appartenente al casale detto S. Pietro 
di Bivona; lo stesso è territorio lasciato dal mare, ed è della estensione di 
tomolate otto, le quali possonsi rendere coltivabili e tumolate sei sono coperte di 
pura arena; ma per opera dell'uomo si possono anche rendere coltivabili; in 
queste terre aperte e pubbliche si trovano fabbricati alcuni edifici come siano 
una Loggia ed un Magazzino per uso e comodo della Tonnara ed una piccola 
casetta, le quali potrebbero essere soggette ad un canone a beneficio del 
Comune di Monteleone, mentre il Casale di S. Pietro va incluso con Monteleone. 

II) Si passò dal descritto luogo il Torrente S. Anna ad entrare nel territorio di 
Triparni, dalla pubblica strada in sotto verso il mare; giacché dalla parte sopra 
la strada va incluso col territorio di Monteleone ed avendosi usate tutte le 
suddette osservazioni, si sono trovate le seguenti terre coltivate possedute 



134 



dall'ex Camera Baronale, la quale annualmente si ha esatto e si esigge V 'estaglio 
di esse; queste terre sono dell'estensione di tomolate quattordici. 
Ili) Sotto le suddette terre vi esistono quelle paludose e addette ad uso di 
pascolo degli animali; queste si sono calcolate altre tomolate quattordici ed i 
periti sono stati di parere che possonsi rendere coltivabili al pari delle altre. 

IV) Dal descritto luogo si passò ad osservare tutta la continenza delle terre per 
la parte di sotto al Castello di bivona, che sono appinto quelle terre per uso di 
pascolo e luoghi paludosi ancora, e furono acolcolate per tomolate 
centocinquanta. Le suddette terre detti periti furono egualmente del parere che 
coli' andare del tempo e con poca spesa, si possono pure rendere coltivabili ad 
uso di semina. 

V) Le denominate terre confinano da una parte colle terre del Feudo di bivona 
che prima erano della Real Abazia di Mileto, ora del Sig. Gagliardi perché 
vendute dal Demanio, e dall'altra parte confinano colle terre della Mensa di 
Mileto: si calcolarono prima quelle adiacenti alle terre della Mensa di Mileto e 
si trovarono tomolate sei ed altre cinque tomolate sono paludose e per uso di 
pascolo. 

VI) Le terre denominate Li Giardini di Porto Salvo che prima erano della 
suddetta Real Abbazia; indi passarono nel dominio del R. Demanio e da questi 
subasta al Sig. Lombardi dono tomolate ottantaquattro le quali possonsi irrigare 
coli' acqua del fiume Trainiti. I periti han giudicato che le stesse furono anche 
lasciate dal mare ed aggregate alle piccole terre di Porto Salvo, e per esso 
dall'Abazia; ma se siano o no soggette alla divisione dei demani comunali, 
questo è un articol che dovrete esaminare e decidere voi, mentre io non ho 
trovato che vi fosse del Feudale, né veruno jusso civico per quanto ho potuto 
verificare. 

Queste sono le operazioni ed osservazioni praticate nel sudetto giorno 4 novembre 
dell'andante novembre. Rimase così imperfetta la mia commissione per mancanza 
di tempo in quella prima giornata, ma poi fu ripigliata il giorno dieciotto dello 
stesso mese avendo usate tutte le suddette precauzioni e precedenti gli avvisi 
all'agente dell'ex Barone, il quale fece intervenire li stessi primi periti Prestinenzi 
e Loriggio. 

In questa giornata dunque si principiarono le operazioni sopra la strada pubblica, 
che viene ad essere il territorio appartenente all'università di monteleone. Eccomi 
dunque alla dimostrazione: 

I) Si sono osservate tutte le terre denominate Le Marinate, terre lasciate 

libere dal mare e che confinano coll'orto del Castello di bivona: le divisate 
terre sono divise in due menbri: uno di questi è dell'estensione di tomolate 
venti e mezza e l'altro sono tomolate quattro: queste terre sono tutte coltivate 
ad uso di semina di grano. Le stesse vengono possedute dall'ex Barone ed 



135 



aggregate allao tomolota dell'Orto del Castello che è feudale, per cui dalla ex 
Camera Baronale annualmente si esigge il convenuto estaglio dalli fittuarii. 
II) Si osservarono le terre lasciate dal mare nel luogo detto Santa Venere; ed 

in esso luogo si trovano solamente sei tomolate di terre coltivate er aggregate 
al fondo del Sig. Cesare Lombardi di Francesco di Monteleone; io domandai li 
periti del prezzo di esse e mi dissero che non si possono calcolare in altra 
somma fuori di quella di ducati sei all'anno alla ragione di carlini dieci alla 
tomolata; e così terminò la suddetta mia commissione ora a voi Sig. 
Commissario risolvere coi vostri lumi quello che devesi fare e comunicarmi li 
vostri oracoli per eseguirli a guisa di legge. 
Tanto mi occorre rapportarvi e pieno della più indicibile stima passo a salutarvi 
distintamente ". 

Come ben si comprende dalle parole dell'agente ripartitore, il castello di 
Bivona, che già in quell'anno appare descritto senza alcun riferimento ad uso od 
attività in esso svolte, diviene il solo metro tangibile, condiviso da tutti i periti, in 
grado di consentire l'esatta estensione dell'area demaniale, visto che le acque, 
negli anni passati giungevano fin sotto le fabbriche del Castello di Bivona. 
La vicenda merita di essere seguita perché, seppur offre poche notizie sul castello 
di Bivona, consente di tracciare una mappatura precisa del territorio costiero, dei 
toponimi e delle famiglie che, in quegli anni, risiedevano nell'area posta tra Bivona 
e Santa Venere, ed altresì seguire alla sua nascita, quel percorso storico-economico 
che condurrà al suo attuale assetto amministrativo. 

Sentiti gli esiti di tale sopralluogo effettuato dall'Agente Varano, il 10 
dicembre del 1811, l'Intendente Commissario del Re ordina "che i fondi detti Orto 
di S.Giuseppe, Coltura del Castello, Terra del Castello di bivona e Feudo di S. 
Vennera e la Badia di Mileto posseduti da varii possessori, siano esenti da 
divisione, salve ai comuni le loro ragioni presso il Giudice Ordinario competente 
per le aggregazioni fatte dal mare sulle terre finitime al lido; che le terre delle 
Marinate e Feudo di Vena siano divisi, dandosi ai comuni suddetti tutta la 
estensione delle Marinate che attualmente non trovansi coltivate ed il terzo del 
Feudo di Vena nella parte più eulta di esso e più comoda ai citadini, compensando 
il valore coli' estensione, imputando però all' ex feudatario la parte che si troverà 
alberata segnando il valore del terreno, ed una contingenza non maggiore di 
dodici moggia, ove trovasi stabilita la casa rurale; che le terre inculte delle 
Marinate imputate ai comuni suddetti restino provvisoriamente in promiscuità tra i 
medesimi, e la terza parte del feudo di Vena sia divisa per metà a beneficio del 
Comune di Monteleone e per l'altra metà a rate uguali tra i comuni di Vena e 
Triparni." 

Incaricato all'esecuzione dell'ordinaza fu il Sig. Camillo Sarlo, Agente Ripartitore, 
il quale cominciò a procedere alla misurazione dei demani e delle relative divisioni 



136 



il 15 gennaio del 1812, redigendo un sibillino verbale con dei periti, tutti 
crocefirmati. 

Certo, la scelta di affidare gli interessi della popolazione a periti che non erano 
nemmeno in grado di scrivere il loro nome e che, stimando le distanze ad occhio in 
quei luoghi piani e pantanosi, riuscirono in due soli giorni a compiere un lavoro 
che ancora oggi, con i moderni strumenti tecnici, ne prevede svariati, pone più di 
un interrogativo sulla leggittimità delle operazioni di effettuate e sulla volontà 
rappresentare efficacemente la sovranità dello stato a discapito degli interessi dei 
nobili locali. 

Del resto, i toni utilizzati nel redigere il verbale, svelano ancor più la 
"compiacenza" dei periti e dell'Agente Ripartitore ai poteri forti della città: 
"Noi qui sottoscritto crocesegnati periti eletti uno per parte dal comune di Vena, 
l'altro per parte del Comune di Monteleone e l'altro per parte dell'ex Duca di 
Monteleone certifichiamo come avendoci conferito nel Feudo detto di Vena, ed 
avendolo girato dapertutto, l'abbiamo considerato di estensione tumolate 110, 
includendo tanto l'olivetato quanto la seminatoria, ed avendo esaminato la loro 
natura l'abbiamo considerato che dona annuo rendita per ogni tomolata carlini 
tre; ed avendolo diviso in tre porzioni uguali, tanto in valore che in estensione 
secondo le regole dell'arte, li toccò alli comuni suddetti quella terza porzione 
principiando dalla Scala, limita con il Sig. Taccone si segue il piano e limita con le 
Ulivi dell Mancusi al Monticello della Pezza, verso la pietra grande al lato del 
vallone della parte di mezzogiorno dove attualmente esistono due fossati fatti con 
la zappa, sale il vallone della pezza e volta per l'oriente limita con la mensa 
vescovile di Mileto volta per settentrione e limita colle duodeci tumolate assegnate 
alla casetta rurale, colla spiega però che le tumolate duodeci della casetta vanno 
comprese colle due terzi che toccarono al Barone. 

La metà spettante al Comune di Monteleone principia dalla parte di basso colla 
metà che toccò alla Comune di Vena e Triparni e colle duodici tumolate della 
casetta rurale e va a terminare verso la strada della pezza. 

La parte che toccò al Comune di Vena e Triparni è quella che limita colle duodeci 
tomolate della casetta, colla parte che toccò al comune di Monteleone e si estende 
sopra gli ulivi detti destrosi, scende e limita col sig. Taccone e volta per la strada 
della Scala " 

Il sopralluogo venne ripreso e concluso tre giorni dopo, il 15 gennaio, con i periti 
che si recarono "nella terra detta Le Marinate di Bivona e propriamente l'inculti li 
abbiamo considerati tumolate sessanta, per cui l'abbiamo valutati annua rendita 
grana 15 la tumolata", e nove giorni dopo viene redatto il processo verbale, 
trascrivendo le accorte misurazioni. 



137 



Tuttavia l'aver trascurato di fissarne i limiti, con segni di fabbrica stabili continuò 

ad offrire il destro ad ulteriori usurpazioni sulle terre demaniali assegnate al 

Comune di Monteleone ed a quello di Vena e Triparni 289 . 

Per tale ragione dopo l'esecuzione dell'ordinanza Colletta, su richiesta del Sindaco 

di Monteleone venne eseguita una ulteriore verifica che portò all'accertamento di 

un'usurpazione da parte di Don Domenico Lombardi Satriani, tant'è che il 27 

giugno 1836 venne eseguita una verifica in cui si stabilono usurpati ben 21 

tomolate e quattro ottavi di pascoli, valutati a carlini cinque la tomolata. 

Successivamente venne riscontrata anche l'usurpazione del Duca Pignatelli, di 

tumolate 12, percui con l'Intendenza emise un'ordinanza di reintegra a favore del 

Comune di Monteleone il 22 febbraio 1837, lo stesso fece il 20 novembre 1843 

l'Intendente in consiglio d'Intendenza sull'usurpazione del Lombardi, 

condannandolo alla restituzione delle terre ed al rifacimento dei frutti 

indebitamente percepiti dal 1816, stabiliti dai periti in ducati 10 e grana 75 l'anno 

fino al raggiungimento della quota di 300 ducati, oltre alle spese di giudizio pari 

ducati 26 e grana 4. 

Venne incaricato per l'esecuzione della reintegra il consigliere Distrettuale Sig. 

Don domenico Gagliardi e con verbale del 19 febbraio 1844 avvenne l'immissione 

in possesso del comune di Monteleone. 

Qualche anno dopo tutte le proprietà nelle marinate rimaste all'ex feudatario 

passarono agli eredi del Marchese Gagliardi 

Tutti i documenti citati provengono dalla acuta relazione effettuata quasi 

novant'anni dopo dall'Istruttore Perito Ing. E. Minnicelli, incaricato di proporre al 

Demanio, visto il perpetrarsi dell'usurpazione anche dopo la nascita dello Stato 

Unitario, una soluzione che ristabilisse la legalità nell'area costiera. 

Il 12 gennaio del 1931, anno IX dell'epoca fascista, egli conclude così la sua 

indagine demaniale 290 : 

"Con la presente operazione da noi fatta, il Comune di Vibo Valentia verrà a 

realizzare un ammontare annuo di canoni di £. 2.173, 59, con una zona legittimata 

e di ettari 13.74.91; mentre con le reintegre delle zone non legitimabili entrerà in 

possesso di ettari 11.31.68 di terreno e realizzerà la somma complessiva di £. 



Il Comune di Vena e Triparni, nel 1830, venne inglobato in quello di Monteleone, divenendone 
frazione. Da quell'anno in poi di conseguenza le terre che erano di sua pertinenza passarono al comune 
di Monteleone. 

! '° Il 25 gennaio 1929 venne nominato ring. Minnicelli Emilio, da Catanzaro, Istruttore Demaniale per 
il compimento delle operazioni del Comune di Vibo Valentia, con incarico di presentare la relazione, i 
verbali e gli atti entro quattro mesi dal suo giuramento. Studiati gli atti degli archivi del Commissiariato 
degli Usi Civici e del Comune, cominciò le verifiche sul posto, identificando l'area demaniale delle 
Marinate e le usurpazioni avvenute negli anni precedenti. La relazione è conservata presso gli Archivi 
del Commissariato degli Usi Civici di Catanzaro. 



138 



44.886,52 per frutti indebitamente percepiti". Il perito però, non rinucia di 
premettere, alla conclusione dell'incarico svolto, le sue amare considerazioni: "E' 
troppo viva ancora e palpitante la storia dei nostri poveri comuni, le cui sorti 
venivano affidate ai Consigli Comunali, i cui componenti erano sempre, ed era 
naturale, quelli che maggiori conti avevano da rendere ai comuni stessi. Così si 
spiega lacquiscienza dei comuni nei confronti degli usurpatori: questi erano 
sempre amministratorio, o loro adepti, conosciuti sotto il nome, tanto deprecato di 
galoppini elettorali. 

Stando così le cose, soltanto dallo Stato potevano avere molestia gli usurpatori del 
Demanio di Vibo Valentia, ed essi si affrettarono a pagare il prezzo quantunque 
irrisorio della estensione occupata" . 

Probabilmente proprio a seguito di tale intricata vicenda legale, il castello di 
Bivona finì per essere invischiato in quella specie di oblio collettivo che coinvolse 
tutta l'area demaniale ed in cui, una sorta di silenzio-assenso sulla ridistribuzione 
delle aree demaniali, permise a molti di leggittimare un possesso territoriale 
altrimenti non facilmente dimostrabile. 

Ancora oggi pochi calabresi conoscono l'esistenza del castello di Bivona, e tra 
questi la maggioranza non è certo costituita dagli abitanti dell'attuale comune di 
Vibo Valentia. 

I suoi ruderi oggi appaiono privi di senso e di storia, distanti come sono dagli stili 
vita a noi contemporanei, eppure non si sono sottratti a quell'alone di leggenda che 
avvolge ogni castello diruto. Ancora oggi gli anziani contadini del luogo si dicono 
certi dell'esistenza di una galleria sotterranea che unisce il castello a quello di Vibo 
Valentia, nella quale, quasi a metà del suo percorso, è custodito un enorme tesoro, 
per la cui ricerca molte persone, dicono, hanno perso la vita. 

Un'antica credenza popolare, riportata dall'antropologo Raffaele Lombardi 
Satriani 291 , prende le mosse proprio dalla legenda dell'esistenza di tale cunicolo, 
scavato nelle viscere della terra su ordine del conte Ruggero, per garantire una 
sicura via di scampo dalle orde saracene, ed in cui lo stesso spirito del conte 
"assassinato, risiede nel luogo della disgrazia, fin dall'età in cui sarebbe vissuto in 
terra", condannato a ripercorrere all'infinito quel tragitto sotterraneo in groppa al 
suo cavallo. 

Si dice che il magico fenomeno si ripete ancora oggi, quando il maltempo, il forte 
vento e la fitta nebbia avvolgono il castello di Vibo Valentia. E' in quel preciso 
istante che dal cunicolo giungono degli strani rumori, che danno la sensazione di 
sentire dei gemiti convulsi, uniti allo scalpitio di un cavallo, che al galoppo inizia 
la corsa che lo condurrà assieme al suo indomito cavaliere, in salvo lungo la via 
della marina. Purtroppo la corsa è destinata tragicamente a concludersi allo sbocco 
del cunicolo, che si apre sulla scogliera di Bivona. L'incantesimo vuole che un 



Lombardi Satriani R., Credenze popolari Calabresi, Fratelli De Simone Editori, Napoli 1951, p. 23. 



139 



violento fascio di luce argenteo, investa il cavaliere normanno, il quale, 
mantenendosi a stento in groppa al suo terrorizzato destriero, è costretto ad 
invertire il suo galoppo, risospinto con forza nel tetro percorso sotterraneo. 
Il magico castigo vuole che tale percorso si ripeta nel tempo, quasi come un mito 
greco, destinato a durare in eterno. 



140 



VII 
LE TORRI COSTIERE. 



Il Castello di Bivona, tra il 1500 ed il 1800, risultava inserito in un complesso 
sistema di difesa dell'intera costa vibonese che basava la sua efficacia militare e 
funzionalità sulla perfetta integrazione con le torri di avvistamento e di 
segnalazione presenti nell'area compresa tra Pizzo e Briatico. 
In proposito è da sottolineare come il confronto sinottico tra le carte geografiche e 
nautiche, redatte tra il 1600 ed il 1792, presenti una frequente sovrapposizione 
toponomastica delle torri costiere vibonesi, creando così più equivoci che certezze 
sulla loro esatta localizzazione. 

Ciò premesso, ed evitando di inoltrarci nelle ragioni di tale confusione 
toponomastica, più che chiarita ormai da altri insigni autori a noi contemporanei 292 , 
è il caso di addentrarci nella "riscoperta" delle nostre torri costiere e della loro 
storia, iniziando il nostro itinerario da quelle poste a sud dell'antica area portuale. 

Nella logistica militare, nonché nel quadro complessivo delle necessità di 
comunicazione visiva e di segnalazione tra le torri poste a guardia delle marine e 
dell'insediamento portuale, ritroviamo posta all'estremo sud la Torre della 
Rocchetta, in grado di raccogliere le segnalazioni provenienti dalla Torre del Porto, 
pure detta di S. Nicola, e di rinviarle alla Torre Imperiale, posta in contrada Cocca 
di Briatico, alla volta della città di Tropea. 

Essa appare per la prima volta segnalata nella carta Stigliola-Cartaro del 1613. 
Avanzando verso nord era posta, secondo fonti del 1589 che la collocano quasi a 
ridosso dell'attuale Punta Scrugli, la Torre di S. Nicola del Porto. Essa scompare 
nella cartografia del Mazzetta 29 ' del 1601, per riapparire nel 1613 in quella dello 
Stigliola-Cartaro con il solo nome di Torre del Porto. 



292 Cfr. in proposito i testi di Valente G., Torri Costiere della Calabria, Ed. Franta, Chiaravalle 
Centrale, 1972 e Faglia G., Tipologia delle torri costiere di difesa costiera di Calabria Citra, di 
Calabria Ultra dal XII secolo, Castella 28-29, U.C., Typos, Lissone, 1984. 

: " Mazzella S., Descrizione del Regno di Napoli, Napoli MDCI. 



141 



Nella relazione del Vicario Generale G. T. Blanch, sceso in Calabria per 
riorganizzare la difesa costiera dopo il tremendo terremoto del 1638, la ritroviamo 
citata come 'Torre de Santo Nicola, appartenente al territorio di Briatico, la quale 
non aveva "padegido del terremoto pero ha de menester tres palmas del muralla 
de gasto de ducados 50" 294 . La denominazione della torre a San Nicola è 
certamente legata al diffuso culto del santo nel territorio di Briatico, culto 
ampiamente documentato in tutti i centri in cui prevalente era l'attività marinara 295 . 
Con quest'ultima denominazione viene anche segnalata nel 1620 e nel 1714 dal De 
Rossi. 

Nel 1707 risulta custodita dal terriero Domenico Crispino, mentre nel 1741 
compare nell'elenco delle torri costiere come "Torre di Santo Nicola", la quale 
risulta "bisognevole di riparazioni" " . 

La torre di guardia viene descritta come "torre di S. Nicola del Porto" 191 nell'atto 
con cui venne acquistata, il 16 luglio del 1723, dalla famiglia Lombardi Satriani. 
Nell'atto, con cui i Lombardi Satriani acquistano anche "l'esercizio di Torriero 
della suddetta torre" viene segnalato un corpo aggiunto alla torre, ad uso di 
"Pagliaro per comodità del Torriero". Tale descrizione si rivela una traccia 
determinante per affermare che l'odierno casino colonico, posto in contrada 
Scrugli-Licciardi, sia in realtà l'antica torre di S. Nicola. 

Del resto la torre viene riprodotta a forma quadrata, con un alzato di due piani, e 
collocata proprio nel piccolo promontorio a ridosso della foce del Torrente Trainiti 
anche nella già citata relazione del 18 Ottobre 1769, redatta dall'Ingegnere Ducale 
Giuseppe Vinci. 



294 Valente G., Difesa costiera e reclutamento soldati in Calabria Ultra ai tempi del vicario Giovan 
Tomaso Blanch, in Atti III Congresso Storico Calabrese, Cosenza 1964, pp. 607-680. 

195 Cfr. in proposito l'esauriente ricerca di Pretto M., Santi e Santità nella pietà popolare in Calabria, 
Editoriale Progetto 2000, Cosenza 1993, voi. II, pp. 362-398. Il santo, secondo la tradizione, visse tra il 
terzo e quarto secolo, al tempo di Costantino che fu imperatore dal 306 al 337. Gli episodi che 
influirono sul radicamento del suo culto nelle diverse marinerie del Mediterraneo furono il miracolo 
dell'approvvigionamento di Myra con navi cariche di grano in tempo di carestia ed il miracoloso 
trasporto delle sue relique, che scamparono ad una violentissima tempesta, nel viaggio navale da Myra a 
Bari. 

Algranati C, Alcuni caratteri della vita lungo le coste del mezzoggiorno nel periodo vicereale, in 
Studi in onore di Riccardo Filangieri, voi. II, pp. 417-431, Napoli 1959 ed ancora Algranati G., Le torri 
marittime in Calabria nel periodo vicereale, in Calabria Nobilissima 33, 1957. 

! " Archivio Lombardi Satriani, San Costantino di Briatico, Atto per la compra della torre di S. Nicola 
del Porto in territorio di Briatico, Monteleone 16 luglio 1723, in Faeta F. e Miraglia M., (a cura di), 
Sguardo e Memoria, Alfonso Lombardi Satriani e la fotografia signorile nella Calabria del primo 
Novecento, Arnoldo Mondadori Editore - De Luca Editore 1988, XVII, frontespizio. 



142 



Nel 1777 viene nuovamente nominata come Torre di S. Nicola del Porto e dal 

1792, con il rilevamento della carta del Rizzi-Zanoni, verrà descritta come Torre di 

S. Nicola. 

Sempre procedendo verso nord incontriamo il Castello di Bivona e 

successivamente la Torre di S. Pietro o S. Pietro di Bivona. 

Questa torre venne costruita nel 1564, assieme alla torre gemella di Santa Vennera, 

dal mastro monteleonese Giacomo Pitoya che si aggiudicò al quinto incanto 

l'appalto della costruzione delle due torri, per un importo complessivo di 450 

ducati. 

Le due torri, commissionate con strutture troncoconiche, furono costruite in grado 

di ospitare "U archibuscieri, et bombardieri in li lochi necessari/'. Inoltre viene 

prescritto che in esse si "habbiano da fare le lamie dappiè, et buone ad resistitio 

d'artiglieria che correrà p(er) sopra d'essi et incosciarle tutti massicci talché se 

troverà la pianeza giusta le cima d'esse lamie; et alla cima di d(Qt)te torri 

habbiano de fare li merli con li archibuscieri, et bombardieri". 

Esse dovevano essere costruite "in loco d(e,t)to La Cala di le Sciabiche et 
un'altra in loco d(et)to S.ta Vennera... et farse conforme aU'or(dì)ne et modello 
mandato dall' IlLmo s. Viceré di q(ue)sta p(rovin)tia" , assicurando che "p(er) tre 
anni che d(et)te torres nò faccino lesione alcuna" 



298 ASVV, Notaio Baccari Martino di Monteleone, sched. IV, lib.67, f.69 - 30 aprile 1564. Del 
documento ne riportiamo integralmente alcuni stralci: " Die ultimo aprilis indi 1564 in C(ivi)ta 
Mont(eleo)nis const(ìtui)ti in mi pr(ese)ntia M(agnifi)cis Joe T(on\dSc\\\)ello V. I. D. et nob(ilissi)mo 
Marco de N ecastro sin(da)cos in anno p(redet)to eius aem c(ivi)te mont(eleo)nis agentibj et Inter. lo ad 
intra omnia sin.rio nde et parte di mo.nis et eadem by.tr et nominibus ipsia er quibj et uno quog, ipson. 
et nd.rio indetto promiserit omnii futuro tempore derato et vatihabitione in f or. a parte ec unalt.mo 
Jacobo pitoya de c(ivit)ate mont(eleo)nis... provisiona de construedis turritos et munimire et presidio 
lictorri In licitatione posuitte constutione duane turrium in lictore p.to trs. mont.nis nuncupato de. sta 
nemerata bricandarii com infra inserendi cuplis decentibus q. plurimi sub hastatronibi in platea pub.ca 
d.te tres. justamorì solitu factys candela accensa et extinta .. in la età di mont.nis fanno ibannire la 
fabrica dili duoi torre se siano da fare in loco d.to La Cala di le Sciabiche et un'altra in loco d.to S.ta 
Vennera dove dalVAffmo S. Duca è suo gub.re sarà ot.to et farse conforme all'or. ne et modello 
mandato dalVIU.mo s. Viceré di q.sta p.tia: Co l'intri pacti et condetionibi Imp.s essi m.mi sind.ci 
bandiscono et fanno bandir et dare a staglio la fabrica di d.cti duoi torres di farsi pr. d.to loco et 
conforme alla d.ta pre.ne venuta et s.do lo modello et far. a et s'ing.lla se contene et d.ti m.mi sid.i 
declarano che no volino mettere cosa alcuna al construere d'essa fabrica eccetto la somma di denari 
nella quale coq.llo misa la piglierà se converranno nell'incanto quale somma di denari p mettino essi 
m.ci sib.ci pagamo in tre terzi q-li: la p.a paga al fare di la cautela; la s. da fatta sarà la fabrica otto 
palmi sopra la t.ra; la tr.za et ulta paga fatta sarà la fabrica altri vinti palmi sopra t.ra I.te essi m.ci 
sin.ci volino che q.lli piglieranno d.ta fabrica s'obligino compli.rla p. tutto lo mese d'ottobre primo 
futuro veni volino esso m.ci sind.ci p tutto lo mese di giugno p.o futuro sia alzata la fabrica vintiquatro 
palmi sopra la t.ra: sic che li p.ti muri piglieranno d.tti torri e s'habbiano àfare d.ta fabrica buona et 
p.fecta et q.lla fundarla et appe dametarla sopra il forte à gìudicio d'esperti et ch'abbiano de fare 
V archibuscieri, et bombardieri in li lochi necessari] et dove si scranno designati habbiano da fare le 
lamie dappiè, et buone ad resistitio d'artiglieria che correrà p. sopra d'essi et incosciarle tutti massicci 
talché se troverà la pianeza giusta le cima d'esse lamie; et alla cima di d.te torri habbiano de fare 
limerli con li archibuscieri, et bombardieri utr.a detti; et fare la gettatore sopra de la porta d'essa torre 



143 



Alla stipula del contratto d'appalto fu concordato che le torri dovevano essere 
costruite entro l'ottobre del 1564 mentre il pagamento sarebbe stato versato al 
mastro costruttore in tre rate: la prima rata alla firma del contratto, la seconda 
quando la. fabrica avrebbe raggiunto gli otto palmi sopra terra, e la terza ed ultima 
rata corrisposta ad un alzato di venti palmi. 

Anche nella descrizione risalente al 1576 la torre di S. Pietro viene collocata nella 
Cala Sciabecchi toponimo questo che, seppur scomparso nelle cartografie 
successive, rivela come lo specchio di mare antistante ad essa sia stato in passato 
utilizzato per l'approdo o il ricovero di un tipo ben preciso di imbarcazione navale, 
detta appunto sciabecco. 

In quella data risulta custodita dal torriero Casulla Giovan Antonio, a cui 
successero nell'incarico i torrieri Antonio D'Avila nel 1589, Francesco Varone 
1598, Francesco Barono nel 1608, Vasone Francesco 300 nel 1618 e, ultimo 
torrierio di cui si ha notizia, Michelangelo Marturano 301 nel 1707. 
Sempre secondo la relazione Blanch del 1638 "/a Torre de Santo Pedro, territorio 
de Montileon, desache en parte muestra major dano que por acomodarla ha de 



con duoi ò tre cagnolì se lo sarà il bisogno, co lo suo architravo, et pettorato si sopra et sopra di Vuna 
et l'altra lamia s'habbia di fare Vastraco atto et buono et che d.ti muri habbiano di dare idonea et 
sufficiente p.ggeria di far d.te torre et assicurarli p. tr anni che d.te torres nò faccino lesione alcuna, et 
assicurare tutta la somma del dinaro piglierà in tutte d.te trefande che li p.ggi siano di latra di mont.ne 
et nd. sugrestieri figli s'abbiano d'obbligare p. prio privato pri.nti noe et pres-dichi co d.ti niu 
c'habbiano di fare di modo eie la d.tafabrica s'habbiano di fare al tempo determinato utr.a et li denari 
se li consegneranno stiano securi inbenef.o di d.ta imp.sa. secondino essi m.ci sind.ci che li possiano 
mettere uno soprastante aperto sopra dieta f ab rica con consenso Inter.to et voluntà del quale li mastri 
piglieranno d.ta fabrica habbiano di fabricare et operare et nò altri m.tri et che la calce se la 
fabricherà in d.ta torre habbiano di fare competentimente spassa et impastata co buona arena se lo 
p.zzo in beneficio d'essa vin.ta darli a q.lli le quinto intato et d.to quinto incanto realmente incontinente 
et q.llino p.trano incantare ne possano calare manco di cinq.ta ducati p. guadagnare lo q.nto incanto: 
Inte se declara che la grosseza de la torre è quarantaduoi palmi al pedamento de li quali ini 'alteza di 
vintiduoi palmi sindep.dino dieci p. scarpa et essi m.ci sin.ci volino per pacto expresso da li m.stri et no 
resterà d.tafabrica. in casti che la fabrica di d.ti torri diminuisse dal modello d.to nt.a che s'habbia da 
scomputare perrata parte et così se la crescerà perrata parte q.i che d.te torri se facessero più grossi 
del modello dis. Ill.mo S.a viceré declarando che d.ta fabrica s'habbia di fare bene rimbuccata et 
increspata et inda la piana et che nò habbiano di lasciare anditi ne buscia alcuno, ma che siano tutti 
integramente stuppati ". 

299 SCIABECCO: Arab. SCIABAK. Bastimento da carico con grosso scafo con una portata massima di 

300 tonnellate. Con tre alberi verticali leggermente inclinati a prua, quelli di trinchetto o di maestra a 
calcese con vele latine, quello di mezzana a randa o a calcese. 

J °° Cisternino R., Torri costiere e torrieri del Regno di Napoli (1521-186), Castella 15, Istitituto Italiano 
dei Castelli, Typos Lissone 1978. 

J ° ! Valente G., Torri Costiere della Calabria, Ed. Frama, Chiaravalle Centrale, 1972. 



144 



menestar de ducados 60" 302 , risultando altresì bisognevole di riparazioni 303 anche 

nel 1741. 

E' il testamento di Torquato D'amico, dell'agosto del 1742 che fornisce ulteriori 

notizie sulla torre, nel quale il D'amico risulta proprietario di una "vigna con terre 

scapule e torre dentro, nella pertinenza di Bivona in luogo detto T ornar chiello" 

dall'estensione di circa quindici turno late e che "limita lo Magazzino del Sale, li 

beni del Cav. A. Deluca e via pubblica"' . Con tale atto, sia la torre che la vigna 

vengono date in eredità ai fratelli Francesco, Paolo e Fabrizio Mercadante di 

Monteleone. 

Nel 1777 viene descritta come "custodita dagli invalidi e meritevole di 

restauro"™'" , restauro che deve essere stato certamente effettuato se, ancora nel 

1950, la torre risultava in perfetto buono stato e ben visibile in tutto il suo alzato. 

Attualmente risulta inglobata in una moderna abitazione che ha ripreso, nei corpi 

aggiunti, la merlatura dei suoi antichi spalti. 

La stravolgente ristrutturazione a fini abitativi, ne ha però completamente occultato 

le caratteristiche costruttive originarie. 

Procedendo ancora verso nord, troviamo la Torre di Praja, segnalata per la prima 

volta nella cartografia Stigliola-Cartaro del 1613, riportata come Torre Prataja 

successivamente anche dal De Rossi nel 1714. Dai confronti con le cartografie 

successive e dalle attuali ricognizioni sul territorio è possibile oggi ipotizzare che 

tale torre corrisponda con quella denominata Torre di Maio. 

V'è da dire, a giustificazione di tale disguido, che nessuna ricognizione precedente 

a questa ricerca, aveva individuato la torre, e questo perchè, fino al 1980, risultava 

inglobata nella struttura di una casa colonica costruita proprio nell'ex fondo 

Marzano, ragion per cui, nel momento della sua scoperta la si credette appunto 

Torre Marzano, ma ulteriori documenti permettono di scartare definitivamente tale 

ipotesi. 

L'abbattimento della casa, per la costruzione di nuovi alloggi dello IACP, ha 

messo in luce la base e parte dell'alzato della torre, ad impianto circolare, per come 

descritta nel 1820. Notevolmente danneggiata dal terremoto del 1638 secondo 



Valente C, Difesa costiera e reclutamento soldati in Calabria Ultra ai tempi del vicario Giovati 
Tomaso Blanch, op.cit. 

"'Valente G., Torri Costiere della Calabria, op.cit. p. 54. 

504 ASVV, Notaio Lo Schiavo Nicola, Monteleone agosto 1742, e. 1526, voi. CXXIV. 

Faglia G., Tipologia delle torri costiere di difesa costiera di Calabria Citra, di Calabria Ultra dal 
XII secolo, op. cit. p. 341. 



145 



l'elenco Blanch 306 , nel 1707 risulta custodita dal torriero il caporale Andrea 
Rubino o Rubilo 307 . 

Lo schieramento difensivo dell'area costiera vibonese era completato dalla Torre 
Marzano e da quella di Santa Vennera. 

Oggi è possibile localizzare esattamente la Torre Marzano grazie alla trascrizione 
settecentesca della Plateia dei possedimenti del Duca di Monteleone, in cui una 
non meglio nominata torre risulta compresa nel fondo detto Le Muraglie, 
attualmente appartenente alla famiglia Russo, ma allora posseduto dalla familgia 
Marzano, per un'estensione di "tumulate Quaranta in circa, e per quante della 
suddetta Misura Napolitana, tutte terre di cenzo, alborate con alberi fruttiferi, 
vigne, celsi neri e bianchi, olive, bosco e terre aratorie (...). Dentro detto giardino 
vi è una Torre con la scala di Pietra fuori di essa, col suo Ponte levaturo. 
Consiste in tre Bassi Grandi, sopra de quali vi sono dodece camere ripartite, ed 
altrettanti nello quarto superiore. Al lato di detta Torre vi si trova una piccola 
chiesa, sotto il titolo di Santo Francesco Saverio; qual Torre e Chiesa furono 
fabricati a proprie spese dal Rev.° Don Domenico Marzano" 
Come si denota da tale descrizione la torre doveva necessariamente avere una 
struttura ben maggiore di quella scoperta recentemente nella costruzione delle case 
IACP che, al contrario risulta con un alzato in grado di contenere una o al massimo 
due camere. 

Un'ulteriore perlustrazione del territorio costiero ha permesso la sua definitiva 
localizzazione sul primo terrazzo collinare di Vibo Marina, quasi sopra il campo 
sportivo, nel luogo ancor oggi nominato Le Muraglie. Anch'essa risulta 
completamente obliterata da una construzione ristrutturata intorno agli anni 80. 
Il fondo detto Muraglie appartenne in passato alla famiglia Marzano, e proprio dal 
testamento olografo del nobile Don Fabrizio Marzano datato il 3 maggio 1839, e 
riportato da successivi atti notarili 309 , ricaviamo la preziosa informazione che una 
porzione "dì esso fondo è denominato la Torretta sullo Scoglio", certamente perché 



30 Valente C, Difesa costiera e reclutamento soldati in Calabria Ultra ai tempi del vicario Giovan 
Tomaso Blanch, in Atti III Congresso Storico Calabrese, Cosenza 1964. 

"'Valente G., Torri Costiere della Calabria, op.cit. p. 54. 

ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 34, f.lo 2, n.3, Platea dei Privileggi, Beni e Censi della Ducal 
Corte dì Monteleone, 18 Dicembre 1704, riportiamo specificatamente i beni feudali della fascia 
costiera. 

" , Si ringrazia per la disponibilità e la cortesia la famiglia Russo di Vibo Marina, attuali proprietari del 
fondo Muraglie, che ci hanno concesso di visionare gli originali degli atti notarili da loro conservati, e 
che redatti, dai Notai Pietro Salamò (30 ottobre 1841) e Ottona Francesco Saverio (31 ottobre 1865), 
ripercorrono in premessa parte della storia ereditaria del Fondo suddetto, nonché dei beni in esso 
contenuti. 



146 



in esso, posto com'era sul primo terrazzamento della collina della marina di S. 
Venere, e di natura prevalentemente rocciosa, era posta la Torre Marzano, descritta 
nell'atto come un "casinetto di diverse stanze e ampio basso sottoposto per uso di 
stalla, che trovasi orafittato a Santo Marcellino di Longobardi, il cui affitto dura e 
si estende fino a 17 ottobre del venturo anno 1866". 

Oggi poco resta della torre, interamente inglobata in una costruzione di fine 
ottocento. Nei recenti i lavori di restauro, sono stati rinvenuti, sotto il suo piano di 
calpestio, i primi gradini dell'ampia scala che conduceva all'ingresso principale 
dell'antica Torre, poi interrati per la funzionalità del restauro. 

La torre di Santa Vennero o Santa Venere, gemella della Torre di S.Pietro 
di Bivona, venne costruita, secondo quanto descritto dal contratto del 1564, dal 
mastro monteleonese Giacomo Pitoya 310 . 

Da un successivo documento del 1576 rileviamo la notizia che la torre era 
custodita in quell'anno dal torriero Michele Valilonga' 11 . 

Nel 1598, all'epoca un cui era custodita dal torriero Martino Roscio 312 , era ancora 
nominata come Torre di Santa Vennera. 

Negli anni successivi viene inserita nella cartografia del Mazzella (1601) come 
Torre di Santa Venera ed in quella dello Stigliola-Cartaro (1613) come Torre S. 
Vergine. 

Dal 1639 ritorna ad essere segnalata come Torre di Santa Venere, e nell'elenco 
Blanch' 1 ' viene segnalata bisognevole di riparazioni, con tale descrizione: "la 
Torre de Santa Venere tiene desecha la ombra muerta y el cornecion y la camera 
del Torrero, que por accomodarlo ha de menester de ducados 60". 
Ulteriori informazioni sulla torre di S. Venere le traiamo da un inedito atto notarile 
rogato a Pizzo il 3 gennaio 1695, in cui viene descritto il rituale di consegna della 
torre al nuovo torriero 314 . 



310 vedi nota 141. 

511 Cisternino R., Torri costiere e torrieri del Regno di Napoli (1521-186), op.cit. 

3I! Ibidem. 

Valente G., Difesa costiera e reclutamento soldati in Calabria Ultra ai tempi del vicario Giovan 
Tomaso Blanch, op.cit. 

514 ASVV, Notaio Satriano Didaco (Pizzo 1690-1739), lib. LXXXIV, corda 285, f. 44, del 03.01.1695: 
"Die tenia m(en)si Jannary Mill(esi)mo Sexce(esi)mo Nonag(esi)mo Quinto: Ind(itio)ne tertia 
Reg(nan)te. Nella Torre di Santa Vennera territ(ori)o di Longobardi distretto della Città di 
Mont(eleo)ne, et coram omnis V.S. di. re Fran(ces)co Antonio Antonucci et Leoluca de Franza, sindici 
p(rede)tta civ(ita)tis, et in n(ost)ra pres(en)tia personalmente const(itui)tus Fabium de Ascoli civiti Piti] 
prò sei persona publica dixit, et exposuit officiali seu caporalis eiusdem Turris d(ett)a de Santa 
Vennera per obitum q(uan)to Stefanis Scannato ultimi eiusdem Turris dum vixit possessori vacavit, et 
vacet, et de exc.mo anno ViceReg(ent)e et Cap.nes G.nti huiris Reg.ns providere obtimut prò vitim liei 
seu patente nobis exibuit et d(et)ti M(agnifi)ci Sindici prentibus et qua propter d.o Fabium d'Ascoli se 



147 



Quel giorno, "nella Torre di Santa Vennera territ(ox\)o di Longobardi distretto 

della Città di Mont(e\eo)ne" i sindaci monteleonesi "Fran(ces)co Antonio 

Antonucci et Leoluca de Franza", accompagnati dal notaio Didaco Satriano ed altri 

otto testimoni, consegnarono la "turris detta de Santa Vennera cum omnibus 

juribus et pertinentijs" al caporale Fabium d'Ascoli di Pizzo, che subentrava al 

deceduto terriero Stefanis Scannato. 

La numerosa delegazione, entrata nella torre, fece prestare giuramento al nuovo 

terriero che, affacciatosi dalla torre, suonò più volte il suo corno "in signu reali 

adepte possessioni" . 

Sempre con la denominazione di Torre di Santa Venere compare nel già citato 

elenco delle torri del 1696 ed ancora viene segnalata nella cartografia del De Rossi 

del 1714. 

Anch'essa, come già la torre di S. Pietro di Bivona, viene segnalata nel 1777 come 

"custodita dagli invalidi"^ 5 e meritevole di riparazioni. Compare ancora nella 

cartografia del Rizzi-Zanoni del 1792, con forma quadrangolare, e nell'elenco delle 

torri del 1820. 

Oggi della Torre di Santa Venere non è stata trovata traccia alcuna, ma è possibile 

ipotizzare che la sua ubicazione coincida con l'area oggi meglio nota come 

contrada S. Venere, posta nella strada d'accesso all'attuale Vibo Marina, e che 

anch'essa, come la torre Maio e la torre Marzano, sia stata in passato interamente 

inglobata in una successiva costruzione abitativa. 

Proprio in tale area vengono collocati i ruderi di una non meglio specificata Casina 

S. Venere dai membri della Commissione Regia incaricata alla redazione del 

progetto del porto di S. Venere, i quali però segnalano come Torre S. Venere 

l'unica costruzione con caratteristiche a torre da loro notata, quella che in realtà 

risulta oggi essere la Torre Marzano. 



in et ad corporale reale et actuale posessore eiusdem Turris detta de Santa Vennera cum omibus 
juribus et pertinentijs et per d(et)ti M(agnifi)ci Sindici recipi eso ad mieta sibiq. deillis fructibus, 
redditibus, proventionibus, iuribus obventionibus et disoribuzionibus universis et singulis integre 
responderi instante postulavit, quibus quidem lirisin setta turre lectis et intellectis, d(et)ti M(agnifi)ci 
Sindici eiusdem Fabium d'Ascoli personalmente in et ad dieta turrem corporales realem et actuales 
possessore cum omibus iuribus et perinentibus suis vigente dictar. Regiar liteani expeditan Neapolis 
subdie decima sexta Novembris anti prossimi pretenzioni et exequtoriatori in Regi (...) prefati 
M(agnifi)ci Sindici receperunt prefatum Fabium De Ascoli, et a d(ett)o turre induxerun et in signu reali 
adepte possessioni huiusmandi aperuit danuam detta turris intrando et exeundo cornu sonandi et alias 
/adendo in signu possessioni predetti et capora.ro prestiti juramento. (...)Trestimoni: Fran(ces)co 
Barone, Dom(eni)co Satriano, Carolo Pompò Seniore e Carolo Pompò Juniore, Jacobo Rizzuto, 
Thomaso Griffo. 

315 Algranati G., he torri marittime in Calabria nel periodo vicereale, op.cit. E' possibile ipotizzare, 
vista la ripetuta presenza di "invalidi", che con tale termine s'intedessero indicare non tanto delle 
persone ammalate o ferite, quanto degli non abilitati alla mansione di torriero, che lo sostituivano in 
attesa della sua nomina. 



148 



E' inoltre da segnalare che le testimonianze degli anziani del posto, collocano 
proprio in contrada S. Venere, nei primi anni del '900, i resti di una struttura, 
costruita con mura poderose, poi distrutta per l'edificazione di moderno palazzo 
civile 316 . 

Ricostruendo dunque lo schieramento difensivo messo in atto nel 1613, a tutela 
dell'area costiera vibonese, vi troviamo collocate ben sei strutture militari 
raggruppate in pochissimi chilometri, che erano, sempre procedendo da sud verso 
nord, la Torre della Rocchetta, la Torre del Porto, il Castello di Bivona, la Torre di 
S.Pietro di Bivona, la Torre di Praja (o di Maio), la Torre Marzano e la Torre S. 
Vergine (o di S. Venere). 

Tale tipo di insediamento militare, riconvertito successivamente ad uso abitativo, 
venne addirittura sottolineato nella relazione della visita pastorale alla parrocchia 
di S. Pietro di Bivona, effettuata nel 1725, in cui si precisa che "il Numero 
dell'Anime di g(uest)a Parochia è di soli 150 in c(irc)a consistendo la 
maggiorparte in Torri, essendo piccolissim il Casale" 

Come ben si potrà notare questo schieramento, che non ha eguale lungo la costa 
tirrenica e che giustifica tutte le confusioni createsi in questi anni sulla loro 
localizzazione e sui loro nomi, può spiegarsi solo con la grande valenza economica 
acquisita dall'area costiera vibonese dal XIV al XVII secolo, epoca che non a caso 
coincide con il periodo di maggior sfruttamento dello scalo marittimo di Vibona- 
Bivona, allor quando il porto rappresentò una delle tappe obbligate del commercio 
calabrese con i maggiori porti del Mediterraneo. 



316 La costruzione aveva ancora visibile una base costruita con muri di circa due metri di spessore ed il 
suo ingresso era unito ad una scala ad arco. Nei suoi dintorni vennero spesso trovati tessere di mosaico e 
lucerne. Più spesso gli anziani chiamavano la struttura "fornace", per via della vicinanza di una miniera 
di calce, e per il suo interno che sembrava essere la volta di una grande fornace. Oggi al suo posto è 
palazzo Aiello, posto di fronte al distrubutore di benzina Esso. A poca distanza dal palazzo, fino agli 
anni '50, era posta la fontana detta di S. Venere. 

! " ADM„ Archivio Collegiale Greco, Visite 1725, n.75, p. 90. 



149 



Vili 

DAL FEUDO DI SANTA VENNERA 
AL PORTO DI S.VENERE 



E' forse il caso di iniziare la storia del feudo di Santa Venere, l'odierna città di 
Vibo Marina, con le parole del famoso archeologo francese Lenormant, che visitò 
l'area costiera proprio durante la costruzione del nuovo porto, perché 
rappresentano fino ad oggi l'unico approccio storico-etimologico, alla storia centro 
urbano costiero: "Questo punto si chiama porto di S. Venere per una antica statua 
in marmo assai mutilata, che è lì da tempo immemorabile, e che fu posta al 
disopra di una piccola fontana. I contadini le rendono un culto sotto il nome di 
Santa Venere. E' probabilmente santa Paraskevì, la martire di Locri nei tempi 
della persecuzione di Diocleziano, venerata soprattutto dalla chiesa greca sotto 
questo nome" . 

L'archeologo riceve informazioni dagli abitanti del posto, che collocano la statua 
come ornamento di una fontana posta, al bivio Monteleone - Pizzo - S. Venere, lì, 
da tempo immemorabile, riconoscendola immediatamente come copia della 
"Arianna addormentata nell'isola di Nasso, uno dei soggetti che la scultura antica 
più si compiacque di trattare". 



318 F. Lenormant, Op. cit, " Ella era così chiamata, dicono, perché nata il venerdì, come santa Cyrìaca 
o Kiriakì, la martire di Tropea nell'epoca della stessa persecuzione, perché nata di domenica. In 
qualche liturgia latina della Calabria, il nome di Paraskevì è tradotto per Venera; in un diploma del 
gran conte Ruggero, il villaggio dì Paravatì, alle porte di Mileto è detto Terra Parasceves, in est Sancte 
Venere. Ma a cagione dell'assonanza del nome, che vi si prestava facilmente è l'antica Venere che è 
stata conservata dalla superstizione popolare sotto la veste di S. Venere nel culto dei contadini nei 
dintorni di Monteleone. E' in effetti, per le malattìe delle donne che s'invoca la sua intercessione. (...) 
Quanto alla statua, cui si dà, nei dintorni di Monteleone, il nome dì Santa Venere, essa raffigura in 
realtà Arianna addormentata nell'isola di Nasso, uno dei soggetti che la scultura antica più si 
compiacque di trattare". 



150 



Non sono però affatto chiari i modi ed i tempi del suo ritrovamento. Essa viene 
elencata tra i rinvenimenti effettuati qualche anno prima della visita del Lenormant, 
durante i primi lavori del tronco ferroviario Porto S. Venere-Pizzo, iniziati nel 
1870, nella stessa zona in cui vennero recuperate altre due pregievoli statue, 
raffiguranti una copia dell'Artemide di Dresda ed un ritratto femminile, di età 
Claudia, in basalto nero, ritrovamenti risalenti al 1894. Difatti però solo queste 
ultime risultano ufficialmente consegnate ai responsabili governativi, mentre la 
statuetta dell'Arianna dormiente, inspiegabilmente, la ritroviamo inglobata nella 
fontana. 

"Una vaschetta con una statuetta da cui linfe zampillano" , viene però 
segnalata nella relazione preliminare sulla costruzione del porto di S. Venere 
redatta nel 1834, e cioè risalente a quasi quaranta anni prima dell'inizio dei lavori 
ferroviari. Ciò rende ipotizzabile il suo inserimento nella lista dei rinvenimenti 
effettuati durante quei lavori, esclusivamente per documentarne il valore 
archeologico, mentre in realtà la statuetta non venne mai spostata da quella 
fontana, così come testimoniato al Lenormant dagli abitanti del luogo. 
La statuetta, databile tra la seconda metà del II ed il III secolo d.C. 320 raffigura una 
ninfa addormentata su un rilievo roccioso, coperto dal suo manto. La scultura 
risulta essere una riproduzione romana di un tipo ellenistico e che sia un opera 
tarda è confermato dall' utilizzo del trapano nella lavorazione del marmo. 

Certamente in quella statuetta di marmo è stato emblemanticamente 
riassunto dalla tradizione popolare, quel percorso storico-religioso, iniziatosi con 
un uso cultuale pagano dell'area costiera ed a cui si sarebbe poi sovrapposto, 
probabilmente tra il XI ed il XV secolo, il culto alla martire cristiana Santa Venera 
o Parasceve. 

Il primo percorso ipotizzato parte dalla presenza del vicino porto romano 
di Vibona, ed in cui, durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo, era stanziata 
metà della flotta navale di Cesare. 

L'episodio che rese famosa la guarnigione romana, costituita essenzialmente da 
veterani cesariani, è legato alla battaglia svoltasi dinanzi al porto vibonese, tra le 
due flotte navali. In quella circostanza, dimostrando un'orgogliosa fedeltà 



Cervati Domentico, Relazione per ridurre l'ancoraggio di S. Venere presso la città del Pizzo in 
ampio e sicuro porto, 1834. 

™ La statuetta, recuperata alla visione pubblica grazie all'impegno della Pro Loco di Vibo Marina, è 
posta in una piccola area verde della cittadina, mentre fino al 1946 era visibile sulla stessa fontana 
ammirata dal Lenormant. Essa raffigura una donna, acefala, distesa sul fianco destro. Dai resti del collo 
la testa doveva essere come reclinata sulla spalla destra. Il braccio destro poggiava col gomito sul rialzo 
roccioso, mentre il sinistro, ora perduto, era piegato sul petto e la mano posava sulla spalla destra. Il 
manto avvolgeva i fianchi e le gambe; la gamba sinistra, in parte perduta, era leggermente flessa. E' 
probabile che la sistemazione su una fontana riprendesse la sua funzione originaria, vista la modesta 
qualità, destinata appunto ad un giardino, come prova tutta una numerosa serie di esemplari simili, 
alcuni dei quali mostrano anche i resti di fistule per zampilli d'acqua. 



151 



all'imperatore, i soldati della flotta riuscirono ad invertire le sorti di una attacco 
navale a sorpresa che stava per divenire l'ennesima sconfitta del navale di Cesare. 
La maggiore audacia dimostrata dai veterani vibonesi, anche rispetto al resto della 
flotta cesariana stanziata nel porto di Messina, ebbe il merito di contribuire, in 
maniera significativa, alla riconquista del predominio marittimo sul Tirreno del 
navale di Cesare, tanto da legare strettamente le sorti di questo territorio, del 
municipio e del suo porto, a quella del futuro imperatore romano. 

L'imperatore 321 , che si era sempre dichiarato pubblicamente quale diretto 
discendente della dea Venere, secondo quanto tramanda Appiano , doveva l'esito 
positivo della guerra contro Pompeo proprio alla protezione di quella dea, a cui 
offrì un sacrificio nel cuore della notte, prima della battaglia decisiva contro 
Pompeo, pronunciando il voto d'innalzare in Roma in caso di vittoria, un nuovo 
tempio: a quelle parole un'improvvisa lingua di fuoco che nasce 
dall'accampamento va a spegnersi nelle postazioni di Pompeo e Cesare riconosce 
in ciò la protezione della dea. 

Il mattino del 9 agosto 48 Cesare lancia le sue truppe contro Pompeo al grido di 
"Venus Victrix!" . 

La fedeltà e devozione dei vibonesi, che valse al municipio romano l'istituzione di 
un proprio Pontefice Massimo, potrebbe aver spinto la comunità locale ad 
includere tra i suoi culti, nell'area costiera occupata dai veterani, quello di Venere 
L'ipotesi è forse priva di precisi riscontri archeologici ma in qualche modo la 
comunità dei veterani stanziati a Vibona, potrebbe aver voluto dimostrare la 
propria fedeltà all'Imperatore, con un emblematico gesto di "venerazione", 
istituendone il culto, magari nell'esistente Tempio di Persefone e Proserpina. 

Il secondo percorso prende le mosse dal culto greco-cristiano di Santa 
Parasceve, la vergine santa e martire venerata, soprattutto nell'Italia Meridionale, 
con i nomi di S. Venera, Veneria o Veneranda. 

Il suo culto è stato di grande popolarità in epoca medievale e risulta 
oggetto non meno quindici passiones ed un Elogio, riportati nei manoscritti redatti 
tra il XI e XVI secolo, anche se pochi di questi testi sono stati pubblicati. Santa 
Venere sarebbe stata martirizzata nel II sec. d. C. e maggiori particolari sulla sua 
storia li ricaviamo dall'Elogio '"scritto da Giorgio Acropolita nel sec. XIV. 



" Cesare aveva sempre dichiarato che Venere era una sua antenata e tale parentela era accettata da tutti. 
In proposito cfr. Schilling R., Romulus l'élu et Rémus le réprouvé, REL. 38, 1960, pp. 301-316. 

'"Appiano, B.C., 2, 68. 

!!! Codice Ambrosiano P 210, in AA.VV., Bibliotheca Sanctorum, Ist. Giovanni XXIII della Pontificia 
Università Lateranense, Voi. X, par. 328/331- Città Nuova Ed., Roma 1982. Sarebbe stata martirizzata 
sotto Antonino Pio verso il 160 d. C. 



152 



Nata a Roma, o a Locri 324 , all'epoca dell'imperatore Adriano da ricchi genitori 
cristiani, che avevano ottenuto con le loro preghiere la sua nascita dopo 35 anni di 
matrimonio. Alla loro morte Parasceve vendette tutti i beni che aveva ereditati e 
distribuì il ricavato ai poveri; poi si ritirò in preghiera finché non cominciò a 
predicare pubblicamente la dottrina cristiana. La predicazione della dottrina da 
parte di una donna, contraria a quanto impartito dalla religione ufficiale, provocò 
l'ira dei giudei che la denunciarono all'imperatore Antonino Pio. 
Da questo momento iniziano le vicende miracolose che segnarono la breve vita 
della santa. L'imperatore, per punirla, fece riscaldare sulla fiamma, fino a renderlo 
incandescente, una specie di elmo metallico che i carnefici le posero sul capo, 
senza però provocarle alcun danno. In molti, vedendo questo prodigio si 
convertirono. 

Riportata in prigione, un angelo la libera dalle catene ma, ricondotta 
dall'imperatore, viene appesa per i capelli mentre i carnefici ne tormentano il corpo 
con fiaccole accese, sempre senza provocarle alcun dolore, così viene preparato un 
gran pentolone pieno d'olio e pece bollente in cui viene fatta immergere la santa, 
che rimanendo indenne alla tortura, spruzza del liquido bollente sugli occhi 
dell'imperatore Antonino, che si convertirà al cristianesimo quando la santa lo 
guarirà dalle sue piaghe battezzandolo. 

Successivamente si reca in altre città' 25 per esercitare il suo apostolato, l'ultima 
delle quali governata certo Teresio, che si oppone egualmente alla predicazione del 
Vangelo. Risultando indenne alla tortura immersa nel pentolone bollente, viene 
fatta sdraiare a terra, inchiodata con dei paletti e duramente colpita con flagelli. 
Nella notte le appare Cristo circondato dagli angeli, che la guarisce da tutte le sue 
ferite. Riportata dinanzi a Teresio nel tempio di Apollo, Parasceve dice alla statua 
dell'idolo di non avere più alcun valore e, con grande meraviglia la statua le 
risponde confermando di non essere un dio. A questa visione i sacerdoti del tempio 
chiedono la sua morte, e Teresio la fa decapitare, mentre la santa pronuncia le sue 
preghiere. 



324 Martire D., in La Calabria Sacra e Profana, D. Migliaccio Edit, Cosenza 1876, Rist. Anast. a cura 
della Casa Ed. E.R.A., Roma 1973, voi. I, p. 98 ss., la dice S. Venera di Gerace, Vergine e Martire, nata 
dal matrimonio di un certo Agotone di Locri ed Ippolita, che la chiamarono Parassene o Venere. 
Secondo l'a. se ne conserva la testa nel Monastero di S. Anna delle monache agostiniane di Gerace e 
celebrava quel clero l'ufficio il 28 luglio. 

J!s AA.VV., Bibliotheca Sanctorum, Op.cit, Voi. X, par. 328/331: arrivata nel paese governato da un 
certo Asclepio, che la interroga sulla sua religione rimanenendo turbato dalle sue risposte, la fa condurre 
fuori dalla città in una grotta abitata da un terribile drago. Ella traccia un piccolo segno di croce e la 
bestia ruggendo si squarta in due: a questa vista Asclepio ed altri testimoni si convertono e vengono 
battezzati. La celebrazione della santa figura nei menei moderni il 26 luglio, ma anche l'8 ed il 9 
novembre. 



153 



Le vicende del martirio della santa rendono in parte comprensibili le ragioni 
attraverso le quali, nell'immaginario popolare, anche una statuetta caratterizzata da 
una inusuale nudità, possa essere divenuta la rappresentazione di Santa Venera 
nella tradizione religiosa locale. 

Quella figura di donna, distesa inerme sulla roccia come dopo un supplizio, con i 
fianchi e le gambe avvolte in un manto quasi a coprirne le ferite, resa mutila dal 
tempo delle braccia e della testa, riassume emblematicamente tutti i supplizi patiti 
dalla giovane donna, compresa l'estrema decapitazione. 

E' da aggiungere che l'ubicazione della fontana, sopra la quale era 
collocata la statuetta, a poca distanza dalla chiesetta dedicata al culto di Santa 
Venera, nonché il rinvenimento fortuito del 1953, in località Fontana di Santa 
Venera, di un mosaico d'epoca romana a tessere bianche e nere 326 , testimoniano 
una sorprendente continuità insiediativa e cultuale lungo questo tratto costiero, che 
ben si associa al più antico toponimo Santa Vennero, certamente legato a termini 
quali venera o venerarì , aggettivazioni dell'atto stesso della venerazione * ad 
una dea o ad una santa. 

Sebbene è solo dal periodo dell'acquisizione dello Stato di Monteleone da parte dei 
Pignatelli che è possibile rintracciare fonti attendibili di documentazione, una 
notevole quantità di ritrovamenti archeologici d'epoca romana, segnalati sin dalla 
fine dell' 800 proprio nella contrada oggi detta di Santa Venere, spostano ancor più 
indietro nel tempo la frequentazione e l'organizzazione insediati va del territorio 
costiero. 

E' il 29 novembre del 1889, quando Giovambattista Marzano, all'epoca Ispettore 
agli scavi di Monteleone, comunica la scoperta di un sepolcreto romano durante lo 
scavo dell'area per lavori ferroviari: 



Giornale d'Italia, Edizione della sera, Cronaca della Calabria - 26.5.1953. 

121 A rendere plausibile l'ipotesi che al toponimo Santa Vennera corrisponda spesso l'esistenza di 
un'antica area cultuale, si possono citare gli esempi di Poseidonia e Nasso. In località Santa Venera di 
Poseidonia (Pestum), a poca distanza dalle mura della città greca è stato rinvenuto un santuario 
suburbano, del quale ancora oggi non si conosce la divinità a cui era dedicato, datato alla metà del VI 
sec. a. C, grazie al rinvenimento dell'unica metopa della città di Poseidonia, raffigurante Europa in 
groppa al toro. A Nasso (Naxos), dove i confini della città greca erano segnati dal mare e dal torrente 
Santa Venera, l'area di culto era posta proprio alle foci del torrente, utilizzata come area cultuale dal VI 
secolo a. C. in poi, , con l'ubicazione di primitivi temene che daranno in seguito a luogo a veri e propri 
edifici templari. In proposito cfr. : Cfr. Di Vita A., Urbanistica della Sicilia greca, in AA.VV., I Greci 
in Occidente, a cura di Pugliese Carratelli G., Ed. Bompiani, Milano 1996, p. 390, nonché Rolley C, 
La scultura della Magna Grecia, in AA.VV., I Greci in Occidente, a cura di Pugliese Carratelli G., Ed. 
Bompiani, Milano 1996, p.279. 

!!I In proposito cfr. Dumézil G., La religione romana arcaica, Rizzoli Editore, Milano 1977, pp. 366- 
368, nonché pp. 463-469. 



154 



"Non credo di dover passare sotto silenzio, che pochi giorni fa, in prossimità del 

Porto di Santa Venere, in un taglio di trincea eseguito per i lavori ferroviari, s'è 

scoperto un sepolcreto romano di grossi tegoloni senza bollo; e vicino a questo, 

parte d'un edifizio, sul cui pavimento veggonsi due strisele di rozzo mosaico. 

Mi sono recato sul luogo, ho osservato i rozzi vasi di creta rinvenuti nei sepolcri, 

ed ho pregato l'ingegnere di Sezione Sig. Piccaluga, di mettere a nudo V edifizio 

suddetto e di darmene avviso, per procedere a novella visita. 

Ne ho avuta promessa ed attendo avviso per recarmi nuovamente sul luogo e 

quindi fare la debita relazione a codesto Ministero." 

Probabilmente l'episodio venne preso in scarsa considerazione dall'Ispettore, visto 

l'assenza di informazioni precise sul manufatto e sui successivi lavori di messa a 

nudo dell' edifizio, e questo nonostante dalle autorità governative gli giungessero 

pressanti richieste di dettagliate informazioni. 

Solo diversi anni dopo, ed esattamente il 9 gennaio del 1895 il Marzano inviò un 

sommario elenco dei reperti archeologici rinvenuti durante i lavori ferroviari: 

"Nel tronco Porto S. Venere-Pizzo, nella trincea Decarolis, si sono rinvenuti vari] 

tegoloni senza bollo, appartenenti a sei o sette sepolcri; 12 urceoli di terra cotta, 1 

olla a due manichi id.; 2 lucernette id.; 1 patera id; ed avanzi d'anfore vinarie. 

Tali oggetti trovansi nell'ufficio Governativo delle Ferrovie di Pizzo. 

Nonostante da tale succinta nota non appaiano le statue recuperate in 
quell'occasione, come invece è puntualmente documentato dalla Soprintendenza 
Archeologica, è oggi possibile confermare che l'intero insieme del materiale 
rinvenuto costituisse l'arredo prestigioso di una grande villa di epoca romana. 
E' facile immaginare che l'importanza dei ritrovamenti venne all'epoca 
sottostimata al fine di consentire il rapido completamento della tratta ferroviaria. 
Uno splendido busto femminile, scolpito in basalto nero, che ritrae il viso di una 
donna con grandi occhi di forma allungata e la bocca con labbra sottili, venne 
ritrovato interrato tra due muri di mattoni e privo di base. Per le condizioni del 
rinvenimento, che dimostrando il suo non uso negli ultimi anni d'utilizzo della 
villa permettono di ipotizzare l'applicazione di una sorta di damnatio memoriae 
della donna raffigurata, è stato ipotizzato che il busto rappresentasse Messalina 330 . 



p9 Luschi L., Documenti inediti di scavi a Vibo Valentia tra ottocento e novecento, in Annali, op.cit., 
pp. 505-508. 

!I0 Cfr. G. Pesce, in "Bd'A" 1937 p. 251 ss. Tale interpretazione manca però di riscontri iconografici, la 
pettinatura presenta invece elementi tipici delle pettinature di età Claudia, l'uso di questo tipo di 
materiale per ritratti di prestigio in età Claudia è documentato ad esempio dal ritratto di Germanico 
custodito al British Museum II Pesce che ha pubblicato il ritratto nel 1937, riteneva che la costruzione in 
cui è stato ritrovato il ritratto facesse parte dello stesso complesso in cui nel 1928 fu trovata una replica 
dell' artemide di Dresda; villa che lo stesso autore ipotizza essere quella di Sicca, amico di Cicerone, e 
che nel 1894 avrebbe restituito anche l'arianna dormiente, oltre che resti di un mosaico e crustae di 



155 



L'acconciatura è molto complessa e rivela tutta l'abilità dello scultore: una 
scriminatura divide la capigliatura e lunghe ciocche di capelli riccioluti scendono, 
incorniciando il volto, per poi finire legati sul collo da una piccola treccia avvolta 
in un triplice giro. La coda dei capelli scende coprendo la spalla ed il petto. Il busto 
è tagliato all'altezza del seno, appena coperto da una veste aderente e sottile, con 
uno scollo che forma una piega sinuosa. 

Si tratta di un'opera non comune per la finezza dell'esecuzione, la complessità 
dell'acconciatura, ed il materiale utilizzato, estratto da cave dell'Africa 
settentrionale, probabilmente egizie. 

Il ritratto, prezioso di qualità e fattura, era certamente destinato ad un committente 
di grande possibilità economiche e dotato di notevole cultura, rappresenta 
efficacemente il grado di ricchezza raggiunto dalla villa marittima, e confermata da 
un ulteriore ritrovamento, tra i suoi resti, di una grande statua di donna stante, 
acefala, replica dell'Artemide di Dresda ed attualmente conservata al Museo di 
Reggio Calabria. 

La statua 331 , risalente alla prima metà del I sec. d.C. è priva, oltre che della testa 
anche delle braccia, che probabilmente furono lavorate a parte ed inserite con dei 
perni, vista la presenza di incassi; il braccio sinistro doveva essere accostato al 
corpo, come rivela la presenza di un puntello sul fianco sinistro. La spalla destra è 
sollevata, come pure il seno destro; i muscoli del collo rivelano che la testa era 
volta verso la spalla sinistra, come nella copia di Dresda. La cinghia della faretra, 
attraversando il petto e il chitone con cui la donna è vestita, forma uno sboffo e una 
serie di pieghe sotto il seno sinistro. La statua presenta un incasso al di sopra della 
scapola sinistra, indizio della presenza di una faretra. 

La stessa villa romana, posta tra il mare ed il primo terrazzamento 
collinare, negli anni seguenti non smise di dare notizia di sé, tant'è che tra il 1928 
ed il 1930 presso l'imbocco della galleria ferroviaria tra S. Venere e Pizzo, furono 
rimessi in luce ulteriori ruderi di edifici romani di epoca imperiale e sepolcri di età 
ellenistico-romana 332 . 



marmi colorati. Precise notizie sul rinvenimento e comparazioni stilistiche della statua le offre Faedo L., 
Aspetti della cultura figurativa in età romana, in S. Settis (a cura di), in AA.VV., Storia della Calabria 
Antica, Età italica e romana, Gangemi Editore, 1994, pp. 599-615. 

33I U. Kahrstedt, Die wirtschaftliche Lage Grossgiechenlands in der Kaiserzeit, Istoria Einzelschriften 4, 
Wiesbaden 1960, p. 36. L'autore ritiene che la replica della Artemide di Dresda e il ritratto non siano 
pertinenti allo stesso complesso, ma i dati dell'Archivio della Soprintendenza confermano la notizia 
data dal Pesce. 

" 2 Porto Santa Venere (Catanzaro) Bollettino del Museo dell'Impero, 2 in BCAR, LIX., 1931, 80. 



156 



Il 26 maggio del 1953 è il Giornale d'Italia che riporta la notizia del rinvenimento 
di un mosaico a tessere nere e bianche, in località Fontana di Santa Venere, nella 
proprietà di Scalfaro Antonio 333 . 

Fino a qualche tempo fa si era ritenuto che gli interventi edilizi realizzati 
nella zona, tra gli anni 60 e 70, avessero cancellato ogni traccia dell'edificio, alcuni 
anni fa però, nello spianamento effettuato a seguito di una nuova lottizzazione 
edilizia in contrada S. Venere, proprio a ridosso dei due tracciati ferroviari, è stata 
rinvenuta una necropoli romana. 

Datata tra il II secolo d.C. ed il II secolo d.C, per il numero di sepolture 
ed il povero corredo funerario, si suppone appartenessero agli schiavi di servizio 
alla villa, le cui tracce strutturali risultano ancora ben evidenti a poca distanza 
dalla necropoli, con un pavimento in opus spicatum, che emerge dal taglio del 
terreno effettuato per la trincea ferroviaria delle Calabro Lucane. 

La frequentazione, in epoca romana, anche del tratto costiero oggi noto 
come Santa Venere, con un'importante insediamento caratterizzato 
urbanisticamente come villa marittima, legato alla produzione agricola dei fondi 
rurali, e fors'anche all'attività di pesca 3 ' 4 , unita alla recente segnalazione di un'area 
dedicata alla produzione di anfore e manufatti ceramici 3 ' 5 , permette di disegnare 
quasi per intero il complesso sistema insediativo dell'epoca romana, che ben si 
completava, nello sfruttamento economico del territorio, con la presenza poco più a 
sud dello scalo portuale. 

Purtroppo esiste un grosso vuoto nella documentazione dell'insediamento umano 
lungo l'area costiera di Santa Venera, tant'è che ulteriori notizie si rintracciano 
solo nel periodo compreso tra il 1444 ed il 1459, saltando per intero un notevole 
arco cronologico che va dall'epoca post-romana alla prima metà del '400, seppure 
riferite esclusivamente alla tonnara detta appunto di S. Venere. 

In quegli anni Alfonso d'Aragona, detto il Magnanimo, conferma la 
concessione del palo della tonnara a Zarletto Caracciolo di Napoli 336 . Tale tonnara 
la ritroviamo in ulteriori atti con il toponimo di Tonnara di S. Venere di Briatico 



333 Giornale d'Italia, Edizione della sera, Cronaca della Calabria - 26.5.1953. 

514 Maurizio Paoletti, Occupazione romana e storia delle città, in AA.VV. Storia della Calabria Antica, 
Età Italica e Romana, (a cura di Salvatore Settis), Cangemi editore, 1994, pp. 486-495. 

35 Recentemente, durante la costruzione dello stadio di Vibo Marina, sono stati messi in evidenza, 
dalle operazioni di sbancamento, i resti di una o più fornaci di epoca romana. L'area, compresa nel 
fondo anticamente detto "Muraglie" dove già negli anni 70 venne fortuitamente trovata, durante la 
piantagione di un aranceto, una grande fornace a forma quadrata, con anfore cotte e non cotte, è ora 
oggeto di ulteriori indagini da parte della Spriontendenza Archeologica. 

11 Salvati C, a cura di, Fonti Aragonesi, voi. VI, Frammenti dei registri "Commune Summariae" 
(1444-1459) , doc. n. 199, p. 56. 



157 



posseduta sempre da un'appartenente alla famiglia Caracciolo, Berardo, signore di 
Oppido, nel 1505. In quell'anno, Don Verardi, intendente dei Caracciolo, informa 
il feudatario di essere "molto adiviluto perché è venuto anno che la tonnara non se 
ave allocata ne trovase da locare per la sterilità e la penuria de lo piscare ilio 
ditto anno passato 7 a indizione". 

L'anno successivo l'intendente riuscì a fittarla a metà del presso solito, ma 
la pesca fu così scarsa da non permettere di rientrare nemmeno con le spese "in 
quest'anno 8 " indizione si è venduta once 14 per non se piscare, non similmente 
per lo predo nessuno per li anni da venire" . 

Notizie più precise le rintracciamo a partire dal 1507. In esse viene riportata per la 
prima volta la dizione di Feudo di S. Venera, che risulta acquistato proprio in 
quell'anno dal Principe di Bisignano, con il Regio Assenso di Ferdinando 
d'Aragona. Successivamente il 23 marzo del 1507 venne preso in possesso dal 
Duca di Monteleone. Nonostante l'acquisizione dell'area, il Pignatelli rimane 
vincolato nel suo dominio del feudo costiero a causa di un suo complessivo 
smembramento in aree spettanti ad altri principi, che godevano di diritti 
preesistenti, ciò però non gli impedì di avere in concessione anche il palo della 
tonnara di S. Venere, così come accadde con quello della Tonnara di Bivona, posta 
a sud dello stesso feudo. 

Tali informazioni storiche le traiamo da un'importante memoria 3 ' 8 sul Feudo di S. 
Venera redatta nei primi anni del 700 dall'avvocatura della Corte Ducale di 
Monteleone, e che permette di seguire per lungo periodo la storia amministrativa 
dell'area. 

Il documento così prosegue: "Nel 25 Novembre 1507 il suddetto Sig(no)r Principe 
di Bisignano fece instrumento di vendita del suddetto feudo a Fanello Mormile per 
mano di Notar Angelo Marziano di Napoli, e nel 26 Novembre al suddetto Sig(no)r 
Conte di Monteleone per mano del suddetto Notar Angelo Marziano di Napoli; nel 
1524 à 20 Agosto per mano di Notar Gregorio Ruffo di Napoli si è fatto 
instrumento di affrancazione col Regio assenso per Magn(ifi)co Gian de Gurnara 
al Magn(ifi)co Berardo Capece, Procuratore del Sig(no)r D(o)n Ettore Pignatello, 
di annue docati 200 per capitale di docati 2000 sopra detto fondo. Nell'anno 1547 
per mano di Notar Afonzo Biscia di Napoli, con special privileggio della Maestà di 
Carlo Quinto, ottenne detto Sig(no)r D{o)n Ettore Pignatello la reintegra et 
inventario, nella quale per detto feudo contene, di poter nella Marina di Bivona 
calare la Tonnara, con affittare lo Palo di essa candela accensa plus offerenti, e 
possa detta Tonnara uscire dentro il Mare canne Nouviciento, cioè canni 
cinquecento lo corpo della Tonnara sino a capoarraso, e canni quattrocento lo 



' ASN, Relevi, voi. 376, fase. 3. 
ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Notizie sul Feudo di S. Venere, Se. 54, f.lo 1, n. 6. 



158 



codardo; nell'anno 1562 detto Sig(no)r D(o)n Ettore Pignatello, ottenne assenso 

Regio di poter calare detta Tonnara qual Privileggi Reintegra inventario 

instrumento e Regio Assenso si conservano nel Ducal Archivio. 

Oggi la detta Ducal Corte affitta le rendite di detto feudo consistentino le terre di 

olivi, trappeto, Molino, Giardino di Agrume, fronda nera, Pergoli, Arbusti frutti et 

ogn' altra rendita che in esso si ottiene per ogni anno candela accensa plus 

offerente". 

In definitiva tale documento traccia per grandi linee la storia del Feudo di Santa 

Venere, che prima del novembre del 1507, risulta appartenente al Principe di 

Bisignano, per essere poi venduto ad un certo Fanello Mormile, probabilmente con 

un semplice atto di transazione, visto che nello stesso mese di quell'anno viene 

acquistato da Ettore Pignatelli. 

Quasi vent'anni dopo il Pignatelli nomina come suo procuratore del Feudo di S. 

Venere il Magnifico Berardo Capece. 

Come emerge da tale atto, il feudo di S. Venere si caratterizza dagli atti successivi 

al 1547, esclusivamente come area produttiva, con diversificate attività 

economiche che spaziavano dalla pesca del tonno alla coltivazione di terre di 

olivi, trappeto, Molino, Giardino di Agrume, fronda nera, Pergoli ed Arbusti frutti. 

Del resto la valenza produttiva di tale feudo la si desume nei particolari dal Broglio 

delle entrate della Corte Ducale di Monteleone del 1536 339 , da cui risultano, in 

quell'anno, le seguenti entrate: 

"De la rag(ion)e di vender il vino in Bivona 

quando se fa la Tonnara doc. 9:3:10 

De la venditione delle Frondi delli Celsi 

de li giardini di S. Venere 772 

De l'affitto de la Tonnara di S. Venera per l'integro anno 50 

De l'affitto de li frutti del Giardino 

e de Longobardi per tutto l'anno 10 

Per la Terza delli 24 de l'affitto di li magazzini della marina ....8 
Per la Terza de li 200 si hanno l'anno dal R. Fundaco 66:6:36 

Il toponimo di Santa Vennera lo ritroviamo, qualche anno più tardi, nell'appalto 
per la costruzione della torre di Santa Vennera o Santa Venere, gemella della Torre 
di S.Pietro di Bivona, costruite entrambi nel 1564 dal mastro monteleonese 
Giacomo Pitoya 340 . 



339 ASN, Archìvio P ignatelli-Cortez, Se. 69. f.lo 1, n. 1. 



vedi nota 141. 



159 



Successivamente, in un ulteriore documento contabile, ritroviamo l'area costiera 

di Santa Vennera descritta tra le entrate feudali 341 dei Pignatelli di Monteleone nel 

1583-84, risultando non solo tra le più cospicue, ma anche tra quelle in grado di 

produrre redditi più diversificati. Esso recita testualmente: 

Entrate in grano : 

giardino di Santa Vennera Tumula 400 

Entrate in olio: 

giardino di Santa Vennera Cannate 400 

Mastrodattia viceducale doc. 645 

Mastrodattia ducale 153 

Baglia di Monteleone 

e casali di Tricono, S. Pietro e Bivona 446:3:6 

Bagliva di Longobardi 26:3:6 

Capitania dell'Università di Monteleone 12 

Fronde di Santa Vennera 220 

Gelsi di Longobardi 91 

Dohana di Bivona 54:2:6 

Taverna di Bivona 13:1:13 

Tonnara di Bivona 645 

Fino ai primi anni del '700 il Feudo di Santa Vennera restò di esclusivo 
appannaggio del Duca di Monteleone, mentre è da quegli anni che si registra un 
significativo mutamento nelle proprietà lungo la costa. 

E' infatti dalla fine del '600 che appaiono nuove figure di ricchi proprietari nella 
storia del Feudo di S. Venere, tra cui spicca, per l'estenzione dei suoi 
possedimenti, il Portulano Francia, discendente della potente famiglia Di Francia 
di Monteleone 342 . Il di Francia risulta possedere in enfiteusi, una gran porzione di 
terreno proprio nella marina di Monteleone, terra che, come vedremo, la Corte 
Ducale meditava di far rientrare tra quelle comprese nel Feudo di Santa Venera, in 
quanto "... il Feudo di S. Venere nel 1530 circa, in cui da Sebastiano della Valle si 
fatigò sulla noverazion de ' Feudi della Casa Eccell(entissi)ma e de ' vari loro jussi, 
e confini, era molto più esteso di quello che non è presentemente, perchè 



341 Regia Camera Sommaria, Serie di Relevi, Num. 384. Per la comprensione dell'unità monetaria vd. 
Catello Salvati, Misure e pesi nel Mezzogiorno, Napoli 1970: 1 Ducato = 10 Carlini = 100 grana ; 1 
Ducato = 5 Tari ; 1 Tari = 2 Carlini ; 1 Carlino = 10 Grana 1 Oncia = 6 Ducati - 30 Tari. 

42 Della famiglia di Francia e dell'incarico di Portolano svolto da alcuni dei suoi membri, si è già 
scritto nelle note precedenti.. 



160 



comprendeva tutto quel tratto di terreno, che oggidì è posseduto dal Portulano 

Francia, sotto nome del Portolano' ' . 

Ciò appare dalla descrizione de' confini di detto Feudo, che trovasi 

nell' istromento di reintegra del riferito Sebastiano della Malie. 

Durò tal Feudo nell'antica ampiezza sino al 1700 circa, nel quale tempo fu 

smembrato, e data una gran porzione di terreno in emphitheusim all'Avo del 

Portulano odierno ed ad altre persone senza dispensa e formalmente alla 

proibizione compresa nella costituzione... (tre sigle illegibili). Apparisce ciò 

dall' istromenti di concessione, e dalle testimonianze di persone, che di tutto ciò si 

raccordano, ricordandomi io d' aver fatto fare molti attestati in forma pubblica da 

più persone. 

Quindi nasce, che si potrebbe reintegrare il Feudo S. Venere nello smembramento 

con sommo utile della Camera Ducale ancorché si dovesse pagare qualche 

miglioramento del terreno. Si rimette alla volontà del Sig.r Duca 

Eccell(entissi)mo" 

E' probabilmente per le difficoltà economiche e politiche incontrate dalla seconda 

metà del settecento dalla famiglia Pignatelli che il sopraccennato consiglio di 

reintegrare il feudo di S. Venere non ebbe alcun esito, anzi, altri ricchi e nobili 

proprietari monteleonesi cominciarono ad estendere i loro possedimenti lungo il 

territorio costiero, secondo quanto rileviamo da un dettagliato elenco dei 

Possedimenti ducali nella marina di Monteleone , redatto il 18 dicembre del 

1704. 



343 E' da sottolineare come in questo atto l'intera estenzione della proprietà di Francia viene descritta 
con il toponimo del Portolano, toponimo che compare nelle cartine dell'area di S. Venere del primi anni 
dell'ottocento. Il Fondo Portolano, iniziava dall'area denominata Timpa Bianca e si estendeva sino 
all'attuale contrada S. Andrea. Nella piantina del 1834, redatta per la costruzione del Porto di Santa 
Venere, viene segnalata la Casina Portolano; un burrone Portolano compare in quella del 1900 redatta 
per la costruzione del tratto ferrato Pizzo-S. Venere. Nell'area era costruito un grande palazzo nobiliare, 
di stile Vanvitelliano, visibile nelle vecchie cartoline di Vibo Marina. I crolli verificatesi dopo la 
costruzione della galleria ferroviaria Mondella, resero necessario il suo totale abbattimento. Oggi 
rimangono solo i resti di un piccolo ninfeo, di discreta fattura, seppure per metà obbliterato da una 
stanza ad uso agricolo. In esso si vedono realizzati a rilevo due delfini che ne circondano uno più 
grande, centrale, dalla cui bocca aperta fuoriusciva l'acqua corrente. 

544 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Memoria per lo smembramento del Feudo di S. Venere, Se. 54, 
f.lo 1, n. 3. 

,45 ASN, Archivio Pignatelli-Cortez, Se. 34, f.lo 2, n.3, Platea dei Privileggi, Beni e Censi della Ducal 
Corte dì Monteleone, 18 Dicembre 1704, riportiamo specificatamente i beni feudali della fascia 
costiera. 



161 



In tale atto compaiono, includendo il nuovo Portulano, cioè il Reverendissimo Don 
Orazio di Franzo, e suo fratello Don Bernardo, il D(otto)r Fisico Franco Paulo 
Vita, il magnifico Cesare Lombardo, i magnifici Luigi, Domenico e Antonio 
Antonucci, il Reverendissimo Don Già Battista Dilauro della Città dell' Amantea 
che in seguito, ed esattamente il 28 marzo 1688, vendette la sua proprietà a Don 
Francesco Paulo Marzano ed a cui subentrarono i figli li Magn(ifi)ci Guglielmo, 
Domenico, Fabrizio e Nicola, il magnifico Antonio Crispo, ed infine i 
Reverendissimi Padri Dominicani di detta città nonché i reverendissimi Padri 
Scalzi Agostiniani detti della Pietà, della predetta città. 

Come si nota compaiono come proprietari di ampi appezzamento di terreno uno 
sparuto gruppo di nobili e borghesi, col titolo di magnifici e reverendissimi, oltre 
che due diversi ordini religiosi, i quali erano soliti affittare alli Massari di Santo 
Pietro e Longobardi, candela accensa più offerenti la gran parte delle loro 
coltivazioni. 

Lo stesso documento aiuta a tracciare nel dettaglio l'intero corpo feudale di Santa 
Venere, le colture praticate e gli esatti confini delle diverse proprietà: 

"Possiede la Ducal Corte di Monteleone, per ogni mese di Agosto, dell'annuo 
censo emphiteuto perpetuo inaffrancabile in grano Bianco, tumula otto della 
Misura Napolitana, sopra lo Giardino sito e posto nella circonferenza di 
Longobardi, Casale di Monteleone, e proprio sulla Marina in loco detto Le 
Muraglie, di capacità tumulate Quaranta in circa, e per quante della suddetta 
Misura Napolitana, tutte terre di cenzo, alborate con alberi fruttiferi, vigne, celsi 
neri e bianchi, olive, bosco e terre aratorie. 

Limita da Levante con li beni del Z)(otto)r Fisico Franco Paulo Vita, da Ponente 
con li beni del Magn(\ii)co Cesare Lombardo e li beni delli Magn(ifi)ci Luiggi, 
Domenico e Antonio Antonucci; 

Da Mezzo Giorno con li beni del Rev(eren)do Don Orazio e Don Bernardo di 
Franza e da Tramontana col Lido del Mare. 

Dentro detto giardino vi è una Torre con la scala di Pietra fuori di essa, col suo 
Ponte levaturo. Consiste in tre Bassi Grandi, sopra de quali vi sono dodece 
camere ripartite, ed altrettanti nello quarto superiore. 

Al lato di detta Torre vi si trova una piccola chiesa, sotto il titolo di Santo 
Francesco Saverio; qual Torre e Chiesa furono fabricati a proprie spesi dal 
/tev(erendissim)o Don Domenico Marzano . 



Catasto Ondarlo di Monteleone di Calabria 1775, in Tarallo P., Op. cit. : "Magnifico D. Domenico 
Marzano, patrizio di anni 65, abita In casa propria, con rendita onde 981.4, assieme a D. Maddalena 
Crispo, moglie anni 56, Dott. D. Guglielmo, figlio anni 42, Rev. D. Francesco Paolo, Decano anni 40, 
D. Filippo, figlio anni 25, D. Scipione, figlio anni 5; D. Erasmo, figlio anni 3; D. Ignazio, figlio anni 2; 
D. Nicola, figlio anni 1; D. F elicla Crispo, suocera anni 85; Teresa Laureana, balla anni 33; Maria 
Altomare, serva anni 30; Pietro Papaleo, servo anni 60; Domenico, servo anni 25; Leoluca 
Chlaromonte, famiglio anni 31. (nota: "Discendono dal Duchi di Sessa, ed unFrancesco Paolo, venuto 



162 



Oggi li suddetti tumula otto di Grano Bianco alla Misura Napolitana si paghano 

alla suddetta Ducal Corte per ogni mese di agosto, censo emphiteuto perpetuo 

inaffranc abile indiff\eribi)le da li Magn(ifi)ci Guglielmo, Domenico, Fabrizio e 

Nicola Mariano, quali ultimi odierni possessori del suddetto giardino. 

Si pervenne fra l'heredità del Don Francesco Paulo Marzano loro padre, da cui fu 

comprato e venduto dal Reverendissimo Don Già Battista Dilauro della Città 

dell' Amantea, primo patrone e censuario di detta Ducal Corte, come 

dall' instrumento rogato per mano di Notar Giuseppe Nesci in data 28 Marzo 1688 

col suddetto peso del suddetto annuo censo emphiteuto perpetuo inaffrancabileper 

ogni mese di Agosto alla suddetta Ducal Corte di Monteleone, Grano Bianco alla 

Misura Napolitana tumula otto. 

ITEM possiede la Ducal Corte di Monteleone una coltura aratoria sita e posta 

nelle circonferenze di Santo Pietro, Casale di Monteleone, nella Marina di Bivona, 

di capacità di tumolate quattro circa, della Misura Napolitana, terra di terzo; La 

suddetta coltura ha compresa in corpo del feudo di Santa Venere. 

Limita da Levante con la Coltura di essa Ducal Corte, detta la Coltura delle 

Sciabache, col vallone di Aqqua corrente che si frammezza tra loro due;Da Mezzo 

Giorno limita con li beni della Rev(erendissi)ma Parrocchiale Chiesa del suddetto 

casale e con li beni del Magn(ifi)co Antonio Crispo ; e da Ponente e Tramontana 

limita con li beni del Magn(ifi)co Antonio Marzano. 

In detta coltura pag'alla suddetta Ducal Corte il sopradetto Antonio Marzano 

censo emphiteuto perpetuo inaffranc abile, per ogni mese di Agosto, Grano Bianco 

tumula cinque della Misura Napolitana. Si pervenne dalla heredità paterna col 

suddetto peso dell'annuo censo emphiteuto perpetuo inaffrancabile per ogni mese 

di Agosto alla suddetta Corte di Monteleone grano bianco tumula cinque della 

Misura Napolitana. 

ITEM possiede la Ducal Corte di Monteleone una coltura aratoria sita e posta 

nelle circonferenze di Santo Pietro, Casale di Monteleone, nella Marina di Bivona, 

detta la Coltura delle Sciabache. 

Consiste in tumulate ottanta nella Misura Napolitana, mità delle quali sono terre 

di mità e l'altra mità sono terre di terzo. 

Limita da Mezzogiorno con li beni delli Reverendissimi P(ad)rì Dominicani di 



a Monteleone nel 1617, contrasse matrimonio con Prudenza Tomarchiello, nipote e sorella di Fra 
Paolo e Fra Fabrizio Tomarchiello, Cavalieri di Malta"). 

347 Catasto Ondarlo di Monteleone di Calabria 1775, in Tarallo P., Op. cit. : "Magnifico D. Francesco 
Crispo, Patrizio anni 46, abita in casa propria rendita di onde 571, con M.ca D. Lucia Lombardo, 
moglie anni 42; M.ca D. Annunziata, figlia anni 12; D.giuseppe M.a , figlio clerico anni 13; D. Felice 
M.a, figlio anni 11; Francesco Stombe, servo anni 45, Domenico, servitore anni 12; Fortunata 
Seminara, serva anni 30". 



163 



detta città e con li beni delli Reverendissimi P(a.d)ri Scalzi Agostiniani detti della 

Pietà, della predetta città, tra li quali vi è la strada publica da dove si va nella 

suddetta Marina. Da Tremontana il Lido del Mare, in strada pubblica, 

da Ponente limita la Torre Reale di Guardia, la casa di essa Ducal Corte dove si 

tiene il Regio Fundaco del Sale Marittimo, e li beni del Magn(ifi)co Antonio 

Mariano nelle quali si trova una strada publica, e, similmente dentro detta terra vi 

è una strada che si va nel Casale di Longobardi, e di dietro detta coltura vi si 

trova una Grotta con unaficara silvaggia. 

La sopradetta coltura va compresa in corpo del feudo di S. Venera e si è da tempo 

immemorabile affittata alli Massari di S. Pietro, e Longobardi, candela accensa 

plus offerenti. 

ITEM possiede la Ducal Corte di Monteleone una coltura aratoria nomina 

Fraschà sita e posta nelle circonferenze di Santo Pietro Casale di Monteleone, 

nella Marina di Bivona, consiste in tumolate quattro e un quarto della Misura 

Napolitana, terra di terzo. 

Limita da Levante con li beni delli Mag(ifi)ci Luiggi, Domenico e Antonio 

Antonucci. 

Da Ponente con li beni de' Reverendissimi P(ad)n Dominicani di ditta città e da 

Tramontana co lido del Mare in strada pubblica. 

La suddetta coltura va compresa in corpo del Feudo di S. Venera e sempre si è 

soluto affittare alli Massari di Santo Pietro e Longobardi, candela accensa plus 

offerenti. 

A parte i possedimenti descritti in tale documento, vi erano inoltre il fondo di Don 

Giacomo Deluca, posto tra Bivona e S. Pietro, che pagava ogni anno alla Corte 

ducale un censo enfiteutico perpetuo di 20 ducati e 13 grana, ed il giardino di 

agrumi appartenente al Duca di Monteleone. 

Del primo fondo abbiamo notizie precise sin dal 1739, anno in cui i pubblici 

apprezzatori dei beni stabili della città, Vito Bruno e Domenico Russo Seniore, per 

ordine di un ufficiale di Catanzaro, furono citati dal Serviente di Corte di 

Monteleone Bruno Candidello alias Fanale, come pubblici apprezzatori ed esperti, 

per valutarne il valore. Il fondo limitava con quello del sig. Francesco Paulo 

Mercadante da un lato, dall'altro con i terzi della corte ducale, e "via pubblica di 

sotto e di sopra" e gli apprezzatori "giunti di persona incomincarono a girarla 

tutta, e per intero, ed hanno stimato, giudicato, ed apprezzato secondo le regole 

dell' agricoltura"™ che la vigna consisteva per intero in circa 10 tumolate, di cui 

otto alberate con "vigni miglioro ventiuno in circa, che alla raggione di docati 

venticinque lo migliaro importano docati cinqueciento venticinque" , le restanti due 

tumolate risultarono di "terra rasa" stimandola "alla raggione di docati 

trentasette e mezzo la tumolata, importi ducati trecento settantacinque" . 



' ASVV, Notaio Lo Schiavo Nicola, Monteleone 21 febbraio 1743, e. 526, Voi. CXXIV, p. 25. 



164 



Gli apprezzatori notano come "nella vigna suddetta v 'è una torre che per essere 
in luogo di Marina a loro giudizio e parere l' apprezzarono docati cento, perché 
essendo altrove la stimarebbero per puro commodo da solo docati trenta". 
Con tutta probabilità l'apprezzo venne effettuato perchè si stava per pervenire alla 
vendita del fondo, tant'è che quattro anni dopo, ed esattamente il 21 febbraio del 
1743, gli stessi apprezzatori si portarono nella stessa vigna, che risultava però 
posseduta dal Magnifico Francesco Godano di Monteleone. 

Il nuovo apprezzo della vigna, che risulta più particolareggiato nella descrizione 
delle coltivazioni e del loro valore, venne commissionato per richiedere al Duca 
una diminuzione del cenzo enfiteutico, stante il piccolo utile che il nuovo 
proprietario attestava di ricavarne, fornendo preziose informazioni per la 
comprensione del valore dell'attività agricola del tempo. I pubblici apprezzatori, 
attestarono che quel tipo di coltivazione a vigna, posta a mezza costa, poteva 
fruttare "un anno per l'altro, sessantasei salme di musto, che alla raggione di 
carlini dieci a salma importano docati sessantasei; medesimamente vi sono alcuni 
piedi di uva Zibbibo, Insolino, Ruggia e Belvedere, che un anno per l'altro 
possono rendere e fruttare altri docati dieci; che ancora in detta vigna v 'è un 
migliaro di piante di Zibbibo, che venendo in frutto a loro giudizio può rendere 
carlini trenta ogn'anno; che gli alborelli nell'anno venturo possono rendere e 
fruttare calini quindeci l'anno; che dette due tumolate di terra rasa, un anno per 
l'altro, seminandosi fruttano docati sei e mezzo l'anno; attestano in oltre, che detta 
torre serve in detta vigna per commodo della stessa senza che apportasse lucro a 
detto Possessore; che in tutto dette rendite fruttando detta suddetta vigna, terra 
rasa, alborelli, zibbibbo, insolino, ruggia, belvedere ascende alla somma anzidetta 
di docati ottantasette, quali debbasi dividere, e metà spetterebbe al colono, cioè 
docati quarantatre e grana cinquanta, per le fatiche, e metà a detto Godano 
possessore, cioè docati quarantatre e grana cinquanta, sopra la quale metà di esso 
Godano si deve dedurre e scemare la somma di docati venti e grana tredici di 
cenzo enfiteutico, che pagasi per lo fundo a detta Corte Ducale, restando di netto 
in benifizio di esso Godano soli docati ventitre e grana trentasette, delli quali 
debbasi medesimamente scemare carlini venti e grana trentasette, per compra di 
canne mazze cinquanta, e condotta delle stesse servendone per detta vigna, 



349 Mancandovi riverimenti precisi non è possibile stabilire quale fosse la torre descritta in tale atto: 
potrebbe essere una ulteriore torre posta tra quella di Maio e quella di S. Nicola, oppure una delle due, 
mancando una precisa collocazione geografica della proprietà Deluca/Godano. In un documento dei 
primi anni del 1600, redatto per richiedere l'edificazione della chiesa dedicata a S. Maria di Portosalvo, 
il terreno su cui costruire la chiesa risultava essere del torriero Claudio De Luca, tornerò di Nocera, a 
cui apparteneva "... una terra latoria, il cui giardino limita con il fondo detto Vescovado", proprietà 
che, seppure anche in essa viene segnalata la presenza di una torre, non è possibile far coincidere con 
quella Godano. 



165 



restando di paro netto in benefizio di esso Godano Possessore soli docati venti uno 
di tutte dette rendite fruttando, ut supra col peso di aggiutare lo colono, che 
coltiverà detta vigna con somministrandoli in aggiunta docati venticinque, e 
poscia ripetersili dell'istessi alla fine dell'anno" 

Per quanto riguarda il giardino appartenente ai Pignatelli, il prelato napoletano 
Giovan Battista Pacichelli, visitando Monteleone nel 1693, lo descrive coltivato di 
"nobili agrumi" ponendolo a poca distanza dal "picciol e ben disposto Palazzo che 
chiaman di Santa Venere" 

Da una prima lettura sembrerebbe che il Pacicchelli, con l'espressione picciol e 
ben disposto palazzo, si riferisca al castello di Bivona, stante il breve percorso che 
separava il giardino dalla città di Monteleone, che si poteva raggiungere salendo 
'''comodamente in tre miglia" , ma l'ulteriore segnalazione del più breve percorso 
dell'Affaccio, da cui "quasi novello Posillipo sovra Santa Venere", era possibile 
"anche scendere al Mare, e gustarvi nelle Salsedini" , consente di escludere tale 
ipotesi. 

Del resto è confermata la presenza di un palazzo ducale nella marina di 
Santa Venera nella già citata relazione sulla visita pastorale nella parrocchia di 
Longobardi 352 , effettuata qualche anno dopo del viaggio dell'abate Pacicchelli, da 
cui risultano ben distinte le due cappelle esistenti nella marina, ponendole una 
"vicino al Castello di Bivona" e l'altra "nel Palazzo Ducale alla Marina, dedicata 
a S. Venera". 

Un grosso aiuto per collocare nell'area costiera il palazzo ducale, o 
quanto meno quelli che erano i suoi resti, e quelli della cappella dedicata a Santa 



350 ASVV, Notaio Lo Schiavo Nicola, Monteleone 21 febbraio 1743, c.526, Voi. CXXIV, p. 26. Con 
tutta probalilità la Corte Ducale non accolse la richiesta del Magnifico Godano, vista l'assenza di ogni 
riferimento in tal senso degli atti del notaio che ne curò la supplica. 

51 Pacichelli G.B., // Regno di Napoli in prospettiva, D. A. Parrino, Napoli 1703; Pacichelli C.B., 
Lettere ai familiari istoriche ed erudite, Parrino e Muri, Napoli 1695, Valente G., La Calabria 
dell'Abate Pacichelli, Ed. Effe Emme, Chiaravalle Centrale 1977, "...Era questa la Vibo-Valenza, e 
Vibona de' Locri, habitata una volta da' Greci, dalla quale i popoli, e 7 sito raccordan, Plinio, 
Strabone, e Procopio; da hoggi à godere, alle rive piacevoli del Tirreno un vago Giardin di Fiori, e 
delle specie rare, e più nobili Agrumi, moltiplicati anche in un sol ramo con artificiosi innesti, e con un 
picciol e ben disposto Palazzo, che chiaman di Santa Venere. Quindi si salisce comodamente in tre 
miglia alla città. ..(...)e i popolari dimandan l'Affaccio quasi novello Posillipo, sovra Santa Venere già 
descritta: per ove si può anche scendere al Mare, e gustarvi nelle Salsedini, dell'Acqua dolce, ed 
esquisita di una sorgente, descritta con le atre sua Acque, e vaghezze dal Capialbi ". Il viaggio verso la 
Calabria iniziò il 6 maggio 1693 con l'imbarco sulla tartana Santa Fortunata, diretta in Puglia e si 
concluse i 17 giugno, quando prese il largo da Paola. 

! " ADM., Archivio Collegiale Greco, Visite, n.75, p.74. 



166 



Venera, lo fornisce la descrizione dell'area costiera effettuata, per la relazione sulla 

costruzione del porto, nel 1834. 

In essa compare una diruta Casina, nominata appunto di Santa Venere e ben distinta 

dall'omonima torre, collocata tra la Casina Gagliardi e quella di Portolano di 

Francia, precisando inoltre che "alla dritta della chiesetta di S. Venere per chi da 

terra si rivolga la mare, osservasi una scaturigine d'acqua, ed un'altra più 

copiosa inoltrandosi un poco verso l'interno nell'istessa direzione, ed è da notarvi 

una vaschetta con una statuetta da cui linfe zampillano." ' 

La chiesa era quindi collocata a poca distanza dalla fontana descritta dal 

Lenormant, sulla cui sommità era collocata la statuetta dell'Arianna dormiente, 

chiamata Santa Venera 354 dagli abitanti del luogo. 

Il nuovo futuro insediativo dell'area costiera di Santa Venera è segnato dal 

definitivo interramento ed abbandono del porto di Bivona sostituito come scalo da 

quello di Pizzo. 

Il tratto costiero posto tra il vecchio porto vibonese e quello napitino, conosciuto 

allora dai marinai come Rada di Santa Venera, e compreso tra la Torre Regia di 

Bivona e la rupe denominata Timpa Bianca 355 , riparato com'era dai minacciosi 



353 Cervati Domentico, Relazione per ridurre l'ancoraggio di S. Venere presso la città del Pizzo in 
ampio e sicuro porto, 1834. 

354 In effetti, fino agli anni settanta, nello spiazzo antistante palazzo Mirabello, erano ancora in piedi i 
resti di una chiesa, che i vecchi abitanti di Vibo Marina ricordano non essere mai stata adibita a culto, 
né sanno dire con certezza a quale santo fosse in passato dedicata. Proprio alla sua destra era posta la 
fontana con inclusa la statuetta di S. Venera. La fontana scomparve nell'immediato dopoguerra e la 
statuetta posta in un giardino privato, la chiesetta invece venne adoperata nel dopoguerra come 
deposito, ed in seguito come magazzino di ferramenta della ditta Aiello Benito, divenendo infine 
precaria abitazione di una coppia di anziani del luogo. Venne distrutta perché pericolante nei primi anni 
settanta. Oggi al suo posto è costruita una edicola prefabricata. 

,5i II promontorio di Timpa Bianca o Janca, prende tale nome dalla presenza, sulla sua sommità, di una 
grossa roccia bianca che si erge tra la vegetazione. La roccia fu certamente un punto di riferimento per 
la navigazione costiera sin dall'antichità. Tale toponimo è attestato lungo la costa del Tirreno 
meridionale ed è spesso, soprattutto dove compaiono rocce strapiombo sul mare, associato alla presenza 
mitica delle Sirene, strutturandosi sulla vicenda del loro suicidio, con il salto in mare o katapontismos 
da una alta rupe, secondo quanto riporta Licofrone. Esiste un forte legame tra le sirene e le "rocce 
bianche", esse stesse divengono così "dee bianche", e quelle tirreniche in particolare, nel loro ruolo di 
entità collocate al discrimine fra terra e mare, preposte al controllo degli elementi naturali quali il mare 
ed i venti. Queste "Muse del mare" e "signore delle rocce bianche" erano strettamente legate al mondo 
della navigazione: la situazione liminale fra terra ed acque, contrassegno visibile posto nel punto del 
passaggio, ha contibuito a mitizzare, secondo un tipico processo di "sovradeterminazione", quei luoghi 
caratterizzati dalla presenza di rocce candide, luminose, atte a costituire punti di riferimento della 
navigazione (in tal senso Cfr. Cic, Att. 16, 6, 1). 



167 



venti di maestrale e di libeccio, venne dalla metà del '700 in poi, utilizzato dalle 
imbarcazioni che dovevano fare scalo nel porto di Pizzo, che al contrario era poco 
sicuro in caso di maltempo. 

Proprio per tale ragione, come vedremo, la maggior parte delle navi usavano 
sostare nella rada di S. Venera in attesa del buon tempo, del permesso di sbarco, 
dei contatti commerciali o per attendere la fine del periodo di contumacia stabilito 
dalle leggi sanitarie, quasi come naturale appendice di quell'approdo ricavato in 
piccola una lingua di spiaggia. 

E' il 1792 quando l'economista Giuseppe Maria Galanti, incaricato dal Sovrano di 
redigere una relazione sugli effetti del terremoto del 1783 nell'area vibonese, 
notando come il duca di Monteleone continuava ad esigere le tasse d'ancoraggio 
nonostante il porto antico di Bivona fosse ormai ridotto ad un semplice approdo, 
prese in seria considerazione l'opportunità di costruirne uno nuovo "giacché 
lì" il vecchio porto "è sufficiente a dare ricovero ad alcuni, ma vi è bisogno 



di guida per entrarvi" ' . 

Egli fece tale riflessione partendo dalle notizie del riparo offerto dalla rada di Santa 

Venere di ben cinque bastimenti, e richiese in tale senso un'accurata relazione al 

Generale Acton 357 , il quale il 27 febbraio del 1793 scriveva: "...Anni addietro 

Giorgio Stinci, Pilota Genovese, dalla fortuna di mare fu spinto alla spiaggia della 

marina chiamata di Santa Venere, situata quasi nel mezzo del littorale tra il Pizzo 

e Monteleone. 

Quivi l'accorto Pilota trovò un naturai rifugio al periclitante suo legno, e fece 

noto, a vantaggio de' naviganti, che quel luogo avea una lingua, poco sotto del 

pelo dell'acqua, la quale dava un sicuro ricovero. 

Molti bastimenti hanno profittato della notizia, e si sono salvati dalle frequenti 

tempeste che si suscitano in quel mare; ma molti, ignari di tal ricovero, sono 

miseramente periti su quella costa dove solamente l'anno passato naufragarono 

cinque bastimenti. 

Uno di padron Giacomo Gabriele Francese, carico di Lana, ruppe nella marina di 

Nicotera. Un bastimento Inglese vuoto si ruppe nella marina di Pizzo. In quella di 



356 Galanti G.M., Giornale di viaggio in Calabria (1792), Ed. critica a cura di Placanica A., S.E. 
Napoletana, Napoli 1981, "... // detto tesoriere (della Cassa Sagra Don Luigi Gagliardi ndr.) ha 
assicurato che presso Bivona vi era un porto ch'è stato interrato dal fiume Trainiti. Tra questo luogo e 
il Pizzo li Genovesi hanno scoperto un luogo assai adatto al porto di oggi Santa Venera. Quivi 
nell'inverno passato si salvarono da una forte burrasca cinque bastimenti. Il duca di Monteleone vi 
esige l'ancoraggio. Si assicura che con 15 o 20 mila ducati si potrebbe costruire un ottimo porto, 
capace di moltissimi bastimenti, giacche oggidì è sufficiente a dare ricovero ad alcuni, ma vi è bisogno 
di guida per entrarvi. Lo stesso tesoriere ha promesso di rimettersi una pianta di detto luogo". 

"' Placanica A., a cura di, G.M. Galanti, Scritti sulla Calabria, SEN. Napoli 1987, p.439-443. 



168 



Tropea fece naufragio un bastimento Veneziano con poche aringhe che andava a 
caricar cottone a Smirne. 

Nell'istessa marina naufragò un bastimento inglese carico di zucchero e carta per 
Gallipoli; e nella Marina di Sant'Eufemia naufragò Padron Orazio Spinelli di 
Procida, che andava a caricar bottame in Messina. 

In una grave tempesta, mentre molti legni erano trasportati in alto mare dalla 
furia de ' venti, quattro di essi, cioè uno Genovese di Padron Alessandro Margante, 
e tre Procedani, ebbero ricovero nel ridosso naturale di Santa Venere ". 
Fatta tale premessa il generale precisa di aver dato incarico al Regio Ingegnere 
Don Ermenegildo Sintes 358 d'impegnarsi nell'ipotesi costruttiva di un nuovo porto, 
della quale espone di seguito i risultati più salienti: 

"Egli ha ritrovato verissimo che nella marina chiamata di Santa Venere, la quale 
è nel golfo di Sant'Eufemia tra la città del Pizzo e quella di Monteleone, vedesi 
formato dalla natura un seno ben grande, garantito da un masso, ossia secca, 
continuato, che si estende nel mare per circa mezzo miglio in forma quasi 
semicircolare. Il seno che forma questo masso somministra l'idea di un magnifico 
e sicuro porto; imperocché viene a difenderlo da' venti di Ponente, di Maestro e 
Libeccio, e dà la sicura apertura al porto dalla parte di Tramontana. Nelle sue 
vicinanze non iscorrono fiumi di alcuna sorte, da' quali si possa temere 
deposizioni di arena e di interramento. La profondità dell'acqua di tutto il seno è 
assai grande, e strabocchevole, capace di qualunque bastimento di alto bordo. La 
lingua di terra, ossia secca, che forma il seno, è situata poco al di sotto del pelo 
dell'acqua." 

Il generale precisa inoltre di averne fatto redigere una pianta, con la raffigurazione 
di un'idea complessiva della costruzione dei moli, che avrebbe presto sottoposto 
all'attenzione del Galanti, compreso un preventivo di massima, pari a 130.000 
ducati, per la costruzione completa del porto, "con tutte le necessarie opere di 
Lanterna, ridotti d'artiglieria, magazini, e ogn' altro", della cui fattibilità però 
restava in parte in dubbio, per non aver avuto il tempo di far scandagliare con 
precisione i fondali dell'area e quelli della secca, né di essere riuscito a conoscere 
di quale materiale erano composti, né dei rischi d'interramento che potrebbero 
essere causati dal distante ma sempre pericoloso fiume Angitola. 
Del progetto del Sintes non si è più trovata traccia ma la scrupolosa ed arguta 
relazione del generale Acton non tardò ad avere i suoi effetti, avviando una 
discussione sui vantaggi economici che l'intera regione avrebbe tratto dalla 
presenza di un nuovo e sicuro scalo sulla costa tirrenica, che favorisse il 
commercio marittimo tra Napoli e la Sicilia e lo sviluppo dell'intero comprensorio. 



Monteleone e Tropea. 



169 



Commercio che in realtà non era mai venuto meno in quegli anni grazie alla 
presenza del porto di Pizzo, che dalla fine del '700 fino all'ultimazione dei lavori 
per la costruzione del nuovo porto di S. Venere, vide non solo il trasferimento degli 
uffici Doganali Regi ma, ancorpiù, la presenza di un nutrito corpo militare in grado 
di garantire sicurezza ai bastimenti che qui approdavano. 

Lo stesso Duca di Monteleone in quegli anni, essendo ormai del tutto interrato il 
suo porto di Bivona, utilizzava lo scalo ed i marinai napitini per il naviglio di sua 
proprietà, come è dimostrato da diversi documenti dell'epoca, tra i quali, quello 
che merita maggiormente di essere messo in evidenza, risulta un testimoniale 
pubblico redatto il 15 settembre 1808 da un notaio di Pizzo 359 , alla cui presenza si 
costituisce Padron Francescantonio Savelli, fu Ruberto comandante la sua felluca 
a tre alberi nominata L'Addolorata, di proprietà del signor Duca di Monteleone 
(...) ben armigiata, ed att' anavigare col suo equipaggio di Marinar] numero 
sedeci. In quell'occasione il comandante ed un piccolo gruppo del suo equipaggio, 
composto da Giorgio Vinci fu Erasmo e Giuseppe Vinci timonieri, ed il marinaio 
Domenico Ventura, tutti di questa città del Pizzo, esposero la loro sfortunata 
vicenda di navigazione, rivelando per intero la difficile vita dei padroni di barche 
nel periodo in cui le coste calabresi, e tutto il Tirrreno meridionale, divennero aree 
guerra e di azioni piratesche, tra i bastimenti francesi ed inglesi. 
In tale testimoniale il Savelli, inizia il suo racconto premettendo che, oltre alle 40 
botti d'olio da consegnare a Salerno, nell'imbarcazione furono caricate, per suo 
conto, altre 5 botti d'olio d'ulivo, "e., seta libre duecento di Reggio; per conto del 
signor D. Filippo Ignazio Malacrinis, libre quattrocento di seta; per conto dei 
detto Mezzana cottone a marruggio cantaja sei; per conto del signor Brucette, 
barili serrati numero tre, e più una cassa con tre schioppi; per conto del signor D. 
Giambattista della Noce, imbasciate di biancheria; per conto del signor Gaetano 
Mariafusca, formaggio e pelle di Lepri; per conto del signor D. Domenico 
Attanasio, polvere di Morbelle cantaja duodici; e per conto della Regia Corte 
Tavole di abeto numero venti e carronate, seù cannoni numero due." 
Caricata la merce, il 28 agosto del 1808, "verso l'ore cinque della notte 
accompagnate con altre cento trenta Barche circa, tutte cariche d'olio, ed altre 
mercanzie, e tutte assieme ci posimo alla vela accompagnate da tre Barche 
cannonieri Reale sotto il titolo di convoglio, ed al comando del signor Arno 
Francese." 

Il giorno dopo "tutte unite le Barche, e li cannonieri diedimo fondo nella spiaggia 
di Amantea dove giunsimo verso l'ore quattordice, in dove siamo dimorate fino 
all'ore ventuna di detto giorno, ed all'ora medesima postici alla vela e tutte 



359 ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 15 settembre 1808, sch. CCCVI, voi. 1579, f. 

75. 



170 



assieme le Barche per nostro destino, e navigando tutta la notte andiedimo a dar 
fondo nel Curaro, unite alle Barche cannonieri verso l'ore undici del giorno 
veniente di deto mese di agosto, e fatto di nuovo vela per ordine del comandante 
verso l'ore sedici andiedimo a dar fondo nella Marina di Belvedere, e siccome il 
comandante colla sua cannoniera si ritrovava un po' addietro, ed accostatosi a 
Noi ci impose di sarpare, come infatti tutte le Barche, e noi ancora sarpassimo con 
vento Maestro, e quantunque contrario andiedimo bordigiando a dar fondo tutte 
unite nella Marina di Diomante verso l'ore ventitre di detto giorno, dove il 
comandante medesimo de' cannonieri in quello stesso momento andato a terra 
tornò subito, e ci comandò, che le Barche tutte si dovessero tirare a terra, a causa 
che il Direttore de Signali, o sia l'ufficiale de' medesimi signali l'avea detto di 
aver veduto nel Golfo di Pulicastro un Bricce nemico, e così tutte le Barche 
quella stessa sera del trenta, e chi la mattina del giorno trentuno, furono tirate 
tutte a terra." 

Il 31 agosto infatti, "nel mentre si stava facendo una tale operazione da tutti li 
padroni verso l'ore duodeci, comparve il Bricce di Levante a Noi da circa miglia 
otto, ed all'ore ventuno del giorno suddetto il Bricce medesimo si accostò vicino 
alle nostre Barche a tiro di cannone, ed in un subito principiò a tirare cannonate 
sopra i tre cannonieri medesimi, e le Barche, alle quale li cannonieri medesimi 
corrisponderono con altri tanti tiri di cannoni sopra del Bricce sudetto, e dopo una 
ora di combattimento, e terminato il cannonigiamento di ambe due le parti verso 
l'ore ventidue di detto giorno, in quello stesso stante il Bricce medesimo si allargò 
un poco fuori a nostra veduta tanto di notte, che di giorno, ed a tiro di cannone, e 
senza aver fatto altra operazione contro di Noi, ma ci tenne imploccate a non poter 
partire fino al giorno quattro settembre, tempo in cui comparve una Galeotta 
nemica" che si unì al nemico. 

A quel punto i padroni di barca, convinti che quell'apparizione sarebbe stata causa 
di ulteriori pericoli, decisero "dì mettere a terra tutte le mercanzie, che si 
attrovavano sopra un numero così grande di Barche, ed ogni Padrone principiò di 



3 ° BRICCE, o bricche o brick, o meglio ancora Brigantino, è un tipo di imbarcazione inglese che 
comparirà di seguito in altri testimoniali redatti a Pizzo. Nel periodo remico era una variante minore 
della galea, senza ponte, con uno o due alberi a vela latina. Joseph Furttembach nella sua Architectura 
Navalis (1629) la descrive con 10 coppie di remi, lunga, senza lo sperone, adatta alla guerra di corsa. 
Non è chiaro come il nome brigantino sia passato ad indicare la vela rettangolare a corno (con solo 
picco, senza boma), poi divenuta randa, che veniva inserita a poppavia degli alberi a vele quadre, ma 
sembra che proprio questa vela abbia dato il nome al brigantino del terdo evo moderno, che era un 
bastimento di alto bordo, sulle 150 tonnellate di portata, con propulsione esclusivamente velica, con 
bompresso, asta di fiocco e fiocchi, trinchetto a vele quadre, maestra pure a vele quadre, con una randa 
aurica con picco e boma, completavano la velatura vele di strallo, coltellacci e scopamare. Con 
l'aggiunta del trevo alla maestà, il brigantino divenne il Brick, dal quale derivò il "bricche" ligure. 



171 



scaricare le suddette mercanzie, e tutte unite si posero nel Palazzo del Signor 
Leporini, ed altre ancora del Diomante medesimo, unite ancora le sete, Baulli, 
cassa, formaggio, cottone, imbasciate di biancheria, pelli di Lepri, Polvere di 
Mortella, e Tavole della Regia Corte, ed altro, che si attrovavano sopra la detta 
mia Felluca, e terminato il disbarco di dette mercanzie si pensò de' padroni 
medesimi, e marinar] di ricuperare qualche poco d'olio, e l'attrezze delle barche, e 
così ognuno si pose a trasportare gl'attrezze sudetta nelle casini di campagna, 
dove riposti diedero essi conferuti tutti uniti di mano a scaricare olio, e non 
essendovi luogo dove riporlo si pensò di fare grande fosse nell' arena, ed ivi dentro 
riporlo con tutti li botti pieni, come infatti ci era riuscito. 

Ed ecco che il giorno sei detto settembre con nostra sorpresa abbiamo veduta 
venire da luntano alla volta nostra diversi bastimenti quatri, li quali abbiamo 
considerato essere nemici come furono, ed il giorno sette detto mese si 
avvicinarono a terra a tiro di cannone, che contatosi da Noi l'abbiamo numerate 
duodeci, e verso l'ore ventuno di detto giorno principiarono a tirar cannonate 
sopra il paese detto il Diomante, e tutti noi atterriti compiangendo le Barche, e 
mercanzie, che si rattrovavano sopra le medesime, non potendosi dar riparo a 
quello continuo fuoco anco sopra di Noi, ci fece allontanare dalle Barche per 
mettere in salvo la vita, ed avendo tutto quel giorno, e la notte del seguente tirato 
da continuo cannonate sopra il paese per atterrire la Gente, e non essendovi 
truppe di poter far fronte in caso mai dovevano fare qualche disbarco, come li 
riusci di farlo nella marina di Ponente verso due ore di mattino avendo disbarcato 
a terra una quantità di soldati, che da noi si crederono Inglesi di unite altre truppe 
Siciliane, e la mattina del giorno otto, conoscendo le medesime truppe non esserci 
per loro alcuno ostacolo s'impossessarono del Paese e dell'alture, ed una quantità 
di Marinar], che si sbarcò da detti Bastmimenti subito diedero di mano a mettere 
le Barche in mare di quelle, che si ritrovavano nella Marina di Ponente, e 
terminate quelle si portarono all'altra Marina di Levante, dove eravamo terate a 
terra da circa venti barche, e le tre cannoniere, e tutte queste in un momento 
furono poste in Mare senza attrezze, e condutte fuora vicino alle loro Bastimenti." 
Il racconto di ciò che accadde ad Amantea in quei giorni continua facendosi 
sempre più ricco di particolari e di paure: 'HI giorno nove di detto mese 
coli' intelligenza dalla Gente del Diomante, ed a questi uniti i Marinar] delti 
Bastimenti, ed accompagnati da soldati di loro compagnia andarono girando tutte 
le campagne convicine dal Diomante medesimo, ed avendo ritrovato l'attrezze di 
tutte le barche, e le robbe de' passeggieri, e de' Negozianti, che siritrovavano 
unite all' attrezze se le condussero tutte a bordo de' sudetti di loro Bastimenti, ed 
indi poi fecero il saccheggio a tutto il Diomante portandosi seco tutte le sete, che si 
ritrovavano nel Palazzo di Leporini ed in altre case, non avendo solamente 
imbarcato la legname apparteniente alle Barche medesime consistente in falanghe, 



172 



argani, tegli, aste, ed altro furono tutte date alle fiamme con tutti gl'olj, che da Noi 
si erano sotterrate.'''' 

La situazione era così disperata e senza via d'uscita che, seppur "in detta Marina 
del Diomante erano accorse in di loro difesa le civiche di quei luoghi convicini, e 
da circa trenta soldati Francesi, li quali si fecero animo di fare due scariche sopra 
il nemico", non ci fu nulla da fare per salvare il resto della mercanzia, e il paese 
stesso, dall'assalto dei nemici: "poiché questi erano in numero molto assai 
maggiore, e preponderante, furono costretti ritirarsi dentro le Montagne, fin dove 
l'inimico l'inseguì a vivo fuoco, che col favore degl'alberi han potuto salvarsi. 
E' certo però, che se vi fosse stata forza sufficiente Francese, il nimico non 
avrebbe sbarcato, ed essi constituiti al tempo proprio la richiesero a quel 
comandante de ' Cannonieri, il quale gliela promise, ma non la mantenne, o perché 
non la richiese a chi conveniva, o perché ad altro applicata non ha potuto 
accorrere. Il giorno nove di detto mese di Settembre giunsero in detta Marina di 
Diomante undeci Lanciuni Siciliani, una bombardiera, ed una mezza Galera tutti 
armati in Guerra, che uniti assieme facevano il numero di ventotto Bastimenti 
nimici, oltre ad altre picciole Barche, le quale non facevano altro, che tirar 
cannonate dove vedevano gente." 

Mentre ciò accadeva,'Woi grazia addio meracolosamente salvata la vita, mediante 
la fuga che tutti Noi abbiamo presa per la volta di Belvedere" ma "Noi tutti non 
abbiam altro salvato se non che quello che avevamo di sopra, ed avendoci 
rifuggiato in Belvedere colà non abbiamo potuto fare il presente testimoniale per 
mancanza di denajo, e per non essersi in detta città alcuno Notajo, perché tutti 
fuggiti alla montagna atterriti dalle cannonate." 

Il triste episodio raccontato da padron Savelli, che coinvolse tragicamente le altre 
133 imbarcazioni del numeroso convoglio navale, nonché l'intera popolazione di 
Amantea, rappresenta emblematicamente la difficile condizione della Calabria nei 
primi anni dell' 800, ma ancor più testimonia una sorprendente caparbietà nel 
condurre attività commerciali per via marittima, nonostante queste risultassero 
rischiosissime per l'evidente supremazia della marina inglese nell'intero bacino 
Mediterraneo. 

Era certamente una navigazione che privilegiava un itinerario sottocosta, a stretto 
contatto con le postazioni di difesa costiera, ma che nonostante ciò, non riusciva a 
sottrarsi alla minaccia dei Brick inglesi e dei Lancioni corsari, neanche quando la 
costa risulta ben difesa da torri, castelli e cannoni come quella compresa tra Pizzo e 
Briatico. 



173 



E' infatti il 27 marzo del 1810 quando la Bombarda 361 nominata S. Gaetano e 
l'Anime del Purgatorio, comandata da padron Tommaso Visco di Vico Equens fa 
sosta nella Rada di S. Venere, "per essere sicura e non tenerla nella Spiaggia del 
Pizzo" dopo aver consegnato nella marina di Pizzo "le lettere a chi andavano 
dirette" per il disbrigo del suo carico di botti d'olio d'ulivo. 

Il 3 di aprile di quello stesso anno si "diede principio al carico, il quale non si 
terminò pria del giorno sette di detto Aprile, avendone imbarcate salme cento, e 
diece, e staja tre di staja sedece per cadauna salma, ed il giorno medesimo firmò 
le dovute polize di carico, e continuando il tempo cattivo, non li fu permesso di 
portare la Bombarda in questa marina per imbarcare dett'olio, accomodatosi 
dunque il giorno quattordeci detto Aprile al far del giorno diede fondo in questa 
marina con detta Bombarda, e subito si diede mano all'imbarco di dett'olio, e si 
terminò la sera del giorno sudetto verso l'ore ventitre." 

In quello stesso 14 aprile il comandante fu costretto a caricare sulla propria 
imbarcazione cantaja trenta Bombe per conto della Regia Corte e disbrigatosi 
dunque, ed allestitosi la Patente si ritirò con detta Bombarda la sera medesima di 
detto giorno quattordeci nella Rada di S. Venere per stare al coperto de' tempi 
cattivi, in dove ritrovò ancorato un Bastimento o sia Polacca di nazione 
Ottomana." 

Mentre erano alla fonda, il 19 aprile "al far del giorno, comparvero fuori detta 
rada di S. Venere un Brich, ed una Fregata nemici, che si giudicò essere Inglesi, e 
considerando essi di poter soffrire da' medesimi qualche danno risolsero di 
unanime consenso di portare detta Bombarda in questa Marina del Pizzo, come in 
fatti sarpata l'ancora, diedesi fondo in questa Marina il giorno diecennove di detto 
Aprile, in quel giorno si lasciarono da detta Fragata, e Brich cinque Lande, e 
presero la proda sopra il Bastimento Ottomano, ed avendosi accorto il capitano, 
che dette Lande andavano ad incontrare il loro Bastimento, si fece animo, ed uscì 
con la sua Lancia, ed unitosi con le cinque Lande nemiche, che si disse essere 
Inglesi, alli quali avendo mostrato le sue carte, fu subito liberato, e non molestato 
il suo Bastimento come ci riferì esso Capitano Ottomano. 

In questo stato di cose ritrovandosi detto Padron Visco in questa Marina del Pizzo 
ancorato con la sua Bombarda, ed il giorno venti di sudetto Aprile non 
comparendo più la Fragata e Brich, e minacciando il tempo esser cattivo, e 
considerando non esser sicura la detta Bombarda in questa Marina ancorata per 
essere una spiaggia, risolse esso padrone con il consenso del sue equipaggio di 
portare di belnuovo detta Bombarda in detta Rada di S. Venere, per stare sicura, 



BOMBARDA: piccolo bastimento mercantile, cun uno o due alberi a vele quadre e una vela 
mezzana di punta a poppa, in periodo di guerra veniva armata con bombarde, denominazione generica 
con cui si chiamavano, tra il XIII e XIV secolo, le prime rozze bocche da fuoco. 



174 



come in fatti colà giunti diedero fondo al fianco del Bastimento Ottomano il 
suddetto giorno venti." 

Ma all'improvviso, all'alba del 21 aprile "/a Guardia, che faceva uno de' marinar] 
sopra detta Bombarda, vidde venire una Barcella, la quale fu subito chiamata col 
portavoce di allargarsi dal nostro bordo, alla quale chiamata rispose uno 
dell'equipaggio di detta Barcella chiamando il nome di detto Padron Tomaso 
Visco, domandandoci se avendo colà passate le Barche de' nostri paisani di 
Parghelia, ed avendosi in questo discorso accorto l'equipaggio del Bastimento 
Ottomano, ivi ancorato, chiamarono col portavoce detta barcella, dicendoli, che si 
avessero allargato dal loro bordo, e fingendo di ancorarsi poco distante dal 
Bastimento, e Bombarda, fingendo di dar fondo, si maneggiava a tegliare l'ancora 
di Poppa di detto Bastimento ed ad un istante si vidde una scarica di focilate, 
boccacciate, oltre il tiro del cannone che sopra detta barcella si ritrovava, sopra il 
Bastimento, l'equipaggio del quale fece anco fuoco sopra detta barcella, e 
considerando non poter riuscire di predare il Bastimento, andiede ad assaltare 
detta Bombarda con l'armi alla mano e dopo aver sparato diverse focilate, 
boccacciate, oltre il cannone, furono costretti essi attestanti di stare in coperta 
colla faccia per terra, e vedendo che la sudetta barcella veniva a dare ad essi 
medesimi attenstanti l'arrembaggio, e propriamente quando la viddero attaccata 
al loro bordo, con tutti i Marinar] con l'armi alla mano, li riuscì meracolosamente 
dal lato opposto di fuggire sopra la Lancia, ed andare a terra per salvare la vita, e 
subito montarono a bordo i marinar] di detta barcella e tagliarono l'ancore di 
detta bombarda, fecero vela e se la portarono per la volta di Sicilia, come da esse 
si è giudicato avendo veduto il far del giorno detta bombarda circa miglia duodici 
distante da dove fu predata. 

E siccome in questa marina del Pizzo si ritrovavano due Lancioni, e due barche 
Scorritorie non si mancò da esso Padrone subirò giunto a Terra in detta rada di S. 
Venere, di portarsi in questa marina del Pizzo, e dare avviso al Signor 
Comandante de' Lancioni Luigi Rosso della Costa di Sorrento, per uscire, se 
poteva rangiungere la Bombarda. 

Come infatti subito esso Comandante si partì da questa marina, accompagnato da 
tre barche scorritorie, per andare a raggiungere detta Bombarda, e toglierla dalle 
mani del Nemico, sopra i quali Lancioni e Scorritorie s'imbarcò detto Padrone 
Visco e sue equipaggio, e non avendo potuto raggiungere la sudetta Bombarda se 
ne ritornarono li detti Lancioni e scorritorie in questa suddetta Marina del Pizzo, 
come pubblicamente si vide, e detta barcella nemica si portò con sé la 
Bombarda." 

Fortuna volle che nel porto di Tropea si trovasse ancorato un convoglio militare 
comandato dal Capitano Barbara, il quale la sera stessa riuscì ad impossessarsi del 



362 ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 26 Aprile 1810, sch. CCCVI, voi. 1579, f. 
10. 



175 



bastimento che, trascorso nell'approdo tropeano il periodo di contumacia 363 , venne 

riconsegnato 

il successivo 15 maggio a padron Visco dietro pagamento di una sostanziosa 

ricompensa' 64 . 



Il periodo di contumacia, ovvero un periodo di quarantena della durata massima di quaranta giorni, 
era forse l 1 inconveniente che più preoccupava ed ostacolava i noleggiatori ed i padroni di barca. Esso 
consisteva in un periodo di blocco di accesso al porto o di sosta nel porto senza poter sbarcare uomini e 
merci, istituito dalle autorità locali nel caso dell'insorgenza di epidemie. Tale restrizione faceva 
aumentare considerevolmente i costi, tant'è che spesso, nei contratti di nolo, venivano fissate anche le 
probabili "spese di contumacia". Che in quegli anni si applicasse il periodo massimo di quarantena 
lungo le nostre coste, rivela conseguentemente la notevole frequenza di tali epidemie 

364 ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 15 maggio 1810, sch. CCCVI, voi. 1579, f. 
15. Riportiamo per esteso alcuni brani dell'accordo di riconsegna dell'imbarcazione, perché l'elenco 
della cose mancanti da essa, offrono un eloquente spaccato della vita di bordo e delle abitudini 
alimentari. Il padron Tomaso Visco si presenta ^asserisce col suo giuramento attestando, come avendo 
il Capitano Barbara condotto in questa Marina del Pizzo la sua Bombarda, quella stessa che dal 
medesimo fu ripresa dal Nemico nel tempo istesso, che se la trasporava in sicila, e dopo aver 
consumato in questa medesima marina giorni due di contumacia, avendo V altra consumata nella 
marina di Tropea si diede la prattica alla Bombarda medesima, ed a' marinar] che sopra le medesima 
si trovavano per custodirla. Intanto essendosi presentata dal Capitano Barbara richiedendoli la 
restituzione della Bombarda sudetta, unitamente al carico di oglio che nella sudetta si ritrovava, ed il 
medesimo li ripropose di voler tutto restituire, ma prima della restituzione di dovesse fare una regalia 
all'equipaggio di due Lancioni, un Fillocone, e due Barche Scorritorie, alla quale richiesta avendosi 
coperato alcuni amici di qui per ultimare una tale pretenzione, e colla sua presenza, si è ultimato 
rigalare all'equipaggio medesimo per compenso delle loro fatiche, la somma di ducati cento, come dal 
ricevo, che presso di lui si conserva, oltre ad altri ducati venticinque spesi in Tropea per consumo della 
contumacia come anche da ricevo. Avendo dunque con tal pagamento ricuperata la Bombarda, subito 
se ne andiede col sue equipaggio a bordo della medesima, ed avendola visitata da per tutto per vedere 
se mancava cosa alcuna tanto del carico, quanto degl'attrezzi di detta Bombarda, ha ritrovato 
mancanti la segiente robba. Videlicit. Otto quarzaroli pieni di olio, che ritrovavansi in coperta della 
capacita di staja ventidue circa per cadauno: Una botte nella Sentina mancante circa staja sedeci; Due 
gomine di canape poco regate tagliate in pezze dal corsaro nemico attor quando si prese la Bombarda 
nella rada di S. Venere e da lui impiombate per servirsene per non averne altre; Un Caldaro di Rame 
nuovo libre venti; Una Triella di Rame di libbre tre; Un trippiè di ferro dove appoggia il Caldaro di 
rotoli quattro; Una Bussola di navigare; Un Bechialone della spesa di ducati quattro; Un bollaccone 
poco rigato di canne trenta di cottone, e cottone; Un Vilaccio delVistesso cottone di canne venti; Due 
remi di coperta del valore di carlini trenta; Due prodesi di canape poco usati del peso rotoli 
centottanta; La cassa con tutti i ferramenti del valore di ducati quattro; Cottone nuovo per uso di vele 
canne venti che fu comprato a grana cinquanta la canna; Oltre di rotoli centosettanta formaggio di 
pertinenza di esso Padrone; Una bandiera nuova di canna una e mezzo; Come pure cantja due biscotto 
per provisione di marinari; Pasta rotoli trenta; Tumalo uno fave e fagioli; Rotoli quindeci sarde 
salate;Barili tre vino; Rotoli quindeci formaggio; Nonché la cassa con tutte le robbe di biancheria ed 
altro, Unitamente a due strapuntini e ducati venti, che si ritrovavano in cassa di detto padrone;Con 
tutti i vestimenti del suo equipaggio;E siccome in detta Bombarda si ritrovavano inbarcati cantaja 
trenta bombe di ferro per conto della Regia Corte, e non avendo potuto far diligenza di basso della 
Bombarda medesima per vedere se vi era mancanza di dette Bombe, sospettando che il ccorsaro 
nemico per farla maggiormente caminare, e non esser sopragiunta dal Capitano Barbara avesse potuto 
buttare in Mare qualche porzione di Bombe. Riservando esso Padrone Relatore di aggiungere cosa 
d'avvantaggio, se caso mai trovasse qualche mancanza.'''' 



176 



I testimoniali redatti in quegli anni barca offrono un'inedito repertorio di storie 
personali, di difficoltà quotidiane, di imprevisti che, seppur rappresentando di volta 
in volta episodi piccoli, minimali rispetto alla storia dell'intera regione, riescono ad 
essere preziose testimonianze ed unite ad altrettante piccole storie offrono un 
contributo determinante per la storia di un territorio e del suo evolversi nel tempo. 
Durante tutto il periodo napoleonico il porto di Pizzo riuscì ad affermarsi come 
un'importante tappa intermedia per il commercio marittimo tra Napoli e la Sicilia, 
protetto come era dai cannoni posti nel Castello e nella marina, lungo la rotonda 
piattaforma della Monacello, ma presentava lo svantaggio di essere costituito in 
larga parte da una piccola spiaggia e poco riparato dai venti e dai marosi, tant'è 
che in questi casi le imbarcazioni preferivano trasferirsi a sostare proprio lungo la 
rada di S. Venere. 

Del resto il pericolo più grande per il naviglio a vela era rappresentato proprio dal 
cattivo tempo e la Rada di S. Venere, rivelandosi in tal senso prezioso rifugio, si 
afferma col tempo come una valida alternativa all'approdo napitino, ed è per tali 
ragioni che l'area, nei primi anni dell'ottocento, risulta dotata di una piccola 
guarnigione militare di Guardie Costiere in grado di fronteggiare le piccole e 
grandi necessità amministrative create da quel continuo approdo di bastimenti. 
Tale presenza militare, sempre e comunque subordinata alla guarnigione francese 
di guardia nella marina di Pizzo, vuoi per la lontananza dal comando costiero o per 
uno spregiudicato uso del potere, si dimostra cagione di danni irreparabili per la già 
tanto in quell'epoca provata attività marinara. E' quanto ricaviamo dal racconto di 
una serie di episodi che coinvolsero il comandate di un bastimento greco sin dal 
suo arrivo nella rada di S. Venere. Il 23 febbraio 1811 si costituisce a rendere 
pubblico testimoniale il "Capitano Giorgio Strombot, suddito Greco Ottomano, 
comandante la sua Polacca nominata San Nicolò, e ben armegiata, e col suo 
equipaggio di numero ventitre marinar] esso capitano compreso; nonché il suo 
nostromo Demetrio Lussoriotì ed i due suoi timonieri Giorgio Spiglio ed Erasmo 
Cornelio, anche sudditi Greci Ottomani" . 

II gruppo di marinai retrovandosi con detta Polacca ancorata nella Rada di Santa 
Venere di Bivona, poco miglia distante da questa comune del Pizzo con porzione 
del suo carico di Sale, con venti fascietti di Cortice, trentaquattro cassa di Manna, 
stipa vuota, diversi vasi di creta ordinaria, e piatti di porcellana per uso di esso 
Capitano, ove fu detta Polacca menata per causa del tempo; ed essendo stati 
obbligati a consumare in essa rada di Santa Venere la contumacia in giorni 
quarantuno, in questo frangente hanno sofferto diverse fortune di Mare, nonché 
tempeste con Mare grosso oltremodo" ma questo sarebbe stato niente se non ci 
fosse stato il comportamento ostile della guarnigione di terra, visto che "dal primo 



111 



giorno che diedero fondo colla sudetta loro Polacca nella medesima Rada di Santa 
Venere, li furono posti a bordo per ordine de ' Superiori, numero nove soldati di 
truppa Francesi, oltre di un Caporale ed un Sergente della medesima, in tutto 
numero undeci, e questi si trattennero fintanto che si terminò la contumacia de' 
suddetti giorni quarantuno, e subito che sono stati posti in prattica scesero a terra 
detti nove soldati, caporale e sergente, ed invece de' medesimi sono imbarcati 
diversi Guarda Costa, e cannonieri, che di presente si attrovano a bordo. 
Terminata essendo poi la contumacia dei sudetti giorni quarantuno, nel mentre si 
dovea da venire al disbarco de' sudetti generi, si portò a bordo di detta Polacca il 
Tenente d'ordine per levare via l'incerata dal boccaporto del corridore, e levare 
ancora il suggello, come di fatti li levò, e dopo terminata tale operazione si 
principiò nel giorno sei di questo mese di febbraio lo disbarco del detto Sale, della 
cortece, manna, vasi di creta ordinarie e piatti, ed il detto Tenente di ordine, per 
ordine de' superiori dopo terminata la discarica de' generi, per ogni sera si 
portava a bordo di essa Polacca, e metteva l'istessa incerata nel boccaporto del 
corridore e mettea ancora il suggello; e perché non si ritrovava l'incerata sopra il 
boccaporto di coperta, dove era solito tenersi, fece si che tutta l'acqua tanto 
dall'onde, che s'introdiceva dalla parte di proda, e dalla parte laterali della 
Polacca, nonché quella, che cadeva dal cielo, tutta andava nel basso di essa 
Polacca. 

In questo fratempo la cortece, Manna e vasi furono totalmente disbarcati, ma non 
così il sale; ed ecco che ilgiorno quattordici di questo Febbrajo sopragiunse un 
gran temporale con mare grosso, che gli attestanti credevano certo ad ogni 
momento colla ciurma, e Polacca sommersi dall'onde del mare, le quali 
montavano da proda, nonché da' lati della Polacca per lo sbalzo e movimento che 
la medesima facea, percui si vedeva crescere l'acqua nella sentina più del solito, 
perciò si stimò da essi attestanti di scendere, e calare lo scandaglio nella sudetta 
sentina, ed hanno ritrovato in essa un palmo d'acqua, cosa insolita, e che da essi 
marinar] non si mancò di asciugarla colla tromba, ma osservarono, che la 
maggior parte era acqua liquifatto del sudetto sale; dopo ore ventiquattro sendo 
calmata detta tempesta, e resosi il mare alquanto tranquillo, si vide la mattina del 
giorno sedici detto febbraio venire di belnuovo a bordo di essa Polacca il sudetto 
Tenente d'ordine, accompagnato con altri, il quale fece togliere dalla Polacca il 
timone, e lo fece a terra condurre, senza dire a' costituiti il motivo, e senza sapere 
i medesimi la causa; ciò fatto non si continuò la scarica del sudetto sale perché il 
tempo minacciava di farsi cattivo, come di fatti la notte di detto giorno di 
diecessette si mosse una furiosa tempesta più forte dell'altre, percui non potendosi 
la Polacca mantenere in equilibrio per la deficienza di detto cacciato timone, il 
mare e tempesta la menava sempre a traverso, causa percui l'onde marine 
entravano su la stessa dalla parte di proda e dalla parte ove sbazava, e facea moto 
la Polacca in maniera che li marinar] non poteano reggersi in pie ad asciuttare 



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l'acqua della sentina colla tromba sudetta, stante l'acqua crescer da momento in 
momento, e credevano esser di belnuovo sommerse dall'onde, essendosi la ciurma 
avvilita, perché aspettavano l'istante morte, che li sovrastava, tanto 
maggiormente, che la gomena della speranza minacciava di rompersi. 
Ritrovandosi dunque in tante angustie, ambasci e pericoli colla loro ciurma, e 
vedendo cresere l'acqua nella mensionata sentina, si sono accorti, che non ostante 
l'acqua di Mare entrava da proda alla Polacca, nonché quella dalla parte del 
moto, e sbalzo della stessa, che s' introduceva di basso, pure hanno creduto, e 
tennero, come tengono per certo, che dalla parte di fuori di essa polacca siasi 
rotto qualche filo, da dove s' introduceva anco dell' acqua, e tutta andava ad 
introdursi nel fondo della Polacca, dove esiste ancora porzione del carico del sale 
sudetto, non essendosi per parte degli attestanti, e loro ciurma mai mancato di 
ascittarla colla tromba, per non venirsi a perdere tutto il sale, mediante l'acqua, 
che si trovava introdotta nel basso, e sono l'attestanti sicuri sicurissimi, che sidetto 
sale sene sia liquefatta una buona porzione" 

La versione resa allo stesso notaio dieci giorni dopo si arricchisce di una maggiore 
perizia nella descrizione di ciò che accadde durante i quarantuno giorni di 
contumacia dell'imbarcazione "giorno ventuno Decembre prossimo passato anno 
mille otto cento e diece giunsero felicemente in detta rada di Santa Venere il 
giorno ventidue detto mese, con venti di mezzogiorno, e Libbeccio, ed avendosi 
detto capitano in detta rada ancorato, fu in quello medesimo giorno obligato di 
mettersi sopra la lancia con altri quattro marinari dell' istesso equipaggio, per 
portarsino a terra, perché da ivi chiamati da soldati Francesi e Guarda Costa, ed 
avendo seco portata la patente, la consegnò a chi spettava; ed avendosi in quello 
stesso istante ritornata la lancia a bordo di detta Polacca, rimase a terra il solo 
Capitano, il quale fu trattenuto fino al giorno ventiquattro, tempo in cui andiedero 
a bordo nove soldati di Truppa Frencese, un caporale, ed un Sergente per costodia 
della medesima Polacca, e V istesso giorno hanno fatto disbarcare numero diece 
marinar] dell'equipaggio della medesima, ed uniti li medesimi col capitano furono 
posti in una casetta, dove venivano guardati da ' Guarda Costa , ed altri, e dopo 
due altri giorni andò a bordo il Tenente di Guardia Costa, il quale pose il suggello 
a boccaporti del corridore, sotto del quale stavano riposti il sale e manna. 
Essendo stati obligati in detta rada di Santa Venere a consumare giorni 
quarantuno di contumacia, tanto i marinar], che si attrovavano a bordo di detta 



365 ASN, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 23 febbraio 1811, sch. CCCVI, voi. 1579, f. 18 

! " La testimonianza si rivela qui ulteriormente interessante, in quanto riporta la presenza di una casetta, 
nella rada di S. Venere, utilizzata dai soldati della Guardia Costa e Francesi, che comunque non doveva 
essere molto confortevole se, nell'utilizzarla a mò di prigione per i dieci marinai, un numero 
corrispondente di soldati preferì trasferirsi sul bastimento greco. 



179 



Polacca, unito co' suddetti soldati francesi, caporale, sergente e Tenente di 
Guardia , nonché il capitano coi suoi diece marinar] a terra costoditi nella sudetta 
casetta, e fra questo tempo di consumo di contumacia hanno sofferto in detta rada 
diverse fortune di Mare, o sieno temporali con mare oltremodo gonfio, che 
credevano in ogni istante esser sommersi dall'onde" . 

Ma le disavventure del comandante greco erano destinate a non cessare, visto che 
tre mesi dopo la sua imbarcazione era ancora alla fonda nella Rada di S. Venere. 
Il 26 giugno 1811 si reca ancora dallo stesso notaio napitino asserendo che 
"ritrovandosi egli questo istesso giorno ventisei a terra in detta rada di Santa 
Venere, mandò in questa città del Pizzo quattro marinar] dell'equipaggio di detta 
Polacca per mantenersi il restante dell'equipaggio istesso; come di fatti la mattina 
di esso giorno ventisei s'incamminarono per questa città i sudetti marinar] ed 
avendo comprato tutto quello ch'era di bisogno, verso l'ore diecessette si 
partirono del Pizzo co' sudetti viveri, e si portarono per terra in detta rada di 
Santa Venere all'ore diecedotto di esso giorno ventisei, ed avendo chiamato da 
terra la lancia per venire ad imbarcare li sudetti quattro Marinar], e viveri, ma 
siccome la sudetta lancia non avea ferro perché li fu rubato, così non potea stare a 
terra, ma alla fine venuta a terra la sudetta lancia per mezzo di una cima, eh 'era 
ligata sopra il capitello, ossia ancora di Poppa di essa Polacca, che confinava fino 
allo lido di terra, questa servia di ferro di detta lancia, ed essendosi imbarcati detti 
quattro Marinar], e viveri sopra la sudetta lancia, principiarono ad andar sino 
cima cima al bordo di essa Polacca, ma siccome il mare era alquanto grosso, tutto 
ad un colpo si rompe la sudetta cima, e la lancia andò al traverso, e si perderono 
tutti i viveri, due de' quattro Marinar] vennero offesi uno al piede, e l'altro alla 
gamba, e per meracolo d'Iddio si hanno salvati, ma la lancia mediante il grosso 
mare l'ha fatto in varie pezzi, le quali il Mare istesso l'arrenò in detta rada di 
Santa Venere, dove al presente si attrovano." 

Ma quello che accadde quasi un mese dopo all'equipaggio greco fu ancora più 
grave ";7 ventiquattro andante mese di Luglio di questo corrente anno mille otto 
cento ed undeci, essendo comparsa verso l'ore quindeci fuori Briatico, seu 
Rocchetta una Fragata Inglese, la quale fino all'ore sedeci drizzò il camino per il 
golfo di Sant'Eufemia, indi poi verso l'ore diecedotto si ritrovava dirimpetto di 
Santa Venere di Bivona, ed appoggiò la prora a dirittura supra la detta Polacca, e 
subito gettò in mare tre lande, una delle quali andò sopra la mentovata Polacca, e 
pose fuoco, essendo l'ore venti circa. 



' ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849) , 4 marzo 1811, sch. CCCVI, voi. 1579, f. 26 
ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 26 giugno 1811, sch. CCCVI, voi. 1579, f. 



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In qual veduta, siccome in questa Marina si trovavano tre lancioni della Divisione 
del Signor Barbara , nonché Vice Scorridore del Signor Lo Prest, e Signor 
Luciano; li medesimi subito fecero vela andando contro le sudette lande nemiche, 
ma in tanto l'altre due lande Inglesi andavano a Terra di Santa Venere facendo 
fuoco, perché ivi v'era una Barca nel lido, e come colà era occorso tanto la 
Truppa qui stazionata, che la civica, ed altro ajuto di Monteleone, così a vicenda 
facevano fuoco, ed impedirono dette lande nemiche a bruciare, o prendersi la 
barca di sopra denominata, percui se ne ritornarono, ed andarono di belnuovo 
alla surriferita Polacca a porre, come posero maggior fuoco, e la Fregata Inglese 
si avvicinava alla dirittura di essa Polacca, la quale era accesa, e si bruciava per 
il fuoco avuto. 

In questo stato di cose tanto i lancioni del Signor Barbara, che le denominate due 
Scorridore tiravano colpi di cannoni contro dette lande, e contro la Fregata, e lo 
stesso facevano le lande contro i Lancioni e Scorridore, essendovi un fuoco vivo, 
in qual fuoco la Fregata vieppiù si accostava alla Polacca per non andare niun 
legno a smorzare il fuoco, il Fortino di questa Marina (di Pizzo, ndr.) tirò tre o 
quattro colpi di cannoni alla Fregata, allora la medesima Fregata essendo quasi 
l'ore ventidue tirò più colpi di cannoni a terra di Santa Venere dove era la sudetta 
Barca, truppa e civica, indi cominciò a tirare colpi di cannoni contro detti 
Lancioni e Scorridore, le quali da valorosi si difendevano contro la Fregata 
sudetta, la quale non si partì mai fino all'ore ventiquattro ad andare in alto mare 
con poco vento da terra, se pria non vidde bruciata per intera la sudetta Polacca, 
cosa notoria a questa popolazione" . 

Probabilmente se l'imbarcazione greca non fosse stata vittima delle angherie del 
tempo e degli uomini non sarebbe stata costretta a restare alla fonda nella rada di 
S. Venere per ben otto mesi, evitando in tal modo di finire sotto il fuoco nemico. 



Il Capitano Barbara, che questi documenti rivelano attivissimo nella difesa navale del tratto costiero 
compreso tra Capo Vaticano e Pizzo nel 1810 e nel 1811, ebbe successivamente un ruolo di primo 
piano nello sfortunato sbarco nella marina di Pizzo di Gioacchino Murat, avvenuto quattro anni dopo, 
nella marina di Pizzo, nel tentativo di riorganizzare la riconquista del Regno di Napoli. Comandante 
della nave "S. Erasmo", sulla quale era imbarcato lo stesso Murat ed il suo stato maggiore, raggiunse la 
costa napitina l'8 ottobre 1815. Il convoglio navale partito il 28 settembre 1815 dalla Corsica, disperso 
dal maltempo, si ridusse a due sole navi, ed il Barbara convinse il Re ad approdare a Pizzo, dove era 
molto conosciuto dai marinai per le sue passate azioni militari. Ma appena Murat raggiunse la cittadina, 
la situazione precipitò a tal punto che, per evitare l'arresto, il gruppo francese rifuggì verso la marina 
scoprendo però, ironia della sorte, che la nave del Barbara aveva preso il largo a vele spiegate, sentiti i 
primi colpi di fucile. Il tradimento, che facilitò l'arresto di Murat, pare sia stato originato dalla presenza, 
a bordo della nave, del tesoro di guerra dello sfortunato re, 3.000.000 di franchi con i quali finanziare la 
sommossa antiborbonica, somma che renderebbe comprensibile ai più un'azione così vile da apparire 
inspiegabile. Alle ore 21,00 del 13 ottobre 1815 Murat venne fucilato nel castello di Pizzo. Cfr. Cortese 
F., Sbarco cattura e fucilazione di Gioacchino Murat a Pizzo Calabro nel 1815, Ed. Brenner, Cosenza 
1977. 



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Proprio per il tortuoso evolversi della sua vicenda il comandante Capitan Giorgio 
Strombotti, non solo di questo se ne protesta contro il suo Principale Signor 
Vincenzo Rossi, incaricato a farlo qui caricare di generi, e non l'ha mai dopo otto 
mesi, che dimorò in Santa Venera, disbrigato di carico, nonché si protesta di tutti i 
danno, spese ed interessi ordinar], ed estraordinarj fin dal suo arrivo in detta 
Santa Venere, a tutt'oggi, e finacchè sarà per ritirarsi colla sua restante ciurma 
nel luogo ove fu noleggiato."' 

A parte gli episodi di rappresaglia bellica, in quei primi anni dell'ottocento, la 
Rada di S. Venere rappresentava per i naviganti l'estremo punto d'ancoraggio, una 
sorta di ultima spiaggia dove evitare gli eccessi del maltempo. Spesso però non fu 
così. Molte furono le imbarcazioni che travolte dalle onde in quella rada subirono 
danni impressionanti in termini economici, con la perdita di ancore, fasciame o 
mercanzia imbarcata, alcuni tali da causarne addirittura il naufragio. 
Il 7 maggio del 1816, alle ore 17, si ritrovò dinanzi la marina di Pizzo il Capitano 
Vincenzo Cafiero, figlio del fu Prospero, nativo di Sorrento, comandante della 
Bombarda nominata l'Assunta, con il suo carico di 1648 tumoli di grano "e colla 
Lancia si andò", racconta nel suo testimoniale, "a/ Lido di questa marina, e fatti 
chiamare i signori Deputati di Sanità in contumacia, si è mandato ancora a 
chiamare il Signor Don Domenico Musolino raccomandatario di detto grano e che 
giunto in essa marina, disse loro che si avessero dato fondo nel ridosso di Santa 
Venere, per indicare loro la risposta, o di scaricare o di andare in Napoli; ciò 
inteso si chiamò un Piloto che li drizzò a dare fondo in detto Santa Venere, come 
fecero". Nonostante il giorno dopo fossero state ottenute le necessarie 
autorizzazioni per effettuare lo sbarco della mercanzia, il maltempo costrinse nella 
rada l'imbarcazione fino al "lunedì tredici di detto maggio, e poiché il mare era 
calmo ed il tempo dimostrava propizio, si partì esso capitano con la suddetta sua 
Bombarda da detta Santa Venere verso l'ore duodeci, ed a forza di rimorchio della 
sua lancia, perché il vento era calmarla, giunse in questa rada verso l'ore sedeci 
(...ma) un'improvviso colpo di vento di Ponente e Maestro rese in un momento il 
cielo nuvoloso, e minacciava borrasca. Fu perciò costretto esso capitano Cafiero 
di recarsi a bordo della bombarda, in dove avendo consultato il parere 
dell'equipaggio, furono tutti di accordo di doversi andare colla Bombarda istessa 
nel ridosso di Santa Venere per così mettersi in sicuro, percui si spiegarono le vele 
colla proda a Tramontana, ma siccome in un momento il vento e il mare 
ingrossato, ed una gran corrente di mare menò la detta Bombarda vicino a questa 
Tonnara del Pizzo, dove fu costretto detto capitano anche col parere di essi 
marinar] far serrare le vele e gettare un'ancora per mantenere in un sito distante 
alla detta Tonnara la Bombarda. Correano l'ore ventitré del medesimo giorno, e 
rinfrescò il vento di Ponente e Mestro, ed il mare più ingrossato fece andare la 



370 ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 25 luglio del 1811, sch. CCCVI, voi. 1579, f. 

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sudetta Bombarda in faccia al capo di essa Tonnara, nominato il Pedale, dove, 
mediante l'agitazione dell'onde, il timone della Bombarda restò inceppato conn 
detto corpo di Tonnara, e fattesi tutte le manovre possibili dall'equipaggio di essa 
Bombarda non si è potuto svincolare. 

Verso l'ore ventiquattro del giorno medesimo sortirono due barche da terra per 
darli ajuto, le quali furono spedite per disposizione del Raccomandatario Signor 
Musolino, ed appartenevano alla Tonnara sudetta; col favore di questo per mezzo 
del rimorchio, e di un torreggio, che si è steso sopra di una ancora della 
Bombarda stessa, dopo di essersi tolto il timone dall'equipaggio, si levò la 
Bombarda dal capo di detta Tonnara, e si ancorò poco distante dalla medesima, in 
un sito che si è creduto da ' marinar] di questa città, che si trovavano sopra dette 
barche, confaciente e polito. Nel medesimo momento si gettarono in mare dua 
altre ancore, cioè la seconda e la Speranza, per così maggiormente assicurare il 
legno ed il carico, ma nel gettarsi in mare detta Speranza, si è danneggiato il friso 
si mezzo, del lato sinistro di essa Bombarda. 

Correano l'ore quattro di notte, ed il tempo burrascoso si era avanzato, percui di 
inchiodarono li boccaporti, s'impag nettarono le gomene dell'ancora, e si assisteva 
di tutto punto alla Bombarda, ma verso l'ore cinque, e mezza, resosi più 
burrascoso detto vento, ed il mare, minacciavano il naufragio della Bombarda, per 
cui esso Capitano, domandato il parere di tutti i marinar], furono d'accordi per 
salvarsi la vita, abbandonare detta bombarda ed andare a terra, come fecero con 
la Lancia, e quando furono vicino al Lido, le onde frangenti messero a fondo la 
Lancia, colla quale investirono sul Lido, e si salvarono meracolosamente verso 
l'ore sei, il resto della notte lo passarono sulla spiaggia in contumacia" . 
La situazione non precipitò ulteriormente solo perché il giorno successivo, 
nonostante le condizioni del tempo non fossero migliorate, l'esperto capitano, 
compredendo la necessità di mantenere maggiormente ferma la nave con una 
nuova ancora, la richiese al raccomandatario, ed avutola nel pomeriggio, con 
coraggio, salì su di una lancia con il suo equipaggio, e si portò sul bastimento "<? 
giunti che furono sulla Bombarda gli adattarono una gomina vecchia che su la 
Bombarda si trovava, e situarono la detta ancoretta alla poppa di detta Bombarda, 
e la drizzarono sulla stessa, dopo di che meno trapazzo le dava il mare, quindi 
visitarono le pagliette delle gomine delle ancore di prora e le trovarono intatte, e 
senza danno, visitarono benanco la sentina, si trovò poco acqua con de' granelli di 
grano mescolati nella stessa, e subito la tolsero per via della Tromba, e per mezzo 
de' cati.Assisterono il Legno fino all'ore ventitre del giorno medesimo, ma come il 
tempo seguiva sempre burrascoso, e sembrava che la notte dovea crescere, col 
consiglio dell'equipaggio si restituì esso Capitano a terra con la detta Lancia, e 
con tutti i marinar], e si abbandonò nuovamente la Bombarda. 
Tutta la notte anche il mare fu burascoso, ed il giorno quindeci si è reso più calmo, 
ed ha dato luogo verso l'ore quattordeci di fare andare ad esso capitano colla sua 



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ciurma per mezzo della Lancia sulla Bombarda, giunti nella quale visitarono le 
gomene dell'ancore di proda, e quella di poppa, e le trovarono in buono stato. 
Visitarono la sentina, ritrovarono poco acqua e subito la tolsero. Quindi 
manovrarono di fissare il timone, e li riuscì di collocarlo, sebbene con piccolo 
danno Timoniera e nelle Sirene di Poppa. 

Tutto sembrava andare per il verso giusto, e ripreso il controllo dell'imbarcazione 
"crederono poter sarpare l'ancore per sortire da quel sito, e prima di tutto 
cercarono sarpare la speranza, ed appena che principiarono a tirare la gomina 
della stessa, se ne venne, e si è conosciuto che si era rotta, e distaccata 
dall'ancora percui la lasciarono, e pensarono di avvisare di tale avvenimento il 
raccomandatario Signor Musolino, anche per spedire qualche barca per 
rimorchiare la Bombarda, e lavarla di quel luogo." 

I testimoniali redatti in quegli anni raccontano per intero le tante disavventure 
corse dalla marineria commerciale lungo questo tratto di costa, e tutte 
meriterebbero di essere citate interamente per la ricchezza dei particolari, della 
descrizione degli usi marinari, di gerghi e di descrizioni dei luoghi che rivelano con 
efficacia la vitalità di una cultura marinaresca, che a torto si è sottostimata nel 
tracciare la storia delle nostre città costiere. 

Erano le ore 20 dell'8 luglio 1816 quando, già duramente provata dal maltempo 
incontrato nel tratto di mare percorso da Paola a Santa Venere, giungeva nella rada 
la Felluca di padron Nicola Padotella, carica di tabacco e dogarelle, nell'estremo 
tentativo di sbarcare con una lancia gli attrezzi necessari per poi tirare 
l'imbarcazione al sicuro sulla spiaggia, ma "mentre stavano a tirarla, il mare 
vieppiù ingrossava percui si rompe un prudere, che si era posto per capo a vento, 
e subito per riparo si pose altro capo, e seguitavano a tirare la Barca; ed ecco che 
tirandola si rompe il capitello, nonché si rompe un capo di ferro de' due ferri, che 
so ritrovavano dati a fondo, e così venendo meno ambe due, si troversò la barca, 
prendendo il lato di fuori, e vedendo di non poterla più tirare, diedero principio a 
discaricare le mercanzie, come di fatto hanno salvato tutto il Tabbacco, le 
imbasciate, un fiasco di olio, ritrovato poi rotto, e delle dogarelle se ne ricuperò 
una quantità, stante il resto fu portato via dal mare. 

Quasi la stessa sorte toccò al capitano Salvadore Giardino, di Cefalù, ed al suo 
sciabecco a tre alberi a vela latina nominato l'Immacolata Concezione, il quale 
colto dalla burrasca nel suo viaggio tra Palermo e Lipari, con l'albero di maestro 
rotto dal Maestrale ed una porzione del carico di Fave gettata in mare per 



371 ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 16 maggio 1816, sch. CCCV, voi. 1581, f. 
86. Le rimostranze del Capitano erano essenzialmente rivolte al riarcimento dei danni subiti, ed in 
particolarmodo al risarcimento dell'ancora della Speranza con la sua gomena, per il cui acquisto aveva 
speso ben 52 ducati a Palermo 

i!: ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 9 luglio del 1816, sch. CCCV, voi. 1582, f. 
192 



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alleggerire l'imbarcazione, raggiunse verso le ore 16 del 22 febbraio 1817, la rada 
di Santa Venere ed ancorata l'imbarcazione in tutta fretta, tra acqua tuoni e 
fulmini, salì con tutto il suo equipaggio su un bozzetto per cercare scampo sulla 
spiaggia "da dove stavano a mirare il bastimento, che sembrava naufragarsi da 
momento a momento, e ciò fino al giorno venticinque detto febbrajo. La mattina 
poi di detto giorno venticinque verso l'ore dodeci, essendo il mare alquanto in 
calma si pose esso capitano con il suo equipaggio nel battello, e si portarono a 
bordo di esso Sciabbecco per visitarlo, e giunti trovarono al di dentro che ci erano 
tre palmi di acqua di mare dentro il basso. Ciò posto, e dopo avar asciuttato 
l'acqua considerando che non poteano più fare il di loro camino, e per avere rotto 
il sudetto albere, e per aver patito il legno e la mercanzia, hanno stimato e risoluto 
di venire in questa marina del Pizzo" dove con la perizia del Mastro Barcaiolo 
Marco Malerba di Giuseppe in un solo giorno riuscirono a riparare interamente i 
danni subiti dallo sciabecco. La vicenda potrebbe sembrare a lieto fine, senonchè, 
mentre il capitano stava perparandosi alla partenza "venne costretto da questo 
Controloro D. Francesco Marabito a scaricare e vendere in questa Marina i Favi 
del carico, per uso di questa popolazione, e non potendo esso capitano opporsi, ha 
dovuto cedere, ed infatti ha dovuta scaricare e vendere detti favi in questa marina 
con suo discapito"' . 

Un mese dopo, esattamente il 25 aprile del 1817, è il Capitano GiovanBattista 
Bignone di Gibilterra, comandate del bastimento battente bandiera inglese 
nominato "il Cavallo Marino", che effettuò un ancoraggio nella rada di S. Venere, 
in attesa di caricare botti di olio nella marina di Pizzo, ma mentre era alla fonda 
nella rada vibonese, "dall'impeto di una tempesta fu menato su la spiaggia di detta 
Santa Venere e quantunque si sia salvato, pure ha dovuto fare molti ripari, ed ha 
perduto degli attrezzi, per V accomodo dei quali ha erogato la somma di ducati 
300, unitamente all'acquisto delle provviste per uso della sua ciurmam nel viaggio 
che deve fare fino a Roma, col carico di oleo che deve prendere di conto del 
Signor Don Emanuele Greco, Negoziante in Napoli" 

Questa notevole quantità di bastimenti che utilizzavano la rada come rifugio, favorì 
in breve tempo la nascita di un piccolo villaggio. Alle case della famiglia 
Marzano, dei Gagliardi, del Portolano di Francia, dei Guardia Costa ecc., si 
affiancarono altre piccole casette di marinai e pescatori, nonché qualche taverna, e 
la prima descrizione in tal senso ci viene fornita dallo studioso svizzereo Charles 
Didier, che nel 1835 visitò l'area costiera:"...// golfo di S. Eufemia termina come 
comincia, cioè con degli oliveti, tagliati qua e là da querele e faggi, popolati da 
usignoli (...) ad alcune miglia di distanza, verso Pizzo, si trova, sulla riva del mare, 



373 ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 6 aprile 1817, sch. CCCV, voi. 1582, f. 113. 
ÌU ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 29 aprile 1817, sch. CCCV, voi. 1582, f. 100. 



185 



un villaggio chiamato Santa Venere. Santa, a dire il vero, un pò profana, benché 
bene e canonicamente riportata nel calendario romano" 

E' il 1840 quando il commendatore Domenico Cervati 376 , dà alle stampe la 
relazione del progetto definitivo "per ridurre l'ancoraggio di ,S(ant)a Venere 
presso la città del Pizzo, nel Golfo di S.a Eufemia, a sicuro ed ampio porto". 
Nell'ampia premessa, viene elogiata l'intelligenza del sovrano, che l'anno prima 
aveva nominato la commissione composta da egli stesso e dal Comandante di 
Marina Don Salvatore D'amico con l'incarico di "riconoscere quel fondo se piano 
e facile fosse ad ancorarvisi e non ondeggiante e ne cavassero un disegno per 
recare a felice termine quel porto" . 

Egli sottolinea come un porto costruito nella Rada di S. Venere verrebbe a 
collocarsi nella media distanza da tutte e tre le Calabrie, in quanto distante 71 
miglia da Cosenza, 40 da Catanzaro, e 61 da Reggio, divendendo in brevo lo 
sbocco ottimale dei loro ricchissimi prodotti: "troverebbesi eziando presso alle 
copiose pianure del golfo di S. Eufemia, facendo capo dalla marina di Nicastro 
alla foce dell' Angitola, e dalle terre di popolati paesi che si distendono da 
Monteleone sino a Rosarno. Per tali essenziali vantaggi quella postura centrale 
presso alla quale prolungasi la strada Regia, che radendo il ciglio della pendice su 
cui siede la Città del Pizzo, con breve tratto non maggiore di tre quarti di miglio, 
potrebbe comunicare col porto, diverrebbe l'emporio del commercio delle 
Calabrie, e sorgere vi si vedrebbe una numerosa popolazione d'industriosi 
abitanti. Né ciò è un vago e semplice concetto. Il Pizzo posto ad egual distanza 
delle due città più operose e commercianti delle Calabrie, Nicastro e Gioia, va di 
giorno in giorno accrescendo la sua importanza malgrado le condizioni in cui è. 
Esso già divenuto veicolo del commercio di Nicastro, il diverrebbe ancora di Gioia 
con la costruzione del porto di S. Venere, di cui la bocca essendo distante da 
quella Città per un breve ed agevole spazio di lido lungo men di un miglio e tre 
quarti (pai. 12000), in breve vedrebbonsi riuniti quei due luoghi in una sola città. 
Così il commercio delle vicine città Calabre ricche e popolose avrebbe un luogo 
accomodatissimo al traffico ed allo scambio delle merci, e resterebbe deserto il 
paventoso sbarcatoio di Gioia. 

E poiché brevissimo egli è ancora quel tratto di terra che s'interpone tra la rada di 
S.V enere in sul Tirreno ed il golfo di Squillace nel Ionio, così è da considerarsi 
egualmente che tutto il commercio che si avea il porto di Cotrone, oggi interrito, e 



375 Didier C, L'Italie pittoresque, Pigoreau, Parigi 1835 

7 Cervati Domentico, Relazione per ridurre l'ancoraggio di S. Venere presso la città del Pizzo in 
ampio e sicuro porto, 1834. Tenente Colonnello del Genio, Socio corrispondente della Reale 
Accademia di Belle Arti, membro della commissione regia incaricata dal Re delle due Sicilie 
Ferdinando II, di redigere il progetto per il porto di S. Venere. 



186 



non atto a venir ripristinato, andrebbe a rifluire in quello di Catanzaro, ed i 
prodotti del Marchesato si avrebbero del pari un libero e sollecito sbocco. Né qui 
si pretermette di far considerare, che i Reali e grandi Stabilimenti della Mongiana 
e di Ferdinandea, che l'un di più che l'altro vanno acquistando nuovo incremento 
e maggior lustro, nullameno non han ove emettere i loro abbondanti lavori di 
ferro, tutto che siasi costruita con grave dispendio una strada rotabile da essi al 
Pizzo, ed altra da questa città alla marina, ove convenienti depositi sono stati pur 
edificati. Attualmente que ' prodotti caricansi a spilluzzico su piccoli navicelli in 
sulla spiaggia del Pizzo, come il punto più prossimo e più facile pei trasporti; e in 
cambio, formandosi il porto in S. Venere, facilmente si estrarrebbero per mezzo di 
grosse navi con guadagno di tempo e risparmio di spesa". 

Ma a parte le ragioni economiche, è forse il caso di riportare integralmente la 
dettagliata descrizione che il tecnico offre dell'area, in quanto rappresenta meglio 
di una fotografia il litorale vibonese: 

"E oltre progredendo innalzasi sul lido Briatico, ameno villaggio, accanto di cui, 
verso Greco, è una grossa torre quadrata, che chiamano la Rocchetta, la quale 
forma egualmente il limite di libeccio del seno di S. Venere. Poco distante ed a 
levante di Briatico si scaricano due torrenti, il Morea e lo Spadaro; e percorrendo 
un miglio e mezzo di spiaggia verso levante incontrasi la punta di Savò, quindi 
quella detta del Pecoraro. Da questa dipartivasi quel seno che lievemente 
incurvavasi a pie delle colline che ivi con piccola altezza sorgono, ed aveva fine a 
quella sporgenza montuosa sopra cui è la Casina di Gagliardi, e che venne di 
mano in mano ricolmo dal torrente detto il Trainiti, (da trahens), il quale vi si 
scarica. Eppure in remotissima età fu riguardato come buon porto, ma è mestieri 
por mente alla grandezza dei navigli di quel tempo, i quali pescavano poco e 
tenevansi per lo più a secco. Di fatti vi sorge il diruto castello di Vibona eretto a 
guardia dell'antico porto d'Ercole Ipponiaco che non più di 1880 palmi dista dal 
nuovo lido, benché stesse nel sito più interno del seno. Epperò ammesso il caso più 
sfavorevole che la torre fosse lambita dalle acque di quel famoso porto, non di 
meno la rientrante non poteva essere maggiore di quella da noi indicata con la 
apertura di una corda lunga due miglia circa. 

Si osservano ancora i suoi frammenti e non ha guari furono trovate delle anella di 
ferro ad uso di ormeggiare o di tirare a secco le navi. Agatocle, tiranno di Sicilia, 
istituiva quel porto, allor quando si rendeva padrone di Vibovalenzia e Ipponia, 
cui i Locresi che la fondarono chiamarono Metaponto: oggi Monteleone, città 
ragguardavole a tre miglia dal vibonese lido sul ciglio del monte. 
La continua azione del Trainiti, resa oggi mai più potente per l'abuso che si fa 
della coltivazione dei monti da cui ha origine e dei terreni per dove trascorre, ha 
formato dinnanzi alla sua bocca un banco di arena bislungo, il quale nascondesi, e 
s'innalza poco sotto la superficie delle acque, e verso la dritta soltanto a guisa di 
una lingua o pignone se n 'estende una parte appariscente agli occhi. 



187 



Dalla prominenza di Gagliardi seguendo verso il Pizzo il lido con dolce seno 
s'interna, ed è questo il loco da noi tolto in esame. E' coronato dagli ameni colli di 
Longobardi e di S. Giovanni (qui probabilmente intendeva S. Pietro), di struttura 
formata di granito e di pietra calcarea, i quali tra gli ubertosi e coltivati terreni 
discendono dolcemente verso la riva ove terminano in piccole e scoscese sponde di 
granito, separate dal mare per un tratto di spiaggia arenosa di giusta ampiezza. 
Alla punta orientale sorge la città del Pizzo sovra una roccia sporgente nelle onde 
quasi a picco. La corda che ne congiunge la punta estrema con la Rocchetta di 
Briatico è lunga 5 miglia, e il suo rientrante intorno ad un miglio ed un quarto 
(...). Sorge dal fondo del mare rimpetto la riva, tra la torre di S. Venere e la Casina 
Francia Portolano, una collinetta la quale dal lato che sta contro la riva 
scoscende alquanto ripida nel mare e dal lato opposto con dolcissimo e protratto 
declivio. Pare ed è al certo una continuazione delle colline che vestite di alberi 
s'innalzano dalla riva, e quello spazio che rimane interposto convien giudicare la 
naturale vallea che da' flutti viene occupata. 

Di quella lunga collinetta oltre mezzo miglio, una punta torce verso la torre di S. 
Venere formando tra essa e la riva un ampio e lungo canale, mediante il quale le 
acque prendono un benefico movimento, e l'altra progredisce distendendosi verso 
Greco. La felice suo postura toglie l'impeto alle onde mosse dai venti che hanno 
imperio in quel golfo da Tramontana sino a Ponente, di guisa che le acque le quali 
tempestose ne salgono il ridosso, giunte al sommo naturale si calmano e canno a 
percuotere il lido con minor violenza, ogni loro forza viene indebolita dalla lenta 
erta della collinetta. 

Di tal che uno stupendo e capace porto la natura in quel loco ci offre con 
magnifiche profondità sopra letto arenoso, le quali ordinatamente da piedi 6 
aumentano fino a 20, 30, 40, 50, ecc., a cui poco bisogna che aggiunga la mano 
dell'uomo." 

L'autore poi si dilunga in un'attenta disamina delle correnti litoranee e dei venti, 
dimostrando l'impossibilità che queste possano nuocere al bacino portuale durante 
i marosi in tempo di burrasca o per l'apporto di materiali dall' Angitola, dal 
Trainiti, dal Morea e dallo Spadaro, che di fatto avrebbero interessato solo il tratto 
compreso tra Bivona e Portosalvo. 

"Ed in effetti chiunque si faccia a riguardare con occhio indagatore la costa che 
comprende la rada di S. Venere, e segnatamente quella del sito dell'ancoraggio, 
egli osserverà che la spiaggia quivi non si è punto avanzata in sul mare, 
perciocché le sponde di quei colli che s'ergono d'intorno stanno tuttavia prossime 
al lido, e scoscendono ivi di tratto in tratto in piccole balze di granito. Tali sono le 
rupi su cui sovrasta la Casina Gagliardi, quella della diruta Casina di S. Venere, la 
sporgenza di Francia Portolano e da ultimo la rupe che appellano di Timpa 
bianca ed altre." La copiosità delle acque rappresentava un'ulteriore vantaggio 
dato dalla natura al sito "da ultimo gli piacque altresì menomare la copia delle 



188 



acque potabili che da molte sorgenti abbondevolmente scaturiscono in quelle rive, 
ed acconcissime sarebbero a sopperire a' bisogni de' legni che ivi gittassero un 
tempo le ancore. 

Alla dritta della chiesetta di S. Venere per chi da terra si rivolga la mare, 
osservasi una scaturigine d'acqua, ed un'altra più copiosa inoltrandosi un poco 
verso l'interno nell'istessa direzione, ed è da notarvi una vaschetta con una 
statuetta da cui linfe zampillano. 

Altre limpide sorgenti non meno sono nelle vicine casine di Marzano, di De 
Gennaro, e di Francia Portolano, e nelle valli di S.Leo e di Montella, che nei 
sovrapposti colli di S. Giovanni e di Longobardi e nel fondo Gagliardi. Ovunque in 
quel luogo si scava erompe acqua potabile" . 

Descrivendo il limite interno della naturale diga lapidea di Santa Venere come il 
sito ideale dell'ancoraggio, continua: "A stabilire i due suoi punti estremi, essendo 
che la secca nei primi tratti più vicini al lido si eleva fino a 5, 6, 7, ed 8 piedi sotto 
l'ordinario livello delle acque, e si avanza di poi verso il largo con dolcissimo 
pendio, la commessione, ritenendo questro tratto di secca quale argine sufficiente 
ad intercettare la ondulazione delle acque commosse dalla forza delle correnti, 
propone l'incominciamento della diga dal punto a della pianta, e seguendo un 
arco circolare che ha per centro il punto x poco discosto dal lido, terminarla 
all'altro estremo e; cosicché tutto l'argine ab e della lunghezza di 192 canne 
legali, riparerà l'ancoraggio dal Ponente-Maestro sino Tramontana-Maestro. 
Poiché come abbiamo precedentemente osservato, questi due limiti comprendono i 
cinque rombi di vento alla tranquillità. Siffatta circolare disposizione della diga, in 
pari tempo che ingrandisce lo spazio, e giova a respingere le trobide e i marosi 
nella direzione delle tangenti, nell'interno poi, conservando libera la circolazione 
delle acque, impedirà gl'interrimenti lungo la diga. Essendo inoltre il a meglio di 
168 canne distante dal lido, potrà conservarsi quella corrente che natura ivi 
stabilita ad utilità del porto e che l'esperienza ha mostrato non arrecar molestia ai 
bastimenti che in quel ricovero salvaronsi durante la procella.^. . .) Essendo la 
entrata del porto di tre gomene o all'intorno, e tutta l'aia di esso ben di centomila 
canne quadrate, che vai quanto dire più del quintuplo dell' ampiezza del porto 
mercantile della Capitale, i bastimenti vi potranno entrare ed uscire con ogni 
vento, anche bordeggiando entro il porto medesimo; dove potranno stare 
ormeggiati in quella guisa che meglio potrà ad essi convenire, sin in su le ancore, 
sia pure con la poppa rivolta o legata al molo, o con ancora al di fuori, e col 
prodese a terra secondo le portate e le bisogne loro. Solo debbesi avvertire che 
l'apertura di ponente del porto venga vietata alle grosse navi, e tenendosi discoste 
per lo meno di una gomena e mezzo dal perimetro esteriore dell'argine artificiale. 
Quelle che provengono dal capo Zambrone, radendo la punta di Briatico per 
pigliar l'ancoraggio dirigano a levante, o verso il Pizzo, e non si accostino al faro, 
se non quando lo avranno rilevato per Scirocco. Provenendo poi da capo Suvero, 



189 



dirizzando la prora a mezzogiorno, incontreranno il faro anzidetto, ed 
oltrepassatolo si cacceranno nel porto." 

In quanto al metodo da adottare per la costruzione del molo, la commissione 
proponeva due differenti maniere, secondo la disponibilità economica 
dell'investimento strutturale: "La prima interamente di struttura murale racchiusa 
entro recinti di legname, e con una scogliera di guarentia nella parte esterna, può 
abbracciarsi, quando l'aumento della spesa cui indispensabilmente vanno incontro 
tali costruzioni, più solide in vero, non fosse di ostacolo ai mezzi provinciali. La 
seconda che riguarda la edificazione del molo con grandi macigni, detta a pietre 
perdute, del pari solida e robusta, con la parte superiore solamente di fabbrica a 
getto, raccolta entro piccole casse, per le banchine, presceglier potrebbesi ove le 
ragioni di economia dovessero prevalere, e quando non facesse peso il lieve 
inconveniente del rassettamento dei scogli cui van soggette tali opere. La spesa del 
primo progetto ammonta alla somma di ducati 214 mila, e solamente ducati 150 
mila quella del secondo, siccome dal dettaglio dei rispettivi Estimativi alligati alla 
presente memoria può ravvisarsi." 

Precisando inoltre che per un altro porto di tali dimensioni e capacità la spesa 
sarebbe tiplice o quadruplicata, l'autore a rafforzamento della tesi della 
commissione, della validità della tesi di costruire nella rada il nuovo porto, 
racconta un episodio accaduto pochi anni dopo il loro sopralluogo "Nel giorno 10 
aprile dell'anno 1853 alle ore 2 p. m. una grande nave Americana di circa 600 
tonnellate, danneggiata dalla traversia dei venti di ponente e di maestro, ond'ebbe 
rotti gli alberi di gabbia e velacci, correva in balia del vento e del mare verso la 
spiaggia opposta. Approssimavasi così alle vicinanze del ridosso di S. Venere, ove 
si era poco prima salvato il Cutter da guerra napolitano lo Sparviero, comandato 
dal primo Pilota D. Tommaso Palomba, e costui spedì il suo capitano d'Abundo 
con una lancia, il quale messosi al ridosso della secca guidò con la bandiera la 
direzione che la nave doveva prendere per l'ancoraggio. Difatti imboccata 
felicemente quel seno, il d'Abundi vi si recò a bordo e la menò al luogo 
dell'ancoraggio, così la campò dal certo naufragio a cui andava incontro. (Tolto 
dal Giornale Nautico dello Sparviero). 

Di presente tutti que' piroscafi mercantili che fanno il viaggio delle Calabrie, 
toccando Paola e Pizzo, soprappese dal cattivo tempo, e non potendo quivi 
eseguire le operazioni di sbarco e di imbarco vansi a rifugiare a S. Venere fino a 
che non cessi la burrasca." 

Dopo tale accurata analisi, la Commissione Regia riassume nei seguenti undici 
punti i fatti che deponevano favorevolmente alla scelta dell'area portuale: 

1. L'ancoraggio di S. Venere, nello stato in cui rattrovasi d'intero abbandono, è 
loco di sicuro ricovereo per ogni sorta di nave che ivi approdi indirizzatasi da 
pilata che ne abbia contezza e ne sia esperto. 



190 



2. La giuda di un faro ancora il renderà utile a tutti quei navigli che non han 
pratica di quei paraggi. 

3. Con la non ingente somma di ducati 150.000 potrà rimutarsi in uno dei 
migliori e più ampi porti del Regno. L'ambito suo maggiore cinque volto di 
quello del porto mercantile della Capitale, conterrà nel seno gran numero di 
bastimenti di ogni grandezza e mercantile e da guerra, i quali non potranno 
nuocersi ed impacciarsi tra di loro. E vi sarà spazio sufficiente perché la navi 
da guerra potranno eseguire le loro manovre senza dar disturbo alcuno al 
traffico de' legni mercantili. 

4. il molo non osteggerà di fronte la corrente , ma posta a seconda di quella, con 
la sua lieve inflessione la sospingerà fuori del porto verso il mare largo. Da 
un'altra banda l'apertura di ponente genererà nell'interno del porto una 
corrente propria atta ad impedire ogni specie di deposito delle materie 
galleggianti. 

5. La bocca ampissima vien riparata da' corvi lidi d'intorno, i quali con dolce 
pendio scoscendoni in mare. Il che renderà agevole l'entrare e l'uscire de' 
legni nel tempo de' pochi e più forti venti ostili senza aver bisogno di 
rimurchio; e verranno preservati dalla risacca i bastimenti che vi si trovano 
ancorati. 

6. S'avrà nel levoro celerità, e nell'esecuzione sicurtà e facili espedienti. 
Imperciocché l'esterna collinetta, che a guisa di una scarpa immergersi nel 
mare profondo, togliendo a' flutti l'impeto loro, dà agio di potersi ogni opera 
eseguire senza rischio. E l'erta sua varrà come un antemurale a riparo della 
costruzione del molo. 

7. Luogo da natura favorito per la specialissima condizione che vi si potrà 
edificare un molo in un'altezza d'acqua di 15, 16, 18, 24 piedi, e si ha 
spontanemente una profondità nel seno di piedi 20, 34, 42, 54, ce, senza 
bisogno di spendervi grandi somme di denaro e difficoltà di opere, come 
avverrebbe in qualunque altro luogo per ottenere simile profondità. Né i 
marosi hanno materiale a travolgere, perché nel loro cammino non 
incontrano un fondo arenoso, da quello spalto lapideo. 

8. La rada nel suo ambito riparata da tre quarti di venti della bussola: la declive 
giacitura del fondo e la natura di esso arenosa e stabile, danno facile presa 
alle ancore. La corrente che naturalmente cammina per mezzo della rada ne 
rende piano l'ingresso, mentre con molto stento si vincon quelle che vengono 
di fianco. 

9. Leggendo le statistiche, rivolgendo uno sguardo alle carte topografiche 
s'accoglierà incontanente la certezza esser quel loco centro delle città più 
operose e commercianti, ricche d'ogni miniera di prodotti. Il Pizzo gli sorge 
accanto, Nicastro, monteleone, nicotera, Gioia ec. Lo coronano intorno con 
facili comunicazioni. 



191 



10. Felice è ancora la sua postura per le ragioni militari, e per le attinenze che ha 
con i belli opificii pirotecnici della Mangiano e di Ferdinandea, fatti oggi più 
importanti per i miglioramenti che vi si van recando. 

11. Le acconce ed elevate colline poste intorno a guisa di recinto, attissime 
saranno alle opere di fortificazione per la difesa del porto e della rada. L'erta 
della collinetta subacquea intanto porgerà allo esterno molo facile 
fondamento ad erigervi batterie, senza che si tolga, come spesso accade, 
spazio a danno della larghezza e comodità del traffico delle rive murate del 
porto. 

Non trascorse molto tempo, dalla data di questo primo progetto, all'istituzione del 
porto di Santa Venere. L'epoca in cui si meditava sulla realizzazione di tale 
importante struttura portuale, in realtà fu un'epoca tutt' altro che tranquilla. Nella 
prima metà dell'ottocento l'intero paese venne pervaso da un eccezionale spirito 
liberale che costrinse i regnanti a concedere alle popolazioni statuti costituzionali 
che accoglievano le diffuse istanze di democrazia e partecipazione. 
Lo stesso accadde nel Regno di Napoli il 10 febbraio del 1848, data in cui il re di 
Napoli Ferdinando II firmava la Costituzione tanto auspicata nel regno, nonché 
l'istituzione di un nuovo Parlamento, tra i cui deputati venne eletto il pizzitano 
Benedetto Musolino. Qualche mese dopo però il Borbone revocò le sue scelte 
liberali, provocando la nascita di moti insurrezionali in tutto il regno. In Calabria 
venne istituito un governo provvisorio, con sede a Cosenza, alla cui presidenza 
venne nominato Giuseppe Ricciardi, mentre Musolino ricoprì la carica di esperto 
negli affari di guerra. Attendendosi le reazioni repressive dei borboni venne creato 
un piccolo esercito, una parte del quale era stanziata nella piana di Filadelfia. 
Il 6 giugno 1848 una flotta navale composta da quattro navi a vapore e da tre di 
trasporto truppa, approdava a Pizzo, sbarcando duemila soldati, che al comando del 
generale Ferdinando Nunziante, dovevano sedare i moti insurrezzionali. Il 
Nunziante installò il suo quartier generale a Monteleone, e nella rada di Santa 
Venere stazionavano spesso le imbarcazioni cariche di viveri e munizioni per le 
truppe. Un valoroso episodio, che vide protagonisti un manipolo di uomini assalire 
una feluca carica di munizioni, viene raccontato dallo stesso Musolino 377 nelle sue 
memorie. In quei giorni venne progettata una "piccola spedizione nel porto di 
Santa Venere, per l'assoluta mancanza di polveri in cui si era, e perché i giovani 
animosi, che ne concepirono i primi l'idea e che si offrirono di tentarla, 
dichiararono fermamente che V avrebbero eseguita ad ogni costo. 
Approdava in quello stesso tempo al porto di Santa Venere una feluca carica di 
300 barili di polvere, destinati all' approvigionamento del pubblico deposito di 
Pizzo. Qual più bella occasione per uscire dalla penuria di munizioni in cui si era ? 



1 Cfr. Cortese F., Genesi e Progenie della città di Pizzo, Edizioni Brenner, Cosenza 1981, pp. 42-43 



192 



Sedici giovani che si trovavano al campo in qualità di semplici volontari, si 

offrirono all'impresa. I principali fra essi erano: Saverio Bianchi di Catanzaro; 

Pasquale Musolino fratello di Benedetto; Basilio Mele; Fortunato \ 'allotta; Paolo 

Vacatello e Sebastiano Rosi tutti del Pizzo; gli altri appartenevano alla compagnia 

dell'Abate Ferdinando Bianchi. 

...Il Porto di Santa Venere è situato a quattro miglia a mezzogiorno del fiume 

Angitola. Non vi si poteva arrivare che per mare, servendosi di qualche barca a 

remo della tonnara, presso l'imboccatura dello stesso fiume, e passando in mezzo 

alla squadra borbonica, la quale stava ancora nella rada del Pizzo. 

L'esistenza di molte tonnare, in quella stagione, ed il continuo transito delle 

barche pel trasporto del pesce, permettevano in verità un tal passaggio senza 

sospetto. Ma arrivati alla feluca, un grido, un colpo di fucile della gente che la 

custodiva, avrebbero esposto gli assalitori a morte sicura. Non avrebbero potuto 

salvarsi a terra, senza cadere nelle mani del Nunziante; non sperare scampo sul 

mare, senza essere catturati dai vapori borboniani, uno dei quali teneva sempre la 

caldaia riscaldata. Ma la fortuna favorisce quasi sempre l'audacia. 

Quei giovani si trasferirono alla tonnara dell' Angitola, s'impossessarono di una 

barca da otto rematori, si accovacciarono scamiciati nella cala, come se fossero 

marinari, ed attraversando non rimarcati la squadra napoletana, abbordarono la 

feluca ancorata a Santa Venere. 

L'equipaggio di questa, fra cui tre guardie doganali, non oppose la menoma 

resistenza, né osò profferir parola. 

I calabresi s 'impadronirono di 25 barili di polvere che di peso maggiore non era 
possibile il loro navicello; e seguendo la stessa via per la quale erano andati, 
ritornarono felicemente all' Angitola, apportando al campo quella polvere di cui si 
aveva tanta necessità. 

II generale Nunziante, saputo il fatto, ordinò che la polvere rimasta sulla feluca 
(altri 275 barili) fosse gittata in mare, anziché sbarcata al deposito del Pizzo; 
tanta poca fiducia aveva egli, in quel tempo, nell'esito favorevole della sua 
missione in Calabria" 

La coraggiosa incursione però non poteva invertire le sorti di uno scontro che 
contrapponeva le poche e male armate forze dei calabresi alle più fornite ed 
organizzate forze borboniche, tante che il 4 luglio approdò a Pizzo il generale 
Winspeare con tre vapori e due legni a vela ed altra artiglieria che unitasi alle 
colonne del Nunziante e del Grossi, riuscirono in poco tempo a reprimere i moti 
calabresi del 1848. 

Nonostante il particolare momento storico, la macchina burocratica messa in moto 
per la costruzione del porto di Santa Venere non subì alcun contraccolpo, tant'è 
che il 29 maggio del 1863 viene promulgata la legge n. 1299, che istituiva il porto 
di quarta classe di S. Venere e successivamente, il 25 luglio del 1864 , viene 
promulgato il Regio Decreto che stabiliva la ripartizione della spesa per la sua 



193 



costruzione, metà a carico dello stato e l'altra metà a carico delle province 

calabresi. 

Seppur i lavori del primo banchinaggio, che secondo il progetto originale era 

separato dalla costa da un piccolo specchio d'acqua, iniziarono quasi subito, la 

necessità di assicurare un riparo più sicuro ai mercantili fece sì che il progetto 

definitivo delle opere suppletive di rilegamento della banchina a mare con la 

spiaggia, l'innalzamento del Faro, ed altre opere ancora, non potè essere redatto 

che dopo il 1869. La definitiva approvazione, l'assenso degli Enti consorziati, lo 

stanziamento delle somme ratizzate, le perizie, le revisioni, le ispezioni, gli appalti 

e tutto quanto occorreva per concludere il procedimento amministrativo, 

prolungarono il termine dei primi lavori in grado di rendere funzionale l'approdo 

nella nuova struttura, fino al 1881, cioè per ben 12 anni dal definitivo progetto. 

Purtroppo le prime opere di banchinaggio si rivelarono poco sicure per i bastimenti 

che vi approdavano. Nel febbraio del 1870 alcune imbarcazioni che si erano 

rifugiate nel porto furono sbattute tra di loro dal cattivo tempo e da un forte vento 

di Libeccio e di Ponente, tanto da provocarne il naufragio. 

"Tanto disastro non servì di scuola a nessuno, nel dicembre del 1892 si ebbe 

un'altra straziante catastrofe di altri cinque bastimenti perduti nel porto stesso, 

con vittime negli equipaggi." 

L'opera portuale, nonostante la sua importanza ed il notevole investimento 

economico, ebbe un avvio travagliato e contraddittorio. 

L'area risultava sprovvista di collegamenti stradali, di magazzini ed anche i lavori 

della costruzione del tratto ferroviario in grado di collegare il porto con il resto 

della regione, tardavano ad iniziare. 

Ma l'episodio che scatenò maggiori reazioni fu l'emanazione del Decreto Regio 

del 3 maggio 1885 che, classificando il porto di terza categoria, rivedeva gli enti 

obbligati a contribuire economicamente alla sua costruzione, includendovi anche i 

minicipi locali, in quote percentuali ripartite secondo le ricadute positive nei 

rispettivi territori. 

Questo provocò una violenta reazione da parte del Consiglio Comunale del 

Municipio di Monteleone che l'8 luglio di quello stesso anno deliberava il ricorso 

al decreto per l'illeggittima ripartizione delle spese a carico dei comuni, tra i quali, 

non a caso, quello di Monteleone risultava il maggiore contribuente. 

Per comprendere appieno con quali ragioni i delegati istituzionali dei cittadini di 

Monteleone si opponevano a tale decreto, è forse il caso di riportare alcuni stralci 

della relazione che accompagnava la stessa delibera, pubblicata per intero da un 

periodico locale dell'epoca: 



8 Marincola di S. Floro Filippo, Le forze economiche della Provincia di Catanzaro, Catanzaro, 
D'astoli Edit., 1896, p. 47. 



194 



"Qual è infatti la condizione in cui oggi si trova quell'opera, dopo un lavoro di un 
ventennio, e dopo il sacrifizio d'ingente spesa? Anche ai più profani è dato vedere 
che la condizione del Porto di Santa Venere è molto deplorevole. 
Forse una terza parte della superficie acquea, che doveva formare il Porto, è già 
atterrata, e l'atterramento progredisce, né gli si può assegnare un termine, se 
pronte misure non saranno adoperate per arrestarlo. 

La bocca stessa del Porto minaccia di essere ostruita. Sono state già rilevate 
alcune secche che ne rendono difficile l'entrata. E i lavori, che sono riconosciuti 
necessari per rendere il porto agevole, e comodo ai naviganti, sono di tale 
importanza, e dovrebbero essere eseguiti con tanta sollecitudine, che dobbiamo 
disperare dell'avvenire del Porto, e sarà molto difficile che siano attuati. 
(...)Ordinariamente un Porto si costruisce nel territorio di un Comune marittimo, 
spesso anche nelle vicinanze dell'abitato. (...) Ma ciò che rende assolutamente 
insopportabile il carico che si vuole imporre al Comune di Monteleone, è il fatto 
che malgrado il Porto di Santa Venere sia sito in un lembo del suo territorio, gli 
abitanti, e l'amministrazione non se ne possono vantaggiare in alcuna guisa. Ogni 
ipotesi, o speranza di utilità viene eliminata per la lontananza stessa del Porto 
dall'abitato, per l'accesso difficile, per l'indole e le attitudini cittadine aliene da 
qualunque marinaresca fortuna, per tutto quel cumulo di sentimenti, di bisogni e di 
aspirazioni, che ci tengono avvinti con vincoli così saldi a questo Monte, a questa 
Rocca di granito, su cui i nostri antichissimi padri posero la loro stanza, e dalla 
quale contiamo tenacemente, che noi e i nostri figliuoli non saremo mai obbligati a 
dipartirci. 

Siamo montanari, che non possiamo avere nel porto un interesse diretto, e molto 
meno quel maggiore interesse, che una finzione legale ci attribuisce sopra tutti i 
consorti di un'opera marittima. 

Fra tutti i cittadini di Monteleone non si trova un solo marinaio, o un qualunque 
industriale, che si vantaggi, o possa vantaggiarsi anche indirettamente del Porto 
di Santa Venere" 



379 Namia G., a cura di, L'Avvenire Vibonese, Antologia delle annate 1883-1885-1887, Ediz. 
C.I.R.S.E.V. Mapograf s.r.l., Vibo Valentia 1984, pp. 134-148. (n. 29, 3 agosto 1885. 
Successivamente, nel n. 36 del 14 dicembre 1887 del periodico vibonese, venne pubblicato 
integralmente il Regio Decreto del 7 agosto 1887 con l'elenco integrativvo delle quote millesimali 
imputate ai comuni calabresi, al fine di consentire ai comuni ed ai cittadini di riccorrere contro di esso, 
visto che "si tratta di un vero porto rifugio, che forse non merita nemmeno il nome di porto, poiché 
l'amministrazione, con tutti i milioni che vi prodigò, non seppe creare che una semplice gettata di 
scogli, che per il mantenimento, e per l'abbandono assoluto in cui è lasciata, si va ogni giorno 
interrando, senza banchine a terra, senza fanali, senza magazzini, in una spiaggia deserta, lontana sei 
chilometri da Pizzo, il centro abitato più vicino, e 12 chilometri da Monteleone. 



195 



Argomentazioni simili, ovviamente per la loro parzialità, non trovarono nessun 

credito presso gli organismi statali, ed ebbero il solo effetto di escludere la città di 

Monteleone dall'assegnazione del Compartimento Marittimo competente alla 

gestione portuale che, al contrario, il 29 novembre del 1886, con la consegna al 

comandante Giurano Giuseppe ed all'applicato di porto di I classe Rioco 

Giuseppe 380 , veniva assegnato alla XVI Capitaneria di Porto del nuovo 

Compartimento Marittimo di Pizzo Calabro. 

Successivamente, il 7 agosto 1887 un ulteriore Regio Decreto elevava la sua 

classificazione alla seconda classe, serie seconda. 

Le statistiche dei decenni successivi il 1864 documentano intorno alle 5000 

tonnellate il volume del traffico e neppure la costruzione di un'ulteriore diga di 120 

metri, dopo il disastro del 1892, servì a rendere più sicuro il porto. 

Nel quadriennio 1891-1894 venne imbarcata appena la quarta parte della merce 

imbarcata nel vicino scalo di Pizzo, che era pur sempre una rada aperta. 

Con il completamento del tratto ferroviario Eccellente-Tropea-Rosarno, iniziato 

nel 1885 e terminato dieci anni dopo, il porto cominciò ad offrire risultati 

economici soddisfacenti, collegandosi con un complesso sistema viario che 

garantiva la distribuzione delle marci sbarcate ed imbarcate nel resto dell'intera 

penisola, con tempi e costi economicamente vantaggiosi. 

V'è da dire che molte furono le difficoltà incontrate per i lavori di costruzione del 

tratto ferroviario, in particolare del tratto Curinga-S. Venere, realizzato negli anni 

compresi tra il 1886 ed il 1892, decidendo di costruirlo proprio a ridosso della 

strada provinciale Pizzo-S. Venere, che in realtà era una scomoda strada carraia 381 . 

Fra Pizzo e Santa Venere poi, fu necessario costruire una galleria, detta galleria 

Mondella, di 947 metri circa, che ritardò di molto il proseguimento dei lavori. 

Gli inizi del 1900 videro completata la tratta ferroviaria che univa Porto Santa 

Venere al resto della penisola italiana e ciò non mancò di rendere ancor più 

efficace la funzionalità commerciale dello scalo marittimo. Le tante merci 

provenienti dalla Sicilia caricate nelle capienti stive dei piroscafi a vapore, 

trovavano nel porto di Santa Venere lo scalo ideale nel quale poi far proseguire, 

ricaricate nei vagoni della ferrovia, la loro distribuzione nelle principali città del 

Regno. 

Ma a parte la valenza economica che man mano l'aria costiera vibonese andava 

acquisendo in quegli anni, l'evento in cui il porto e la nuova stazione ferroviaria di 

Monteleone-Porto Santa Venere si rivelarono come importanti snodi strategici nel 



380 Cfr. Ministero LL.PP., Atti della Commissione per il Piano Regolatore dei Porti del Regno, Voi. I, 
Relazione riassuntiva, Porti del Mar Tirreno, Bergamo, 1910, p. 405. 

11 Miceli C, Marino D., La linea ferroviaria Francavilla - Rosarno, Stab. Tipolitografico Romano, 
Tropea 1989 



196 



complessivo sistema viario italiano, fu il violento terremonto che nel 1905 funestò 
l'intera regione calabrese. 

La letale scossa sismica colpì la Calabria alle 2,45 dell' 8 settembre 1905, con 
epicentro nel distretto monteleonese, ed in cui vennero praticamente distrutti la 
maggior parte dei paesi vicini alla città di Monteleone, dove alcuni quartieri 382 
furono praticamente rasi per terra. Pizzo, Piscopio, S.Onofrio, Stefanaconi, 
Triparni, Zammarò, Drapia, Briatico con tutte le sue frazioni, Parghelia segnarono 
il percorso mortale del sisma, che non mancò di coinvolgere anche molti dei 
paesini rurali delle province di Cosenza e di Reggio Calabria. 
Anche le borgate di Longobardi, Porto Salvo e Porto Santa Venere, quella notte, 
vennero avvolte da quel fumo e da quella polvere alla cui scomparsa i calabresi 
contarono a centinaia le loro vittime, con il dolore e la rassegnazione di una 
regione già piegata dalla miseria e dalle prepotenze dei ricchi proprietari terrieri. 
L'eco della distruzione provocata dal terremoto raggiunse tutti i paesi italiani, dove 
immediatamente vennero organizzate raccolte di denaro, di indumenti ed alimenti 
che coinvolsero le città piccole come quelle grandi. Ai primi soccorsi delle 
autorità civili e militari si affiancarono le iniziative dei Comitati sorti 
spontaneamente nelle città di Torino, Milano, Genova, Livorno, Napoli e altre 
ancora. 

Porto Santa Venere divenne in quei giorni la principale area di smistamento dei 
soccorsi, che giunsero in Calabria esclusivamente con treni e navi a vapore, proprio 
perché la precarietà e la pericolosità delle strade pubbliche calabresi si rivelò allora 
in tutta la sua drammaticità. 

Il giorno dopo giungono da Messina due torpediniere, la 727 e 128, cariche di 
medicinali e ghiaccio, così come dal panificio militare stessa città, vengono spediti 
regolarmente per alcune settimane, con due viaggi giornalieri, 2000 chilogrammi di 

383 

pane . 

In quella stessa sera giungono alla stazione di Porto Santa Venere un gruppo di 

ottanta soldati zappatori dell' 87 e 88 fanteria, partiti da Bari con il treno delle 

9,20, come precisa un quotidiano italiano dell'epoca 384 . 

La città di Monteleone venne immediatamente scelta dal Prefetto di Catanzaro e 

dal sindaco marchese di Francia quale base operativa dei soccorsi, anche se la 

distanza di undici chilometri da Porto Santa Venere, punto di arrivo dei medicinali, 

dei commestibili, del vestiario, degli utensili e dei materiali da costruzione, era 

causa di non pochi disguidi e costi aggiuntivi. Inutile raccontare gli episodi di 



382 Venne completamente distutto il quartiere dei Forgiari, così come molti fabbricati caddero nelle vie 
di Terravecchia inferiore, Enrico Gagliardi, e Ipponia 

" 3 L'ORA, Corriere Politico Quotidiano della Sicilia., domenica 10 settembre, anno VI, n. 252 
5,4 // Giornale d'Italia, sabato 7 settembre, anno V, n.251 



197 



sofferenza e di eroismo che in quei giorni dolorosi per la sciagura che aveva 
coinvolto tutti e febbrili per l'opera di rimozione dei corpi e delle macerie causate 
dal terremoto, si realizzavano in ogni paesino calabrese, così quando giunse la 
notizia che lo stesso sovrano sarebbe presto arrivato in Calabria, essa venne accolta 
come segno di una rinnovata attenzione verso questo estremo lembo della penisola 
e la speranza che le sue sorti si sarebbero presto risollevate. 

E' così che viene descritta l'attesa del treno reala alla stazione di Porto Santa 
Venere, in quella mattina dell' 1 lsettembre del 1905: "// Re in Calabria fra i colpiti 
del terremoto. La popolazione è oggi più sollevata, in attesa dell'arrivo del Re che 
è febbrilmente aspettato. Il treno arriva con ritardo. Alla stazione di Pizzo è salito 
in esso il senatore Cefaly. 

Alla stazione di Monteleone si trovano ad aspettare il Re il ministro Ferraris, i 
deputati della provincia, il prefetto di Catanzaro, il sindaco di Pizzo ed altre 
autorità. Appena montato il Re premurosamente chiede al ministro notizie sulla 
entità del disastro. Poscia sale con l'on. Ferraris, i generali Brusati,Valcamonica 
e Dimaio nell'automobile che si avvia verso la città. Grande folla attende lungo il 
percorso, quasi festosa, dimentica il suo terrore. L'automobile spesso rallenta la 
sua velocità o si arresta. Quando il Re incontra il generale Ferrarlo' gli stringe 
la mano..." Al . Il Re visiterà in quei giorni la maggior parte dei paesi colpiti dal 
terremoto ed il suo commento "speriamo che non piova" alla vista di quei piccoli e 
distrutti agglomerati urbani, esprimeva tutta la sua commiserazione per le misere 
condizioni in cui viveva la popolazione calabrese. 

La desolazione palpabile in ogni luogo divenne l'argomento principe di ogni 
articolo trasmesso ai quotidiani del tempo dai tanti cronisti giunti in Calabria: " i 
provvedimenti e i soccorsi che urgono per le Calabrie desolate" titolava il giornale 
bolognese II Resto del Carlino' "Monteleone Calabro 17, sera. (...) le prime 
tracce dell'immane sventura si vedono lungo la linea ferroviaria appena passato 
Sapri, ove famiglie spaventate dormono in aperta campagna. A Pizzo le 
popolazione è attendata sulla marina. 

A Monteleone marina molto ma sempre insufficienti e troppo miserabili sono le 
baracche. Centinaia di famiglie giacciono inerti in attesa dei provvedimenti del 
Governo, che, pur troppo non sono ancora efficaci. Noto alla stazione di 
Monteleone uno scarsissimo movimento. Nessun ufficio speciale, nessun segno di 
snodata organizzazione. La direzione delle opere di soccorso si accentra nel paese 



' Comandante della Brigata "AlpF 

art. telegrafato dall'inviato Jaconis, in La Tribuna, Roma, martedì 12 settembre 1905, anno XXIII, n. 
254, Seconda Edizione 

articolo telegrafato da Pio Scinetti, in // Resto del Carlino, giornale di Bologna, Luinedì-Martedì 18- 
19 Settembre 1905, anno XXII, n. 254. 



198 



che è distante alla stazione undici chilometri. Per la via erta e faticosa passa in 

automobile il generale Lamberti col ministro Ferraris; passano carretti carichi di 

pane scortati dai soldati. 

A metà della salita si trova il villaggio di Longobardi tutto danneggiato. La 

popolazione silenziosa, ascolta la messa officiata su un altare improvvisato 

dinanzi la chiesa mezza diroccata. 

Non si ode una voce implorante carità: traspare dai volti emaciati una dolce 

fatalistaica rassegnazione..." 

In un trafiletto dello stesso giornale si informava che l'indomani sarebbe partito da 

Napoli per Porto Santa Venere il piroscafo della Regia Marina "Garigliano", con 

un carico di 1000 metri cubi di legname destinati alla costruzione di barracche, 

oltre a coperte, viveri, utensili ed allo stesso personale che dovrà prestar mano 

d'opera al lavoro di edificazione. Si informava inoltre che era stato messo a 

disposizione del comitato civico per i soccorsi ai danneggiati di Calabria, formatosi 

a Genova nei giorni precedenti, il vapore "Mathias Kiraly" e che sarebbe partito 

con destinazione Porto Santa Venere carico di 6000 coperte, 1000 materassi, 2000 

cuscini, 15.000 ceste di pasta, 50 quintali di pane, una botte di vino, 30 sacchi 

diriso, 5 casse di caffè, 950 scatole di ferro smaltato, oltre ai rappresentanti di quel 

comitato che avrebbero coordinato gli interventi a favore dei terremotati. 

Proprio al Comitato dei soccorsi genovese si devono gli interventi a favore degli 

abitanti compresi nella fascia costiera di Porto Santa Venere e Porto Salvo. 

Era il 22 settembre del 1905 quando giunse nel porto il vapore "Mathias Kiraly", 

messo gratuitamente a disposizione del comitato genovese 388 dal cav. Maurizio 

Epstein, carico commestibili, oggetti di vestiario, utensili, arnesi manufatti, 

materiali da costruzione, suppellettili ed oggetti di medicazione. La nave era 

partita il 18 da Genova alla volta di Palermo, dovi imbarcò altri 70 colli di 

indumenti e sei esperti carpentieri siciliani. 

"La roba sbarcata era in proporzioni addirittura enormi, e , quando fu tutta a 

terra, riempì un gran tratto dell'ampia banchina del Porto. Essa venne data in 

consegna al delegato del porto, il quale avrebbe dovuto consegnarla agli esibitori 



388 Città di Genova, Relazione sull'opera della commissione pei soccorsi ai danneggiati dal terremoto in 
Calabria, Genova, Stab. Poligrafici Bacigalupi 1096, p. 74: "Dalle provinole e dai comuni, dagli istituti 
di pubblica beneficenza, da pubblici impiegati, da insegnanti ed allievi dlle pubbliche scuole, dalle 
società commerciali, industriali, bancarie, e sportive, da operai, da privati cittadini, ed anche dagli 
stranieri qui residenti e dagli italiani stabiliti all'estero furono fatte vistose oblazioni. I relativi 
versamenti nella civica tesoreria ebbero principio col giorno 11 settembre e continuarono fino al 2 
aprile corrente raggiungendo la ragguardevole cifra di £. 280.510.36 (..) L'opera dei delegati della 
Commissione, che si assunsero il compito di distribuire direttamente ì soccorsi, riuscì conforme agli 
intendimenti del Comitato ed al maggior interesse de danneggiati. Moltissimi erano i bisogni ed arduo 
compito il provvedervi con sollecitudine e nella misura richiesta dal caso {.. .)". 



199 



di boni portanti la firma di qualcuno dei componenti il Comitato" , scrissero i 
giornali locali dell'epoca. 

Sbarcato il carico del vapore nel porto, anche con l'aiuto dei marinai del piroscafo 
"Garigliano" che aveva preceduto il vapore genovese, e ripartiti i primi soccorsi 
nelle due borgate marinare, il gruppo genovese cominciò a progettare la 
costruzione di 50 baracche per le famiglie indigenti del borgo di Portosalvo. 
"La costruzione delle baracche presentava ivi gravi difficoltà, specialmente per 
l'esistenza della malaria" , precisa nella sua relazione finale il comitato 
genovese, ma fortunatamente riuscirono ad ottenere dal barone Lombardi Satriani 
la concessione gratuita d'affitto di un appezzamento di terreno igienicamente più 
sicuro, posto in contrada Cuccuruta, per la durata di nove anni. A ciò si aggiunse 
la stipula di un regolare contratto, redatto dai signori Villa, Oberti 391 e Canepa 352 , 
rappresentanti del comitato in Calabria, col maestro carpentiere palermitano Carlo 
Sceuza, per un totale stabilito a forfait di £. 5.901.20, per la costruzione delle 
baracche. 

"Nei primi giorni d'ottobre si iniziarono i lavori di costruzione delle cinquanta 
baracche di cui 15 di metri 6x4 e 35 di metri 4x4, di un locale ad uso scuola delle 
dimensioni di metri 8x4 e di altro di metri 10x6 ad uso di chiesa. Il tutto in 
conformità del tipo appositamente studiato e stabilito con pavimenti di legno e 
copertura di feltro incatramato, come furono parimente incatramate tutte le parti 
di legno infisse nel terreno..." 

In un articolo apparso su un giornale dell'epoca veniva ribadito come "nessun 
canone di fitto, od altro, dovranno pagare i concittadini che andranno ad abitare 
le casette di legno costruite nella maniera più perfetta e più igienica. Essi hanno 
l'uso gratuito e dovranno custodire la buona conservazione, garantita, peraltro, 
da un contratto di assicurazione contro gli incendi. 

Le aperture saranno fornite di reticelle antimalariche, e da ogni famiglia sarà 
assegnato con la propria baracca un certo numero di coperte e di altre masserizie 
proporzionale ai propri bisogni" 



389 La Rivista Vibonese, Giornale d'interessi del circondario, "Nell'ora del disastro. I comitati di 
soccorso", Monteleone 15 ottobre 1905, anno 1905, n. 24. 

"" Città di Genova, Relazione sull'opera della commissione... , Op.cit., pp.ss. 

J " Presidente della società ginnastica "Andrea Doria" 

i,! direttore del giornale II Lavoro di Genova 

! " Città di Genova, Relazione sull'opera della commissione... , Op.cit., pp.ss. 

5,4 La Rivista Vibonese, Giornale d'interessi del circondario, "Nell'ora del disastro. I comitati di 
soccorso", Monteleone 15 ottobre 1905, anno 1905, n. 24. 



200 



Il nuovo villaggio di Portosalvo venne inaugurato il 28 novembre del 1905, alla 
presenza dellle autorità civili e religiose, "... ed il signor Oberti procedette 
all' assegnazione delle baracche costruite dal Comitato a 50 famiglie povere 
domiciliate nella borgata..." '. 

Le misere condizioni di vita in cui si ritrovarono gli scampati dall'immane disastro 
obbligarono i membri del gruppo a restare ancora qualche giorno con gli abitanti di 
Portosalvo, e la loro instancabile opera di sostegno alla popolazione veniva così 
descritta sulle pagine della Rivista Vibonese: " Mentre il sig. Oberti nel nuovo 
villaggio disponeva ogni cosa per il buon andamento dei lavori e con calde parole 
di affetto educava quei contadini all'amore reciproco, alle virtù del bene, al 
rispetto verso i simili; mentre incuoteva loro che forse per la prima volta sentivasi 
parlare, così teneramente ed affettuosamente, i più sani concetti di una religione di 
fede e di amore senza superstizione e senza false credenze, e li richiamava a 
l'affetto dei campi ed all'onesto lavoro che ogni creatura dirime, gli altri 
componenti per diverse vie ed in numerosi comuni distribuivano ai più bisognosi, 
tutta la provvidenza di cui la munificente carità genovese li aveva fatti custodi" 
Per molti anni ancora l'area costiera vibonese venne segnata dagli interventi 
insediativi effettuati a seguito di quel terremoto, così come quello altrettanto 
disastroso del 1908, eppure la maggior parte della popolazione che traeva il proprio 
reddito dall'attività marittima e peschereccia, continuava a risiedere nei vicini 
centri di Briatico e di Pizzo, compresi i tonnaroti assoldati per le stagioni di pesca 
della Tonnara di Bivona. 

Già' dal 9 giugno 1898 il comune di Monteleone aveva acquistato dal Demanio 
Marittimo gran parte dell'arenile a valle della linea ferroviaria, compreso tra il 
torrente Bravo e l'abitato del borgo portuale, inizialmente dato in fitto per pascolo 
o seminatavo con un evidente scarso profitto per le casse comunali, "sicché parve 
sbagliata l'operazione di acquisto, tanto più che la malaria v'infieriva. Ma le 
mutate condizioni igieniche per il prosciugamento di acque stagnanti, per la 
benefica influenza del Chinino di Stato, le migliorate condizioni del Porto, 
l'impianto del Malfaraggio nelle tonnare di Bivona, Pizzo e Langhiva, il traffico 
aumentato in seguito ai disastri tellurici, la distruzione di città e borgate della 



395 Città di Genova, Relazione sull'opera della commissione... , Op.cit, pp.ss., "La Commissione non si 
limitò alla somministrazione dì sussidi, alla costruzione dì baracche ed all' investimento di capitali in 
rendita intestati a varii pii istituti, ma peensò anche di dotare Monteleone Calabro di un moderno 
oleificio ... l'oleificio "Genova", il quale stabilimento rappresenta una forma di pubblica beneficenza 
affatto corrispondente ai moderni intendimenti in questa materia, ed ad un tempo costituisce un 
prezioso contributo al progresso agrìcolo ed economico di quelle mìsere, ma forti popolazioni, che così 
ebbero mezzo dì provvedere ad uno dei loro più urgenti bisogni e di liberarsi dalle pretese dei grandi 
proprietari dì trappeti." 

! " La Rivista Vibonese, Giornale d'interessi del circondario, Monteleone 15 ottobre 1905, anno 1905, n. 
24. 



201 



Riviera calabrese hanno contribuito a rendere importante questa spiaggia già 
solitaria e inospitale" 2,9 ' ', così il 14 settembre del 1908 venne approvato un progetto 
di suddivisione in lotti degli arenili di S. Venere che, venduti con l'obbligo di 
edificazione entro quattro anni dall'acquisto "dei tanti cittadini che in 
ispecialmodo si unisce nella stagione balneare (...) per edificarsi nella zona di 
terreno della spiaggia un villino, una casetta o una capanna per passarci qualche 
mese dell'estate", consentiva una veloce crescita dell'originario nucleo insediativo 
costruito a ridosso del Porto, a cui negli anni si aggiunse la numerosa gente di mare 
dei paesi limitrofi. 

Emblematiche risultano essere le notizie ricavate da un'attenta lettura dei registri 
della gente di mare iscritta nel Compartimento Marittimo di Pizzo Calabro nel 
periodo compreso tra l'aprile 1905 ed il luglio 1909, per comprendere sia 
l'aumentata produttività marittimo -mercantile del porto di S. Venere. 
In quell'arco cronologico si verificarono 387 nuove iscrizioni tra la Gente di Mare 
di 2 a Categoria 198 , per lo più pescatori del litorale e barcaioli di età compresa tra i 
14 ed i 16 anni; di questi, ben 218 risultano nati e residenti a Pizzo Calabro e gli 
stessi pescatori nati nei centri di Monteleone Calabro (14), Maida (15), Catanzaro 
(3) Filadelfia, Filadelfia, Zungri, S. Onofrio, Palmi, Bagnara, S. Costantino, 
Capistrano e Monterosso risultano stabilmente residenti a Pizzo, eccezion fatta per 
quelli nati a Nicotera (101), Tropea (10) e Parghelia (2). Il nudo dato statistico di 
quegli anni conferma la tendenza dei pescatori a risiedere nella città napitina 
piuttosto che nella loro città natale, e questo essenzialmente per l'assoluta carenza 
di abitazioni intorno all'area portuale di Santa Venere, il cui borgo, in quei primi 
anni del novecento, era ancora caratterizzato dalla sua funzione di scalo marittimo 
mercantile; eppure tra le scarne annotazioni riportate nella registrazione dei 
pescatori, emerge un dato sorprendente: ben il 56% delle persone iscritte risultano 
essere "figli di ignoti" ed il dato assume proporzioni ancora più significative se lo 
si restringe ai soli 14 pescatori nati nella città di Monteleone' 99 , dei quali soltanto 



397 ASCV, Delibere del Consiglio 1904-1910, 14 settembre 1908, ff. 6. 

" 8 Capitaneria di Porto di Vibo Marina, Registro della Gente di Mare di 2 A categorìa, dal n. 2365 al 
2562. Capitaneria dì Porto del Compartimento Marittimo dì Pizzo, Circondario di Pizzo, Voli, n.5 e 6. 

J " Capitaneria di Porto di Vibo Marina, Ibidem. Questi i dati riferiti ai pescatori monteleonesi iscritti tra 
il 1905 ed il 1909: Salvato Francesco Esposito, nato il 27 giugno 1887 a Monteleone C, genitori ignoti, 
allevato da Rosa Bella, moglie di Di Leo Francesco, domiciliato a Pizzo, iscritto come Pescatore del 
Litorale il 12/4/1905 n. 2370; Amato Francesco, nato il 16 marzo 1889 a Monteleone C, genitori Ignoti, 
allevato da Raffaella Barbuto, moglie del fu Gregorio Pagnotta morto in America, domiciliato a Pizzo, 
iscr. il 12/4/1905, n. 2371; Ortenzio Francesco, nato il 1 maggio 1891 a Monteleone C, genitori Ignoti, 
domiciliato a Pizzo, iscr. il 15/4/ 1905 n. 2373; Policaro Antonio nato a Monteleone C. il 10 settembre 
1886 da Vincenzo e Russo Angela, iscr. il 30/8/1905 n. 2375; Cutuli Francesco Maria nato a 
Monteleone C. il 25 febbraio 1886 dal fu Vincenzo e Calafati Caterina, iscr. il 5/12/1905 n. 2411; 
Allegretti Viviano Francesco Nicola Vittorio nato a Monteleone il 12 novembre 1889, genitori ignoti, 
iscr. il 26/04/1906 n. 2423, domiciliato a Pizzo; Zelante Emilio nato il 13 ottobre 1889 a Monteleone C, 



202 



quattro risultano trascritti con paternità certa. Tali informazioni, seppur riferite ad 
un breve arco cronologico ed esclusivamente al tratto di costa compreso tra Pizzo e 
Nicotera, e che dimostrano una prevalente origine adottiva tra coloro che 
sceglievano la pesca come unica risorsa economica, rappresentano certamente 
un'interessante spunto per una più approfondita analisi delle condizioni sociali dei 
primi anni del '900 calabrese. 

Gli anni successivi al 1910 videro aumentare gli investimenti strutturali lungo la 
costa vibonese e ben presto ripresero nuova lena i lavori ferroviari per la 
costruzione del tratto a scartamento ridotto delle Ferrovie Calabro Lucane che 
collegava il porto con le città di Pizzo, Monteleone e Mileto. Il tratto Porto Santa 
Venere-Pizzo-Monteleone inaugurato il 2 luglio 1917 e si completò con il 
raggiungimento della città di Mileto il 4 ottobre del 1923. 

Le due linee ferrate modificarono in maniera determinante l'assetto del territorio 
costiero, obbligando alla regimentazione dei tanti torrenti che dalla collina 
raggiungevano il mare ed alla realizzazione di strade in grado di collegare le due 
stazioni all'impianto portuale del piccolo borgo di Porto Santa Venere. Gli effetti 
di questa riorganizzazione del territorio costiero non mancarono di produrre 
benefiche influenze sul movimento marittimo-commerciale. 

I dati sul movimento portuale, seppur di difficile lettura per l' allora esistente 
separazione tra sede del compartimento marittimo, posto nella marina di Pizzo 
Calabro, e struttura portuale, posta nella rada di Santa Venere, confermano un 
significativo aumento del movimento commerciale, mentre stentava ancora a 
decollare l'attività peschereccia. 

Nella relazione sul movimento della marina mercantile italiana del 1926, seppur 
viene rilavata la tendenza positiva, iniziata in quegli anni, a sostituire i vecchi 
velieri con moderni motopescherecci , "l'attività peschereccia in questo 



genitori ignoti, iscr. il 4/10/1906, n. 2491; Tramontana Francesco Saverio, nato a Monteleone C. il 11 
luglio 1888, genitori ignoti, iscr. il 4/1/1907 n. 2506; Maggi Giovanni nato a Monteleone C. il 13 
maggio 1895 genitori Ignoti, iscr. il 5/9/1907 n. 2561; Amato Giuseppe nato a Monteleone C. il 1 
settembre 1888 genitori ignoti, iscr. il 1/10/1906 n. 2488; Roseo Francesco nato a Monteleone C. il 14 
Aprile 1891 genitori Ignoti, iscr. il 18/10/1907 n. 2574 (il 15 Maggio 1912 risulta preso in forza della 
Regia Nave "Etruria"); Perri Arturo Giuseppe nato a Monteleone C. il 30 maggio 1891 da Domenico e 
Rosa Malerba, iscr. il 19/10/1908 n. 2651; Omobono Pasquale nato a Monteleone C. il 1 aprile 1894, 
genitori ignoti, allevato da Carmela Faro residente a pizzo via Meli, iscr. il 24/11/1908 n. 2681; Aracrì 
Felice nato a Monteleone C. il 8 agosto 1893 da Clemente ed Isabella De Leo, iscr. il 22/4/1909 n. 
2713 con esercizio alla pesca limitata acquistato con la barca n. 1 10 denominata "San Francesco" diretta 
del padrone La Valle Foca; Bello Umberto nato a Monteleone C. il 8 ottobre 1891, genitori Ignoti, 
residente a Pizzo presso Tommasina Roseto, moglie di Tozzo Giuseppe, bracciante, che lo ha allevato. 
Abita dirimpetto la casa del sindaco Romei, iscr. il 9/6/1909 n. 2741, giusta dichiarazione del padrone 
di barca Vallone Domenico. 



In La Marina Mercantile Italiana al 31 dicembre 1926 — V, Relazione del Direttore Generale della 
Marina Mercantile a S. E. il Ministro delle Comunicazioni, Ministero delle comunicazioni, Direzione 



203 



compartimento marittimo è alquanto limitata e di scarza importanza. La pesca 
costiera si applica principalmente con la meniade, con la sciabica e con la 
lampara, ha uno sviluppo maggiore e relativamente rilevante è la cattura delle 
sardelle e delle alici che avviene con tali sistemi. I pescatori locali ritraggono da 
tale pesca gli utili maggiori. Al contrario veramente importante è la pesca del 
tonno, poiché due tonnare vengono calate ogni anno nel golfo di S. Eufemia; però 
per il 1926 essa fu alquanto scarsa, anzi una delle due tonnare ha chiuso la 
campagna di pesca con perdita, avendo pescato appena intorno ai 300 quintali di 
pesce. Anche la pesca meccanica a strascico con divergenti ha avuto nel 1926 uno 
sviluppo inferiore a quello dell'anno precedente. La pesca d'alto mare è 
assolutamente negativa" 

Da tale atto apprendiamo che il 29 luglio di quell'anno, il Cutter "San Biagio", 
iscritto al compartimento di Torre del Greco, naufragò nel Porto di Santa 
Venere 402 , probabilmente per un'improvvisa burrasca, causando la perdita totale 
dell'imbarcazione. 

Nel 1926, tra la gente di mare iscritta nel compartimeto marittimo di Pizzo 403 
risultavano complessivamente 19 padroni di barca, 18 marinai autorizzati al 
piccolo traffico e alla pesca, 26 capi barca autorizzati al traffico nello stato e 79 
capi barca per traffico locale, 1.120 marinai e mozzi, 1 macchinista in prima, 26 
motoristi autorizzati, 9 fuochisti autorizzati e operai meccanici, 158 fuochisti ed 
altri addetti alle macchine dei piroscafi 158, rientranti tutti nel totale delle 1430 
persone di prima categoria; 2621 risultavano invece quelli iscritti tra la gente di 
mare compresi nella seconda categoria, composta da 108 maestri d'ascia e calafati, 
2.163 pescatori , 72 capi barca per traffico locale e 278 barcaioli; il che portava al 
numero complessivo di 4.051 persone iscritte tra la gente di mare del 
compartimento marittimo di Pizzo. 

Per quanto riguardava la rendita economica derivante della pesca del tonno, le due 
tonnare in attività nel 1926 risultavano essere la Tonnara di Bivona del Marchese 
Gagliardi, che con un personale di 70 pescatori, pescò in quell'anno 1.020 tonni, 
per complessivi 438 quintali, che resero 486.782 lire, e la Tonnara di Mezzapraia, 
sita nel comune di Maierato, gestita dalla Società Anonima "Tonnara Angitola", 



Generale della Marina Mercantile, Provveditorato Generale della Marina Mercantile, Stabilimento 
poligrafico per l'amministrazione dello Stato, G.C., Roma 1929, anno VII, pp. 205-206. Ufficialmente il 
primo motopeschereccio risultante di proprietà di un armatore monteleonese risulta il Motopeschereccio 
"Eia" di tonn. 72, HP 151, dell'armatore Giuseppe Candela di Monteleone Calabro. 

40l In La Marina Mercantile Italiana al 31 dicembre 1926, Op.cit, pp. 205-206 

*° ! Ibidem.Tav. 48, Elenco delle navi nazionali ed estere colpite da sinistro nei porti e nelle acque 
nazionali e delle colonie durante l'anno 1926, pag. 427 

403 Ibidem, Tav. 3, Situazione della gente di mare al 1926, pag. 306 



204 



che con 55 pescatori, catturò 552 tonni, per complessivi 265 quintali, dal valore 

complessivo di 238.000 lire 404 . 

I battelli e le barche addette alla pesca erano ben 435, delle quali soltanto due 

potevano effettuare la pesca con atto di nazionalità 40 ' 1 , mentre il numero 

complessivo dei pescatori iscritti nello stesso compartimento risulta essere di 1.962 

unità, che poneva al sesto posto per numero di iscritti il Porto di Santa Venere tra i 

compartimenti marittimi italiani posti sul litorale Tirreno 406 . 

Per quanto riguardava i costi che gli armatori dei piroscafi o dei motovelieri 

dovevano affrontare per scaricare le loro merci sulle banchine del Porto di Santa 

Venere, il costo medio per tonnellata da sotto paranco a carretto era di 2,50 lire, 

mentre per coloro che scaricavano cemento e pozzolana il trasporto della merce, 

da fondo stiva a sotto paranco, veniva eseguito dall'equipaggio 407 . 

Gli anni che vanno dal 1928 al 1932 vedono aumentare il movimento complessivo 

dei motovelieri e dei piroscafi che attraccano nel Porto di Santa Venere, anche se il 

traffico si caratterizza esclusivamente come un traffico nazionale 408 . 



Ibidem, Tav. 135, Pesca del tonno anno 1926, pag. 794 
*° 5 Ibidem, Tav. 132, Quadro dei battelli e delle barche addetti alla pesca al 31 dicembre 1926, pag. 791. 
" ,l Ibidem, Tav. 133, Pesca dei molluschi, crostacei e pesce, durante l'anno 1926, nei diversi litorali del 
Regno, p.791: Pizzo: Numero pescatori 1.962, valore delle barche 601.650, valore attrezzi 1.019.120, 
valore pesca 2.816.000. Cfr. inoltre Tav. 134, Valore del pesce, dei molluschi e dei crostacei pescati nel 
1926, pag. 793. Pizzo: Molluschi 7.200; Crostacei 20.000; Pesce 2.788.800; Tot. 2.816.000 
407 Ibidem, Tav. 1 19, Costo e rendimento del lavoro nei porti del Regno al 31 dicembre 1926, pag. 725 

Movimento della navigazione del Regno d'Italia nell'anno 1932, vol.I, Tavole analitiche, a cura del 
Ministero delle Finanze, Direzione Generale delle Dogane e imposte indirette, ufficio statistica, 
Provveditorato generale dello Stato, Roma 1935, anno XIII, Parte seconda, navigazione per operazioni 
di commercio nei porti secondari. Tav. Vili, Riassunto della navigazione per operazioni di commercio 
dei porti nazionali che hanno avuto un movimento non inferiore a 5000 tonnellate di merce in uno degli 
anni del quinquennio 1928-1932, pag. 770: 
PORTO SANTA VENERE : 
PIROSCAFI: Numero Tonn. nette Tonn. merce Equipaggi 



1928 


61 


29.302 


13.918 


946 


1929 


189 


88.023 


41.952 


2.584 


1930 


142 


106.462 


27.855 


2.488 


1931 


187 


142.467 


35.191 


3.307 


1932 


209 


143.315 


27.159 


3.274 



VELIERI: 



1928 


117 


17.413 


15.379 


752 


1929 


83 


11.506 


9.473 


550 


1930 


146 


29.027 


25.563 


1.112 


1931 


150 


23.419 


20.263 


1.066 


1932 


196 


35.067 


29.122 


1.424 



205 



IX 

DA PORTO SANTA VENERE 
A VIBO VALENTIA MARINA 



Completate le linee ferrate delle Ferrovie dello Stato e delle Calabro Lucane, il 
borgo costruito intorno al Porto di Santa Venere, cominciò ad assumere un vero e 
proprio assetto urbano. 

L'attuale corso Michele Bianchi, costruito nel 1938 dal Provveditore alle Opere 
Pubbliche Lepore, con gli avanzi della costruzione del molo foraneo, divenne la via 
principale della cittadina costiera, ai cui lati si affacciavano i palazzi Condò, 
Cutullè, Tranquillo, nonché la tonnara di S. Venere, appartenente al Cav. Adragna, 
tutti costruiti alla fine dell'ottocento, contemporanemente alle casermette della 
dogana, del genio civile, della sede staccata del compartimento marittimo, dei 
magazzini portuali ed alla baracca, tipo chalet egiziano, di Don Vincenzo Cantafio, 
ed in cui sorse l'Agenzia Marittima che tanta parte ebbe nello sviluppo dell'attività 
portuale della cittadina. 

Nel 1928, anno in cui il comune di Monteleone mutò il suo nome con quello di 
Vibo Valentia 409 , l'area portuale di Santa Venere, si presentava come un perenne 
cantiere e lo stesso cambiamento del suo nome in Vibo Valentia Marina passò 
inosservato tra la gente del posto, quasi fosse una logica conseguenza del continuo 
mutamento di cui era protagonisti e testimoni. 



ASCVV, Delibere del Consìglio 1924-1927, 23 febbraio 1927. Il decreto governativo che sancì il 
cambio di denominazione del comune venne promulgato l'8 dicembre 1927. Il 19 gennaio del 1928 la 
città venne tappezzata di manifesti, in cui il podestà Domenico Antonio Basile annunciava la decisione 
con tali parole: " Da oggi la Città nostra, i cui Nomi ricordano civiltà millenarie, si chiamerà Vibo 
Valentia, nome augusto del fiorente municipio romano, al quale la Città eterna comunicava l'attributo 
della suo potenza. Questo per consiglio dei suoi migliori, volere dì popolo e magnanimità del Duce, 
auspice e vindice, in Italia e fuori, del gran Nome romano. Sia il nome novello, nei secoli antico, di 
prosperità e grandezza per la Città nostra" 



206 



Due anni dopo una violenta alluvione, provocata dallo straripamento dei torrenti S. 
Anna e Labadessa, mise in ginocchio la fragile economia portuale 410 . 
Tra le costruzioni di quegli anni, la piccola comunità, composta da imprenditori, 
marinai, contadini, e dipendenti portuali e ferroviari, non trascurò di avviare quella 
di una chiesetta, che realizzasse il bisogno di unire una comunità allora divisa nei 
suoi momenti liturgici, tra la chiesa del piccolo borgo collinare di S. Pietro, la 
cappella privata realizzata nel palazzo della famiglia Cutullè 4 " e la chiesetta posta 
all'interno della tonnara di Bivona, tutte comprese nella antica parrocchia di S. 
Pietro di Bivona. 

Così la costruzione della chiesa di Vibo Marina risultò terminata quando giunse a 
S. Pietro, nell'agosto del 1933, il nuovo parroco don Domenico Costa 412 , 
accompagnato dal padre, sul dorso di un asino, pochi giorni dopo dalla sua 
ordinazione sacerdotale. 

Don Costa scriverà nei suoi appunti: "l'edificio è di media dimensione, sufficiente 
per la popolazione attuale. Lo stile architettonico tende al romanico, ma la forma 
è a croce greca; è priva di decorazioni sia all'interno che all'esterno. Fu costruita 
nell'anno 1930 per opera di S.E.Rev.ma Mons. Paolo Albera, Vescovo di Mileto e 
data al culto nello stesso anno, dopo essere stata benedetta dallo stesso Vescovo, 
dedicandola alla Madonna del S. S. Rosario di Pompei" ' . 



D'Amico N. e Romeo D., Verso la nuova provincia: l'evoluzione della struttura economica, in 
AA.VV., Le città della Calabria: Vibo Valentia, Storia Cultura Economia, collana a cura della Banca 
Popolare di Crotone, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995, p.330. 

411 La piccola cappella di famiglia, costruita assieme al palazzo del Dott. Carlo Antonio Cutullè fu 
Francesco nel 1886 dalla Ditta Carrozza, era posta al piano terra proprio dinanzi al porto ed oggi è 
visitabile grazie alla disponibilità degli eredi, tra cui merita di essere citato il Notaio Francesco Cutullè, 
per l'attenta ricostruzione realizzata e per la disponibilità offerta. Essa ospita l'antico ed originale 
quadro della Madonna di Pompei, a cui la moglie del medico era devota, quadro che venne per un breve 
periodo sostituito dalla statua della Madonna, realizzata come ex- voto da un certo Catenacci. La statua è 
la stessa che attualmente è venerata nella chiesa di Vibo Marina. 

" ! Don Domenico Costa nasce a Maierato il 12 febbraio del 1905, da Giuseppe Costa e Maria Grazia 
Talotta. All'età di 17 anni entra nel Seminario di Mileto dove compie gli studi ginnasiali e liceali. 
Completa gli studi teologici nel Seminario Regionale "Pio X" di Catanzaro, e nell'agosto del 1933, 
all'età di 28 anni, viene ordinato sacerdote. Nello stesso anno viene nominato, da Mons. Paolo Albera, 
vescovo di Mileto, parroco di S. Pietro di Bivona. Il 14 agosto del 1946, con l'erezione della nuova 
parrocchia di Vibo Marina, intitolata a Maria SS. del Rosario di Pompei, ne viene nominato parroco. 
Muore a Vibo Valentia il 6 ottobre del 1982. 

"'De Maria V., a cura di, Mons. Domenico Costa, una vita per Vibo Marina, stamp. in proprio, Vibo 
Marina, 1992, p. 13. 



207 



La chiesa si presentava ancora spoglia, provvista solo di un altare di marmo di 
Carrara posto nell'abside centrale, così il giovane parroco si mise all'opera, 
avvicinando la gente del luogo nelle loro case, nei luoghi di lavoro e di ritrovo. La 
chiesa si arricchisce in breve dei doni della piccola comunità: un quadro ed una 
statua della Madonna del S.S. Rosario di Pompei, un baldacchino in seta, una serie 
completa della via crucis in ceramica, un mobile per la sacrestia, le sedie per la 
chiesa, un grande crocifisso ligneo, opera di uno scultore di Ortisei; tutti segni del 
crescente e forte affiatamento creatosi tra il parroco e la gente del piccolo borgo. 
E' il 31 agosto del 1934 quando, dopo averle sollennemente benedette, suonano per 
la prima volta le tre campane di Vibo Marina "la grande, di un quintale e 
venticinque porta il nome di Maria S.S. del Rosario, perché è riprodotta 
l'immagine di codesta chiesa su di essa. Perché la seconda porta l'effige di Santa 
Venera le fu dato tale nome ed è di chilogrammi 84. Il campanello di tre 
chilogrammi porta la figura ed il nome del crocifisso" 

Intanto le opere per la costruzione del porto, dopo il primo piano regolatore redatto 
nel 1904 dalla apposita Commissione Ministeriale, assunsero nuovo vigore con il 
secondo piano regolatore redatto nel 1936 415 , tante che in quegli anni, tra i porti 
calabresi, quello di Vibo Marina risulta essere secondo solo al porto di Reggio 
Calabria. 

Purtroppo dati in grado di descrivere, al di là delle cifre statistiche, la tipologia 
delle merci sbarcate e degli armatori che frequantavano il porto vibonese, si 
rintracciano solo a partire dal 1940, tuttavia quelli esistenti consentono di seguire 
per intero gli arrivi dei bastimenti fin tutto il 1942. 

Genovesi, napoletani e siciliani risultano essere gli armatori e padroni di barca che 
utilizzavano lo scalo per le loro attività marittime. Solo nel terzo trimestre del 1940 
vengono scaricate 1.135 tonnellate di Pozzolana proveniente dallo scalo napoletano 
di Baia 416 ; 590 tonnellate di Calce Idrata, proveniente da Napoli e Castel di 
Stabia 417 . Notevolissimo fu, nello stesso periodo, il quantitativo di cemento 



Ibidem, op.cit, p. 14 

'"Colace M. T. , II Porto di Vibo Valentia Marina, Università degli Studi di Messina, Facoltà di Lettere 
e Filosofia, Tesi Anno Accademico 1971-72, G-C-82 

'"Capitaneria di Porto di Vibo Marina. Registro del Movimento Merci 1940-42. In particolare la 
pozzolana viene sbarcata più volte dai motovelieri "S. Francesco di Paola" di Domenico Sebiano, 
"Florette" di Telaro Giovanni, "San Francesco" di Scotti D'Antuono, "Arno" di Lubrano Alfonso, 
"Adele" di Scotto Gennaro, "San Francesco" di Scotto Tobia, "Bella Italia" di Antonino Luteri 

417 Capitaneria di Porto di Vibo Marina, Ibidem, scaricate dal Piroscafo "Colomba Lofaro" di Infante 
Gaetano, e dai motovelieri "Maria S." di Schiavo Domenico, "Concettino M." di Di Meglio Antonio e 
"Maria L." di Di Risso Alessandro 



208 



proveniente da Milazzo, Salerno, Napoli, Scario, Baia e Portoferraio 418 , che 
raggiunse un totale di 4.029 tonnellate, mentre un unico sbarco di pomice, di 420 
tonnellate, venne effettuato dal Piroscafo "Campidoglio" di padron Garilli 
Giuseppe, proveniente da Cannette di Lipari. 

Nel 1941 si fermano nel porto di Vibo Marina 169 imbarcazioni, di cui 70 
effettuarono solo uno scalo di transito. E' da quell'anno che nel porto figura 
l'arrivo di veri e propri convogli commerciali provenienti dalla Sicilia e scortati da 
piroscafi della marina militare italiana, tra i quali risultano approdati il 12 agosto i 
Piroscafi "Tergestea" 419 ed "Istria" 41 ", che sbarcarono 12 militari. Qualche giorno 
dopo, il 19 agosto, giunge il Piroscafo "Titanio." 421 . 

Sorprendente risulta in quell'anno il quantitativo di agrumi provenienti da Palermo, 
Milazzo e Catania, che raggiunsero la quota di 11.840 tonnellate. Tra le 
imbarcazioni che trasportavano le arance il più attivo risulta il Piroscafo "Corriere 
del Tevere", di padron Aneto Prospero, che per ben sette volte giunse nel porto di 
Vibo Marina da Palermo 422 , così come le quantità di cemento, che raggiunsero 
quota 2.520 tonnellate, di cui ben 1.150 tonnellate vennero sbarcate il 23 marzo 
1941 solo dal Piroscafo "Doria Uranio", comandato dal Capitano di Lungocorso 
Uranio Giuseppe, partito da Salerno lo stesso giorno. 



Capitaneria di Porto di Vibo Marina, Ibidem, sbarcato dai Piroscafi "Pace" di Gerisola Giuseppe, 
"Ilvania" di padron Moschini Giovanni, "Porto S. Paolo" di Vago Prospero, "Corriere del Tevere" di 
Aneti Prospero, e dei Motovelieri "Giustina" di Salvatori Cesare, "Maria Serra" di Caratolo 
Francesco, "Maria S." di Schiavo Domenico, "Fratelli Corrao" di Maniscalco Alberto, "Maria" di 
Ferrara Emanuele, "Maria Luisa" di Dominici Giuseppe, "Maria Giorgia" di Dominici Mario, "Maria 
delle Grazie" di Bono Giacomo, "Frieda" di Recchia Mario, "Giorgio" di Russo Gaspare. 
*" Capitaneria di Porto di Vibo Marina, Ibidem, di 3.708 tonn., e 34 pers d'equip., comandato dal 
Capitano di Lungo Corso Visentini Giorgio, partito da Taranto il 7 

>2 ° Capitaneria di Porto di Vibo Marina, Ibidem, di 3.405 tonn., e 43 pers d'equip., comandato dal 
capitano di lungo corso Giovanni Cosalich 

t!1 Capitaneria di Porto di Vibo Marina, Ibidem , di 3.249 tonn., e 37 pers d'equip., comandato dal 
Capitano di Lungo Corso Mascatelli Achille, partita da Taranto il 16,/8/41, dopo ave effettuato diversi 
scali, sbarca 4 militari 

412 Capitaneria di Porto di Vibo Marina, Ibidem. Sei volte vi fece scalo il Piroscafo "Porto San Paolo", 
di Vago Prospero, cinque il Piroscafo "Silva", di Benanti Giuseppe, quattro il Motoveliero "Maria delle 
Grazie", di Bono Giacomo, tre il Piroscafo "Lazio", di Lepillo Giuseppe, il Motoveliero "Madonna del 
Cardillo", di Gabriele Rosario, il Motoveliero "Maria Santissima", di Dasaro Francesco, il Motoveliero 
"Maria Rosa" , di Cataldo Alberto Motonave e il motoveliero "Eufrasia C", di Brunone Angelo. Due 
volte il piroscafo "Campidoglio", di Garilli Giuseppe, il Motoveliero "Annunziata Battista", di Longo 
Matteo, il Motoveliero "Sacra Famiglia", di Mule Nicolò, il motoveliero "Nuovo San Antonio", di 
Rosario Tandurella, il Motoveliero "Vetulia Maria", di Mule Emanuele. 



209 



Tra il febbraio ed il maggio del 1941 raggiungono il porto di Vibo Marina i 
rimorchiatori "Monfalcone" ed "Annunziata Battista" dalla Sicilia ed "Ardito VF 
da Genova, portando a rimorchio bette cariche di esplosivo. 

Il 1941 risulta inoltre l'anno della svolta industriale di Vibo Marina, con 
l'insediamento della Montecatini e della Gaslini, nonché con con l'avvio dei lavori 
per la costruzione della fabbrica di cemento della Calcementi, eseguiti per la 
maggior parte dall'impresa Azzaroni, l'avvio della produzione di conserve di 
pomodori della S.C. LA., di Callipo e Borello, il proseguimento dei lavori portuali 
eseguiti dall'impresa E. Parrini e C. di Roma e dalla Ditta Davide Rossi; altri lavori 
edilizi vennero eseguiti dall'impresa di costruzioni Damiano Borello di Vibo, e 
dalla ditta Magrini i lavori stradali. Venivano inoltre a consolidarsi le produzioni 
della grande falegnameria Tozzi e della miniera appartenente alla ditta Trimboli 423 . 



" Un grosso aiuto per conoscere i nomi degli operai assunti giornalmente dalle aziende esistenti a Vibo 
Marina nel 1941, lo fornisce il diario delle visite mediche effettuate in quell'anno dal dottor Gaetano 
Cammarota, in cui risultano essere stati curati i seguenti operai ed operaie: Ditta SCIA: Lo Bianco 
Concetta, De Lorenzo Carmine, Sauleo Caterina, Gravina Carmelina, Gallucci Serafina, De Fazio 
Vincenza, Carnovale Francesca, Lo Turco Anna, Gallucci Rosa, Sicari Anna, Tavella Fortunata, Mollo 
Antonio, Lieo Giorgio (stagnino), Carnovale Francesca, Porcelli Annunziato; Impresa E. PARRINI e 
C: Colosimo Giuseppe, Minasi Giuseppe, Cosentino Luigi, Virdò Bruno, Fedele Francesco, De 
Leonardo Nicola, Mirenzio Domenico, De Cicco Benedetto, Bellissimo Domenico, Simonetti 
Francesco, Artusi Antonio, Rossi Michele, Costanzo Anselmo, Papandrea Domenico, De Lorenzo 
Antonio, Papaletto Giuseppe, Lo Bianco Anna, Tortorici Nicola (palombaro), Michienzi Abramo, De 
Cicco Claudio, Marramao Rocco, Colace Giuseppe, Zaccaria Michele; Ditta Davide ROSSI: Callipo 
Maria, Quaranta Ercole, Artusa Maria Giovanna, Staropoli Mariangela, La Gamba Francesco, Di Bruno 
Maria Rosa, Librandi Maria, Librandi Domenica,Stanganello Antonio, Sorrentino Francesco; Impresa 
Costruzioni Damiano BORELLO: Ossia Cristina, Colace Giovanni, Parisi Bruno, Belsito Giovanna, 
Belsito Francesco, Bulzomato Vincenzo, Mirabello Teresa, Colloca Francesco, Russo Carmela, 
Sorrentino Francesco, Costanzo Anselmo, Callipo Antonio, Colace Amelia, Russo Giuseppe, D'ascoli 
Concetta, Guastalegname Domenico, Mazzeo Tommaso, Michienzi Abramo, De Lorenzo Luciano, 
Sicari Caterina, Mancuso Francesco, Sorrentino Francesco, Bellissimo Domenico, Lo Preato Aurora, 
Colace Giovanni; Ditta AZZARONI: De Lorenzo Carmine, Lo Bianco Giuseppe, Annaccarato Michele, 
De Lorenzo Angela, Alibrandi Giuseppe; Ditta MAGRINI: Catania Giuseppe, Addesi Domenico, Nirta 
Giuseppe, Roncone Felice, De Vita Francesco, Alibrandi Giuseppe, Virdò Bruno, Carioti Nazzareno; 
Falegnameria TOZZI: Passalacqua Carmelo, Pitaro Vito, Araco Francesco; Ditta TRIMBOLI: Lo 
Preiato Nazzareno; GASLINI: Costa Bruno, De Luca Arturo, Sgrò Annunziato, Quaranta Ercole, Costa 
Giuseppe; MONTECATINI: Sciacca Concettina, Sciacca Emanuela; Ditta TETI: Colloca Nazzareno, 
Callipo Nazzareno; Ditta MISITI: D'Urso Francesca, Caruso Angelo, Di Bruno Maria Rosa, Artusa 
Maria Giovanna, La Gamba Liberata; Ditta Ing. Francesco ATTONI: De Lorenzo Carmine (bottaro); 
CALCE E CEMENTI: Cannalunga Domenico, Sorrentino Francesco; Sottostazione Elettrica: De 
Lorenzo Luciano; Tonnara Cantafio: Galloro Giuseppe (loggiero). 



210 



I dati del movimento portuale del 1942 confermano ancora di primaria importanza 
lo sbarco degli agrumi siciliani, che quell'anno raggiunsero un totale di 13.050 
tonnellate, il che dimostra quanto, nel periodo pre-bellico, il porto assunse 
un'importante ruolo di area di smistamento degli agrumi siciliani per il resto della 
penisola, grazie alla benefico ruolo economico dello scalo ferroviario. 
Ben 13 scali per sbarcare agrumi effettuò in quell'anno il Motoveliero "Maria delle 
Grazie", di padron Bono Giacomo, comandato dal marinaio autorizzato Aliotta 
Antonio. La stessa famiglia Aliotta si conferma tra le più attive nello sbarco di 
arance, tante che appartenevano ad essa sia il Motoveliero "Emanuele Padre", 
appartenente ad Aliotta Crocifisso che giunse due volte nel porto, che i Motovelieri 
"Papà Giuseppe A.", di Aliotta Giuseppino e "S. Giovanni Battista" di Aliotta 
Giuseppe. 

Sei volte giunse il Motoveliero "Spica", di padr. Pozzolano Vincenzo e 1' 
"Eufrasia C." , comandato dal marinaio autorizzato Melilli Salvatore, alla cui 
famiglia apparteneva anche il Motoveliero "Pier delle Vigne" approdato altre due 
volte, carico di agrumi, nel porto di Vibo Marina 424 . Sempre nel 1942 un grosso 
incremento ebbe l'importazione di pomice dalle Isole Eolie, che raggiunse la 
ragguardevole cifra di 4.200 tonnellate, così come intorno a quel tonnellaggio fu la 
quantità di pomodori sbarcati. 

E' in quegli anni che facevano capo al porto di Vibo Marina diverse linee di 
navigazione, tra le quali sono da ricordare la linea Genova-Alessandria, effettuata 
dalla Compagnia Genovese di Navigazione, la Genova-Trieste, della S.A. di 
Navigazione Tirrenia, la Genova-Sicilia-Adriatica, della Flotta Lauro, la Venezia- 
Sicilia-Calabria della S. A. di navigazione Salvagno, la Pesaro-Sicilia-Calabria 
dell'armatore Gennari, la Genova-Trieste, dell'armatore Mersina e la linea Trieste- 
Genova della S.A. Navigazione Tripcovich 425 . 

Nel 1942 viene inaugurata la casa cononica, costruita a ridosso della chiesa, ma la 
guerra, dapprima vissuta come un evento estraneo, si avvicinò, da allora in poi con 
tutto il suo carico tragico: "Saltuariamente dalla fine del 1942 in poi, 
saltuariamente e sempre di notte, ci furono diversi mitragliamenti compiuti da 



- Capitaneria di Porto di Vibo Marina, Ibidem. Sempre per sbarcare agrumi, cinque volte giunse il 
Piroscafo 'Tosca" di Tasi Luigi, il Motoveliero "Manetta G." di Donato Lorenzo, ed il Rimorchiarore 
"Iupiter" di Caranante Antonio, che di volta in volta rimorchiava ben due bette cariche; quattro volte i 
motovelieri "Isto", di Solari Libero, "Claudio" di Petri Eugenio, "Maria Santissima", di Dasaro 
Francesco ed il "S. Gennaro", di Ammatuna Guglielmo. Altre famiglie di armatori siciliani che 
utilizzano lo scalo vibonese per lo smercio di agrumi risultano essere i Velia, con i motovelieri "S. 
Giuseppe", appartenente a Vincenzo, "S. Antonio" di Orazio e "Domenico Padre" di Domenico, e gli 
Scotto, con i motovelieri "S. Francesco" di Tobia e "Pensiero" , di Antonio. Non va trascurato di 
aggiungere che, oltre alle già citate imbarcazioni, risultano esserne approdate altre 70 che, seppur con 
un solo scalo, hanno in quell'anno sbarcato agrumi prodotti in Sicilia. 

t!i Capitaneria di Porto di Vibo Marina, Ibidem. Prenotazioni effettuate dall'Agenzia Marittima di 
VincenzoCantafio, fondata dal padre nel 1889. 



211 



aerei su navi ormeggiate nel porto " scrive Domenico Satriani nei suoi appunti 

sulla guerra "ci eravamo quasi abituati a sentire quel crepitio delle mitragliatrici 

italiane e tedesche che rispondevano al fuoco. Sempre di notte, puntualmente ogni 

sera, sentivamo il rombo di un ricognitore. Anche a questo ci eravamo abituati: i 

ferrovieri lo avevano denominato 'il guardalinea' poiché nella sua rotta 

privilegiava il tracciato ferroviario" . 

Nel periodo bellico, oltre ai militari della Capitaneria di Porto, dislocati nella 

casermetta posta nei pressi del porto, era installato nel palazzo Portolano di 

Francia, un comando dell'artiglieria militare italiana, comandato da un colonnello 

ricordato dagli abitanti del paese per la sua caratteristica lente a caramella, e che 

spesso incontravano al galoppo su un cavallo nero, nei suoi ripetuti giri di controllo 

delle altre postazioni ubicate sulla costa. 

La vicina galleria ferroviaria Mondella venne utilizzata come rifugio antiaereo, non 

solo per i militari, ma anche per l'intera popolazione di Vibo Marina. 

Poco più in giù, all'altezza del Casello numero uno delle Ferrovie Calabro Lucane, 

vi era una postazione di artiglieria per la difesa antinave ed antiaerea, in cui si 

alternavano militari italiani e tedeschi. 

Una zattera, con inalberata una vela grigia e rimorchiata con un lungo cavo da un 

motopesca, simulava il rudimentale bersaglio per i tiri di allenamento 

dell' artigliera posta all'altezza del casello. 

I soldati tedeschi, per lo più del reparto genieri, erano invece accampati poco più 

sopra, lungo la strada che sale a Longobardi. I loro spostamenti erano sempre gli 

stessi: ogni mattina andavano al porto, marciando e cantando, per scaricare vagoni 

ferroviari o montare i pezzi di zatteroni che arrivavano via mare, mentre a 

mezzoggiorno in punto attraversavano via Michele Bianchi, sempre marciando e 

cantando, tornando ai loro accampamenti. 

I rapporti tra i militari e la popolazione civile erano buoni, come lo dimostra un 

episodio avvenuto nei primi mesi del 1941. I circa quaranta soldati erano stati 

costretti ad intervenire per un'azione militare nei pressi di Tropea, e nell'occasione 



426 Ibidem, op.cit, p. 20. L'interessantissima testimonianza prosegue con il racconto di un episodio in 
cui si mette in risalto la figura di Mons. Costa '"Nel polverone ad un tratto vidi un 'ombra umana. Essa 
proveniva dalla strada che sì diparte dalla piazzetta della Chiesa. Quell'ombra procedeva a grandi 
falcate e quando mi fu prossima mi accorsi che era un prete. Ero rimasto fermo in attesa che quella 
figura fosse riconoscibile. Anche io cercavo qualcuno. Quando fummo vicini riconobbi in quell'ombra 
il parroco di Vibo Marina, lo impaurito mi rivolsi a lui, che era stato mio padrino alla cresima, 
dicendo: 'Compare, c'è stato forse un terremoto?', 'Figlio!' mi rispose 'salvati se puoi! E' successo 
forse molto dì più'. 'Compare, ma dove andate?', 'Figlio' mi ripetè 'cerca di salvarti! lo vado a fare il 
mìo dovere. Ci sono certamente tanti morti e tante anime a cui dare l'Estrema Unzione!' e riprese la 
sua corsa a grandi falcate, con quella sua veste nera imbiancata, con la stola viola svolazzante verso la 
morte, verso il dolore di tanti suoi parrocchiani. " 



212 



abbandonarono il loro accampamento posto nel fondo Giordano per due notti di 
seguito. La prima notte fu però fatale: alcune persone fornite di diversi carri trainati 
da buoi, piombarono nell'accampamento portando via tutto ciò che poteva essere 
caricato, eccetto la stazione radiotelegrafica. Al loro rientro, alcuni bambini 
gironzolavano nell'accampamento alla ricerca di qualche oggetto sopravvissuto 
alla ruberia. Nonostante la sorpresa e la leggittima rabbia per l'accaduto, i soldati 
accompagnarono nel paese i piccoli, senza effettuare alcuna azione di ritorsione 
sulla spaventata popolazione . 

Il controllo marittimo dell'intero Golfo di S. Eufemia era effettuato da un piccolo 
cacciatorpediniere tedesco, che rintrava nel porto solo per i rifornimenti di 
carburante ed acqua. Spesso l'imbarcazione era accompagnata da sei Mas e più 
volte divenne bersaglio degli aerei alleati: proprio nella primavera del 1943 riuscì 
ad abbattere un aereo inglese, che cadde nel mare vicino Pizzo. I sei avieri inglesi 
si salvarono e, recuperati da uno dei mas italiani, vennero avviati ad un piccolo 
campo di prigionia verso l'Angitola. 

Il 12 aprile del 1943 la cittadina venne presa di mira dai bombardieri americani. 
"Alle ore 17,55 precise sentii un sibilo assordante, intenso, infernale, improvviso, 
indescrivibile" continua il ricordo dell' allora studente di terza ginnasiale Satriani 
"dopo il sibilo agghiacciante, che ebbe la durata di diversi secondi, che non 
finivano mai, ci fu un immenso boato e mi ritrovai avvolto da una coltre di polvere, 
sempre più fitta, sempre più nera. Mi precipitai di corsa per le scale in gran parte 
divette, per raggiungere la strada. Pervenuto all'aperto ebbi l'impressione di 
trovarmi in un mondo da apocalisse. Di fronte a me non esisteva più niente di 
quanto conoscevo: le case intorno erano tutte ridotte a macerie fumanti che 
ostruivano le strade, ed una nube fitta incombeva sul paese. Si sentivano tante urla 
di terrore e di dolore". 

Nel porto erano ormeggiate cinque navi ed una sesta era appena entrata scortata da 
un idrovolante, raccontava Giuseppe Minorchio, uno dei testimoni di quel funesto 
giorno. "Ero sul porto ed osservavo l'idrovolante italiano, che a missione 
compiuta, salutava il piroscafo compiendo alcuni giri intorno ad esso, per poi 
volare a bassa quota su Vibo Marina nell' allontanarsi. Ma il rumore di aereo non 
cessava: alzato lo sguardo vidi dei bombardieri inglesi che si avvicinavano al 
paese, ma non mi preoccupai più di tanto perché eravamo abituati a veder passare 
ricognitori e bombardieri" . 

All'improvviso però un boato mutò il destino di quel giorno, da tutti ritenuto un 
giorno normale: "rimasi impietrito da un violento boato, mentre respiravo fumo e 
polvere da sparo. Pensai all'improvviso scoppio della mina recuperata il giorno 
prima da un motopesca, per il quale si attendeva l'artificiere, ma le urla di dolore 



Tale testimonianza è dovuta al sig. Fedele Paolo, componente di una delle poche famiglie rimaste a 
Vibo Marina nel periodo bellico. 



213 



ed il fumo alto che si sprigionava dall'interno del paese, nello spiazzo che 
chiamavamo 'campo sportivo', mi terrorizzò. Corsi verso quelle grida, insieme a 
degli amici preoccupati per i propri familiari. Quelle immagini resteranno sempre 
impresse nella mia mente; case crollate e tanta polvere, tanti morti, gente che 
soffrendo scappava. Riconobbi Ciccio Fedele, soldato del Battaglione San Marco 
in licenza, che aveva tra le braccia il corpo sanguinante di una ragazza. Mi colpì 
la figura del nostro giovane parroco, che con la tonaca impolverata benediceva in 
ginocchio una donna moribonda. Solo allora capii cosa fosse successo. Mi 
ricordai degli aerei e fuggii col cuore in gola verso il Casello numero Uno, dove 
trovai i miei familiari" . 

Il triste episodio si rivelò più grave di quanto venne freddamente dichiarato dal 
bollettino di guerra del giorno dopo, diramato alle ore 9,00 dall'Ufficio Difesa 
Controaerei dello Stato Maggiore del Regio Esercito: "Località incursionate: Vibo 
Valentia Marina (Catanzaro). Alle ore 17,50 del 12 corrente, alcuni quadrimotori 
americani hanno sorvolato la Calabria, dirigendosi verso nord-ovest. Uno degli 
aerei, staccatosi dalla formazione, ha sganciato alcune bombe sulla frazione di 
Vibo Valentia Marina. 

Risultano colpiti e danneggiati: la stazione ferroviaria; un magazino viveri e 
qualche fabbricato civile. Vittime: 5 morti fra la popolazione civile; 13 feriti di cui 
due militari e 11 civili" 42 ^. La cittadina, in realtà, venne sventrata da quel 
bombardamento, e quando il grande polverone alzatosi dalle macerie si diradò 
completamente, si contarono due donne e ben otto bambini deceduti: 
Giovanna Lenza, una graziosa ragazza di 14 anni, studentessa nel V ginnaisio, che 
morì per il crollo della propria abitazione; le sorelline Rosaria e Lucia De Lorenzo, 
di 5 e 11 anni, che rientrate da una passeggiata scolastica, giocavano nel Campetto 
insieme ad Annunziata Corso di 7 anni; Rosina Sacco di 29 anni, sposata da nove 
mesi, morì nella sua umile baracca. Anche in una piccola baracca vicino al campo 
sportivo abitava la famiglia Neri, scappata da Augusta (Sr), intimorita delle 
continue incursioni aeree in Sicilia: la signora Mariantonia, trentatreenne, era 
appena rientrata a con i suoi quattro figli: Nicolina di 10 anni, Vincenzo di 7, Anna 
di 3 ed in braccio Franca, di appena quattro mesi. Sulla loro baracca crollarono i 
muri di una casa vicina. Diversi furono i feriti, mentre nessun dato ufficile è mai 
stato fornito dall'autorità competente sul numero e sull'identità dei militari 
deceduti 429 . 



XXI. Stato Maggiore Regio Esercito, VI Reparto, 
Ufficio difesa controaerei (Centro raccolta notizie). 

>2 ' ASCVV, dati ufficiale anagrafe 1943: "L'anno 1943, a. XXI, addì quattordici del mese di aprile, alle 
ore 12,00 nella casa comunale, Io Avv. Ignazio Lo Torto, ufficile dello stato civile del Comune di Vibo 
Valentia, delegato podestarile, do atto che: il giorno 12 aprile dell'anno 1943 XXI, alle ore 18,00 in 
Vibo Valentia, in seguuito ad incursione nemica è morto: De Lorenzo Lucia, anni 1 1, nata a Vibo, figlia 
di Carmine (falegname) e Gatto Domenica (casalinga); ...De Lorenzo Rosaria, anni 5, nata a Vibo, 



214 



Da quel giorno altre bombe e mitragliate colpirono periodicamente la cittadina. 
Capitava frequentemente ai treni di fermarsi per ore dentro la galleria Mondella in 
attesa che cessassero gli allarmi aerei, e spesso, a protezione dell'imboccatura della 
galleria venivano utilizzate le stesse mercanzie trasportate nei vagoni: "ricordo che 
per alcuni giorni" racconta Fedele P. "l'ingresso della galleria era stato 
completamente occultato da centinaia di forme di formaggio. La fame in quei 
giorni era grande, e non fu difficile convincere il capotreno di lasciarcene 
prendere qualche forma, ad allarme aereo terminato". Un bombardamento 
successivo causò l'affondamento dentro il porto del piroscafo Carlo Zeno, che 
alcuni giorni prima aveva fatto scalo a Vibo Marina scortato dall'incrociatore 
Duilio. 

Il piroscafo era adibito all'approvvigionamento di carburante e munizioni nelle 
colonie africane, ed alcuni giorni prima venne attaccato dall'aviazione americana 
lungo la costa di Nicotera. La difesa della Duilio impedì la perdita del carico, ma il 
piroscafo aveva riportato danni tali che imponevano il rientro nel porto. 
Per via del carburante trasportato in fusti dentro il piroscavo, boati assordanti per 
diversi giorni risuonarono nelle vie della cittadina e le notti erano illuminate dal 
fuoco che aveva invaso la coperta della nave e che non accennava a spegnersi. Il 
bombardamenteo della Carlo Zeno, venne subito avvolto da un alone di mistero e 
di legenda: ai più parve strana la precisione con cui venne colpita quel piroscavo. 
Le voci che fosse una nave spia si sovrapposero a quelle di un sabotaggio 
provocato dallo stesso equipaggio, nell'estremo tentativo di evitarsi il rientro 
nell'area di guerra africana; alcuni raccontavano inoltre della sparizione di alcuni 
fusti di carburante e dell'improvviso arricchimento di personaggi che vendevano 
carburante al mercato nero, altri ancora che il carburante fosse mischiato con 
quantità tali di olii e zuccheri da essere inutilizzabile 430 . 

figlia di Carmine (falegname) e Gatto Domenica (casalinga); ... Lenza Giovanna, anni 14, nata a 
Omignano (Pa), studentessa, figlia di Domenico (ferroviere) e Feo Rosa (casalinga); ... Neri Anna, anni 
3, nata ad Augusta (Sr), figlia di Francesco (operaio) e fu Romano Mariantonia; Neri Franca, mesi 7, 
nata ad Augusta (Sr), figlia di Francesco (operaio) e fu Romano Mariantonia; . . . Neri Vincenzo, anni 7, 
nato ad Augusta (Sr), figlio di Francesco (operaio) e fu Romano Mariantonia; . . . Romano Mariantonia, 
anni 33, nata a Vibo, casalinga, figlia fu Gregorio e Caparrotta Felicina. Il giorno 12 aprile XXI 
nell'ospedale Militare Territoriale "M. Morelli" alle ore 20,00 in seguito ad incursione nemica è morto: 
Corso Annunciata, anni 7, nata a Vibo, figlia di Paolo (bracciante) e Lo Preiato Rosa (casalinga);... 
Sacco Rosina, anni 29, nata a Vibo, figla di Nicola e Malerba Marianna, coniuge di Tamigi Vespasiano. 
Il giorno 13 aprile 1943 XXI nell'ospedale Militare Territoriale "M. Morelli" in seguito ad incursione 
nemica, è deceduto alle ore 15,30: Neri Nicolina Maria, anni 10, nata ad Augusta (Sr), figlia di 
Francesco (operaio) e fu Romano Mariantonia. 

430 Difatti l'alone di mistero che avvolse il relitto del Carlo Zeno, rimase tale fino al maggio del 1945, 
anno in cui venne organizzato il suo recupero In data 7 agosto 1945, secondo quanto risulta dal Registro 
del Movimento della Marineria della Capitaneria di Porto, il piroscafo "Carlo Zeno", comandato dal 



215 



La paura del ripetersi dei bombardamenti ebbe comunque il sopravvento, 
costringendo la stragrande maggioranza degli abitanti di Vibo Marina ad 
abbandonare il paese verso i più sicuri centri collinari di Maierato, Monterosso, 
Filadelfia ecc., con la certezza ormai che il porto e la stazione ferrovia 
rappresentassero obiettivi di sicuro interesse militare. 

Lo stesso giovane parroco trasferì tutti gli oggetti sacri e di valore della chiesa in 
una casa di Longobardi, dove vi si recava a riposare solo a tarda sera. 
Pochi mesi dopo il tragico episodio bellico che coinvolse la cittadina, ed 
esattamente il 7 settembre del 1943, avvenne lo sbarco anglo-americano che si 
concentrò proprio dinanzi l'area portuale di Vibo Marina, e lungo tutto il litorale 
compreso tra Bivona 431 , Timpa Bianca e Pizzo Marina. 

Per qualche mese i militari inglesi ed americani si acquartierarono negli stessi 
edifici e località dove prima erano quelli tedeschi e, alla loro partenza, gli sfollati 
che rientrarono dopo l'armistizio, ritrovarono la cittadina spogliata di tutto; perfino 
la chiesa parrocchiale venne derubata di quelle poche sedie impagliate che non era 
stato possibile trasferire a Longobardi. 

Gli sforzi degli anni successivi furono tutti indirizzati alla ricostruzione 
del paese, ed è proprio nell'immediato dopoguerra che inizia la produzione di 
cementi e derivati dello Stabilimento "Calcementi di Segni" (di Bombrini-Parodi- 
Delfino), che con i suoi 500 operai, oltre ai 300 operari occupati per suo conto 
nelle vicine miniere di lignite, e con una produzione di circa 2000 q.li al giorno di 
cemento e di affini esportabili, diede un contributo determinante nel rispondere alla 
grande richiesta di lavoro della popolazione vibonese. 

Assieme alle tante iniziative imprenditoriali che in quegli anni si realizzavano 
lungo la costa, nelle aree demaniali destinate ad attività produttive, l'attività 
peschereccia contribuì non poco a risollevare le sorti economiche del piccolo 
centro urbano. 



Comandate di LungoCorso Rosade Filippo e con l'equipaggio composto da: marò Giacalone Alberto, 
classe 1913, del comp. maritt. di Trapani; 1' macchinista Donaggio Giovanni, ci. 1900, del comp. 
maritt. di Venezia; capomacchinista Gatto Agostino, ci. 1899, del comp. maritt. di Savona; 1' ufficiale 
Lassaglia Carlo, ci. 1914, del comp. maritt. di Viareggio; marò Cirillo Giuseppe, ci. 1919, del comp. 
maritt. di Torre del Greco, partì con destinazione Venezia, con tappa intermedia a Palermo, dove 
imbarcò un carico di marsala. Secondo il Telex, n. 287 del 17/6/45 ore 9,28 inviato a Messina, il locale 
rappresentante dell'armatore del piroscafo Carlo Zeno, la S. A, Salvagno, aveva firmato un contratto 
con la ditta Sodini di Viareggio per ricupero nave, che durarono dal giugno al luglio del 1945. Al 
palombaro di Messina (Telex, n.75, del 17 giugno 1945 ore 18,35) vennero affiancati i manovali 
Viterale Francesco di Giuseppe classe 1914; Minasi Giuseppe di Vincenzo classe 1922; D'urso 
Francesco Luigi di Michelangelo classe 1925; De Lorenzo Antonio di Carmine classe 1923, che verrà 
poi sostituito dal manovale Papandrea Domenico fu Italo Luigi e di Battaglia Maria classe 1922, "con 
paga giornaliera di £. 175 ed eventuale lavoro straordinario £. 28 at ora". 

431 Nella Tonnara di Bivona si era acquartierato un comando tedesco, che vi aveva istituito un deposito 
di carburanti e munizioni. 



216 



La pesca del tonno era affiancata dall'attività di diversi padroni di barca, che con i 
loro piccoli motopescherecci, contribuirono alla nascita di una vera e propria 
tradizione peschereccia. 

I primi marinai pescatori iscritti nel nuovo compartimento marittimo di Vibo 
Marina risultano essere Malerba Domenico 432 , classe 1890; Florio Benedetto 433 , 
classe 1909; Arena Ferdinando 434 , classe 1918. 

E' seguendo le date di imbarco e sbarco del pescatore Melluso 
Vincenzo 435 , classe 1906, iscritto nel compartimento marittimo di Reggio Calabria, 
che desumiamo tempi e modi delle prime attività di pesca di quegli anni. 

Nel gennaio del 1938 egli risulta essere capobarca al comando del 
motopeschereccio "Rajfaelluccio" , ruolo n. 1725, ed il 10 di quel mese s'imbarca 
sul suo motopesca con l'aiuto motorista Loiacono Saverio, classe 1920, ed il 
giovanotto Campisi Ferdinando, classe 1914. Del gruppo di pescatori si 
rintracciano ulteriori notizie solo dal 16 aprile del 1944, quando il Melluso si 
imbarca con il titolo di padrone sempre sullo stesso motopesca, che risulta però con 
un nuovo numero di ruolo, il 2985, ed è comandato dal capobarca Carotenuto 
Aniello, classe 1899, iscritto al compartimento marittimo di Torre del Greco. 
Entrambi sbarcheranno il 25 luglio di quello stesso anno, dopo 4 mesi e 9 giorni 
effettivi di mare. 

II 4 settembre del 1944 si riimbarcano assieme sul "Rajfaeluccio", ma mentre si 
perdono le tracce del Carotenuto Aniello, il Melluso risulta sbarcare il 2 gennaio 
del 1946, dopo 15 mesi e 29 giorni di mare, al comando di quel motopesca. Si 
imbarca ancora il 24 aprile di quell'anno, con qualifica di capo barca al comando, e 
con lui i marò Agrippino Leonardo, classe 1918 e Simonetti Giuseppe, classe 1910, 
oltre al mozzo Trento Luciano, classe 1914, sbarcando il 13 giugno 1947. 

E' solo due anni dopo che si rilevano ulteriori notizie, ed esattamente il 6 agosto 
del 1949, data in cui il Melluso risulta iscritto, sempre come padrone al comando, 
con una nuova matricola al compartimento marittimo di Vibo Marina e con un 
nuovo motopesca, il "S. Maria di Monte Vergine", ruolo 2992, con tutta probabilità 
acquistato l'anno prima dal suo ex padrone Bagno Silvano e comandato prima del 
suo imbarco da quel Carotenuto Aniello, compagno del primo imbarco del 
Melluso. Il padrone/pescatore sbarcherà l'il dicembre del 1949 da quel 



432 Capitaneria di Porto, Registro del Movimento della Marineria, Matricola n. 10303, imbarcato il 
2.12.44 sul Motoveliero "Idea", sbarcato dopo 4 mesi e 19 gg. di mare. 

tlJ Capitaneria di Porto, Registro del Movimento della Marineria, Matricola n. 10874, imbarcato stesso 
gg. sul motoveliero "Idea". 

434 Capitaneria di Porto, Registro del Movimento della Marineria, Matricola n. 1 1007, imbarcato il 23 
marzo 1946. 

415 Capitaneria di Porto, Registro del Movimento della Marineria, Matricola n. 9933. 



217 



peschereccio, e da. allora non compare più tra i pescatori registrati all'imbarco, 
mentre il "S. Maria di Monte Vergine"^ 6 continuerà ad effettuare le sue battute di 
pesca fino all'ottobre del 1950, comandato dal capobarca Messina Marino, classe 
1901. 

Anche i membri della famiglia De Pinto risultano tra i primi pescatori del 
dopoguerra. Vincenzo De Pinto, classe 1896, iscritto al compartimento marittimo 
di Molfetta, compare imbarcato nell'aprile del 1948 al comando del mo topesca n. 
8429, "Madonna dei Martiri", anche se appena un mese dopo venne sustituito al 
comando dal figlio De Pinto Mauro, classe 1909. 

Tra gli altri non sono da dimenticare i pescatori appartenenti alla famiglia 
Canduci. Esperti soprattuto nelle pesca del tonno, erano il punto di riferimento per 
le tonnare di Bivona, Vibo Marina e Pizzo, dove per decenni si sono succeduti 
nell'importante mansione di "rais" . Dagli archivi della Capitaneria di Porto però, 
rintracciamo notizie solo di uno dei componenti la famiglia, Nunzio Gaetano, 
classe 1931, iscritto inizialmente al Compartimento Marittimo di Messina, ed 
imbarcatosi come mozzo il 31 agosto del 1950 sul motopesca denominato "Tonno" 
di Galeano Leandro. 

E' inoltre da aggiungere l'importante ruolo svolto dai motopescherecci negli anni 
in cui la Capitaneria risultava priva dei mezzi necessari ad effettuare il controllo 
delle attività di pesca lungo le coste comprese nella sua giurisdizione. Sin dai primi 
anni del 1930 infatti la vigilanza sulla regolarità dell'attività svolta dai pescatori 
veniva effettuata dagli uomini della Capitaneria, proprio imbarcandosi su alcuni 
dei motopescherecci presenti nel porto. 

In tale maniera, oltre a fronteggiare la mancanza di mezzi, quasi "mimetizzati" tra 
gli altri pescatori, riuscivano a controllare, senza essere immediatamente 
riconosciuti, che la pesca venisse effettuata rispettando le prescrizioni stabilite 
dalla legge e che si svolgesse oltre il miglio dalla costa la pesca a strascico. 

Per tale servizio i padroni dei motopescherecci venivano puntualmente 
pagati al rientro nel porto e dalla lettura delle ricevute emesse dalla Capitaneria, 
dal 1960 in poi, l'importo raggiunse negli anni settanta la somma di 3.050 lire ad 
ora, percui, un'uscita in mare per effettuare la vigilanza di 18 o 20 ore, fruttava un 
rimborso massimo di 61.000 lire. 

Sin dalla sua nascita come centro urbano però, lo sviluppo di Porto Santa 
Venere risultò fortemente condizionato dalla distanza esistente dal centro delle 
scelte politiche e della vita amministrativa: la città di Monteleone. 

Le scelte economiche dei politici che di volta in volta subentrarono nella 
gestione di un così vasto territorio comunale non furono mai in grado di slegarsi 



436 II peschereccio risulterà, successivamente al 1951, comandato da un nuovo padrone, un certo 
Incorvaia Salvatore. 



218 



dalla difesa degli interessi dei ricchi latifondisti delle terre esistenti lungo la costa. 
Tale atteggiamento non mutò nemmeno con l'acquisto di gran parte degli arenili da 
parte del comune di Monteleone, che seppur aveva sottratto alla gestione 
demaniale buona parte del territorio costiero, per anni disattese il bisogno di un 
serio piano amministrativo che puntasse allo sviluppo di quelle attività che pian 
piano nascevano attorno alla nuova struttura portuale ed al punto di snodo 
ferroviario. Questo ritardo era da imputare a varie cause, ma di fatto la 
"separazione" geografica delle due realtà urbane pesò per lungo tempo prima che si 
comprendesse appieno quanto la crescita di Porto Santa Venere non potesse che 
condizionare positivamente lo sviluppo della città collinare. 

L'esistenza di ampie estensioni di terra possedute da pochissimi proprietari, che 
impediva la nascita di quelle piccole proprietà necessarie alla creazione di un 
nuovo borgo, si unì alla scelta di ridistribuire gran parte degli arenili alle proprietà 
societarie dei nuovi insediamenti produttivi, sottraendo di fatto ulteriori fette di 
territorio alla organizzazione strutturale della nuova realtà urbana, ed alla 
progettazione di quei servizi pubblici (acqua, luce, fogne ecc.) essenziali al vivere 
civile, lasciando disattesi i bisogni di quanti avevano la necessità di risiedervi 
stabilmente per motivi di lavoro. 

La trasformazione dei diritti di colonia in piccole proprietà, da parte di quella gran 
parte di contadini che per generazioni erano stati al servizio di padroni latifondisti, 
misero improvvisamente sul mercato ampie aree del territorio costiero, 
consentendo, nell'immediato dopoguerra, la nascita di quella piccola proprietà che, 
unita alle prime timide iniziative di appropriazione abusiva degli spazi demaniali, 
diedero il via ad una sorta di parcellizzazione del territorio costiero che condusse in 
breve alla nascita, seppur disordinata e precaria, della piccola cittadina di Vibo 
Marina, tutta stretta intorno all'impianto portuale. 

Con la ricostruzione post-bellica, nacquero i primi malcontenti nella popolazione 
del borgo marino, che si riteneva del tutto trascurata nella ridistribuzione dei fondi 
stanziati dallo Stato Italiano per incentivare la ricostruzione: " Più di 1000 operai 
vivono in condizioni di disagio per la mancanza di alloggi ed ogni sera sono 
costretti a recarsi nei paesi viciniori per trovare ospitalità. Tutto ciò per le 
trascuraggini delle amministrazioni comunali passate e presente, le quali hanno 
sfruttato le posizione di Vibo Marina, ultima quella dei danni di guerra, dato che 
solo Vibo Marina ha avuto 100 % delle case danneggiate o distrutte, per 
avvantaggiare esclusivamente l'abitato del capoluogo che non ha subito reali 
danni di guerra, usufruendo bensì di tutte le provvidenze concesse dallo Stato ai 
paesi gravemente danneggiati." 



Comitato di Agitazione prò Autonomia Comunale "Porto Santa Venere", Tip. La Modernissima, 
Vibo Valentia Marina, 15 luglio 1948 



219 



E' il 18 giugno del 1948 che si costituisce, dinanzi al notaio dott. Pietro Trimarchi 
di Vibo Valentia , il primo Comitato di Agitazione Pro Autonomia Comunale 
"Porto Santa Venere", i cui membri si dicevano fortemente convinti che lo 
sviluppo della cittadina e del suo porto sarebbero stati negativamente condizionati 
dalla cecità dei politici vibonesi, e per tali ragioni ne chiedevano l'autonomia 
amministrativa, realizzando un unico comprensorio urbano, il nuovo comune di 
Porto Santa Venere, comprendente i borghi di Vibo Marina, Longobardi, S. Pietro 
di Bivona, Bivona, Portosalvo e case viciniori. 

Il comitato organizzò al meglio la diffusa protesta, riuscendo in breve a 
coinvolgere l'intera popolazione costiera ed a formulare una proposta di legge per 
l'istituzione del nuovo comune, successivamente presentata in Parlamento 
dall'Onorevole Larussa 43 '. 

La proposta era accompagnata da un librettino stampato dalla Tipografia Froggio 
in cui venivano elencate tutte le ragioni che spingevano l'intera comunità a 
rivendicare la nascita di un nuovo organismo amministrativo, e che nella sua prima 
pagina esordisce così: "Ai piedi delle sue verdi e lussureggianti colline vi è fervore 
di vita operosa, che va dagli stabilimenti ai cantieri portuali, basti ricordare la 
"Calcementi" di Parodi-Delfino col suo bel gruppo di case popolari, lo 
Stabilimento per la lavorazione dell'olio al solfuro di Gas lini, il grande 
Stabilimento per la lavorazione del legno, di Domenico Cianflone, il grande 
pastificio Gargiulo, una fabbrica di conserve alimentari ed altri minori. Essa è in 
cammino per raggiungere nuove e più grandi mete, ma occorre che la sua gente si 
svincoli dell'attuale protezione materna, occorre che essa si costituisca una 
propria amministrazione autonuma più rispondente alle esigenze locali, occorre 
che si renda libera ed arbitra dell'immancabile suo fiorente avvenire". 
Essenzialmente si rimproverava all'amministrazione comunale l'assoluta assenza 
di progettualità nella gestione del comprensorio costiero, nonostante che "nella 
zona vicino al porto sono sorte, come abbiamo già detto, numerose industrie ed 
altre ne sorgeranno non appena saranno stabilite le condizioni economiche 
normali." 

" Pur essendo una frazione moderna con case nuove, ricostruite dai privati, non ha 
ancora le fognature e ciò perché il Comune non intende affrontare tale spesa 
preferendo utilizzare la somma corrispondente per le necessità del centro 



438 Notaio Pietro Trimarchi, Vibo Valentia, 18 giugno 1948, rep. n. 11141, registrato all'Ufficio del 
Registro di Vibo Valentia il 27 luglio 1948 al n. 73, raod. I , voi. 79. 

"' FOn. Avv. Domenico Larussa, Deputato democristiano per la Calabria, presentò al parlamento la 
proposta di legge per l'istituzione del comune di Porto Santa Venere il 28 marzo 1950. 

440 Comitato di Agitazione prò Autonomia Comunale "Porto Santa Venere", Tip. La Modernissima, 
Vibo Valentia Marina, 15 luglio 1948 



220 



cittadino. Per la stessa ragione a Vibo Marina le strade sono in completo 
abbandono e intransitabili di inverno; così pure quelle di Bivona e delle altre 
frazioni già menzionate" . 

Il vivere civile, con tutte le incombenze burocratiche da assolvere, era segnato 
dalla lontananza degli uffici comunali ed "ì cittadini delle frazioni per tutte le loro 
necessità in fatto di documenti dello stato civile, dell'anagrafe, dell'alimentazione 
ecc. sono costretti a recarsi al Municipio di Vibo Valentia Città sostenendo la 
spesa di £. 400 solo per l'acquisto dei biglietti ferroviari e perdendo due giornate 
di lavoro, una per la prenotazione dei documenti l'altra per il ritiro, sempre che 
riesca ad ottenerli per la giornata prestabilita" . 

Con una punta di ironia, i membri del comitato, sottolineavano come perfino la 
spesa per recarsi nella città a ritirare gli alimenti distribuiti ai più bisognosi era più 
costoso dei viveri stessi, elargiti dall'amministrazione del capoluogo alle frazioni 
"soltanto dopo la formazione del comitato di agitazione pro-autonomia 

, ,,441 

comunale 

A parte i disagi che ogni cittadino subiva per l'assoluta assenza di quello che oggi 
chiamiamo "decentramento amministrativo", le condizioni in cui il paese si 
ritrovava erano davvero drammatiche: 

"Oggi 60 allunni della I elementare sono ammassati in due piccole stanze sporche, 
senza vetri e con gli infissi sconnessi. Altri due vani presi infitto dal Comune sono 
stati sfrattati dal proprietario per morosità e negligenza assoluta 
dell'amministrazione nei pagamenti dei tenui canoni di fitto, ... pur avendo il 
Provveditorato alle CC PP. dato il suo nullaosta per la costruzione di due nuovi 
padiglioni, e ciò perché da parte del Municipio non si è ancora provveduto a 
deliberare la spesa della piccola quota a suo carico." 

Nel borgo di Bivona gli abitanti erano costretti a vivere "in squassate baracche, 
costruite con il carattere di provvisorità dopo il terremoto del 1908 e rimaste tali 
sino ad oggi. L'impianto elettrico giunge sino a metà del paese con qualche 
lampada, il resto è al buio completo di notte, dato che non è stata prolungata la 
rete per deficienza di mezzi e disinteressa del Comune. Non esiste impianto idrico 
e l'acqua viene attinta fuori dal paese. I servizi igienici e sanitari non esistono". 
Nel borgo di Portosalvo, mancava non solo l'acqua ma addirittura le fontane, 
percui la gente era costretta a bere "l'acqua di un benefico ruscello, e forse è 
questa la causa della diffusa malattia d'anchilostomiasi, che serpeggia nella 
popolazione, ed i bimbi, per mancanza di alloggi, al par dei confratelli delle altre 
frazioni si vedono quasi ammassati in antigieniche stamberghe" . 



441 "elargendo generosamente una trentina di pacchi viveri contenenti solo 2 kg. di pasta e 2 kg. di 
legumi, con V2 litro di olio, costringendo i poco fortunati a sostenere un disagiatissimo viaggio e 
costoso per portarsi al capoluogo per il ritiro" 



221 



Nel borgo di S. Pietro di Bivona le condizioni non erano diverse, mancando del 
tutto le strade, sostituite da "qualche tracciato torrentizio che consente di 
accedervi sono nei periodi di magre; non ha luce, né fognature, né acqua potabile 
sufficiente. Gli abitanti vivono qui in luride baracche" . Lo stesso abbandono si 
ritrovava nel borgo di Longobardi, dove "nessun miglioramento vi hanno 
apportato le civiche amministrazioni di Vibo e nulla hanno concesso i feudatari 
della città che pur attingono dalla laboriosa borgata prodotti e ricchezze" . 
La viabilità, in tutti i borghi costieri, era data solo da piccole stradine naturali, che 
"ove esistono, non consentono il deflusso delle acque piovane, e d'inverno si 
trasformano in paludi". 

Il gruppo di cittadini riteneva direttamente responsabile il consiglio comunale della 
città capoluogo delle condizione in cui si era costretti a vivere in quegli anni, 
accusandolo addirittura di osteggiare in ogni modo il naturale sviluppo dei borghi 
costieri, con l'improvvisa ed affrettata vendita di "terreni, sorgenti di ricchezza, 
forse per la previsione che tali beni verrebbero assegnati al nuovo comune di Vibo 
Marina trovandosi essi nel perimetro circoscrizionale" . 

Che lungo la costa si respirasse una nuova aria di crescita e di sviluppo lo 
dimostravano i dati della crescente industrializzazione. 

Le aziende sorte in quegli anni avrebbero consentito al nuovo comune un brillante 
futuro, a cominciare dallo "Stabilimento "Calcementi di Segni" (Bombrini- Parodi- 
Delfino) il più moderno per tecnica non solo d'Italia ma di tutta l'Europa, che 
assorbe circa 500 operai, oltre 300 operari occupati per suo conto nelle vicine 
miniere di lignite, con una produzione di circa 2000 q.li al giorno di cemento e di 
affini esportabili, produzione che va aumentando essendo in corso l'impianto di un 
secondo grande forno, per la fabbricazione di cementi ad alta coesione e derivati; 
(dallo) Stabilimento "S. A. Gaslini" per l'estrazione dell' elolio al solfuro che 
occupa circa 70 operai al giorno; (dallo) Stabilimento della "S.C. LA." per 
conserve alimentari con circa 60 operai; (dal) Pastificio "Fratelli Gargiulo" con 
circa 30 operai; (dalla) Fabbrica di ghiaccio e pastificio "Callipo" con 12 operai; 
(dallo) Stabilimento per la lavorazione del legno "Domenico Cianflone " con circa 
60 operai;(da\\a) Industria del Tonno (gestione delle tonnare di Pizzo, Bivona e 
Angitola) con assorbimento stagionale di circa 200 operai; (dalla) Società 
Costruzioni Marittime (SO. CO. MAR.) di Ciardi per i lavori di costruzione dei due 
moli di Levante e di Sottoflutto con un impiego di 200 operai al giorno, 
modernamente attrezzata e dotata di unità navali per i lavori suddetti per 
complessive 2 mila tonn. di stazza; (dalla) Compagnia Portuale scaricanti "S. 
Giorgio " con 80 operai; (dalla) Succursale Ditta Filippo Reale e Figli di Siracusa, 
esportatrice di prodotti artofrutticoli all'interno e all'estero; (dai) Servizi del 
locale scalo ferroviario dello Stato, della sottostazione elettrica e della Ferrovia 
Calabro Lucana, che vengono disimpegnati da oltre 150 dipendenti; (dallo) 
Stabilimento d'Arti Grafiche, diretto con perizia da Giuseppe Froggio e Figlio. 



222 



Attrezzato di caratteri di ultima creazione e di modernissimo macchinario per la 
stampa di lavori commerciali e di lusso e per la fabbricazione delle scatole di 
cartone; 

Notevole è la produzione e l'esportazione, nella frazione di Longobardi, delle 
rinomate e pregiate uve da tavola riconosciute coi titoli di "Olivelle " e "Zibibbo "; 
I servizi bancari vengono disimpegnati dalla Cassa di risparmio di Calabria; 
Inoltre nel porto hanno sede i magazzini generali Ditta F.lli Cantafio, S. S. 
Feltrinelli, Gioffrè, Ventura, Condello, Surace Giovanni, Burzomachi Diego, 
Catalano Pasquale e doganali, depositi di legname e carbone, cipolle e frutta 
destinati all'imbarco. " 

Tra i più attivi sostenitori del Comitato Pro Autonomia figurava Don Vincenzo 
Cantafio, industriale napitino che sin dai primi anni del novecento trasferì nel 
porto la sua agenzia marittima ed i suoi magazzini generali, il quale, rispondendo a 
quanti sostenevano che il nuovo borgo era nato con investimenti comunali, 
affermava sulle pagine di un quotidiano nazionale: "Quali spese ha mai fatto il 
comune di Vibo per il miglioramento di Santa Venere? Nessuna spesa, eccetto che 
per poca luce e due spazzini" 

Egli puntualizzava che "tutto quello che esiste colà come opere pubbliche, è tutta 
opera del Genio Civile a cominciare dalla strada Michele Bianchi, che nel 1938 il 
Provveditore alle 00. PP. Lepore fece costruire con gli avanzi del molo foraneo, e 
tutte quelle oggi esistenti ed in corso di sistemazione sono anche esse opera del 
Genio Civile e non del comune di Vibo, perché non si è mai visto colà alcuno degli 
amministratori vibonesi, che abbia speso una lira per le opere pubbliche di Porto 
Santa Venere. Anzi in questi ultimi tempi - stridente contrasto!- il comune di Vibo 
ha tassato gravemente, con l'imposta di famiglia e con l'aumento dell'acqua da 20 
a 54 lire il me. qli abitanti di Porto Santa Venere, senza che questi nemmeno 
abbiano l'acqua del comune!" . 

Trascurando di riportare quei brani della lunga lettera inviata al direttore del 
Giornale d'Italia che potrebbero apparire parziali, perchè riferiti dal più convinto 
sostenitore del comitato autonomistico, l'articolo risulta interessante per il racconto 
di un episodio vissuto dal Cantafio assieme ad un gruppo di amici: "ci fu un 
tempo" scrive l'industriale "che per un anno e mezzo la cittadina fu lasciata senza 
luce, e solo una estate in cui venne il sottoprefetto Rossi - perché allora 
Monteleone era Sottoprefettura - il Comune fece accendere tutti i lumi a petrolio, 
compreso uno pensile, vicino alla finestra del sottoprefetto dove vi è un'albero di 
acacia. La notte l'industriale di Pizzo, il marchese Enrico Gagliardi, il dott. Paolo 



442 II Giornale d'Italia, domenica 27 gennaio 1952, Cronaca della Calabria, "Autonomia comunale e 
storia di Porto S. Venere. La risposta di un industriale plzzitano alle pretese dei vibonesT, lettera al 
direttore di Vincenzo Cantafio. 



223 



De Francesco, il defunto sig. Scipio Mariano e il sig. Giovanni Licastro, presero 
tutti questi lumi e li accesero nel terrazzo del Sottoprefetto: tanto servivano per 
Lui! " 

Il goliardico gesto di sfida effettuato da quel piccolo gruppo di amici rivela 
pienamente un profondo sentimento di ingiustizia vissuto all'epoca dagli abitanti di 
Vibo Marina per le disagiate condizioni di vita a cui il comune capoluogo li 
costringeva, tant'è che, convinto che tali condizioni non sarebbero mai mutate se la 
cittadina fosse rimasta sotto la giurisdizione amministrativa di Vibo Valentia, il 
Cantafio concludeva : "Ad ogni modo Vibo si metta l'anima in pace, perché se non 
è oggi, sarà un prossimo domani che Porto Santa Venere per il continuo progresso 
in ogni campo, dovrà finire per avere l'agognata autonomia, che a buon diritto le 
compete." 



224 



Appendice 1 

MEMORIALE PER LO JUS 
DELLA DOGANA DI BIVONA 443 



"Prima di passare à dar Sentimento della pretenzione, affacciata da Francesco 
d'Inzillo 444 , per lo scomputo domandato sopra l'estaglio della Dogana di 
Monteleone e Bivona, à motivo di esserli stata impedito, si con ordini soperiori, 
l'esazione di carlini tre a botte d'Oglio, conviene premettere alcune circostanze di 
fatto, come quelle, che doveranno regolare la sussistenza, o insussistenza 
dell'accennata pretenzione. 

Non ave dubbio, che l'Ecc(ellentissi)ma Casa di Monteleone, per concessione 
fatta, a titolo di vendita, ad Ettore Pignatelli, primo Duca, sin dalli 8 Giugno 1501, 
fece acquisto della nominata Terra, " chbì Castro, seu Turri, et Dohana, et Portu 
Bivone, cum ipsorum, et cu jus libet ipsarum ... passagijs, Juribus, seu Gabellis, et 
Dohanij, Plateis, Juribus Plateorum ... et omnibus aliis Juntus, et Jurisdictionibus, 
et pertinentijs, ad illus spectantibus, et pertinentibus, tam de Jure, quam de 
Consuitudine ... ad dictam Terram Monmtisleonis, sub titulo Gubernationis, et 
Castrum, Turrim Bivona, et Dohana, et Portum ipsius spectantibus, et 
pertinentibus, tam de Jure, quam da Consuetudine, seu alias quovis modo, in 
jusiumque vocabuli appellatione distinctis, etiamsi oporteriet fieri specialem, et 
expressam mentionem, et cui omnibus aliis; etiamsi talia forent, que exprimenda 
spetiser essent; et dal quois specialitate non venirent." 

Una tal concess(ion)e poi, essendo stata confermata allo stesso Ettore primo dal Re 
Ferdinando il Cattolico, colla espressione di concederseli la nominata Terra, cum 
Turri, Portu, et Dohana Bivone ; et con tutti gl'altri Dritti contenuti nel mentovato 
Privilegio, vi si aggiunse ex certa scientia, et gratia speciale, una nuova 
concess(ion)e degli accennati corpi e dritti, non ostante, che nel possesso di questi 
non si fusse forse trovato allora il Concessionario. 



ASN, Archivio Pignatelli-Cortez , scanz. 78, Ist. I, n.lSI 
Affittatore della Dogana di Bivona nel 1754 



225 



Seguì poi la reintegra, fatta nel 1543 dal Consigliere Sebastiano della Valle, nella 
quale si rapporta, che l'Ecc(ellentissi)ma Casa haveva, fra gl'altri dritti, quello 
della Dohana di Bivona, colla spiega di esiggersi quella a ragg(ion)e di gra(n)i 18 
ad oncia da Forastieri, che compravano, e vendevano nelle pertinenze di d(ett)a 
Terra , e ciò non meno dal Compratore, che dal Venditore, quando ambedue siano 
esteri. 

Si soggiunse ancora nella stessa reintegra, il Jus dell'Ancoraggio del Porto di 
Bivona , che si esiggeva dalli Navigli che ivi capitavano; e vi si vede prescritto 
anche il diritto dell' esazzione, ed a qual ragg(ion)e si praticava. 
Non ostante l'appoggio di tali documenti, ed anche de' Rilevij degl'anni 1654 e 
1677 ne' quali si porta denunciato il Jus del Castello di Bivona, Dogane, e Dritti 
Spettanti alla Ducal Corte ; poco sicura fu la Casa del Sig(no)r Duca dalle molestie 
che dal Fisco poco appresso gli vennero inferite; giacché nell'anno 1681, havendo 
la R(egia) Cam(er)a spedito mandato a possesso de' dritti dell'Ancoraggio, e 
Falancaggio del Pizzo, Rocchetta e Bivona, perchè fussero comparsi ad esibire il 
titolo di essi dritti; come quelli che essendo da Regalibus possedere non si 
potevano senza Regal Privilegio, e Concessione; 

per parte del Sig(no)r Duca di Monteleone, non solam(en)te si esibì il 
sopramentovato Privilegio dell'anno 1501; ma altresì allegossi l'immemorabile 
possesso del Jus dell'Ancoraggio e Falancaggio nella Marina di Bivona, e 
Rocchetta; dritti precisa l'amplissime parole di esso Regal Privilegio, pretendeva 
esso Sig.r Duca di Doversi comprendere sotto la concess(io)ne del Porto; e per 
conseguenza domandò non esser molestato per le pretenzioni fiscali. 
Ed essend'essi su tale emergenza nell'anno 1682 commesso al Razionale 
Caropreso, perchè delle raggioni fiscali fatto havesse relaz(io)ne, fu questa poi nel 
1684 disimpegnata dal Razionale Domenico Farina; in vista della quale, 
quantunque il fisco preteso havesse il prezzo degl'accennati Corpi, col decorso 
della Tassa sin dal 1501, a li Rilevij duplicati, o semplici cogl'interessi, tuttavia 
nell'anno 1692, furono queste, ed altre pretenzioni fiscali su anfatte per la somma 
di docati Diecimila, pagati al Regio Fisco da D(onn)a Giovanna Pignatelli; e 
venner per conseguenza liberata la Casa del sig(no)r Duca dalle ulteriori molestie, 
sopra i corpi dell'Ancoraggio, e Falancaggio di Bivona; Così che da quel tempo, ed 
in appresso vi è motivo di credere, che nel possesso di tali dritti mantenute si fusse. 
Finalmente nell'anno 1752, in data de 30 ottobre, essendo stato, d'ordine del 
Sig(no)r Marchese Gregorio, publicato Banno per lo regolamento delle Dogane del 
Regno, nel capo 31 dello stesso Banno fu fatta questa disposizione 
"Per ultimo, essendo a nostra notizia, che diversi Baroni pretendono esigere il Jus 
Fundaci, che loro non spetta, mentre alcuni, che godono una tal prerogativa di 
esigger dritti sopra le Dogane, solo si estenda al Jus Dohana, che è il dritto della 
contrattazione, e pure questo dritto lo devono esiggere per quelle merde, che 
s'immettono necessarie al consumo di quel Feudo, ove hanno tal concess(ion)e, e 



226 



per V estrazzione solamente la devono godere per quej generi, che nascono in detto 
Feido, ed abusandosi d'esiggerlo tanto per la robba che s'immettono per altri 
Feudi, quanto quelle che provengono da altri Territori; e perciò ordiniamo e 
comandamo, che per quelli pretendono esiggere il Jus Fundaci, debbano 
leggittimare avanti di Noi il loro Titolo, e per il Jus Dohane permettiamo esiggerla 
a quej, che hanno tale concess(ion)e per quej generi, che nascono nel territorio del 
med(esim)o Feudo, e dal med(esim)o si estraggono, o per quelli che vi 
s'immettono per il mantenimento de' cittadini del pred.o Feudo." 
Dalla pubblicaziione del riferito Barino, seguita in Monteleone ne avvenne, che 
l'affittatore della Dogana di d(ett)a Città, e di quella di Bivona, vedendo ristretti 
gl'emolumenti di tali Corpi sopra le sole merci che nascono in essi Feudi, ad indi si 
estraggono, o che ne' med(esim)i s'immettono per consumarsi in essi, stimò perciò 
egli di rinunciare l'affitto, e di chieder l'escomputo; quale effettivam(ent)e gli 
venne accordato. 

In sequela di questo avvenimento si fece ricorso per parte del Sig(no)r Duca nella 
Regal Soprintendenza, ed avanti il Sig. March(es)e di Gregorio; ed essendosi 
esposto, che senza raggionevole appoggio, e contro la forma de suoi Privilegij i 
Ministri Subalterni, residenti in partibus, pretendevano, in vigore dell'accennato 
Banno, di proibire l'esazione de' Dritti di dogana, e Piazza, nelle pertinenze di 
Bivona, e Monteleone, sopra quelle merci, che, dopo esser state ivi contrattate, vi si 
trasportavano altrove, o pure sopra dell'altre, che contrattate nell'istesse 
pertinenze, si andavano a prender fuori per farne carico nella Marina di Bivona, 
perciò ottenne ordini dall'istesso Sig. March(es)e di Gregorio, sotto il dì 25 
Maggio 1753, rinnovati poi à 25 Settembre dell'istesso anno, colli quali venne 
imposto all'Amministratore delle Dogane di Calabria Ultra, di dover permettere al 
Sig.r duca "dì esiggersi il Jus Dohana, cioè il dritto della contrattazione in 
Monteleone e Bivona, nommeno per quelle robbe, che in essi luoghi nascono e 
dalli stessi si estraggono, che per quelle, che vi si trasportano per colà 
consumarsi. Per tutte le altre poi, che nascono fuori dal Territorio, e pre transitum 
si trasportano in d(itt)i luoghi, si spiegò che non doveva pagarsi cosa alcuna, ma 
tutti li Deritti si pagassero all' Arrendamento de' Ferri. Se però si contrattassero in 
<f(ett)a Città di Monteleone e Bivona, e poi s' estraessero, che allora dovessero 
pagare al Sig.r Duca la gr(an)a 18 della Contrattazione. E per quelle robbe, che 
vengono da fuori Territorio per Mare o per Terra, e che non servono per uso e 
consumo della Sud(dett)a Città e Terra, non si dovesse pagare la Sig.r duca cosa 
alcuna, ma bensì all' arrendamento de' Ferri tutti i dritti, ed anche quello della 
Contrattazione, purché però tali robbe non si estrassero dopo esser state 
contrattate in <f(ett); luoghi; nel qual caso si vuole che debbasi pagare ad esso 
Sig.r Duca la contrattazione ed all' Arendatore de' Ferri tutti j dritti." 
Premessa la notizia de' rapportati fatti, resta ora a divisare, quali siano i Corpi e 
Dritti, che in vigor delle accennate Regali Concessioni, e scritture o pur di legali 



227 



disposizioni, hanno spettato, e spettano alla Casa del Sig.r Duca; e quali quegPaltri 
che, in virtù del riferito Banno, ed ordini della Regal Soprintendenza, si possono 
effettivam(ent)e riputar perduti per essa Ecc(ellentissi)ma Casa, o pure in parte 
diminuiti: Affinchè dopo fatto un tal divisamente, più acconciamente possa andarsi 
a rilevar il merito e il peso del domandato escomputo. 

Dal tenore delle rapportate concessioni si scorge, che fusse stato venduto ad Ettore 
Primo la Terra di Monteleone, col Castello, colla Dogana e col Porto di Bivona, 
colle Piazze e Dritti delle Piazze. 

Or basterebbe la sola concess(ion)e della Dogana per potersi dire acquistati tutti i 
Dritti Subalterni, che come parti e membri di quella, sotto il nome di Dogana 
vengono compresi; e sono per appunto, il Dritto del Plateatico, quello del Fundico, 
dell'Ancoraggio, della nuova Gabella, e del Trafico, del Peso, della Misura, 
dell'Esiterà e del Passaggio, ed ultima esiterà del Regno: Per modo che colui che 
comprato habbia la Dogana, si può dire che tetti quest'altri dritti ancora abbia 
acquistato, come sta disposto da rito della R(egia) Cam(er)a (l) 445 , e s'insegna da 
Goffredo di Gaeta (2) 446 Pisano (3) 447 e Moles (4) 44S . 

E' certo adunque, che sotto il nome di Dogana, fra gl'altri Dritti, venga quello della 
Piazza (5) 44 '; quale non è già nuovo, ma fu conosciuto anche dalle Leggi communi 
(6) 450 sotto il nome di Jus Rerus Venalius (7) 451 , e dalle Costituzioni del Regno, 
sotto il nome di Jus Plateatico (8) 452 ; a causa che nelle pubbliche piazze, dove si 
esiggeva, or questo Dazio, che per commun Dritto, importava l'ottava parte delle 
merci (l) 45 ', per quello del Regno esigger si deve alla ragg(ion)e di gra(na) 18 per 
ciascun'oncia dal di loro valore (2) 454 ; e si riscote per raggion della contrattazione 



445 Note originali del testo che riportiamo di seguito integralmente: 
Rubr. 5 de Jure Dohan. et in # recipienze. 

446 Gaet. Super ett. Rit. n. 3., 150 et 151. 

447 Pisan. Ibid. n. 2. 

441 Moles #. 6. de Jur. Doha. Membr. 1. n. 14. 

449 Rit. R. C. de Decimij Solvend. 

450 L. debet. 27. #. quid ergo. ff. de Edilit. e dict. 

451 L. inter publica ff. De V. S. 
4,2 Const. Magistri Camerar. 

4 " L. ex prestat. C. de Victigab. 

454 Rit. R. C. de Jur. Doha. Pragm. i. de Valtigal. 



228 



di essa, non già per la di loro estrazzione (3) 455 . Basterebbe per l'aver questo dritto, 
che taluno habbia la sola concess(ion)e della Piazza, ancorché gli mancasse quella 
della Dogana, siccome rapporta deciso Gio:Laganario (4) 456 nella Causa tra il 
Conte di Policastro coll'Unità delli Bonati. Ma il Sig(no)r Duca, che tiene la 
Concess(ion)e non solo della Piazza, ma anche della Dogana, non potrà 
controvertirsi, che oltre al Plateatico, tutti gl'altri dritti se gli appartengano, che col 
nome di Dogana si comprendono. 

Con specialità però se gli appartengono quej Dritti, che appellansi Ancoraggio e 
Falancaggio , non tanto, come Parti della Dogana, sotto il di cuj nome vengon 
compresi, quanto perchè ne' regali Privilegij particolarm(ent)e venne conceduto, 
oltre alla Dogana, anche il Porto di Bivona, cu Juribus as ipsum spectantibus . 
Or la Concess(ion)e del Porto importa appunto la Gabella dell'Ancoraggio e 
delPEsitura, come vien insegnato da Orazio Montano (5) 457 : e precisa questa legai 
disposizione, si vede dalla Reintegra del Consigliere Sebastiano della Valle, che 
anche nel 1547 con particolarità il Dritto dell'Ancoraggio si possedeva dalla Casa 
del Sig.r Duca; così che si rafforza anche in maniera, con cui allora si esiggeva. 
Consiste il Dritto dell'Ancoraggio nell'esazzione che si fa delle Navi che arrivano 
nel Porto (1) 45S , conosciuto anche dalle Leggi communi col titolo di Naulum (2) 459 , 
e si corrisponde per ragg(ion)e dell'Ospizio, o sia ricetto, che si dà nel Porto a 
Navigli, e ciò ad intuito della Spesa, che vi bisogna per quello rifare e conservare, 
tanto che a questo riguardo impropriamente si po' chiamare Gabella, come 
avvertono Montano e Giulio Sapone presso Ageta (3) 460 . 

L'esazzione, che deve farsene vien prescritta nel rito della R(egia) C(amera) (4) 461 , 
e ch'è di un oncia e quindici tari per ogni Nave, della portata di due gabbie; e per 
quelle di una gabbia si paga un'oncia; e per l'altre senza gabbia, quindici tari. 
All'incontro per le Navi e legni piccoli, e che non habbiano Corritori, si paga il 
Dritto, non dell'Ancoraggio, ma del Falancaggio, come rilevati dallo stesso Rito, e 
da quel che rapporta il Reg(ent)e de Moles(5) 462 . Il Dritto poi delPesitura compreso 



455 Cit. rit.de jurDoha. 

454 Laganar. ad Rovit. Super pragm. de off. Bajuli n. 6. 

457 Du Rigai, ricos. sun et ripara n. 7 

451 Rit. R. C. de Jus Ancoraggi. 

45 ' L.Hujus ff. qui port. in pign. hab. 

460 Aget. adMaj ad not. ad#b. merabr. e n: 47 et 71. 

461 Rit. de Jure Ancoraggi. 

462 Moles. de Jure Dohane Menbro 3. et n. 7 et 8. 



229 



sotto quello del Porto, come parte di esso, per quanto si è sopra accennato 
coll'autorità di Montano (6) 463 e di Ageta (7) 464 , è uno di que' nuovi Dazij 
introdotti dall'Imperator Federico, così denominato perchè si deve sopra quelle 
robbe che si estraggono per Mare (l) 465 per compra di mercimonio, e che sono 
esenti dal Dritto di Dogana, benché per quella si paghino altri dritti (2) 466 ; e 
siccome sta quello fondato sopra l'estrazione della robba, così si paga tante volte 
quante questa si estragga; come decretò la R(egia) C(amera) negli Arresti 
generali(3) 467 . 

Questa estrazione però s'intende, quando sortisca fuori Regno, perchè per quella 
che si fa dentro al Regno e per Mare, si pagano due altri dritti, uno vien detto della 
nuova Gabella, introdotta dal Re Carlo Terzo di Durazzo nel 1385 (4) 468 e poi 
ampliata da Alfonso I per tutto il Regno nel 1457, giusta i Capitoli del med(esim)o 
Re, rapportati da Ageta, colla Tariffa della di cuj esazione (5) 469 ; e l'altro è il Jus 
Salmarus (come avvertisce il nominato Ageta (6) 470 , altrimenti detto Jus Traficus, o 
sia del Jus Rafico, che si paga a raggione di gr(an)a 17 a salma, giusta il Rito della 
Camera (7) 471 e l'autorità del Regg(ent)e Moles (8) 472 . 

All'incontro il Dritto dell'esiterà si esigge variam(ent)e secondo i varij costumi 
delle Dogane; bensì in quella di Napoli si prattica la ragg(ion)e del dieci per cento, 
e vi sono soggette le merci, che come dicemmo, non pagano il Jus della Dogana, 
come sono salami, sevo, oglio, formaggio, ed altri generi enunciati dal Moles 
(9) 4 ". 

Vero è, che il nominato dritto dell'esiterà non si comprende sotto le clausule 
generali, che si appongono nelle concessioni de' Feudi, come quelle che non 
abbracciano giammaj le Regalie, se non quando vengono espressate, come fondasi 



463 Montan. de Regal verb. portis n. 7 

" 4 Aget. ed Motis # 6 de Jur Dohan. 4.6 m. pub. 8 n. 1. 

465 Tassia de Jure Regni deb. 7 de off. Magitt. Fund. n. 8. 

46 Pisan. ad rit. R.C. rubric. 6 de Jure exiturj n. 3. 

467 Arrest. general, apud de Marin. arrest. 4. 

461 Pragm. J. de vertigal. 

"' Aget. ad Moles # 6. Membr. 4. n. 15. 

4,0 id. loc. membr. 8. n.34. 

4 ' Rity R. Cam. a de Juras Regie. 

4 " Moles de Fund. Doha. #. 6 membr. 5. 

4 " Id. de Jur. Doha.#.6. membr. 8. 



230 



dal Reg(ent)e Galesta (l) 474 e dal Consigliere de Rosa (2) 475 ; tuttavia un tal 
sentimento, da quest'istesso Autore dopo riferito pienam(ent)e le opinioni de 
contrarij, vien limitato in tre casi: il primo è quando le clausule generali fussero 
apposte nella dispositiva della concessione, 2° quando si concedono tutti, e 
qualsivogliono dritti, che habbia il concedente. 

3° quando nel Privilegio si concedono espressamente alcune Regalie, e poi seguono 
le clausole generali; ed in tali casi sostiene il mentovato Rosa, e con esso il 
med(esim)o Galesta (3 476 ) che le Regalie Minori della stesso specie dell'altre già 
espressate, restino comprese nella concess(ion)e, ma non già quelle totalmente 
diverse. 

Applicando dunque un tal divisamente alla Specie del caso presente, ben si vede 
che non osti al sig.r Duca l'insegnamento de' rapportati Autori, per lo godimento 
del Jus Exitur, giacché egli tiene a suo favore una concessione non già generica, e 
colle semplici clausule del mero e misto imperio, cum quibus quamque alijs 
Juribus et pertinentijs (ne' quali casi figurasi la quistione rapportata da mentovati 
autori), ma vanta a suo favore l'espressa concess(ion)e non tanto della Dogana (la 
quale, come dicemmo sopra, comprende i Dazij minori, e della stessa specie, 
qual'e questa di cui si tratta) quanto la particolare del Porto; il quale contiene, 
come anzi habbiamo fondato, i dritti nommen dell'Ancoraggio, che dell'esiterà. 
E quando questa special concess(ion)e non bastasse ad abbracciare un tal dritto, 
basteranno certamente le altre più forti espressioni, che li susseguono, e che non 
potranno rimanere inutili e prive di effetto; come sono quelle "cum actionibus, et 
pertinentijs ad diuta Terram, Castrum, Turrim Bivone, ac Dohanam, et Portum 
ipsius spectantibus, et pertinentibus, tam de Iure, quam de consuetudine, seu alias 
quovis modo, eujuscumque vocabuli appellatione distinctis, etiamsi oportre fieri 
speciale mentionem, et cum omnibus alijs, etiansi talia forent, que expimenda 
specialiter essent, et sub quavis generalitate non venirent". 

Da quanto si è fin'ora divisato, essendosi veduto quali siano i dritti spettanti al 
Sig.r Duca, in vigore delle rapportate concessioni e scritture, resta ora da vedere se 
qualcuno di essi, per virtù del Banno ed ordini della Soprintendenza fusse rimasto 
abolito, o pur diminutio. 

Dal tenore del soprariferito Banno, ed ordini, si è potuto rilevare che altro in essi 
prescritto non venne, se non che quel dritto della Dogana, che pagasi per raggione 
della contraduzione, esigger non si potesse se non per quelle Merci, le quali, o 
nascono ne' feudi, ed altrove si trasportano, o vengono da fuori per consumarsi in 
essi: si prescrisse similmente che per quei generi, che nascono fuora, che passano 



74 Galest. respons. fise. 18.. cap. 6. n. 104. 

75 Rosa. lect. feud. 4. n. 58. 
1 Galesta loco citato n. 67. 



231 



per transitum per essi Feudi, per trasportarsi in altri luoghi, nulla si pagasse, purché 

non russerò contrattati nelle pertinenze di Monteleone e Bivona; Nel qual caso si 

ordina che si pagasse il Dritto della Contrattazzione al Sig.r Duca, alla ragg(ione)e 

di gr(an)a 18 l'oncia. 

Or tutti questi stabilimenti in una parola, altro non vollero dire, che dove non vi sia 

contrattazione, non vi debba esser questo dritto di Dogana: lo che à buona lingua, 

non è già una novità, ma una mera disposizione delle Leggi del Regno: giacché 

non sulla estrazione delle merci, ma sulla di loro contrattazione sta situato questo 

dritto; così quelle che si estraggono, senza contrattarsi nel luogo, non soggiacciono 

a verun pagamento, secondo vien prescritto da Riti della R(egi)a Cam(er)a (l) 477 . 

Siccome all'opposto, se le med(esim)e più volte si contrattassero, più volte altresì 

son sottoposte a pagare questo tal peso (l) 478 , a cuj è tenuto ugualmente il 

compratore, che il venditore (2) 479 . 

Tanto è vero che questo Dazio non si deve né per merci, né per riguardo di esse, 

ma solo per il contratto: perchè se altrimenti fusse, ei si pagherebbe una sol volta, e 

dal solo compratore, presso di cui passano i pesi della robba venduta: siccome 

riflettesidaAgeta(3) 480 . 

Questi legali stabilimenti uniformi sono anche alla reintegra del 1549: giacché in 

questa sta reggistrato, che l'accennato Dazio si pagava ab exteris vendentibus, siva 

ementibus in pertinentijs Bivone; et quand comprator et venditor ambo sunt exteri, 

dictum Jus exigitur ab utioque . 

Sicché dunque, gli ordini della Regal Soprintendenza non hanno indotto novità 

veruna, riguardo al Dritto della contrattazione, o sia a quella parte di Dogana, che 

chiamasi Plateatico, ma piuttosto nello stabilirne il regolam(ent)o, si sono 

uniformati alla maniera prescritta dalle nostri Leggi, ed a quella con cuj è stata 

esercitata e posseduta ab antiqua dalla Casa del Sig.r Duca. 

Che se altrimenti esercitar si volea dall' affi ttatore, l'avvisato Dazio, sarebbe stato 

più tosto in abuso, la di cui moderazione non obbliga il Padrone al defalco ed 

all'ammenda del danno, che se ne viene a soffrire. 

Veduto che il Corpo di quella parte di Dogana, che dicesi il Plateatico , non rimase 

punto abolito dalla Regal Soprintendenza, resta a dimostrare che non fusse stato né 

pur diminuito. 

Infatti gl'ordini della med(esim)a prescrissero che l'esazione del mentovato dazio, 

pratticata si fusse alla ragg(ion)e di gr(an)a 18. ad oncia; lo che si uniforma allo 



' Rit. R. C. de Jure Doha. in princip. 
Moles de Jur. Doha. #. 6. membr. 1 n. 18 da 77. 
Rit. R. C: p.III dapp. in rubr. de constitud. princ. e 4 n. 
Aget. ad Moles. # 6. de Jur. doha. membr. l.n.4 



232 



stabilimento de' Riti della R(egia) Cam(er)a sopra rapportati, ed a quello che 
pratticavasi in tempo della Sud(ett)a reintegra dell'anno 1549. 
Sicché non v'è su di ciò luogo alle lagnanze dell' affittatore. Che se mai per questo 
si replicasse, che sia stato sempre solito di esiggersi da sopra li ogli, che 
s'imbarcavano nella Marina di Bivona carlini tre a botte, tanto per quelli che 
venivano dalli Stati di Monteleone, quanto da fuori di quelli, e ciò a titolo di diritto 
di Dogana Baronale, e non per altro titolo, siccome si asserisce dai quattro passati 
Aff(ittato)ri, colla loro fede de' 2 Novembre 1754: e che per conseguenza, 
essendosi fatto l'ultimo affitto della Dogana Baronale, una con li Jussi soliti , 
qualora questi non si esiggono secondo il solito, si deve dar luogo al defalco. 
Si può rispondere a questa opposizione, che, quando anche si voglia fare il 
quartiere all'Aff(ittator)re di menarceli buona, o vera l'accennata fede, provata e 
fatta a sua istanza, pure niun suffragio da quella per cuj si ricava; mentre per 
potersene egli giovare avrebbe dovuto il med(esim)o provare a giustificare che 
questa esazz(ion)e si fusse fatta per lo passato solamente ad intuito di quel dritto di 
Dogana, che pagati per la contrattazione, cioè per lo Plateatico: e non già per cusa 
di qualcuno di queg'altri dritti, che come habbiam di sopra fondato, al Sig.r Duca 
s'appartengono, in virtù delle rapportate concessioni; e che pure sotto il nome di 
Dogana, come parti e membri di essa, sono compresi e si convennero nell'ultimo 
affitto, sotto il titolo di Dogana ed altri Jussi ; né dal Banno vengono proibiti: 
Onde potendosi a quest'altri dritti riferire la passata esazzione, può star bene che 
siansi quelli esatti a titolo di Dogana, secondo l'assertiva de passati affittatori, e 
che dal Banno non essendo stati comprati, come diversi dal Jus della 
Contrattazione, si deve rifondere a colpa del Conduttore il non haverli esatti. 
Che poi si replicasse dall' Affittatore che gli altri sopracennati dritti non havesse 
potuto esiggerli, ad oggetto, che nelle Provisioni spedite dalla Regal 
Soprintendenza ad istanza del Sig.r Duca, si spiegò con parole generali, che per le 
robbe che vengono da fuori e passano per le pertinenze di Monteleone e Bivona, et 
senza ivi contrattarsi si estraggono, non si dovesse pagare cosa alcuna al Sig. Duca, 
ma bensì all'Arrendatore de Ferri tutti i dritti; si risponde che ugualmente dal 
tenore dell'esposto fatto nella Sopraintendenza per il Sig.r Duca, che 
dell'ordinativo della med(esim)a si scorge ad evidenza, che nulla fu ditto e 
mentovato circa i dritti dell'Ancoraggio, Falancaggio o di esitura, che sono Dazij, i 
quali si appartengono al Porto; ma si parlò solo di quello della contrattazione; e 
altro di questo non fu proibito dalla Sopraintendenza. 

Quella espress(ion)e poi, che si ravvisa ne sud(ett)i ordini della med(esim)a, che 
tutti gl'altri dritti si pagassero all'Arrendatore de Ferri, riferir si deve alle nuove 
imposizioni sinora imposte dalla R(egi)a C(amer)a, che similmente per raggion 
della contrattazione si esiggono come aumento di Dogana, oltre del primo imposto 
di gr(an)a 18 ad oncia. 
Imperocché nell'anno 1625 dal Viceré D(on) Ant(oni)o di Toledo Duca d'Alba vi 



233 



fu accresciuto il dritto, detto il nuovo imposto; quale prima si stabilì a ragg(ion)e 
del cinque per cento, ma poi colla Prammatica 7 1 .#. 1 de vestigalibus, fu ridotto al 
due per cento; e questa imposizione si ordinò dalla R(egi)a Cam(er)a nel 1627 di 
esiggersi anche nelle Dogane Baronali a beneficio della R.a C.te. 
Onde così questa come le due altre, doppo sopragiunte e rapportate da Ageta (l) 481 
esiggendosi in esse Dogane, non può avervi dubbio che de' dritti di quest'altri 
nuovi imposti parlato abbiano gli ordine della Sopraintendenza. 
Questo è quanto ne' termini di rigor da Giustizia considerar si puote a favore del 
Sig.r Duca; lo che per verità può riuscir disputabile e problematico. 
All'incontro, riflettendosi alle circostanze, che al conduttore non fu spiegato 
nell'affitto, quali fussero distintam(ent)e qui dritti soliti, che se gli affittavano colla 
Dogana e col Porto di Bivona, e quali quelli, che sotto tali nomi si comprendevano, 
sembra egli esser scusabile, se, proibito il dritto della contrattazione non havesse 
egli fatto valere quegli altri che alla Camera Ducale (per quanto si è provato) se li 
appartengono; e che per conseguenza essendo stato proibito il dritto del Dogana 
nelle merci, che s'estraggono, senza contrattazione, non pare meraviglia, che 
l'affittatore, il quale altro non ha veduto esserli stato affittato, che la Dogana, 
habbia creduto esserli mancato questo Corpo, in virtù de' Regij Ordini; Vieppiù 
che dopo di questi, per quanto ci vien rappresentato, l'Amministratore delle 
Dogane di Calabria, equivocando forse anch' egli, nella intelligenza dei sud(ett)i 
Ordini, proibì all'Affittatore l'esazione del solito dritto. 

Se mai dunque, attente tali riflessioni da noi considerate per l'affittatore, venisse a 
produrrsi nelle raggioni del Duca qualche dubbiezza, pure questa affatto cader non 
potrà in un'altro aspetto, in cuj habbiamo considerato la pretenzione dello stesso 
Affittatore: Ed è per l'appunto, che il med(esim)o con sua confess(io)ne asserì nel 
memoriale, diretto al Sig.r Duca al 23 Luglio 1754: "che egli dopo haver affittato 
la Dogana colli emolumenti che si solevano prima esiggere, fu dalla M(aestà) del 
Re emanato ordine di doversi la Dogana esiggere solamente sopra i beni, che 
nascono e si consumano in Feudo, a qual oggetto esso Affittatore desistè 
dall'Affitto, e domandò V escomputo, che li fu accordato. 

Ma essendosi poi (son parole del memoriale) spedite provisioni ad istanza del 
med(esim)o Sig.r Duca dal Regio Sopraintendente, che le <f(ett)e Dogane si 
estendessero anche sopra i beni esteri, che si contrattano in Feudo, intraprese di 
nuovo il <f(ett)o Affìtto" . 

Or premessa questa notabile circostanza di fatto, diciamo, e crediamo dirlo con 
ragg(ion)e, che se gli ordini della Sopraintendenza furono noti all'Affittatore e, se 
di questi ugualm(ent)e che del precedente Banno, se ne fece egli carico nel 
memoriale dato al Sig.r Duca; e se dopo di tutto ciò, pure ripigliò luj l'affitto; 
creder si deve, che ripigliato lo habbia con tutte quelle leggi, moderazioni e 



1 Aget. ad Moles #.6.membr. 1. n. 66. 70. 72. et 76. 



234 



limitazioni, che così nel Banno, come in essi ordini, furono espressati; e per 

conseguenza, o habbiano questi abolito o moderato qualcuno de' dritti, che prima 

s'esiggevano, come che con tale abolizione o diminuzione, la rinovazione 

dell'affitto si deve sentir fatta, non si deve più, per una tal causa al preteso 

escomputo. 

Cresce di peso l'additata considerazione nel riflettersi, che quando anche 

l'Affitt(ato)re rinnovato ne avesse l'affitto dopo gli ordini della Sopraintend(enz)a; 

e che per virtù di questi perduto avesse il solito dritto sopra le merci, che senz'esser 

contratte vengono ad estrarsi, pure il med(esim)o non sarebbe in danno; e 

tantomeno nel caso di ricevere l'escomputo: ed eccolo come. 

Prima del Banno e dello Stabilim(en)to della Sopraintendenza, questo dritto di 

Dogana (come vuol la fede de' passati affittatori) si esiggeva alla Ragione di 

carlini tre ogni botte d'oglio. 

All'incontro dalla Soprintendenza viene ord(ina)to che questa esazzione si 

praticasse alla raggione di gr(an)a 18 ad oncia, come per altro vien prescritto ne' 

riti della Reg(gi)a Cam(mer)a, e nella stessa reintegra dell'anno 1547. Ciò posto; 

non può difficultarsi che più vantaggioso sia lo esiggere g(ran)a 18 ad oncia di 

valore dell'ogli che carlini tre per ciascuna botte di essi, giacché ognuna di queste, 

come è troppo noto, sormonta il valore di tre e forse quattro oncie ancor. 

Or diciamo noi: dato che si fusse perduta quell'esaz(ion)e della Dogana, e che 

prima si praticava indifferentemente sopra tutte le merci, che si estraevano, anche 

non contrattate: pure questa perdita potrebbe dirsi bastevolmente compensata 

all' Affi tt(ato)re col dritto maggiore, e più vantaggioso, che li è venuto permesso 

dalla Sopraint(enden)za: tanto sopra le robbe ch'entrano per consumarsi ne' Feudi, 

e pur quelle che, nate in questi, si estraggono fuora, quanto per l'altre, che 

contrattate in pertinenza de' med(esi)mi, si vanno a trasportare altrove. 

Ed ecco per quai principj di stretta giustizia sembra che non possa darsi luogo al 

defalco dall' Affittatore preteso. 

Non lascia però la ragion dell'equità venir in soccorso del med(esi)mo, e di 

suggerirci le riflessioni: che dovett'egli forzatamente soggiacere ad un danno 

indipendente da ogni sua colpa; che questo non gli vien forse abbastanza 

compensato, con vantaggio, dianzi da noi considerato; e che finalm(en)te la 

rinovazione ch'egli fece dell'affitto dopo sopraggiunti i Reali Ordini, fusse stata da 

lui effettuata alla stessa rag(ion)e che nel principio fu convenuta, cioè senza 

minorazione dell'annuo estaglio. 

Onde per queste e per altre considerazioni di equità, crediamo di essere il 

medesimo degno di qualche onesto risarcio. 

Coll'avvertenza bensì di non concedersi questo in iscritto, perchè non possa poi 

trarsene un esempio al Sig.r Duca pregiudiziale intervenire per noj riguardi; ma 

bensì dopo essersi, col fatto, conceduto il defalco all'Affitt(ato)re, si potrà da lui 

per cautela, riscuotere una rinunzia a tal beneficio d' escomputo. 



235 



Sarebbe pure della nostra incombenza il dare anche qualche sentimento sopra le 
quantità a cui un tal rilascio ascender dovesse. Ma essendo questa una ispezione, 
che regolarsi dee da circostanze di fatti a noi ignoti; come sarebbono le quantità 
degli ogli che all'incirca, più o meno, si solevano prima del Banno trasportare nella 
Marina di Bivona, senza contrattarsi nelle pertinenze di essa...(;7 documento 
termina con formule legali di rito). 



236 



Appendice 2 



ASSASSINIO DI UN SOLDATO 
DEL FONDACO DI BIVONA 482 



Avendo D. Saverio Provenzale, Amm(inistrato)re P(res)ente dell'Arr(enda.men)to 
dei Sali tenuta la notizia, che nella Marina di bivona dello Stato di M(ox\)te Leone, 
erano approdate sei barche liparote, cariche di Sale in contrabando, volendo 
impedire, che quello non si vendesse, perciò verso li venti del mese di Ag(os)to del 
1731 vi mandò Pietro Palumbo, Ottavio Lo Iacono e Nicola Briglio, Soldati 
dell'Arr(enda.men)to del Sale. Ed Questi per dar soggez(io)ne a dette barche, ed 
alla gente, che forse comprar volea del sale, si posero alla vista di quelle, tantoché 
in detta Marina di Bivona nulla successe. 

La mattina poi di martedì 28 di detto mese di Agosto, dette barche fecero vela 
anndando tal' une verso la Città del Pizzo, e due di esse verso la fiumara 
dell' Angetola, e l'istessi tre soldati anche col fine d'impedirne lo sbarco, o sia 
vendita, le seguitarono colla vista, ma non così facilmente riuscirli potè il di lor 
disegno per caggionche le barche di gran lunga distanza giunsero, col favor della 
vela, prima dell'arrivo dei soldati e cominciarono a vendere il sale a più persone, 
che calarono co' i loro Animali in detta Marina del fiume dell' Angetola, e volendo 
complire alla di loro obligaz(io)ne {de-mandarono a Giacinto Gullo Cavallaro, 
come potevano fare per uscire avanti a quell'huomini, che avevano comprato il 
sale da dette barche, e lo portavano colle some, ed avendoli colui insegnata la 
strada di fretta detti tre poveri soldati, senza denudarsi le gambe ne togliersi le 
scarpe, passarono l'acqua del detto fiume Angetola, e pigliarono la via 
dimostratali dal riferito cavallaro, e giunti vicino le mura dirute di una Chiesa 
detta di S. Maria delle Ricotte, vollero arrestare da' circa otto huomini della 
terram di Pulia, che co' loro animali dentro a sacchi conducevano del detto sale 
intercetto, e venuti a contesa, furon posti da quelli nel mezzo, e dalli rub. ri furono 
disarmati delle scoppette, il Nicola Briglio, ed Ottavio Lo Iacono ed il Pietro 
Palujo non si fece disarmare per che si pose in difesa colla sua scoppetta, e 
fuggendo l'altri di Pulia, rimasero soli li sud(et)ti tre rub. ri Nicotera, Acito e 



' ASN, Archivio Pignatelli-Cortez , Se. 65, f.lo 1, n. 1 



237 



giambrone, e non contento il Nicotera di avere colli di suoi compagni disarmato 
d(ett)i soldati, di più colla sua scoppetta, della quale andava armato, detto rub.ro 
nicola Nicotera, scaricò un colpo al Nicola Briglio, che colpendoli una palla nella 
fronte, immediatamente l'uccise e morto restò ivi à terra disteso, e li rub,ti 
sollecitando tra di loro bestie somarrine, e. r., cariche di d.o sale, 
s' incamminarono verso la di loro patria Terra di pulia, portandosi li rub.ti Acito, 
e Giambrone, le scoppette tolte à d(ett)i due soldati, ed arrivati in alcuni pagliare 
proprie colà posero <f(ett)o sale intercetto, che scaricarono dà sopra detti Animali, 
e li due soldati viventi, uno di esso dissarmato, e l'altro colla sua scoppetta, 
andarono à chiamare alcuni huomini per far la diligenza al cadavere, e trovandoli 
lo stile in sacca, due tari d'argento, otto cavalli moneta di rame, la coltella, e 
solfarola al cinto, e quattordici bottoni d'argento al suo colletto, se li pigliò tutte il 
nominato soldato Pietro Palujo per dare conto à chi spettava, e se ne andorno con 
dar parte del successo à più luoghi, tanto che il Mastro Giurato di Francavilla, 
andò con altri per pigliare il cadavere sud(ett)o, e sopra un carro lo fé conducere 
nella chiesa matrice della Rocca Angetola, dove poi fu seppellito per essere stato 
l'omicidio in territorio di detta Rocca. 

Dalli Gov(ernato)n deU'Arr(entamen)to de' Sali della Calabria Ultra à fa ricorso 
à S. M. /dio g(usr)di, rappresentandoli i pregiudizi], che <f(ett)o Arr(endamen)to in 
dies riceve per l'incessanti controbandi, che colà si commettono, ed in particolare 
nello Stato di M(ox\)teleone, tanto che per lo spazio di un anno, e nove mesi non si 
è venduto sale dalli Regi] Fundaci per servitio di <f(ett)o Stato, anche se li soldati 
dell 'Arr(endamen)to volessero impedirli, certam(en)te sarebbono uccisi, com'è 
accaduto spesse volte, che sono stati feriti, e maltrattati. Sup(p\ìcan)do la M. S. 
non solo a stringersi la V.ntà di <f(ett)o Stato per lo rimborso dell'interessi fatti al 
<f(ett)o Arr(endamen)to, ed al pag(a.men)to di una franc(azio)ne fatta dal 
Reg(gen)te di Tomase, ma altresì fare costringere quelle al soggiacim(en)to delle 
pene stabilite dalle Regie Pram(ma.tich)e, come questo, ed altro si legge dalla 
copia del <f(ett)o ricorso fol. J ad IL. 

Per il qual ricorso, si degnò S.M. Dio g(usr)di, inviar cedola à 
quest'Ecc(e\\entissi)mo Sig.r Viceré Conte di Arach, per l'accetto 
dell' Inform(azio)ne, e per il gastigo de' contobandieri con altre providense, 
siccome dalla Copia della Real Cedola si legge, fol.12 e 13. 

E per esec(uzio)ne de' Reali Ordini, s'inviò dispaccio all'In(tenden)te Sig,r 
Com.to D. Antonio Magiocco, che si fisse portato in partibus à pigliare 
Infor(ma.zio)ne di d(ett)i controbandi asseriti, e di tutti l'attentati, ed eccessi, che 
per tal fine si son commessi con altro, che sta espressato in <f(ett)o dispaccio, 
copia del quale sta nel fol. 14 e 15. 

L'istanza del Gov(ernato)re di <f(ett)o Arr(endamen)to fatta sine partibus acciò 
<f(ett)o Sig.r Com.to prenda l ' inform(azio)ne dell' omicidio sortito nel dì 28 Agosto 
1731 in persona di Nicola Briglio soldato di d(ett)o Arr(endamen)to con 



238 



carcerarsi e gastigarsi li Rei della Terra di Pulia, che non solo uccisero quello con 

un colpo d'archibujata, ma anche disamiamo due altri compagni soldati, nell'atto 

volevano impedirli il trasporto di un contrabando di sale, e vi è il cap.lo 

informativo fol. 16. 

Su la notizia, che il Capo di Ruota di Catanzaro avesse preso inform(zi)ne, ò fatta 

diligenza sii di <f(ett)o omicidio, se li scrive lettera del prefato Sig.r Com.to per la 

trasmissione degli atti, come dalla copia di d(ett)a lettera si legge infoi. 17. 

Risposta del <f(ett)o Capo Ruota, ed invia solo il delitto in genere, con alcuni ati di 

consegna de' testimoni] intesi dallo Scrivano dell'udienza Nicola di Marco e dà 

notizia, che il passato Preside di Catanzaro forse averebbe tenuto altri atti, come 

dà detta lettera si vede fol. 18, et fol. 19 . ad 23. 

Copia d'altra lettera, scritta al <f(ett)o passato Preside attuale in Cosenza, per lo 

stesso effetto d'averne gli atti fol. 24. 

Risposta del d(ett)o preside, il quale invia al sig.r Com.to alcuni piccioli atti, che 

sono una relazione del <f(ett)o Nicola di Marco, la notizia di <f(ett)o omicidio 

mandatali dall' Amm(imstmto)re de' sali Saverio Provenzale, due deposiz(w)ni di 

due barbieri, esperti in chirurgia per lo delitto in genere dell'ucciso, e due 

deposizioni delti due compagni del soldato ucciso, come si osserva dalli fogli 25 et 

26 ad 37. 

Chiamata, ò sia ordine, che si fa alti d(ett)i due soldati attesi, ed alti nominati 

periti, fol. 38. 

Carlo di Dario, Testi] fol. 39. e Giov.e Lo Jacono, Testi] fol. 40, 

ripetono le di loro deposizioni, nelle quali dicono d'avere osservato il cadavere di 

<f (ett)o Nicola Briglio con una ferita nella fronte passata nella parte di dietro con 

frattura del cranio, ed esser stata dà palla di piombo dà scoppettata, per causa di 

quella se ne sia morto. 

Si esamina Pietro Palujo, Soldato compagno dell'ucciso st(a.n)e l'altro era assente, 

e va deponendo tutto il fatto della maniera che sta asserito nella rubrica, e ripete 

ancora la sua deposizione fatta al <f(ett)o Scrivano Nicola di Marco fol. 41 ad 43. 

Citaz(vò)ne de' Testimoni] fol 44. e fede dell'assenza di Nicola Sgotto, e Bruno 

Bilasco di Pulia fol. 45. 

Citaz(io)ne à testimoni] fol. 46. 

Antonio Gemelli, Testi] fol. 47.- depone, che la mattina del 28 Ag(os)to 1731 à 

circa l'ora di mezzo giorno mentre stava con due altri amici guardando i loro 

animali nel luogo detto La Pirara, poco distante dalla Chiesa detta di S. M(ari)a 

delle Ricotte, in Territ(oxi)o, e giuris(dizio)ne della Rocca Angetola, e 

discorrevano fra di lo, intese rumore di gente vicino le mura dirute di detta Chiesa, 

e li vidde rissare fra di loro, che per l'impedimento d'alcune fratte, non potè 

distinguere quanti huomini fissero però tramezzam(en)te ne vidde più di sette, ò 

otto ed alzatosi per poter meglio discernere il fatto vidde, che il rub.to Nicola 

Nicotera suo conoscente per prima, con una scoppetta, sparò un colpo. Che non 



239 



vidde à chi avesse colpito per <f(ett)o impedimento delle fratte, e nel med(esim)o 
tempo vidde che <f(ett)o Nicotera si unì coll'altri due rub.to Nicola Aceto, e Vito 
Giambrone, anche tutti due suoi conoscenti, ed armati di scoppetta, una per 
ciasc(hedu)no e di fretta s'incaminarono verso la Terra di Pulia loro Patria, con 
alcuni somarri carichi con sacchi pieni, e nel passar per la strada pub(b\i)ca per 
vicino dove esso Test(imox\i)o stava, li vidde sbigottiti e li dissero, che se erano 
domandati di loro non avessero <f(ett)o niente, e se né andarno, da che giudicò, 
che <f(ett)a archibujata, avesse fatto danno à qualcheduno, ed immediatam(en)te 
dà alcuni di passaggio, intese dire, che in terra dove aveva veduta la scoppettata 
sparata dal <f(ett)o Nicotera, vi era un huomo morto, ed esso 7esf(imoni)o, subito 
ivi andò, e vi ritrovò ucciso à terra, ed insanguinato di fresco, un huomo con una 
ferita nella fronte, fattali dà palla da scoppetta onde giudicò, che quello era stato 
ucciso dal <f(ett)o Nicotera con <f(ett)a scoppettata, e sentì dire che l'ucciso era 
soldato <fe//'Arr(endamen)to del Sale come appariva essere dalli suoi vestimenti, 
ed in (i(ett)o luogo vidde venire due altri soldati di <f(ett)o Arr(endamen)to, uno 
senza scoppetta, e l'altro armato. Da quelli sentì dire, che il morto si chiamava 
Nicola Briglio, ed era loro compagno, e de' tutti tre volendo arrestare detti di 
Pulia, che portavano Controbando di Sale intercetto caricato alla Marina dà 
barche liparote, quelli per non farsi pigliare il controbando, l'avevano maltrattati 
con disarmare d(ett)i due soldati, et poi di più avevano ucciso <f(ett)o Nicola, e 
giudicò esso Test(imom)o, che le due scoppette, quali apportavano li rub.ti Vito e 
Nicola, erano ristesse levate à <f(ett); soldati, atteso che per prima mai avea veduti 
armati li med(esim)i, come all'incontro avea veduto quasi sempre andare armato 
<f(ett)o Nicotera rub.to, e dà altre genti poi sentì dire il fatto della maniera 
espressato. 

Domenico Dastoli Testi] fai. 50. - Depone che <f(ett)a mattina à dett'ora ritrovatosi 
in un luogo <f(ett)o Marasano, guardando animali circa un tiro di scoppetta 
distante dalle mura dirute di <f(ett)a chiesa ivi vidde, che circa dieci huomini si 
erano azzuffati e facevano rumore, ed alcuni si posero a fuggire per dentro le 
fratte verso la marina, e mentre calava per trovare il sud(dett)o Testi] Antonio 
gemelli, e due suoi compagni intese sparare un colpo di scoppettata, verso dove 
era la rissa, e giudicò fosse sortito cosa di male, ed accostatosi al <f(ett)o 
Testim(om)o Gemelli, li domandò se sapeva che cosa era successo, e quello li 
disse, che il rub.to Nicola Nicotera, aveva sparata <f(ett)a scoppettata, né sapea 
altro, ed immediatam(en)te vidde passare per avanti di lui tutti tré li rub.ti 
Nicotera, Acito, e Giambrone suoi conoscenti, per per(so)na ogni uno armato di 
scoppetta guidando tré somarri carichi con sacchi pieni, senza vedere che vi era 
dentro, facendo la via di Pulia loro Patria, e stando sbigottiti, li dissero, che se 
erano domandati di loro non avessero detto niente, onde giudicò, che la 
scoppettata avesse fatto danno. Sentì poi dire, che in d(ett)o luogo vi stava il 
morto; va a vederlo coll'altri: vede il cadavere di fresco ucciso, con <f(ett) a ferita 



240 



in fronte e tutto il di più lo depone de anditi publici e dal conquesto de' detti due 
soldata compagni del Nicola Briglio ucciso. 

Bruno Salatino Testi] fai. 52. - Depone che <f(ett)a matina all'ora di mezzo mentre 
stava con altro amico Nicola Sgotto, in una pagliara in territ(oxi)o di Francavilla 
vidde passare per avanti di lui tutti tre li rub.ti armati di scoppetta suoi paesani, e 
conoscenti guidando tre somarri carichi con sacchi pieni, che non vidde che cosa 
vi era dentro, e si fa meraviglia, che li rub.ti Giambrone ed Acito, andavano armati 
di scoppetta, perchè non era loro solito, come era solito andare armato il 
Nicotera, e vidde che scaricamo d(ett)i sacchi in alcune loro pagliara, e poco 
doppo intese dire tutto il successo del modo descritto, onde giudicò, che detti 
sacchi erano pieni di Sale intercetto, e le scoppette apportate dalli detti Vito, ed 
Acito, erano ristesse disarmate à <f(ett)i soldati, e la mattina seguente avendo 
veduti (i(ett)i rub.ti tutti tré armati del medes(im)o modo, li domandò perchè 
portavano d(ett)e scoppette e li d(ett)i Acito e Giambrone in presenza del rub.to 
Nicotera, li raccontatilo d'aver caricato il sale intercetto dà dette barche liparote 
con altri paesani, ed arrivati in <f(ett)o luogo di S. Maria delle Ricotte avevano 
incontrato detti soldati, quali volevano arrestarli, è però se l'avevano posto in 
mezzo, e l'avevano disarmati, e d(ett)o rub.to Nicotera, ne avea ucciso uno, che 
era remasto morto là in terra, con portarsi poi l'intercetto in d(ett)i pagliara, e che 
le scoppette sud(ett)e erano le med(esim)e quali portavano essi rub.ti Acito, e 
Giambrone dalchè si accertò esso tesf(imoni)o di tutto il successo, e depone 
ancora l ' assertazione di quelli della lor Patria. 

Giuseppe Muzzà, testi] fai. 55., Domenico Comite, testi] fai. 55.ato, Depongono, 
che stando in <f(ett)o giorno, scogniando grano nella loro fera in Territ{ox\)o di 
Francavilla intesero sparare un colpo di scoppettata circa mezzo miglio da sotto il 
luogo dove essi stavano, e non ci badarno su la credenza, che avesse sparato 
qualche cacciatore. Di là à poco videro venire in <f(ett)o luogo due soldati uno 
armato di scoppetta, e l'altro non la portava, e li dissero tutto il successoli, 
pregandoli, che fossero andati con essi per vedere che cosa tenea il cadavere di 
<f(ett)o Nicola Briglio, loro compagno, in effetto andarno in <f(ett)o luogo, e 
ritrovarno <f(ett)o soldato ucciso, e giudicamo, che la scoppettata da loro intesa 
poco prima avea ucciso <f(ett)o huomo soldato, e tenea la coltella e la solfatara al 
cinto, ed un stilletto dentro al fodaro della sua sacca dritta de' calzoni, e 
quattordice bottoni di argento al colletto, e due tari d'argento ed otto cavalli di 
moneta di rame, quali robbe tutti si pigliamo d(ett)i due soldati, e se ne andarno 
con dire, che volevano procurare di far seppellire detto cadavere, e depongono la 
fama pub(b\ic)ca contro de' rub.ti come sta asserito. 

Gregorio Barberio, Testi] fai. 60., Giuseppe Barberio, testi] fai. 62., Antonio 
Brizzij, testi] fai. 64. Depongono l'invenzione di d(ett)o cadavere in <f(ett)o luogo e 
che sopra un carro fu portato per ordine del Mastrogiurato della Terra della 
Rocca Angetola per farlo seppellire in quella Chiesa Matrice, e perchè non tenea 



241 



la cartella sopra fu chiuso in un basso terraneo, e doppo due giorni fu seppellito, e 
depongono la fama pub(b\i)ca del seguito nella maniera descritta contro li rub.ti. 
Agostino Celvaso, Testi] fai. 66 e Giacinto Gullo Testi] fai. 67. Depongono d'aver 
veduto approdare <f(ett)e barche liparote ind(ett)a marina dell' Angetola, dove 
concorsero più persone convicine, e giudicamo, che quelli portavano sale 
intercetto, e depongono tutta la fama pub(b\i)ca del seguito. Ed il sud(ett)o 
Testim(om)o Giacinto Gullo depone di più che tré soldati dett'arr(endamen)to del 
sale li dissero di essersi accorti che l'huomini di Pulia avevano pigliato sale 
intercetto da <f(ett)e barche, dimandandoli la strada per poter uscire avanti à 
quelli, che andavano coli' animali carichi di <f(ett)o sale dentro a sacchi, ed 
avendoli insegnata la via, vidde che d(ett)i soldati senza levarsi le scarpe 
passarono l'acqua del fiume Angetola, e vicino le mura dirute di d(ett)a chiesa di 
S. Maria delle Ricotte, uscirono avanti a quelli, che portavano l'intercetto e li 
vidde azzuffare, e parte se ne andarono e tré si posero à contrastarse con d(ett)i 
soldati ed intese dire, che d(ett)i tre huomini erano li rub.ti Nicotera, Acito, e 
Giambrone, quali per non farsi levare il contrabando del sale avevano rissato con 
d(ett)i soldati, e l'avevano levate dette due scoppette, e che d(ett)o Nicotera avea 
ucciso <f(ett)o soldato. 

Ordine al governatore della Terra di Pulia per la carcerazione detti rub.ti 
Risposta del med(esim)o Gov(ernato)re nella quale dice non aver potuto obbedire 
all'ordini sud(ett)i per essere d(ett)i rub.ti Assenti, né sapersi dove siano. 



242 



Appendice 3 

INVENTARIO DELLE ROBBE 

DELL'IMPRESA DEL CANNAMELE 

AL CASTELLO DI BIVONA 483 



Die iero duodecima mensi Octobris 1618, per Ind(izion)e In marina Bivone 

ter(xito)rij Montisleonis nos per grade die Personalm(ent)e constituitis Dottore 

Joanne Bapta Crispo, Rationale et Perceptore staus dieta civitatia Mont(e\eo)nis 

agente per tam noie suo quam noie et prò prate Curie iusdem Civitatis ex una, et 

Hyeronimo Scotto proc(umto)re ut ipse <f(ett)o Javobi Zatara Baronis Mariglianim 

et Status Norey agente per prose et ex alea parte. 

Ad maiorem intelligentia lo p(rede)tto Gerolimo noie quos s.a consegna al 

p(rede)tto Dottor Gioibatta Crispo rationale per(cetto)re del p(rede)tto stato, 

V infratta quantità di rame, legname, ferramenti, et altre cose infratte quali eran 

dell'impresa del canamele di Bivona: 

Imprimis la chiave de la porta del Castello di Bivona, de la porta del ponte con la 

chiavatura e cathenaccio à braccio 

E più un'altro braccio senza chiave e chiavatura del portello di <f(ett)a porta, 
inanati de la quale ci è lo ponte levatizzo con la sua cathena de ferro e le fosse à 

torno di <f(ett)o castello non son nette 

Item una cascia d'abito longa vecchia vacante per tener la polvere della 

munitione 

Item due libarde vecchie all'antica 



Item quattordeci arcabugi, cioè quattro di questo Castello di Bivona, e li dieci del 

Castello di Mont(e\eo)ne li quattro vecchi 

Item una tavoletta da mangiare con li suoi piedi 



Item la chiave, e la porta de la sala vecchia e chiavatura co lo brazzetto di ferro 

Item la porta de la cam(er)a del Castello senza chiavatura 

Item la porta del camerino all'incontro de la predetta porta con 

chiavatura 

Item nella Camera dove stanno li zuccari vi sono li filari fatti di ciauroni per 
colare li zuccari à p(ost)o solo con le tavole di sotto, con li portelli che teneno detti 



' ASN, Archìvio Pignatellì-Cortez , Se 79, f.lo 1, n.2 



243 



ciauroni et à quelli di sopra mancano molti ciauroni 

Item una maylla dove si tagliano li zuccari con la sua coverta di tavole d'abito 

vecchia 

Item all' astraco ci è un campanello disarmato 

Item nella torre regia dui pezzi d' artiglieria di pruzo grosso con le cascie inferrate 
e con le rote senza ferro con li pali di ferro per caricare, e per andare a <f(ett)a 
torre ci è il ponte acconcio ch'incomincia da V astraco, e va per detta torre, et è 
atorno con tavole 

Item nell'astraco p(rede)tto v'è un'altro pezzotto d'artiglieria con l'arme di 
Pignatello, e colonna, e cavallo et cascie e rote senza ferro con la paletta, sei 

cucchiara per caricare 

Item due palle di ferro piccole del pezzotto piccolo 



Item uno corritore d'alto verso Mont(e\eo)ne con le tavole 

Item le fosse dentro et à torno e dentro la fortezza ma non sterrate 

Item l'infratte caldure di rame al peso di trentatre onze per rotolo col fondo 

Cioè una caldara grande del fumo grande senza pessi à torno, ma con lifaldi rotti 

in molte parti, e poso cento settanta otto rotoli con la corda 

Item una caldara del fumo grande e con quattro pezzi à torno col fundo sono le 

falde rotte peso rotoli cento trentaquattro con la corda 

Item una caldara grande del fumo grande con lo fundo buono, e le falde rotte à 

torno, e con una pezza alle falde, peso r(oto)li cento quarantacinqui con la 

corda 

Item una caldara grande del fumo grande con lo fundo sano peso r(oto)/; cento 

novantacinqui con la corda 

Item una caldara del fumo grande con lo fundo buono pesò insieme con la corda 

r(oto)li cento venti nove 

Item una caldara del fumo piccolo con lo fundo buono pesò con la corda r(otu)la 

settanta duoi et è del rifinatore 

Item una caldara del fumo piccolo per lo rifinatore pesò con la corda r(otu)/tì 

novanta 

Item una caldara grande per l'apparature co' una pezza al fundo pesò con la 

corda r(oto)/; cento ottanta otto, con le falde rotte 

Item una caldara grande per apparature con due pezza al fundo pesò con la corda 

r(oto)li cento ottanta duoi 

Item una caldara del sciroppo con lo fundo buono pesò con la corda rioto)li cento 

trenta 

Item una caldara de lo parature del miele con la pezza al fondo pesò con la corda 

r(oto)li cento ventisei 

Item una caldara grande del riparature del miele con una pezza al fundo pesò con 

la corda rioto)li cento cinque 

Item una caldara grande con lo fundo perciato, de lo fumo grande, pesò con la 



244 



corda r(oto)li cento settanta sette 

Item una caldara grande con lo fundo perciato pesò con la corda r(oto)li dui cento 

venti 

Item una caldara grande con lo fundo perciato pesò con la corda r(oto)li duoi 

cento 

Item Una caldara senza fundo de rotuli cento et ondeci, alla quale esso Gerolimo 
offre l'acconciatura e lo fare a sue spese, lo quale pur sono li più consegnati, e 
pesò r(oto)li cento sessanta uno, che in tutto sono r(oto)li duoicento settanta 
doui 

Quali tutti so dette caldare sommano cantara venti sei e r(oto)li sessanta tre lordi, 
delli quali si ne deduceno r(oto)/; novanta de lordo, e diece otto pesi à rag(ion)e di 
cinque r(oto)li peso de la corda, restano liquidi venticinque) cantara e r(oto)li 
settanta tre 

Rame minuto di Bivona: 

Una conca grande de refinare dove si sparte il zucchero con le maniche _ 

Item dudeci tangili, delli quali sette son buoni e cinqiue) perdati, li quali con 

<f(ett)a conca pesate insieme pesarno r(oto)/a novanta sette dedutti tara restano 

novanta duoi r(oto)li 

Item cati di rame w(umero) tredici tutti buoni con alcuni chiodi pesarno r(oto)la 

settanta duoi dedutta tara restano sessanta sette 

Item cati di rame duoi con le maniche de Ugno senza peso 



Item cinqui case con le maniche di Ugno mescolati longhi senza peso 

Item tre ramioli di partire dui grandi, et uno piccolo senza peso 

Item tre caldaretti di rame per la sentina de la macina 

Item uno critio di rame per la creta 



Item diece schiumaturi, cioè grandi, mezani e piccoli, usati e vecchi 

Item dodeci casse grandi, mezzane e piccole, le quali sop(mde)tte quan(i\)tà 

partite unite insieme de tutta tara pesano r(oto)li cunquanta duoi 

Ferramenti di Bivona: 

Sei casse di ferro cioè cinq(ue) buone et uno rotto 

Item uno ferro per lo fuso de la rota 



Item tre landi per le tre bocche de li fumi 
Item uno Tripodi de ferro grande usato 



Item quattro pali di ferro per li fumi, cioè l'uno grande che è rotto e s'offre 

d(ett)to p(rese)nte di conciarlo e così ancora l'altri tre s'habiano da conciare 

Item uno palo di ferro per cambio del quale si consegnano sei coltelli di riparare _ 



245 



Item una staterà con lo marchio 

Item dodeci perne per le scrùfine 

Item uno rastello à tre denti di ferro . 
Item tre grattarole per la macina 



Item una lunetta di ferro per l'incollo de la macina . 
Item tre boccoli di ferro per il fuso 



Item duoi martello per conciare le caldare 

Item un'altro martello de ferro per conciar le caldare _ 
Item un 'altro rastella a duoi denti 



Item due lumare di ferro l'una con lo manico, e l'altra senza manico 

Item sette perni piccioli per lo fuso 

Item duoi crespiti e dui dadi allifusi 



Item dodeci arcioni per la scalette de le chiande_ 
Item tre cortellaci 



Item dodeci chiavetti per l'ancini de le scalette de le chiande_ 
Item uno paro di bilancelli di rame con li pesi per sette onze_ 



Item tre cathenacci con le chiavi, e due altre senza chiave, et uno guasto 

A' basso al Trappito si consegnano V infratte cose vs. lo tappito con dodeci conci, 

viti tinelli, e scrùfine, nelli quali ci ne è uno guasto da V intutto, in cambio del 

quale s 'assigna una chiave de sotto per metterla de sotto e manca la chianca de 

sopra, due viti e due scrùfine, e s'offre di rifarle, e così ancora si mancasse 

alcun' altra cosa dell'altri ondeci conci all'incominciar del lavoro, e a rettura 

d'esse 

Item tre pietre della macina con la squella in ordine, filaro e tinello in ordine per 

macinare 

Item li tilaretti sopra l'apparatore delli mieli 



Nella dispensa son V infratte cose cioè otto botti da tener vino . 
Due pitarre da tener' oglio 



Item lo fumo da cuocer lo pane e la maylla 

Item in cambia delle tre botti vecchie napolitane s ' assigliano due migliori 

Item in cambio del rastello, e tavole del fumo s'assignano sedeci addi di carro 

Item detto proc(umto)re s'offre accomodare le porte del trappito difettose perchè 

son alquanto guaste 

Item nel piano del trappito de la marina ci è maggior quantità di Ugna, de li quali 
la Corte se n'ha da cacciare li cenntonovanta carrate sue e l'altre haverà da 

pagare all' affittatore Zatara 

Item inanti la Chiesa di S '.Angelo sono cinque scrùfine vecchie 



Item il Castello, trappito, fumo recivitore, refinatore s'offreno essi affittatori dov'è 
guasto farli voltare et accommodare 



246 



Item come s'è detto le fosse di fuora son lorde et hanno da annettare e di dentro 

sono come li furo consignate s'offreno farli annettar di fuora 

Item uno arbore del trappito quale s'ha da compensare à stima 

Rame della Rocchetta pesata in Bivona: 

Una caldara grande con lo fundo buono pesò r(oto)li doui cento e dieci nove con 

la corda 

Item una caldara per mettere miele pesò con la corda cento otto rotuli 

Item una caldara grande con lo fundo perciato pesò r(oto)/; duoi cento et ondeci 

denza la corda 

Item una caldara con lo fundo sano ma lento pesò con la corda cento venti rotoli 

con una pezza alla falda 

Item una caldara con lo fundo buono pesò con la corda r(oto)li cento ottanta 

nove 

Item una caldara de lo rifmatore con lo fundo buono pesò con la corda rotula 

cento e otto 

Item una caldara con lo fundo perciato pesò con la corda r(oto)li cento 

settanta 

Item una caldara de lo rifmature con lo fundo buono pesò con la corda r(oto)li 

cento et ondeci 

Item una caldara con lo fundo perciato pesò con la corda rotuli cento settanta 

uno 

Item una caldara con lo fundo nuovo e con due pezze alla falda porta l'anno 
passato da m(ast)ro Gio Dom{em)co Caloiaro pesò con la corda r(oto)li duoi 
cento e deci, quale si consegna per servirnesi all'impresa di Bivona allo fumo 
dello sciroppo 



Instrumento della consegna de' cannameli (12 gennaio 1619) 



In civitate Montisleonis habita previes obzenta si scrissibis oretinus venia ab 
abbate Ottavio Bozuto vicario foranis an order munzi faso Dominicius sonsituitis 
in mi presentia Joanni Diminico Guagliardi oli rationale stato Montisleonis 
nomine, (...) portati nel Castello per farne nota delle robbe che siano restate et 
restano al presente in detto castello, tanto delle robbe spettanti a detto Castello, 
come ancora necessita della impresa di cannameli che in detta marina, dove 
quindi fecero inventariare tanto le robbe in detto castello come in detta impresa 
per mezzo di notar Gio: Fran.co Ursello, di Mont.ne e proprio l'ultimo del mese di 
ottobre prossimo passato. 



247 



A di dili misi di ottobre, in quella marina di Bivona, destrecto della città di 
Mont.ne et proprio dentro et fora di detto castello inventazio fatto da Giodominico 
Guigliardo olim rationale del stato di Mont.ne della Ecc.a Casa del Sig.r Duca di 
Mont.ne, in presenzia del sig.r Augustino Bonvicino generale p.re alle cose ciò 
fratte et altri agrimensore del stato di Mont.ne e Briatici, posto dal Sig,r Jacopo 
Zatara barone de meregliato (...) apportato modo nella marina di bivona et 
proprio nel castello di detto luoco per farne nota inventario delle robbe che siano 
trovate ..in detto castello come ancora chiamato della impresa di cannameli che 
sia in detta marina dove pronti fecero inventariare tanto le robbe in detto castello 
come in detta impresa per mano di notar Gio: fr. Ursello di Mont.ne e propro 
l'ultimo del mese di ottobre prossimo passato 1614 

Imprimis la chiave della porta di detto castello con la chiavatura et 

catinacci a braccio et più uno altro braccio senza chiave né chiavatura dello 

portello di detta porta, innanzi alla quale porta vi è il presente levaticelo con la 

sua catena di ferro et li fossi abrasi detto castello et detto ponte netti; 

Item una cascia di abito longa, vechia, vacante, per tenere la polvere 

della monitione; 

Item tre lepardi sedie vecchie nellatra, vechia alla antiqua; 

Item quatro archibusci dentro lo castello alla cammera del 

castellaro, vecchi; 

Item una tavoletta d'abito dimangiata ne li piedi; 

Item la porta della sala di detto castello, vecchia con la chiave et 

chiavatura, con braccietto di ferro senza chiavatura; 

Item la porta della cammera dello castellaro, vechia, senza 

chiavatura; 

Item la porta del camerino allecato entro la parte di detta camera 

dello castellaro, vecchia et chiavatura senza chiave; 

Item nella cammera dove stanno li zuccari messi li filari fatti di 

ciascun per calare li zuccari a q(ue)sto solo con li grandi di sotto con li portelli chi 

tenero detti ciarvori e queli sopra ne mancano molti ciaruni; 

Item una maijlla, due sete chiaro, li zuccari cola sua coperta di tanti 

d'abito vechia; 

Item l'abbaio sopra detto castello ne è una cun panello di sonare 

disarmata; 

Item nella Torre detta la torre Regia vi sono due pezzi d'artiglieria di 

pezzi grossi, co li casci riferrati et co li roti senza li ferri, co li pali di ferro per 

carricare seu cochiare, et per andare in detta Torre vi è un ponte a sorco, et 

atorno al muro arco cum il ponte che incomincia dall' andraco; 

Item nello detto posto vi è un'altro pezzo d'artiglieria co li armi a 

pigna, co li colonni a cavallo, con cascia et roti senza ferro col la poletta senza 



248 



cochiara di carricare; 

Item sei palli di ferro per lo prefato pezzo co altri palli di ferro che 

sono nella prefata torre regia; 

Item lo avvis.ore di alto verso mont.ne con le favule; 

Item le fossi dentro e atorno la portiliera, tutti netti non sterriati 



Vs rame: 

Item una caldara grande dello fumo grande con fondo bono, pesata 

per il detto Gio.Dominico ivi noi redatta la seg.te tabela . d.ta al piso di tre onzi a 
rotolo pesò uno cantaro et mezzo calas.nda che se atornono 

è né libano d'herba di 750 

Item un 'altra caldara grande per lo fumo grande con lo fundo bono, 

pertusata, pisa allavpisata con detto libano 

piso ratula centoquarantaquattro 144 

Item una altra caldara grande per la apparaturi, bona di fondo et 

falda, pisata nitta, peso uno cantaro et trentacinquine r(otol)a 135 

Item una altra caldara grande per lo fumo grande con fondo buono, 

pisata nitta, pertusata, peso uno cantaro et trentanove r(otol)a 139 

Item una altra caldara grande con fundo buono con la pezza alla falda, pisata 

nitta, piso un cantaro et rotula cinquanta doi 752 

Item una altra caldara grande con fundo bono con pertuso alla falda, pesata 

netta, un cantaro e trentotto gra(na) 138 

Item una altra caldara grande per li apparaturi con fundo bono pisata netta, 

piso r(otol)a centuottantasepte 787 

Item una altra caldara grande, però usata per la cottura con fundo bono, 

pisata nitta, piso cantara duicento rotula septe 207 

Item un'altra caldara grande con fundo perciato, grande, pisata netta pisu 

r(otol); uno ottanta 180 

Item una altra caldara grande de lo sciroppo, fundo bono, pisata netta piso 

cantara doicentoquaranta tre 243 

Item una altra caldara grande con fundo tutto perciato e quale non vale per lo 

piso r ( o to 1 ) a 770 

Item una altra caldara grande per lo fumo grande con fundo bono pisata netta 

peso r(otol)a centotrentasepte 137 

Item una altra caldara grande per li apparaturi dello sciroppo con fundo non 

bono, pisata netta piso r(otol)a centunovantadoi 792 

Item una altra caldara grande con fundo tutto perciato che non serve per lo 

piso, pisata netta r(otol)a centinovanta 790 

Item una altra caldara grande confondo perciato pesata netta piso cantara doi 
et r(otol)a sidece 776 



249 



Item una altra caldara grande con fundo bono pisata nitta centusettanovi 

r(ota\)a 179 

Item una altra caldara per lo fumo grande fundo bono pisata netta r(otol)tì 

settantatre 73 

Tutte le p(rese)nti caldure de cotto uniti insieme pesarno cantara venti otto et 
r(otol)a ottantino 2881 

Rame minuta vs.: 

una conca grande dove pisare, duve se sparte il zuccaro con le maniche 

Item dodici tagili delle quali li septe no buoni et li rami perdati le 

quali la detta conca pisati ciascuno da detto già diminico con detta stabela pisi 

netti centoetuno di 707 

Item cati di rame numero quattro detti quali nissuno boni, rotti et li tre son 
guasti li quali pisano insieme a altri chiodi di rame quali venero per lo farsi detti 

cuttali pisano r(otol)a cento et quatro 104 

Item cati de rame con le maniche di legno ma senza peso -- 

Item cinque casci con le maniche di legno, mesccolati legni senza piso — 

Item tre ramiuoli di spartire da grandetti et picioli di rame senza piso — 

Item tre caldaretti di rame per la sentina della macina -- 

Item uno criu di rame per la creta 

Item due scumaturi grandi mezzani et picioli usati et vechi 

Item dodici cati grandi mezzani et picioli tutti boni et giusti li quali pisano 

septe quatro partite levatine, le cui dette partite quali no fumo pisati insieme piso 

netto r(otol)a sissanta 60 

Li sopradetti rami minuti uniti insieme pisati netti, piso r(otol)tì doicento 

sessantacinque 265 

li quali r(otol)a doi cento sessanta cinque de rame minuta uniti con li suddetti 
cantara dece otto et r(otol)a quarantuno fanno la somma di cantara trenta undece 
et sidici, dico r(otol)a 311.16 

Pezzi vs. 

In primis sei cosci di ferro per li secchi de li fumi 

Item uno ferro giusto fuso della rata 

Item tre landi per le tre buchi detti fumi 

Item uno trepodo di ferro usato grande 

Item quatro pali di ferro per li forni cioè l'uno grande lo pezzo 

grande, uno altro mezzano di bergantino uno altro per lo fumo dello sciroppi 

Item uno palo di ferro di tre palmi e mezzo lungo 

Item una statea con lo marchio 

Item dodici perni questi senza fori 

Item uno grastello di ferro a tre denti 



250 



Item tre grattalori per la macina 

Item una conetta inferro per lo inesto della macina 

Item tre buccholi di ferro per lo piso 

Item doi martella per conciare li caldari 

Item uno altro grastello voltato per conzare li caldari 

Item uno altro grastello a doi denti 

Item doi lameri di ferro luna con lo manicotto laltra senza 

Item uno perciature per li zuccari 

Item septe perni puioli per lo fuso 

Item doi crispati et doi dadi allifusi 

Item dodici argini per li scaletti delli chianchi 

Item tre cortellacci 

Item dodici chiavetti per li argini delli scaletti delli chianchi 

Item sei coltelli vechi di parata i quali servono per altro servitio 

Item uno paro di bilancetti di rame, et uno piso septe onzi 

Item tre catinazzi mali chiusi e doi alti senza chiavetta, uno giusto 

Abasso nel trapeto vs. 

Imprimis lo trappito con dodeci conci co li scaletti per i forni e cogli 

tinelli in ordine 

Item tre petri della macina con la sequella in ordine, netti cato e 

tinello in ordine per macinare 

Item li tilaretti per lo apparatore delli meli 

Nella vs. per lo mulino vs. 

Imprimis otto butti de tenere vino vechi 

Item doi pital.ni di tenere oglio 

Item lo fumo per fare pane con le tavole et majllari la porta sopra di 

tavole et anti guarniti et dei loro porti nere le tavole 

Item tre butti da pulizare vechi nel detto fumo per tnere grano o altra 

robba, scassati senza tri pagninelli quali se sole tenere cavuri 

Item doi crina di farina 

Item avanti detto trappito nello presso della macina, legna vechi 

restati dalla cottura, carrati cento novantaquatro 194 estimati per peso e prezzo 

con quello già dominico patuito 

Item avanti al m.a d.o santo Angelo avanti detto castello vi sono una 

pisa senza ferri et tre chianchette per usarli d.o trappito 

Item dentro castello acennato contene in ordine coperto di travi con lo 

trappito p.tto di spiana fumo e li capi turi te le fiaturi quali tutti in erdine e bene 

conciati senza mancamento alcuno 

Item come si è detto si trovano in ordine et netti li fossi tanto fra detto 

castello come dentro attorno la porta Turria dentro ove si fé la macina la creta la 



251 



creta chome pani dimodo che detta porti la zocharia per tutto netto senza alcuno 
impedimento 

Item doi scali rustiche quali servono per salvamento detti genti dello 

trappito a tempo di bisogno per potersi salvare in castello da dentro detto trappito 
Lo detto inventario de modo pr.nte fu fatto et scipto da propria mia mano di Notar 
Gio fran.co Ursello di Mont.ne alla richiesta della p.tta E. di Augustino con Gio 
Diminico con presenzia detti detti Già Dominico pretiato, Già Diminco Caliardo, 
Giò petro Jerali, S.re Frabritio Matanire, Frn.ca De Enrijio Castallo, Mario 
Antonio Morano et Sancta Agata di .... giò gregorio ghatto di ionadi et nuntiato 
Morda di ionadi Barricello di Montilione e il quale inventazio a questo palazo per 
atto publico per non essere numerate le infratte robbe et per stato stardo 
Et da poter q.to lo fatto detti inventario della p.ia giurn. gio: diminico petitto e gio 
petro la zona mandati apposta da lo detto Sig.r Augustino er gio diminico e 
mesurar li fumi et cantarelli di detta impresa et riferirno haverne numerati li fumi 
detti zuccari al numero di mille doicento di 1200 et cantarelli r.a doi milia 2000 
Et pria have noi tornato esserci in detto castello uno robeclto(?) degliare li 
zuccari con suo torno gr.a 2000.. 



252 



Appendice 4 



CONTRATTO ASSUNZIONE MARINAI 
TONNARA DI BIVONA 484 



// giorno quindeci :15: del mese di Marzo del corrente anno mille otto cento 
quindece : 1815:, in questa Comune del Pizzo, Provincia di Calabria Ultra, avanti 
a Noi Regio e publico Notaro Riconosciuto dalla Legge Luigi Antonio Rizzo, figlio 
di Giorgio di questa Comune del Pizzo, ed in essa domiciliato Strada il Borgo 
collo studio e legalmente patentato nel Ruolo di essa comune, per il caduto anno, 
all' articolo centotrentasei 136, non ancora avuto la patente per l'anno corrente, 
ed in presenza degl'infuoscritti Proprietarj Testimoni di essa comune, conoscendo 
le parti, ed aventi la qualità dalla legge richieste, sono comparsi li seguenti 
Marinari del Pizzo, cioè il Rais Francescantonio Malerba, Giorgio Malerba, 
Raffaele malerba, Vincenzo Malerba, Giacomo Malerba, Pasquale Malerba, 
Giuseppe Vallone, Bruno Camillo, Marcantonio Sacco, Giuseppe Muzzi 
D'antonino, Pasquale Guzzo, Fortunato Valotta, Gennaro Guzzo, Antonio Muzzi, 
Giorgio Giannetto, Fortunato Grillo, Diego Foro, Vincenzo Artesi, Carmelo 
Muzzi, Domenico Malerba di Saverio, Vincenzo Raffaele, Antonio Pagnotta, Santo 
Pagnotta, Santo di Ali di Pasquale, Pasquale Mormorato, rosario Sacco, Carmelo 
Malerba, Francescantonio Malerba di giuseppe, Giovanni Ranieri, Domenico 
Penna di nicola, Giovanni Malerbam Pasquale Facciolo, Leonardo Valla, 
Domenico Sacco Galluzzo, Erasmo Ventura, Bruno Todesco, Stillitano Dato, 
Carmelo Donato, Onofio d'Aloi, Giuseppe Potenzoni di Parghelia, Gregorio 
Leggio, Rocco Galasso Fragalà, Giovanni Bortolotta, Francesco Mazzitelli, 
Giuseppe Costanzo, Pasquale Malerba, Giacomo Lorello, Gaetano Mangione, 
Fortunato Valotta di Francesco, Filippo Murano, Fortunato Bortolotta, Giorgio 
Secolo, Nicola Di Ali, Costabile Bagnato, e Fabrizio Bongiovanni da una parte; E 



484 ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 15 Marzo del 1815, sch. CCCV, voi. 1581, n. 
5, f. 173. Nei primi anni dell'ottocento la Tonnara di Bivona venne presa in affitto da due affaristi 
francesi, Pierre Majourel e Francoise Astruch: tale atto risulta importante perché dimostra il protrarsi 
della gestione francese della tonnara al 1814, quindi sei anni in più rispetto a quanto documentato da 
Caldora U., in Calabria Napoleonica (1806-1815), Ed. Brenner, Cosenza. 



253 



dall'altra il Signor Francesco Astruch di Nazione Francese, Proprietario 
domiciliato qui, e cognito; 

Asseriscono le parti, qualmente sin da' sedici: 16 Agosto del caduto anno mille 
otto cento quattordeci 1814: fin oggi sempre avanti a Noi, e Testimoni hanno 
rispettivamente contratto con detto Signor Astruch appaldatore della Tonnara di 
Bivona, e Pizzo, ch'essi Marinar] dovessero andare a Servire nella tonnara di 
Bivona da Primo entrante mese di Aprile sino a tutto Giugno di questo corrente 
anno mille otto cento quindeci, e porre le loro fatiche personali, giusta il solito 
delle Tonnare, e dal Servizio sudetto non mancare per qualsivoglia causa, né di 
prendere altro servizio tanto se la Tonnara pesca, come si spera in Dio, quanto se 
non fa pesca, il che Dio non voglia, altrimenti esser tenuti a tutti i danni, che per 
loro mancanza accoderanno in detta Tonnara, ed avere erri Marinar] per paga, e 
lucro, siccome si costumano nella Tonnara del Pizzo. 

Ed all'incontro essi Marinar] dichiarano fin d'oura aversi ricevuto da detto signor 
Astruch le qui sotto annotate somme, cioè: 

1) Il Rais di Malerba ducati dodeci 12=00 

2) Francescantonio Malerba ducati cinque 05=00 

3) Raffaele Malerba ducati cinque 05=00 

4) Vincenzo Malerba ducati quattro 04=00 

5) Saverio Malerba ducati quattro 04=00 

6) Giuseppe Vallone carlini quarantotto 04=80 

7) Francesco Vallone ducati quattro 04=00 

8) Bruno Camillo ducati cinque e mezzo 05=50 

9) Marcantonio Sacco carlini quarantacinque 04=50 

10) Giuseppe Muzzi carlini cinquantaquattro 05=40 

11) Pasquale Guzzo carlini ventisei 02=60 

12) Fortunato Valotta ducati diciannove 19=00 

13) Gennaro Guzzo carlini quindeci 01=50 

14) Antonio Muzzi ducati sei 06=00 

15) Giorgio Giannetto carlini trenta 03=00 

16) Fortunato Gullo ducat quattro 04=00 

17) Diego Faro ducati cinque 05=00 

18) Vincenzo Artesi ducati cinque 05=00 

19) Carmelo Muzzi ducati cinque 05=00 

20) Domenico Malerba ducati quattro 04=00 

21) Vincenzo Rafaele ducati due 02=00 

22) Antonio Pagnotta ducati tre 03=00 

23) Santo Pagnotta ducati tre 03=00 

24) Santo di Al] ducati tre 03=00 

25) Pasquale Mormorato ducati sei e mezzo 06=50 



254 



26) Rosario Sacco ducati tre 03=00 

27) Carmelo Malerba ducati cinque 05=00 

28) Francescantonio Malerba di Giuseppe ducati cinque 05=00 

29) Giovanni Ranieri ducati quattro 04=00 

30) Domenico Penna ducati tre 03=00 

31) Giovanni Malerba ducati sei 06=00 

32) Pasquale Facciolo ducati tre 03=00 

33) Leonardo Valla ducati quattro 04=00 

34) Somenico Sacco ducati due 02=00 

35) Erasmo Ventura ducati quattro e mezzo 04=50 

36) Bruno Todesco ducati cinque 05=00 

37) Stillitano Dato ducati cinque 05=00 

38) Camelo donato ducati tre 03=00 

39) Onofrio D'Aloi ducati cinque 05=00 

40) Giuseppe Potenzoni Ducati due 02=00 

41) Gregori Leggio ducati tre 03=00 

42) Rocco Galasso ducati cinque 05=00 

43) Giovanni Bartolotta ducati cinque 05=00 

44) Francesco Mazzitelli ducati tre 03=00 

45) Giuseppe Costanzo ducati quattro 04=00 

46) Pasquale Malerba ducati cinque 05=00 

47) Giacomo Lorello ducati cinque 05=00 

48) Gaetano Mangione ducati quattro 04=00 

49) Fortunato Valotta ducati quattro 04=00 

50) Filippo Murano ducati cinque 05=00 

51) Fortunato Bartolotta ducati quattro 04=00 

Sono in tutto ducati 235=80 

Duecento trenta cinque e grani ottanta 235:80 

E però è, che detti Marinar] promettono osservare quanto di sopra sta descritto; E 
vogliono esse parti, che in caso contrario, il presente atto autentico s'incusi dalla 
parte osservante contro la e ontav eniente, in ogni Corte di Pace, o Tribunale, e che 
abbia la via esecutiva pronta e parata. 

Tanto esse parti hanno asserito, dichiarato, convenuto, ricevuto ed in forma si 
sono obligate. Patto che tutte le spese di carta bollata del presente atto autentico, 
registro, camera notariale, e competenze notariali, vadino metta per esso signor 
Astruch Appaldatore come sopra, e metta per essi Marinar], perché così e non 
altrimenti. Tutti detti Marinar] hanno dichiarato di non saper scrivere, all' infuori 
di Pasquale Facciolo, che si è sotto scritto 



255 



Appendice 5 

COSTITUZIONE DI UNA 
SOCIETÀ DI FRITTA DI TONNO 485 



Oggi che si contano li ventidue : 22: del mese di Aprile corrente anno mille otto 
cento diecessette : 1817:, in questa fidelissima Città del Pizzo, Provincia di 
Calabria Seconda Regnando Ferdinando Primo per la Grazia di Dio Re del 
Regno delle due Sicilie, e di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, 
Piacenza e Gran Principe Ereditario della Toscana, avanti a Noi Regio e publico 
Notaro Riconosciuto dalla Legge Luigi Antonio Rizzo, figlio del Notar Giorgio di 
questa sudetta Città, ed in essa domiciliato Strada del Borgo col nostro studio ed 
in presenza delti sotto scritti Testimoni di detta città, ed in essa domiciliati, 
conoscenti le parti ed aventi le qualità richieste dalla legge; Sono comparsi i 
Signori Calo Schiano di Vincenzo, Napoletano, al presente domiciliato in questa 
Marina, D. Francesco Rosi del fu filippo, D. Benedetto Musolino del fu Saverio, 
Francesco Savelli del fu Pasquale, Francesco Sardanelli di Carmine, Leoluca 
Belsito di Francesco, Giuseppe Bevevino del fu Nicola, Giorgio Zupponi del fu 
Domenico, Pasquale Matacia del fu Emiliano, Emilio Malerba di Giuseppe, e 
Domenico Bevevino del fu Giuseppe, tutti di questa città ed in essa domiciliati, e 
da noi cogniti. 

Asseriscono esse ambe le parti come sopra constituita avanti a noi Notare e 
Testimoni esser tra di loro devenute alla presente Società colli patti, e condizioni 
come sieguono: 

1 Primo eliggono per Cassiere Generale della presente Società la persona di 
detto Signor Domenico Bevevino, in potere del quale oggi medesimo passano la 
somma di ducati cinquanta :50: di moneta di argento al peso e corpo di legge per 
cadauno di essi constituiti socj, quali sono colla spiega che controvenendo, o 
resilendo cadauna parte della presente società di ducati cinquanta 50, che 
cadauna resilisce, vadino in beneficio delle parti che non resiliscono ecciò in 
pena; 



485 ASVV, Notaio Rizzo Luigi Antonio (Pizzo 1808-1849), 22 Aprile del 1817, sch. CCCV, voi. 1582, f. 
306 



256 



2 Secondo, che la società constituita di fare Fritta in questo anno di Tonno Fritto 
in olio, e posto in aceto, tanto della Tonnaja di questa città del Pizzo, che di quella 
di Bivona, fare la spesa detto Cassiere, ed imbarcarsi per Roma, e dare conto 
tanto dell'Introito, che dell' Esito alla Società; 

3 Terzo, Si obligano, e promettono tutti essi soci di stare in detta Società di Fritta 
per questo anno tanto alla perdita, che al guadagno; 

4 Quarto, che tutti i Socj alla compra che si farà del Pesce Tonno, devono tutti 
essere intesi del prezzo cje si compra, se stimano comprarsi, ma non fare compra il 
Socio di Tonno senza l ' inteslligenza della Società, la quale deve tutta concorrere; 

5 Quinto, che se mai qualche Socio da per se solo, il che non può fare, comprassi 
del pesce Tonno a qualunque prezzo, qualora detto prezzo piacesse alla Società, il 
Tonno resti per la Società, altrimenti resta di conto del Socio che non potea 
comprare senza l'intelligenza della Società tutta, e perciò viene proibita ad un 
Socio la compra, che non può farla da se solo, fino a che dura la Società della 
Fritta delle Tonnare di questo anno; 

6 Sesto, dopo fatta la Fritta, e Spedita per Roma, per farne colà la vendita, debba 
andare il Sopradetto Cassiere Domenico Bevevino, Carlo Schiano, e Francesco 
Savelli con portare alla Società esso Schiavo un esatto conto dello spesato che 
occorre, in tutto il corso del viaggio, che deve egli fare; 

T Settimo, Dietro fatta la vendita in Roma di essa Fritta, deve il Cassiere farne 
l'introito, e darne conto alla Società sudetta; 

8 Ottavo, Bisognando in Roma al Socio Francesco Savelli Ducati cento, 100:, il 
Cassiere è nell'obligo di darceli, e notarli a suo conto; 

9 Nono, tutto il ricavato di essa Fritta è nell'obligo il sudetto Cassiere depositarlo 
in Napoli, in potere del signor Gennaro Camera, figlio di Antonio di Napoli, a 
disposizione della Società sudetta; 

10 Decimo, I sudetti tre Socj Signori Domenico Bevevino, Carlo Schiano, e 
Francesco Savelli, che onderanno in Roma per la sudetta vendita, avranno per 
compenso Ducati venticinque 25: per cadauno, oltre delle Spese, cibarie, ed altre, 
che potranno accadere; 

11 Undecimo, Li si dà la facoltà agli stessi Schiano, Bevevino, e Savelli da tutta la 
Società di fare come Padri di Famiglia nel corso del viaggio, e nella vendita di 
esso genere in Roma, o in altri luoghi di amici, e vantagiosi, trattando sempre però 
il vantaggio della società sudetta; 

12 Duodecimo, e finalmente è priobito a detto Signor Francesco Savelli di far 
contratti, o vendita in Roma d'essa Fritta, senza il consenso in iscritto di essi 
Signori Domenico Bevevino, e Carlo Schiano, li quali tutti e tre devono dare di 
consenso la vendita, e facendo il contrario esso Savelli, inquesto caso i danni 
patirà la Società, onderanno a suo carico. 



257 



Così le parti, e non altrimenti, si sono obligate, e convenute. Volendo il caso 

contrario, che il presente s'incusi dalla parte osservante contro la controveniente 

in ogni Corte di Pace, o Tribunale, e che abbia la via esecutiva pronta, e parata. 

Patto, che tutte le spese di Carta bollata, Registro, Camera Notariale, e 

competenze del Notaro, vadino a carico di tutta la società. 

Fatto, letto, publicato, e stipulato oggi sudetto dì, mese ed anno in questa città del 

Pizzo, nel sudetto nostro Studio, sito come dietro, in presenza delle parti tutte, e 

sotto scritti Proprietarj. 

Testimoni Signori Onofrio Licastro di Giuseppe, domiciliato Strada dietro Gesù e 

Maria, e Vincenzo Leonardo del fu Antonino, domiciliato Strada il Carmine, e 

dopo la lettura fattone, venne da tutte le parti, testimoni e Noi Notare Sotto Scritto. 



258 



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